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Dibattito sul SIDIBlog: La revisione del Regolamento sulle procedure di insolvenza / The EU Regulation on insolvency proceedings (recast) (3) Il coordinamento tra procedure d’insolvenza basato sulla prevalenza della procedura principale nel regolamento (UE) n. 2015/848 di rifusione

Fabrizio Marongiu Buonaiuti, Università di Macerata

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1. Il coordinamento tra procedure d’insolvenza nel regolamento preesistente: tratti generali.
Come è noto, una caratteristica saliente del regolamento n. 1346/2000 sulle procedure d’insolvenza è data dall’accoglimento del principio dell’universalità limitata, basato sull’apertura di una procedura d’insolvenza principale da parte dei giudici dello Stato membro nel quale è situato il centro degli interessi principali del debitore. Tale procedura avrà ad oggetto l’intero patrimonio del debitore stesso, con la possibilità, nondimeno, di aprire procedure di insolvenza territoriali da parte di giudici di altri Stati membri nei quali il debitore possegga una propria dipendenza, con effetti limitati ai beni del debitore presenti nello Stato membro nel quale tali procedure vengono aperte. Il meccanismo di coordinamento tra la procedura d’insolvenza principale e le procedure territoriali previsto dal regolamento n. 1346/2000 presenta un carattere rigido, chiaramente ispirato ad un principio di certezza del diritto e in particolare di prevedibilità della competenza giurisdizionale, in quanto l’art. 3, par. 3, del regolamento prevede che, qualora sia aperta una procedura d’insolvenza principale dinanzi ai giudici dello Stato membro nel quale è situato il centro degli interessi principali del debitore, le eventuali procedure territoriali che siano state aperte successivamente divengono procedure secondarie, e devono per di più presentare obbligatoriamente il carattere di procedure di liquidazione.
Il meccanismo di coordinamento appena accennato si basa, nella sua applicazione pratica, su un altro principio generale che presiede alla cooperazione giudiziaria in materia civile tra i giudici di diversi paesi membri: il principio della reciproca fiducia. Infatti, come chiarito anche dalla Corte di giustizia nella ben nota sentenza del 2 maggio 2006 relativa al caso Eurofood (punti 41-44) la valutazione compiuta dal giudice che ha aperto la procedura d’insolvenza principale relativamente alla localizzazione nel proprio Stato membro del centro degli interessi principali (COMI nell’acronimo inglese per Centre of Main Interests) del debitore si impone ai giudici degli altri paesi membri ai sensi dell’art. 16 del regolamento, con la conseguenza che, come ribadito dal par. 2 della norma, essi non potranno che aprire, ricorrendone i presupposti, una procedura avente effetti limitati ai beni del debitore presenti nello Stato membro in cui questa sia aperta, procedura la quale presenterà carattere secondario.

2. Le difficoltà emerse dalla prassi applicativa e le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
Il meccanismo di coordinamento tra procedure d’insolvenza contemplato dal regolamento n. 1346/2000 non è esente, nella sua rigidità, da difficoltà applicative, soprattutto in quei casi, divenuti sempre più frequenti nella prassi, in cui le procedure in questione perseguono maggiormente un fine di riorganizzazione dell’attività del debitore, piuttosto che di sua liquidazione. Particolarmente sintomatico in questo senso è il caso Bank Handlowy, oggetto della sentenza della Corte di giustizia del 22 novembre 2012, nel quale la procedura di insolvenza principale, aperta dai giudici dello Stato membro di localizzazione del centro degli interessi principali del debitore, nella specie la Francia, consisteva in una procédure de sauveguarde contemplata dal diritto francese (art. L-620-1 del Code de commerce, nella versione modificata dalla legge 26 luglio 2005, n. 2005-845), la quale, esperibile su istanza del debitore il quale non si trovi in situazione di cessazione dei pagamenti ma che abbia a fronteggiare delle difficoltà economiche che non è in grado di superare autonomamente, è volta per l’appunto alla riorganizzazione dell’attività dell’impresa, allo scopo di consentire la prosecuzione dell’attività economica, con il connesso mantenimento dei posti di lavoro, e la riduzione del debito accumulato (v. punto 16 della motivazione). A fronte dell’apertura di una procedura principale avente tali caratteristiche, sorgeva la questione della ammissibilità dell’apertura, su istanza di un creditore, di una procedura secondaria in un altro Stato membro, nella specie la Polonia, dove l’impresa, ritenuta possedere il proprio centro di interessi principali in Francia, aveva la propria sede legale. Ciò considerato che, in base all’art. 3, par. 3, del regolamento n. 1346/2000, la procedura secondaria d’insolvenza deve presentare obbligatoriamente il carattere di procedura di liquidazione, come tale potenzialmente incompatibile con la finalità di riorganizzazione propria della procedura principale. La Corte di giustizia, nel confermare che la procédure de sauvegarde contemplata dal diritto francese, pur non presupponendo uno stato di effettiva insolvenza del debitore, deve essere considerata, in quanto rientrante tra le procedure indicate nell’allegato A del regolamento, alla stregua di una procedura di insolvenza per i fini del regolamento, ha affermato che tale carattere proprio della procedura principale non osta in linea di principio all’apertura di una procedura secondaria in un altro Stato membro, benché quest’ultima presenti il carattere di una procedura di liquidazione (v. punti 53-58). Al tempo stesso, la Corte ha affermato che i caratteri propri della procedura principale che era stata aperta nel caso di specie, e in particolare il fatto che essa non presupponesse l’accertamento di un definitivo stato di insolvenza del debitore, non comportavano alcuna eccezione alla regola per la quale il giudice che apra una procedura secondaria non può pronunciarsi sull’insolvenza del debitore nei confronti del quale sia stata aperta una procedura d’insolvenza principale in un altro Stato membro (v. punti 68-72).
La Corte ha ritenuto che i potenziali problemi di compatibilità dell’apertura di una procedura secondaria di liquidazione con il perseguimento degli obiettivi di riorganizzazione dell’impresa propri di una procedura principale che presenti i caratteri della procédure de sauvegarde del diritto francese debbano essere affrontati a livello di coordinamento tra le diverse procedure, richiamando in proposito il ruolo d’impulso precipuo conferito all’amministratore della procedura d’insolvenza principale dalle norme degli articoli 33 e 34 del regolamento n. 1346/2000. Tali norme prevedono che, su istanza di quest’ultimo, il giudice che ha aperto la procedura secondaria debba sospendere in tutto o in parte le operazioni di liquidazione, salva la prestazione di idonee garanzie per i creditori della procedura secondaria, e possa anche, sempre su istanza del curatore della procedura principale, chiudere la procedura secondaria ove la legge applicabile a quest’ultima procedura ne preveda la chiusura senza fare luogo a liquidazione, in presenza di un piano di risanamento, quale nel caso di specie era stato adottato nell’ambito della procedura principale, ovvero di un concordato od altra misura analoga. La Corte ha affermato che, nel dare applicazione a tali disposizioni, il giudice che ha aperto la procedura d’insolvenza secondaria debba, in base al principio di leale cooperazione (art. 4, par. 3, Trattato UE), tenere conto degli obiettivi perseguiti dalla procedura d’insolvenza principale e, in un’ottica di salvaguardia dell’effetto utile del regolamento, avere riguardo alle finalità perseguite da quest’ultimo, che la Corte identifica con la promozione di un funzionamento efficiente delle procedure d’insolvenza transfrontaliere, che presuppone un efficace coordinamento tra le procedure d’insolvenza principale e secondaria, basato sulla prevalenza della procedura principale (v. punto 62 della motivazione).

3. La prevalenza della procedura principale d’insolvenza anche ai fini del coordinamento con le azioni che derivano direttamente da una procedura d’insolvenza e che si inseriscono nell’ambito della stessa.
Le indicazioni fornite dalla Corte di giustizia nella sentenza da ultimo citata in ordine alla necessarietà di un coordinamento efficace tra le procedure d’insolvenza basato sulla prevalenza della procedura principale sono state recepite in una sentenza di poco successiva della Cour de cassation francese (Ch. Com., 22 gennaio 2013, X c. Procureur de la République de Chalon-sur-Saône), la quale ha affermato che un’azione volta all’emanazione di una misura atta a vietare all’amministratore di una società soggetta a procedura d’insolvenza di proseguire nella gestione deve essere considerata alla stregua di un’azione che deriva direttamente dalla procedura di insolvenza e che si inserisce strettamente nell’ambito di tale procedura, secondo la formula coniata dalla Corte di giustizia nella sentenza del 22 febbraio 1979 relativa al caso Gourdain (punto 4) a proposito della portata dell’esclusione dei fallimenti, concordati ed altre procedure affini dall’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 1968 e ripresa con riferimento all’art. 3, par. 1, del regolamento n. 1346/2000 nella più recente sentenza del 12 febbraio 2009 relativa al caso Seagon c. Deko Marty (punto 21). Secondo quanto rilevato dalla Cour de cassation nella sentenza citata, nel caso in cui parallelamente alla procedura d’insolvenza principale sia stata aperta anche una procedura secondaria, la competenza in ordine ad un’azione come quella oggetto del caso di specie spetta unicamente al giudice che ha aperto la procedura principale di insolvenza, e non anche al giudice che ha aperto la procedura secondaria, posto che la misura oggetto dell’azione in questione per sua natura colpisce la sfera giuridica dell’impresa insolvente nel suo insieme e non può considerarsi limitata nei suoi effetti ai soli beni dell’impresa localizzati nello Stato membro di apertura della procedura secondaria.
Da notare, incidentalmente, che la Corte di giustizia è intervenuta nuovamente in alcune pronunce più recenti sull’individuazione delle azioni che devono considerarsi derivare direttamente dalla procedura d’insolvenza ed inserirsi strettamente nell’ambito di tale procedura, ai fini della loro attrazione alla competenza giurisdizionale del giudice che ha aperto la procedura d’insolvenza stessa, con particolare riferimento, in tutti i casi in cui l’azione si riferisca alla sfera giuridica del debitore nel suo insieme, alla procedura d’insolvenza principale ai sensi dell’art. 3, par. 1, del regolamento n. 1346/2000. Dapprima, nella sentenza del 4 settembre 2014 relativa alla causa Nickel & Goeldner Spedition c. Kintra, la Corte ha ritenuto che non potesse considerarsi rientrare nella nozione di “azione derivante da una procedura d’insolvenza e ad essa strettamente connessa”, come elaborata dalla propria precedente giurisprudenza, un’azione mediante la quale il curatore della procedura d’insolvenza mirava a ottenere il pagamento di un credito dell’impresa nel frattempo dichiarata insolvente basato su di un contratto di trasporto internazionale di merci, dal momento che tale azione trovava il suo fondamento non già nell’insolvenza dell’impresa, bensì nel contratto concluso precedentemente dall’impresa stessa con la controparte inadempiente (v. punti 27-31). Successivamente, nella sentenza del 4 dicembre 2014 relativa al caso H c. H. K., la Corte, facendo applicazione del medesimo criterio, ha ritenuto invece rientrare nella nozione in questione un’azione diretta contro l’amministratore di una società dichiarata insolvente allo scopo di ottenere la ripetizione di pagamenti effettuati successivamente all’insorgere dell’insolvenza della società stessa, in quanto tale azione, diversamente da quella oggetto della precedente sentenza, presuppone lo stato di insolvenza del debitore, e ciò anche se l’azione in questione avrebbe potuto essere esperita, in linea di principio, anche indipendentemente dall’apertura di una procedura d’insolvenza (v. punti 21-24).

4. Il recepimento delle indicazioni della Corte di giustizia nelle innovazioni introdotte nel regolamento n. 2015/848 di rifusione in merito al coordinamento tra procedure d’insolvenza.
Il regolamento n. 2015/848 di rifusione recepisce molte delle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia nella sentenza Bank Handlowy sopra richiamata – la quale, tra l’altro, è di poche settimane anteriore alla presentazione della proposta della Commissione volta alla modifica del regolamento n. 1346/2000 – nel senso di un opportuno rafforzamento del coordinamento tra procedure di insolvenza. Il nuovo regolamento, infatti, per un verso mantiene innegabilmente fermo lo schema di base del regolamento preesistente, nel senso di prevedere all’art. 3, par. 1, l’apertura della procedura principale di insolvenza da parte dei giudici dello Stato membro in cui è localizzato il centro degli interessi principali del debitore, e, all’art. 3, par. 2, l’apertura di una procedura territoriale da parte dei giudici degli altri Stati membri in cui il debitore abbia una propria dipendenza, con effetti limitati ai beni del debitore presenti nel territorio di tale Stato membro, procedura la quale, in base al par. 3, se aperta successivamente alla procedura d’insolvenza principale di cui al par. 1, presenterà il carattere di procedura secondaria d’insolvenza, Ciò ugualmente avverrà nelle limitate ipotesi in cui, in base al par. 4, la procedura territoriale sia aperta anteriormente alla procedura d’insolvenza principale, a partire dal momento in cui quest’ultima verrà aperta. Ugualmente ferma, in quanto discendente, come già osservato, dal principio generale della reciproca fiducia tra i sistemi giurisdizionali degli Stati membri, rimane la regola del riconoscimento della decisione di apertura della procedura d’insolvenza, ora contenuta nell’art. 19 del regolamento n. 2015/848, in base alla quale, in particolare, una volta che un giudice di uno Stato membro abbia aperto la procedura d’insolvenza principale ritenendo localizzato nel proprio Stato membro il centro degli interessi principali del debitore, i giudici di tutti gli altri Stati membri sono tenuti a riconoscere tale decisione e possono soltanto aprire, ricorrendone i presupposti, una procedura secondaria d’insolvenza.
Si deve nondimeno osservare, a quest’ultimo riguardo, come il regolamento di rifusione restringa in una certa misura il margine di discrezionalità del giudice che intenda aprire una procedura d’insolvenza principale, introducendo nell’art. 3, par. 1, una definizione di centro degli interessi principali del debitore, identificato con il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi, integrata da una serie di presunzioni volte alla sua localizzazione con riferimento alle diverse ipotesi in cui il debitore sia una società o persona giuridica, ovvero una persona fisica che esercita un’attività imprenditoriale o professionale indipendente, o una persona fisica che non svolga una tale attività. Allo scopo, chiaramente indicato anche nel preambolo del regolamento (considerando nn. 29-31), di evitare manovre abusive di forum shopping, le presunzioni in questione non si applicano nei casi in cui il dato a cui si riferisce il criterio di localizzazione di volta in volta adottato – rispettivamente, la sede legale della società o persona giuridica, la sede principale di attività, ovvero la residenza abituale del debitore – abbia subito uno spostamento da un paese membro a un altro nei tre mesi precedenti la domanda di apertura della procedura d’insolvenza (sei mesi relativamente alla residenza abituale del debitore persona fisica che non eserciti un’attività imprenditoriale o professionale indipendente).
Per altro verso, il regolamento di rifusione contiene alcune sensibili innovazioni nel senso di favorire un maggiore coordinamento tra la procedura principale di insolvenza e le procedure secondarie che siano eventualmente aperte in altri Stati membri. Innanzitutto, proprio recependo l’indicazione fornita dalla Corte di giustizia nella sentenza Bank Handlowy nel senso di favorire il coordinamento tra procedure anche quanto queste non sono volte al fine classico della liquidazione del patrimonio del debitore bensì alla sua riorganizzazione, l’art. 3, par. 3, del regolamento di rifusione ha eliminato la previsione, presente nella corrispondente disposizione del regolamento n. 1346/2000, nel senso che le procedure secondarie di insolvenza debbano presentare necessariamente il carattere di procedure di liquidazione. L’eliminazione di tale previsione renderà chiaramente ben più flessibile la disciplina recata dal regolamento, consentendo di evitare i problemi di coordinamento derivanti dal dover necessariamente ricorrere al modello della procedura di liquidazione per poter aprire una procedura secondaria di insolvenza anche in presenza di una procedura principale volta invece alla riorganizzazione dell’impresa.
Il regolamento di rifusione recepisce quanto affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza appena richiamata anche nella più precisa formulazione della norma dell’art. 34, relativo all’apertura delle procedure secondarie d’insolvenza. Infatti, il corrispondente art. 27 del regolamento n. 1346/2000 disponeva, in modo relativamente ambiguo, che l’apertura di una procedura principale d’insolvenza ai sensi dell’art. 3, par. 1, del regolamento consentiva l’apertura di una procedura secondaria in un altro Stato membro in base all’art. 3, par. 2, “senza che in questo altro Stato sia esaminata l’insolvenza del debitore”. L’art. 34 del regolamento n. 2015/848, rispecchiando l’interpretazione più rigorosa di tale inciso adottata dalla Corte nella sentenza da ultimo richiamata (sent. Bank Handlowy, punti 68-72), e in linea con il principio della reciproca fiducia, dispone più nettamente che, se la procedura d’insolvenza presupponeva lo stato di insolvenza del debitore, questo non può essere riesaminato dal giudice della procedura secondaria, il quale deve pertanto ritenersi vincolato dall’accertamento effettuato in proposito dal giudice della procedura principale.
Un’innovazione di più sensibile portata sul piano del coordinamento tra procedure d’insolvenza, volta, secondo l’indicazione data dalla Corte (ibidem, punto 73), a riaffermare la prevalenza della procedura principale d’insolvenza, è contenuta nell’art. 36 del regolamento n. 2015/848. Tale innovazione, che in sostanza comporta il venir meno ex ante di un vero e proprio problema di coordinamento tra procedure d’insolvenza, posto che persegue, come chiaramente indicato dalla stessa rubrica recata dalla norma, l’obiettivo di evitare senz’altro l’apertura della procedura secondaria, consiste nella previsione del diritto dell’amministratore della procedura d’insolvenza principale di contrarre un impegno unilaterale con riferimento ai beni del debitore ubicati nello Stato membro nel quale avrebbe potuto aprirsi una procedura secondaria d’insolvenza. Per effetto di tale impegno l’amministratore della procedura principale d’insolvenza si impegna a rispettare i diritti di cui avrebbero goduto i creditori nell’ambito di un’eventuale procedura secondaria aperta in quello Stato membro quanto alla ripartizione dei beni in questione o del ricavato del loro realizzo, come pure quanto ai diritti di prelazione, previsti dalla legge dello Stato membro nel quale i beni in questione sono situati. La norma è volta a consentire il raggiungimento all’interno della stessa procedura principale d’insolvenza della finalità materiale che avrebbe potuto altrimenti conseguirsi mediante l’apertura di una procedura secondaria d’insolvenza in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata aperta la procedura principale. La finalità in questione consiste essenzialmente nel consentire l’applicazione al riparto dei beni del debitore, situati nello Stato membro in cui avrebbe potuto aprirsi la procedura secondaria, della legge di tale ultimo Stato membro, che avrebbe trovato applicazione ove tale procedura fosse stata ivi aperta, secondo la regola di cui all’art. 35 dello stesso regolamento (come già della regola corrispondente contenuta nell’art. 28 del regolamento n. 1346/2000). Il meccanismo introdotto dall’art. 36 del regolamento di rifusione consente quindi il raggiungimento di tale risultato di carattere sostanziale permettendo al tempo stesso di evitare, come si è notato, gli inconvenienti suscettibili di derivare dall’apertura di una procedura secondaria parallelamente alla procedura principale di insolvenza. Come osservato nel post introduttivo di questo dibattito, viene icasticamente utilizzata in proposito l’espressione di procedure secondarie “sintetiche” o “virtuali”.

La centralità della procedura principale d’insolvenza è salvaguardata ulteriormente dalla previsione, contenuta nell’art. 38 del regolamento di rifusione, del diritto dell’amministratore della procedura principale d’insolvenza di essere informato della presentazione di una domanda di apertura di una procedura secondaria e di avere l’opportunità di essere sentito in merito alla domanda stessa dal giudice che ne è stato investito. La regola deve essere letta in stretto coordinamento con la previsione, contenuta nell’art. 39, del diritto dell’amministratore della procedura principale di impugnare la decisione di apertura di una procedura secondaria dinanzi ai giudici dello Stato membro nel quale è stata aperta, qualora egli ravvisi che nel decidere di aprire tale procedura il giudice che la ha aperta non abbia rispettato i requisiti posti in proposito dall’art. 38. Al riguardo, nell’ipotesi in cui l’amministratore della procedura principale abbia assunto un impegno ai sensi dell’art. 36 del regolamento n. 2015/848, l’art. 38, al par. 2, prevede, allo scopo di non vanificare l’impegno in questione, che, su istanza dello stesso amministratore della procedura principale, il giudice che sia investito di una domanda di apertura di una procedura secondaria di insolvenza debba astenersi dall’aprire tale procedura se ritiene che l’impegno in questione sia atto a tutelare adeguatamente gli interessi generali dei creditori locali. Nella stessa ottica, l’art. 46 del regolamento di rifusione, similmente a quanto già avviene in base all’art. 33 del regolamento n. 1346/2000, riconosce all’amministratore della procedura principale d’insolvenza il diritto di richiedere la sospensione delle operazioni di realizzo dell’attivo da parte del giudice che ha aperto la procedura secondaria, a fronte, se del caso, della prestazione da parte dell’amministratore della procedura principale di idonee garanzie degli interessi dei creditori della procedura secondaria d’insolvenza.

Il regolamento n. 2015/848 persegue inoltre la finalità di assicurare un efficace coordinamento tra procedure d’insolvenza mediante la previsione di più generali obblighi di cooperazione e comunicazione, che il regolamento contempla a tre distinti livelli. Dapprima, nell’art. 41, codificando, sostanzialmente, la prassi della cooperazione tra gli amministratori delle procedure principale e secondarie d’insolvenza, con particolare riferimento al potere degli amministratori stessi di concludere in proposito accordi o protocolli (si può vedere, in proposito, a livello internazionale, la Practice Guide on Cross-Border Insolvency Cooperation adottata dall’UNCITRAL nel 2009; nonché i Global Principles for Cooperation in International Insolvency Cases adottati dall’American Law Institute congiuntamente con l’International Insolvency Institute, e le European Communication and Cooperation Guidelines for Cross-Border Insolvency, elaborate sotto l’egida dell’International Association of Restructuring, Insolvency and Bankruptcy Professionals (INSOL Europe), sulle quali, oltre al citato post di S.  Bariatti, si veda, con specifico riferimento alla cooperazione tra procedure d’insolvenza nel contesto specifico dei gruppi di società, il post di N. Nisi e G. Vallar. Nella norma successiva, l’art. 42, il regolamento di rifusione estende innovativamente tale dovere di cooperazione anche ai giudici innanzi ai quali sia pendente una domanda di apertura di una procedura d’insolvenza, o che la abbiano aperta, nella misura in cui tale cooperazione non sia incompatibile con le norme applicabili a ciascuna delle procedure in questione. Infine, l’art. 43 prevede altresì l’obbligo degli amministratori delle diverse procedure d’insolvenza riguardanti un medesimo debitore di cooperare anche con i giudici delle altre procedure, nella misura in cui ciò non sia incompatibile con le norme che regolano ciascuna procedura e non comporti un confitto d’interessi. In particolare, si deve osservare che il dovere di cooperazione tra giudici di diversi paesi membri, benché non fosse previsto nel regolamento n. 1346/2000, è sovente presente all’interno di altri atti adottati nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile, e può considerarsi attuazione del più generale dovere di leale cooperazione tra gli Stati membri e i rispettivi organi nel perseguimento degli obiettivi propri dell’Unione. Come si è osservato, a quest’ultimo dovere ha fatto riferimento anche la Corte di giustizia nella sentenza Bank Handlowy prima citata (v. punto 62) affermando il dovere per il giudice della procedura secondaria d’insolvenza di tenere conto degli obiettivi della procedura principale e dell’economia complessiva del regolamento. Da notare, tra l’altro, che un analogo dovere di cooperazione tra giudici di diversi paesi che siano coinvolti nella gestione di un’insolvenza di carattere transfrontaliero è contemplato nell’art. 25 della Model Law on Cross-Border Insolvency adottata nel 1997 dall’UNCITRAL (su cui F. Jault-Seseke, D. Robine, in Rev. crit. dr. int. priv., 2014, p. 425 s.).

5. Le disposizioni contenute nel regolamento di rifusione con riferimento al coordinamento tra le procedure d’insolvenza e le azioni che derivano da tali procedure e ai rapporti con altri procedimenti giudiziari o arbitrali.

Parallelamente alla disciplina del coordinamento tra procedure di insolvenza in quanto tali, il regolamento di rifusione disciplina espressamente nell’art. 6, recependo la giurisprudenza della Corte di giustizia alla quale si è fatto riferimento in precedenza (supra, par. 3), il coordinamento tra le procedure d’insolvenza e le altre azioni che derivano direttamente da tali procedure e che vi inseriscono strettamente. Il par. 1 della norma è meramente ricognitivo dei risultati ai quali è pervenuta la Corte di giustizia nella giurisprudenza appena richiamata, nel prevedere che la competenza dei giudici dello Stato membro nei cui territorio è stata aperta una procedura di insolvenza ai sensi dell’articolo 3 del regolamento – come tale dovendo quindi intendersi la procedura d’insolvenza principale ovvero anche una procedura secondaria, a seconda dell’oggetto dell’azione in questione – si estenda anche alle azioni che derivano direttamente dalla procedura d’insolvenza e che vi si inseriscono direttamente, con particolare riferimento alle azioni revocatorie. L’elemento innovativo è invece dato dal par. 2 della norma, il quale si riferisce all’ipotesi in cui una tale azione sia connessa ad un’azione in materia civile e commerciale, come tale non suscettibile di essere attratta a propria volta alla competenza del giudice della procedura d’insolvenza in base al regolamento e ricadente, invece, tendenzialmente, nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1215/2012 o “Bruxelles I-bis. In tale caso, il regolamento di rifusione prevede che, se le due azioni sono rivolte contro il medesimo convenuto, esse possano essere riunite, su istanza dell’amministratore della procedura d’insolvenza o del debitore non spossessato, nella misura in cui il diritto nazionale consenta a quest’ultimo di promuovere azioni per la massa fallimentare, innanzi ai giudici dello Stato membro in cui il convenuto ha il proprio domicilio, secondo la soluzione che deriverebbe dall’applicazione del foro generale di cui all’art. 4 del regolamento n. 1215/2012. La norma prevede inoltre, riprendendo la soluzione contemplata nell’art. 8, par. 1, di quest’ultimo regolamento, che, nel caso in cui l’azione è promossa contro più convenuti, la riunione dei procedimenti possa avere luogo dinanzi ai giudici dello Stato membro nel cui territorio uno dei convenuti è domiciliato. La riunione può avvenire, purché tali giudici siano competenti in base al regolamento n. 1215/2012 (naturalmente con riferimento all’azione connessa ricadente in materia civile e commerciale, posto che, per quanto riguarda l’azione derivante direttamente dalla procedura d’insolvenza, essa per definizione esorbita dall’ambito di applicazione del regolamento in questione (secondo quanto affermato dalla Corte di giustizia sin dalla sentenza Gourdain richiamata supra, par. 3). La stretta ispirazione della regola al modello offerto dal regolamento Bruxelles I-bis è evidenziata anche dalla riproduzione, nel par. 3 della norma in esame, della definizione di cause connesse che figura nell’art. 8, n. 1, così come nell’art. 30 in tema di connessione privativa, di quest’ultimo regolamento. Sostanzialmente, la regola introdotta nel regolamento n. 2015/848, se da una parte persegue il fine apprezzabile della concentrazione dell’azione derivante direttamente dalla procedura d’insolvenza e dell’azione ad essa connessa davanti ad un unico giudice, dall’altra presenta la criticità di attrarre la prima delle due azioni anziché alla competenza del giudice della procedura d’insolvenza, come avverrebbe in applicazione della regola di cui al par. 1 e già secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia interpretativa dell’art. 3 del regolamento n. 1346/2000, alla competenza del giudice individuato secondo regole corrispondenti a quelle del regolamento n. 1215/2012, che troverebbe applicazione in relazione alla domanda connessa. Ma tale giudice tendenzialmente non coinciderà e potrà anzi, a seconda delle circostanze del caso di specie, anche appartenere ad uno Stato membro diverso da quello cui appartiene il giudice che ha aperto la procedura d’insolvenza. Appare in questo senso ragionevole, come sottolineato anche dal preambolo del regolamento al considerando n. 36, che l’applicazione della norma sia rimessa all’istanza dell’amministratore della procedura d’insolvenza o del debitore non spossessato, ai quali è lasciato di valutare l’opportunità di tale soluzione alla luce delle circostanze del caso.

Il regolamento di rifusione, come espressamente indicato nell’art. 18, ha scelto invece di non disciplinare autonomamente i rapporti tra la procedura d’insolvenza e i procedimenti giudiziari o arbitrali pendenti relativamente ai beni o ai diritti facenti parte della massa fallimentare del debitore. La norma, che nella sua formulazione prende in considerazione solamente gli effetti della procedura d’insolvenza su tali procedimenti e non già gli effetti reciproci, rinvia in proposito alla legge dello Stato membro in cui il procedimento è pendente o ha sede il collegio arbitrale. In proposito, se tale soluzione può apparire giustificata alla luce della considerazione che tanto i procedimenti in materia civile e commerciale quanto i procedimenti arbitrali esorbitano dall’ambito di applicazione del regolamento, dall’altra essa appare sicuramente foriera di criticità, posto che, per un verso, per quanto attiene ai procedimenti in materia civile e commerciale, le regole contenute nel regolamento “Bruxelles I-bis” in materia di litispendenza e connessione, così come quelle in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni, si applicano a propria volta unicamente tra procedimenti e a decisioni che rientrino nell’ambito di applicazione ratione materiae di tale strumento, e che, per altro verso, la diversità delle regole nazionali in proposito rischia di incidere sull’uniformità di applicazione del regolamento nei diversi Stati membri.

6. Brevi considerazioni conclusive.

La disciplina del coordinamento tra procedure d’insolvenza introdotta dal regolamento n. 2015/848 della quale si è cercato di tracciare un breve quadro riassuntivo si presenta alquanto articolata e rappresenta un significativo avanzamento, nel senso auspicato anche dalla Corte di giustizia nella propria giurisprudenza, rispetto alla disciplina alquanto embrionale contenuta in proposito nel regolamento n. 1346/2000. Al tempo stesso, da un quadro d’insieme delle nuove disposizioni inserite in proposito nel regolamento di rifusione si desume l’impressione, confermata dalla lettura dei corrispondenti considerando del preambolo (v. in particolare i considerando nn. 40-41) che la previsione, desunta dalla schema del precedente regolamento, della coesistenza della procedura principale d’insolvenza con una o più procedure secondarie, se da una parte è vista come un mezzo per realizzare una più efficace protezione degli interessi dei creditori localizzati in Stati membri diversi da quello nel quale è situato il centro degli interessi principali del debitore, nonché come uno strumento per gestire più efficacemente una massa fallimentare complessa che comporti beni situati in Stati membri diversi, dall’altra parte è vista come fonte di un potenziale ostacolo ad una gestione unitaria e coerente dell’insolvenza del debitore. Particolarmente, dall’introduzione dell’istituto dell’impegno di cui all’art. 36 del regolamento di rifusione, così come del diritto di impugnare la decisione di apertura di una procedura secondaria ove essa non rispetti i criteri di cui all’art. 38 del regolamento, si desume l’impressione che l’apertura di una o più procedure secondarie d’insolvenza sia vista, nell’economia del regolamento di rifusione, quasi alla stregua di un’extrema ratio, alla quale ricorrere a titolo residuale nei casi in cui non sia possibile soddisfare le medesime esigenze che ne giustificherebbero l’apertura all’interno della stessa procedura principale. In questo senso, l’obiettivo del coordinamento tra procedure d’insolvenza, propriamente inteso, appare in qualche modo residuale rispetto a un obiettivo primario, che nell’ottica delle nuove disposizioni alle quali si è fatto riferimento appare costituito dalla concentrazione delle diverse operazioni nell’ambito della stessa procedura principale di insolvenza.

La prevalenza della procedura principale d’insolvenza appare assicurata anche dalla regola sul coordinamento con le azioni derivanti direttamente dalla procedura d’insolvenza e che in essa si inseriscono strettamente, di cui all’art. 6, posto che, per quanto si è osservato, ove tali azioni riguardino la sfera giuridica e patrimoniale del debitore nel suo insieme esse saranno necessariamente attratte alla competenza giurisdizionale del giudice della procedura principale.

La disciplina del coordinamento tra procedimenti introdotta dal regolamento di rifusione incontra pur sempre, oltre al limite, al quale si è appena accennato, di non disciplinare – se non nella limitata ipotesi di cui all’art. 6, par. 2, relativa alle azioni in materia civile e commerciale connesse a quelle derivanti direttamente dalla procedura d’insolvenza – i rapporti tra la procedura d’insolvenza e altri procedimenti giudiziari o arbitrali pendenti innanzi ai giudici dei paesi membri, l’ulteriore limite di non disciplinare affatto i rapporti con procedimenti, d’insolvenza o di altra natura, pendenti innanzi a giudici di paesi terzi.

Deve infatti essere notato, innanzitutto, che, laddove il regolamento “Bruxelles I-bis” relativamente alla materia civile e commerciale contiene – benché in misura senz’altro meno significativa rispetto a quanto era stato prospettato nella relativa proposta della Commissione e a quanto avviene in altri strumenti come il regolamento n. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari e il regolamento n. 650/2012 in materia di successioni – alcuni criteri di giurisdizione applicabili potenzialmente erga omnes, e cioè anche nei confronti di convenuti non domiciliati in uno Stato membro, i criteri di competenza giurisdizionale recati dal regolamento n. 2015/848 – non diversamente dal precedente regolamento n. 1346/2000 – si applicano unicamente quando il centro degli interessi principali del debitore è situato in uno Stato membro (si deve intendere, ad esclusione della Danimarca, la quale, in virtù del regime di opting out del quale beneficia relativamente all’adozione di atti nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, non è vincolata dal regolamento). Per di più, per quanto più specificamente attiene al piano del coordinamento tra procedimenti paralleli, a differenza del regolamento n. 1215/2012, il quale contiene un’espressa disciplina in punto di litispendenza e connessione rispetto a procedimenti pendenti innanzi a giudici di paesi terzi, il regolamento n. 2015/848 appare anche sotto questo profilo ancora interamente confinato in una prospettiva inter partes. Ciò costituisce un’innegabile criticità del regolamento, posto che nella realtà economica attuale può essere ben frequente l’ipotesi di un debitore il cui centro degli interessi principali sia bensì situato in uno Stato membro, ma che possegga dipendenze o beni in uno o più paesi terzi. L’assenza di ogni disposizione atta a promuovere, sul modello di quanto opportunamente avviene nel regolamento “Bruxelles I-bis”, un coordinamento con eventuali procedimenti pendenti innanzi a giudici di paesi terzi costituisce una lacuna del nuovo regolamento ed un limite dell’opera di modernizzazione della disciplina contenuta nel regolamento precedente che esso ha teso a realizzare.

Summary:
This post discusses the amendments introduced by Regulation (EU) No. 2015/848 on insolvency proceedings (recast) as concerns the coordination among insolvency proceedings. The recast Regulation on the one hand maintains the general framework of the pre-existing Regulation (EC) No. 1346/2000, based on the co-existence of the main insolvency proceedings and secondary insolvency proceeedings. On the other hand, the recast Regulation introduces a series of amendments, inspired to the objective of securing the prevalence of the main insolvency proceeedings. These amendments tend to favour the concentration within the main insolvency proceedings of the whole of the operations inherent in the disposal of the insolvency of the debtor, so as to reduce as far as possible the need for secondary insolvency proceedings to be opened in another Member State. This aim is concretely pursued by granting extensive powers to the administrator of the main insolvency proceedings, among which the power of undertaking to apply, as concerns the protection of creditors’ rights in respect of assets located in a Member State where secondary insolvency proceedings could have been opened, the same law as would have applied in case such proceedings were opened (s.c. “synthetic” or “virtual” secondary insolvency proceedings). The recast Regulation contains also express provisions dealing with jurisdiction on actions directly deriving from insolvency proceedings and closely linked with them, favouring their joinder, either before the courts of the Member State competent for the insolvency proceedings as such, or before the courts competent for other actions in civil and commercial matters to which they may be related. The new Regulation refrains instead from regulating the relationships between the insolvency proceedings and pending lawsuits or arbitral proceedings concerning assets of the debtor, which are left for domestic law to regulate, thereby exposing the uniformity in the application of the Regulation to the risk inherent in the differences among Member States’ laws on the subject. Furthermore, reflecting a traditional, strictly inter partes approach, the new Regulation, unlike the Brussels I recast Regulation, falls short of addressing the problems of coordination which might arise with proceedings pending before third country courts.

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Fabrizio Marongiu Buonaiuti

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