diritto internazionale pubblico

I marò e l’Italia: così i ritardi hanno portato a un flop nella fase cautelare

Marina Castellaneta, Università di Bari «Aldo Moro»

La tardiva decisione dell’Italia di incamminarsi sulla strada dell’arbitrato internazionale per la soluzione della controversia con l’India nella vicenda Enrica Lexie, anche con l’obiettivo di consentire ai due fucilieri italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, di rientrare e rimanere in Italia, non ha, allo stato attuale, raggiunto i risultati sperati. Un parziale fallimento, almeno nella fase cautelare, che si aggiunge agli altri che hanno costellato la controversia con l’India iniziata il 15 febbraio 2012.

Ed invero, l’ordinanza adottata il 24 agosto dal Tribunale internazionale del diritto del mare mostra che, tra i diversi errori, c’è sicuramente la scelta dei tempi nell’attivazione delle procedure internazionali.

Come già riportato in altri post di SIDIblog (cfr. Papanicolopulu e Milano), in attesa dell’istituzione del tribunale arbitrale, secondo quanto previsto dalla Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982, ratificata da entrambi i Paesi parti alla controversia, l’Italia, il 21 luglio 2015, ha presentato un’istanza al Tribunale di Amburgo per l’adozione di talune misure cautelari.

In linea con l’art. 290, par. 5 della Convenzione, che consente a ogni parte di richiedere l’adozione di misure cautelari al Tribunale del diritto del mare, il Governo italiano ha cercato di giocare d’anticipo rispetto alla costituzione del tribunale arbitrale, presentando la richiesta di misure provvisorie sulle quali, come detto, il 24 agosto, si è pronunciato il Tribunale del diritto del mare, competente unicamente, in pendenza della costituzione di quello arbitrale, sulle misure cautelari che servono a non pregiudicare e a preservare i diritti di entrambe le parti alla controversia in attesa della decisione di merito, dopo un accertamento dell’esistenza della giurisdizione prima facie dell’istituendo tribunale arbitrale e dell’urgenza della situazione (si veda, per una lettura positiva dell’ordinanza, sempre qui, lo scritto di Virzo, il quale prospetta la possibilità di un negoziato tra le parti).

Malgrado, a prima vista, il risultato ottenuto con l’ordinanza possa apparire come un «sostanziale pareggio» per le parti in causa (si veda, in questa direzione, Lando), in realtà, a nostro avviso, è una sconfitta per l’Italia che si è vista rifiutare l’istanza relativa al ritiro di ogni provvedimento restrittivo della libertà personale e al rientro in patria del fuciliere del Battaglione San Marco, Salvatore Girone, ancora in India e alla permanenza in Italia di Massimiliano Latorre che, a seguito dell’ordinanza della Corte suprema indiana del 13 luglio 2015, si trova già a casa per motivi di salute fino al 15 gennaio 2016.

Sul punto relativo alla richiesta della libertà personale, infatti, il Tribunale del diritto del mare ha ritenuto che la concessione della misura potrebbe pregiudicare le decisioni di merito del tribunale arbitrale in via di istituzione, il quale dovrebbe avere la competenza in base all’allegato VII della Convenzione di Montego Bay. In pratica, per il Tribunale, che ha riconosciuto quello arbitrale competente prima facie (par. 54), la richiesta italiana è inappropriata perché tocca questioni legate al merito della controversia che non possono essere decise nel procedimento cautelare. Tale conclusione era stata prospettata dall’India secondo la quale la concessione dell’indicata misura «would prejudge the decision of the Annex VII Tribunal or preclude its implementation» (par. 82).

È anche probabile che sulla decisione del Tribunale di Amburgo abbia inciso il ritardo con il quale l’Italia ha attivato i meccanismi internazionali per la soluzione della controversia, che ha reso difficile dimostrare l’urgenza della situazione. Ed infatti, la richiesta italiana non ha retto la prova dell’urgenza e non è bastato appellarsi al precedente dell’Arctic Sunrise. In quell’occasione, d’altra parte, la richiesta della misura cautelare relativa alla liberazione dell’equipaggio di Greenpeace era stata presentata dai Paesi Bassi il 21 ottobre 2013, proprio all’indomani del sequestro della nave battente bandiera olandese, che si trovava nella zona economica esclusiva russa, avvenuto il 19 settembre 2013 e dei provvedimenti restrittivi emessi dalla Russia nei confronti dei 30 componenti della nave (è opportuno ricordare che, sul merito, il Tribunale arbitrale istituito in base all’Allegato VII della Convenzione, con sentenza del 24 agosto 2015, ha accertato le violazioni della Russia anche in ordine alla mancata esecuzione integrale delle misure cautelari). Una situazione ben diversa da quella dell’Enrica Lexie, con l’Italia che ha atteso tre anni e mezzo prima di richiedere le misure cautelari malgrado l’urgenza della liberazione dei due “marò” anche in ragione della circostanza che i due militari italiani erano a bordo del cargo in esecuzione della legge n. 130/2011, adottata dal Parlamento per eseguire le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu per combattere la pirateria. Tuttavia, va segnalato che malgrado le ripetute dichiarazioni dei rappresentanti del Governo italiano, la questione della liberazione non è stata gestita, a nostro avviso, almeno all’inizio, come prioritaria. In questo senso, infatti, non si spiega, nel momento in cui i due fucilieri erano rientrati in Italia per la prima volta per poter trascorrere il Natale, la mancata presentazione del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e della richiesta da parte dei due fucilieri di misure provvisorie a Strasburgo, in base all’art. 39 del Regolamento della Corte, per bloccare il rientro in India, Paese che pratica la pena di morte. Non si può escludere, tra l’altro, che il mancato ricorso sia stato anche dovuto a pressioni istituzionali sui due fucilieri. In quell’occasione, inoltre, riconsegnando i due militari, l’Italia ha violato la Convenzione europea che vieta l’estradizione in Paesi in cui vi è il rischio di pena di morte, tenendo conto che le rassicurazioni governative non possono essere considerate, in via generale, sufficienti ad escludere l’applicazione di una pena prevista dalla legge e che spetta al giudice irrogare (sulle questioni relative al rientro in India si veda, sempre su questo blog, Ciampi).

La dimostrazione dell’urgenza è stata poi difficile considerando che la Corte suprema indiana, proprio il 13 luglio 2015, aveva concesso a Massimiliano Latorre di estendere il soggiorno in Italia per altri sei mesi. Tra l’altro l’India sembra imputare all’Italia il mancato rientro di Salvatore Girone che aveva ritirato la sua richiesta di rilascio su cauzione dinanzi alla Corte suprema indiana.

Un ulteriore elemento che ci fa propendere per una valutazione negativa del risultato ottenuto con l’ordinanza del Tribunale deriva anche dai precedenti orientamenti dello stesso organo giurisdizionale che, in passato, nei casi di privazione della libertà personale, ha considerato urgente garantire l’eliminazione delle restrizioni a tutela dei soggetti privati della libertà. Basti considerare il citato caso Arctic Sunrise, invocato proprio dall’Italia come precedente idoneo a giustificare, anche per rispettare gli standard internazionali del due process, la cessazione di ogni restrizione alla libertà personale.

È invece positiva per l’Italia la parte dell’ordinanza che ha stabilito che Italia e India sospendano ogni procedimento giudiziario e si astengano dall’avvio di nuovi procedimenti che possano aggravare o estendere la controversia. Anche qui, però, aleggia l’ombra dei ritardi italiani di tre anni e mezzo, malgrado gli evidenti segnali iniziali da parte dell’India in ordine alla volontà di esercitare la propria giurisdizione.

Né si può ritenere che la sospensione e il divieto di avviare nuovi procedimenti giudiziari spianino la strada, pur essendo un tassello sicuramente positivo, al riconoscimento della giurisdizione dell’istituendo tribunale arbitrale che potrebbe anche ritenere non sussistente la giurisdizione accertata dal Tribunale del diritto del mare solo prima facie, per i limiti relativi all’adozione di misure provvisorie. Sulla questione della competenza principale, infatti, il Tribunale, come è ovvio, non ha preso posizione: la concessione dell’indicato provvedimento non implica in alcun modo né il riconoscimento delle tesi italiane sulla giurisdizione né il disconoscimento della giurisdizione indiana secondo la quale «this case is not covered by Article 97 of the Convention, contending that there was in reality no ‘incident of navigation’, nor any collision between the two ships» (par. 46).

Dal punto di vista pratico, poi, la misura presenta degli effetti negativi. Ciò risulta anche dalla dichiarazione del giudice ad hoc Francioni, che ha votato con la maggioranza a favore dell’ordinanza, ma nella dichiarazione allegata ha sostenuto che il Tribunale avrebbe dovuto includere «the pro tempore lifting of the restriction on liberty of the two marines» (par. 4), sia per preservare i diritti delle parti, sia per il carattere urgente di detta misura. In particolare, secondo Francioni, la misura cautelare decisa non è effettiva senza «a pro tempore lifting of the Indian measures of constraints over the personal liberty and movement of the two marines» (par. 6). D’altra parte, l’Italia nella sua richiesta aveva sottolineato che «a freezing order in respect of the criminal proceedings is not enough».

La scelta del Tribunale di non pronunciarsi sulla libertà dei due militari, scrive Francioni, sembra poi fondarsi «on the assumption of Italy’s lack of trustworthiness on this important aspect of the dispute», considerazione che è a nostro avviso condivisibile anche se l’indicato atteggiamento del Tribunale può avere un fondamento nella gestione italiana della controversia.

Inoltre, l’indicazione della misura provvisoria ha già spinto la Corte suprema indiana, con ordinanza del 26 agosto 2015, a sospendere i procedimenti in corso, elencati nel provvedimento e a disporre l’aggiornamento dell’udienza al 13 gennaio 2016. Così, nessun provvedimento di rientro può essere adottato in questa fase nei confronti di Salvatore Girone il quale, a questo punto, dovrà attendere l’istituzione del tribunale arbitrale e la presentazione di una nuova istanza cautelare a detto organo giurisdizionale.

Per quanto riguarda la situazione di  Massimiliano Latorre, il cui permesso per rimanere in Italia per motivi di salute terminerà il 15 gennaio 2016 (due giorni dopo la data indicata nell’ordinanza della Corte suprema indiana), ci sembra che, proprio perché nessun provvedimento nazionale può essere emanato a causa della sospensione dei procedimenti giudiziari e che la misura della Corte suprema ha una scadenza temporale, alla cessazione del termine, se non sarà diversamente disposto dal tribunale arbitrale, il militare dovrebbe rientrare in India. A meno che l’effetto sospensivo dell’ordinanza del Tribunale del diritto del mare, estendendosi a «all court proceedings» non si riferisca anche all’esecuzione del provvedimento della Corte suprema indiana emanato prima dell’ordinanza del Tribunale di Amburgo ma i cui effetti si continuano a produrre e che, di conseguenza, si dovrebbero ritenere congelati. Se così fosse, il termine indicato si potrebbe ritenere sospeso a seguito del provvedimento cautelare del Tribunale del diritto del mare con il mantenimento dello status quo riguardo alla presenza di Latorre in Italia. Adesso, però, la parola dovrebbe passare al tribunale arbitrale in via di costituzione.

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