diritto dell'Unione europea

Recupero di aiuti di Stato illegali o incompatibili e tutela cautelare: un'ordinanza sorprendente del TAR Lombardia

Una recente ordinanza adottata dalla Sezione Terza del TAR Lombardia riporta l’attenzione sul noto problema concernente la concessione, da parte dei giudici nazionali, di misure cautelari volte a sospendere l’efficacia esecutiva dei provvedimenti di recupero emessi dalle autorità degli Stati membri al fine di dare esecuzione alle decisioni della Commissione, stante l’idoneità delle istanze a tal fine formulate a prestarsi a strumentalizzazioni in chiave meramente dilatoria.

Nel caso di specie, in particolare, il TAR Lombardia, in accoglimento della domanda cautelare presentata dal Comune di Milano, ha disposto (in modo assai criticabile) la sospensione non solo del procedimento nazionale che avrebbe dovuto condurre all’adozione del provvedimento di recupero degli aiuti in questione, ma persino della decisione adottata il 19 dicembre 2012 con cui la Commissione europea aveva dichiarato l’incompatibilità di tali esborsi con il diritto dell’Unione europea.

Più precisamente, nel caso di specie il Comune di Milano ha impugnato dinanzi al TAR Lombardia la nota con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva comunicato al Comune stesso l’avvio del procedimento di recupero degli aiuti in oggetto, nonché tutti gli atti ad essa presupposti e connessi (tra cui la decisione della Commissione) chiedendone, in via cautelare, la sospensione, sull’assunto che i versamenti in questione non gli fossero in alcun modo riferibili, con conseguente illegittimità delle richieste di restituzione emesse nei suoi confronti.

Con l’ordinanza in commento, il TAR Lombardia ha accolto l’istanza cautelare così formulata, e, per l’effetto, ha sospeso la decisione della Commissione ed il relativo procedimento nazionale di recupero fino alla definizione del merito del giudizio di legittimità della stessa instaurato, nel frattempo, dall’impresa beneficiaria dinanzi al Tribunale dell’Unione europea.

Il quadro normativo di riferimento.

In base all’art. 14, par. 3, del regolamento 659/1999, «il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione».

Di conseguenza, alla luce dei sopra menzionati rischi di abuso in chiave dilatoria, la concessione di misure cautelari in relazione ai provvedimenti nazionali volti al recupero degli aiuti di Stato indebitamente erogati è subordinata, per costante giurisprudenza della Corte di giustizia, alla ricorrenza di specifiche condizioni (cfr., in particolare, le sentenze Scott, Zuckerfabrik e Atlanta).

Segnatamente, in base a tale giurisprudenza, il giudice nazionale può sospendere gli ordini di recupero a condizione che (i) nutra grandi riserve sulla validità della decisione della Commissione ad essa presupposta; (ii) ricorrano gli estremi dell’urgenza; (iii) tenga pienamente conto dell’interesse dell’Unione e (iv) rispetti le eventuali pronunce adottate dalle Corti europee in ordine alla legittimità delle decisioni della Commissione, nonché le determinazioni da queste assunte in sede cautelare (cfr., a tale riguardo, la Comunicazione del 2007 “Verso l’esecuzione effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri di recuperare gli aiuti di Stato illegali ed incompatibili e la successiva Comunicazione del 2009 relativa all’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato da parte dei giudici nazionali).

Ai fini della concessione delle predette misure provvisorie, è, inoltre, necessario che (i) il soggetto istante abbia impugnato la decisione della Commissione dinanzi alle giurisdizioni europee ai sensi dell’art. 263 TFUE; ovvero che (ii) qualora non vi abbia provveduto e non sia manifesto che fosse a ciò legittimato, il giudice nazionale esperisca al riguardo il rinvio pregiudiziale di validità, non potendo effettuare autonomamente tale valutazione.

Sulla scorta di tali indicazioni, il legislatore italiano si è attivato per conformare la disciplina interna di riferimento al diritto dell’Unione europea, mediante l’adozione, in un primo momento, degli articoli 1 e 2 del D.L. n. 59/2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 101/2008, a mezzo dei quali ha precisato le condizioni in presenza delle quali il giudice nazionale può sospendere l’efficacia esecutiva del provvedimento di recupero.

Recentemente, inoltre, nella prospettiva di ricondurre a sistema le attività di esecuzione delle decisioni di recupero, nella materia in esame è intervenuta altresì la riforma introdotta con la L. n. 234/2012, i cui artt. 49 e ss., in particolare, hanno devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la risoluzione delle controversie sul recupero di aiuti di Stato illegali o incompatibili instaurate successivamente al 19 gennaio 2013.

A tale riguardo, mette conto precisare che, sebbene tale recente intervento normativo abbia determinato l’abrogazione delle sopra descritte disposizioni di diritto interno in tema di tutela cautelare, non sembrerebbe potersi revocare in dubbio la persistente esigenza di subordinare la sospensione dell’efficacia esecutiva dei provvedimenti di recupero alla ricorrenza dei presupposti all’uopo individuati dalla Corte di giustizia a mezzo della propria giurisprudenza.

Osservazioni critiche.

Alla luce di quanto precede – e in disparte la circostanza che il procedimento de quo abbia ad oggetto l’impugnazione della mera comunicazione dell’avvio del procedimento di recupero – l’ordinanza in commento si espone ad alcune considerazioni critiche, anzitutto, nella parte in cui ha esteso la sospensione dell’efficacia esecutiva alla decisione con cui la Commissione ha dichiarato l’incompatibilità degli aiuti de quibus.

Giova, infatti, rammentare che la valutazione circa la validità delle decisioni della Commissione, anche ai fini della sospensione della relativa efficacia esecutiva, rientra nella competenza esclusiva della Corte di giustizia, sicché la concessione di misure cautelari aventi ad oggetto tali atti esula dai poteri spettanti al giudice nazionale.

Ciò in quanto al giudice nazionale è preclusa in radice la verifica della compatibilità dell’aiuto con le rilevanti disposizioni di diritto dell’Unione europea, essendo vincolato, sul punto, alla decisione della Commissione, cui è riservata tale valutazione.

Ne consegue che questi – lungi dal poter rimettere in discussione la decisione della Commissione – è tenuto, al pari degli altri organi statali, a garantirne l’effettiva e tempestiva esecuzione.

In questa prospettiva, il giudice nazionale potrà disporre, al più, la sospensione dell’efficacia esecutiva dei provvedimenti emessi dalle autorità nazionali al fine di ottemperare all’obbligo di recupero conseguente alla decisione della Commissione, sempreché, ad ogni modo, ricorrano le condizioni a tal fine individuate dalla Corte di giustizia.

A tale riguardo, ferma l’inesistenza, nel caso di specie, di alcun ordine di recupero suscettibile di impugnazione, pare opportuno evidenziare che, a ben vedere, non sembrerebbero comunque sussistere le condizioni per l’accoglimento dell’istanza cautelare formulata dal Comune di Milano, quanto meno nella misura in cui questa si fondi sul presupposto dell’asserita grave illegittimità della decisione della Commissione.

Ciò in quanto, innanzi tutto, il lamentato errore nell’individuazione del soggetto tenuto alla restituzione degli aiuti de quibus non parrebbe affatto riferibile alla decisione della Commissione, che nulla sembrerebbe aver precisato circa il soggetto gravato di tale obbligo, bensì ai soli provvedimenti adottati dalle autorità nazionali per darvi esecuzione.

Tale circostanza avrebbe, dunque, forse potuto giustificare la sospensione dell’eventuale provvedimento di recupero emesso dalle autorità nazionali nei confronti del Comune per ragioni diverse ed autonome rispetto all’asserita grave illegittimità della decisione della Commissione; nondimeno, è chiaro che si tratti di un elemento del tutto irrilevante ai fini della valutazione del fumus boni juris in termini di grave illegittimità della decisione ad esso presupposta

A ciò si aggiunga, peraltro, che il Comune di Milano non ha impugnato la decisione della Commissione dinanzi alle autorità giurisdizionali europee, avendovi provveduto esclusivamente la società beneficiaria, sicché – sulla scorta dei sopra considerati principi – la concessione dei provvedimenti provvisori da questo richiesti avrebbe forse dovuto essere subordinata ad una più attenta valutazione anche sotto tale profilo.

In conclusione, preme rilevare che l’ordinanza in commento – oltreché senz’altro discutibile sul piano giuridico – si rivela altresì foriera del non trascurabile rischio che lo Stato italiano risulti inadempiente, per suo tramite, agli obblighi su di esso incombenti in ragione dell’appartenenza all’Unione europea.

È chiaro, infatti, che l’ordinanza de qua determina una sostanziale vanificazione della tempestività con cui le autorità nazionali hanno avviato i procedimenti di recupero degli aiuti di Stato per cui è causa, compromettendo in modo irreparabile l’adempimento degli obblighi derivanti dall’art. 14, par. 3, del regolamento n. 659/1999.

Ciò, in particolare, in considerazione del fatto che il TAR Lombardia, oltre ad essersi ingerito in valutazioni estranee al suo ambito di competenza, non ha provveduto in modo corretto alla verifica circa la ricorrenza, nel caso di specie, dei presupposti per la concessione della tutela cautelare richiesta, così rivelando un preoccupante disorientamento in ordine alla disciplina vigente in materia ed al proprio ruolo nella relativa applicazione.

Non v’è chi non veda come la situazione appena descritta sia suscettibile di tradursi nell’attivazione, da parte della Commissione, della procedura accelerata d’infrazione ai sensi dell’art. 108, par. 2, TFUE, nonché nelle eventuali azioni di responsabilità per violazione del diritto dell’Unione europea instaurate da parte dei soggetti lesi dal mancato recupero degli aiuti in oggetto, con conseguente aggravio della situazione patrimoniale dello Stato italiano.

Senza contare che, in questo modo, si mette a repentaglio lo stesso effetto utile della disciplina approntata a mezzo della L. n. 234/2012 al precipuo scopo di garantire, mediante un’adeguata e più chiara procedimentalizzazione, l’ottemperanza all’obbligo di recuperare gli aiuti di Stato dichiarati incompatibili dalla Commissione, posto che la relativa concreta idoneità a realizzare tali obiettivi risulta irrimediabilmente pregiudicata da interventi giurisprudenziali quali quello in commento. Urge, quindi, un immediato appello dell’ordinanza al Consiglio di Stato da parte della Presidenza del Consiglio, onde ripristinare la “legalità comunitaria” che il TAR ha violato.

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