diritto internazionale pubblico

Contromisure dell’OMS come conseguenza di violazioni dei Regolamenti sanitari internazionali in contesti epidemici

Andrea Spagnolo, Università di Torino

L’adozione di contromisure da parte delle organizzazioni internazionali «is not categorically ruled out» (Gaja, p. 109, par. 22). Non può, dunque, essere esclusa a priori la possibilità che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) adotti contromisure per porre fine a violazioni del diritto internazionale, laddove queste riducano l’efficacia della propria azione nel campo della tutela internazionale della salute. Sebbene non in questi precisi termini, il tema è stato posto dall’Ebola Interim Assessment Panel nel rapporto definitivo sulla risposta della Comunità internazionale alla diffusione del virus Ebola in Africa, pubblicato nel luglio 2015. Nel documento il Panel raccomanda all’OMS di istituire un meccanismo che permetta di sanzionare i comportamenti degli Stati membri che violino direttamente o indirettamente i Regolamenti sanitari internazionali (RSI) e/o le raccomandazioni dell’organizzazione. Un invito che, com’è ovvio, è giustificato dalla perdurante assenza di un sistema sanzionatorio, storicamente considerata vero punto debole dell’attività dell’OMS (v. il rapporto del 2011 del Review Committee dell’OMS sul funzionamento dei RSI, p. 13, par. 24; Leive, p. 46) e di recente confermata dallo stesso Direttore generale dell’organizzazione. In ragione di ciò, viene da chiedersi se, ai sensi del diritto internazionale generale, l’OMS possa adottare contromisure per indurre gli Stati ad aderire ai propri obblighi internazionali in relazione alla tutela della salute. Scopo di questo breve scritto è provare a rispondere a questa domanda, guardando alle soluzioni offerte dal Progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali (Progetto) e identificando i problemi ancora aperti.

In questa prospettiva, l’analisi non può che partire dall’art. 22 del Progetto, che detta le condizioni affinché un’organizzazione internazionale possa agire in contromisura nei confronti di Stati e altre organizzazioni internazionali che siano propri membri o terzi rispetto ad essa. La redazione di questa norma – ma, in generale, di tutti gli articoli sulle contromisure – è stata travagliata, al punto da far dichiarare al Relatore speciale che «[t]he question of countermeasures was the most difficult for the Commission». Soprattutto, è stata a lungo discussa la possibilità che le organizzazioni internazionali possano adottare contromisure nei confronti dei propri membri (siano essi Stati o altre organizzazioni) e viceversa. Il lavoro della Commissione del diritto internazionale (CDI) è confluito nella redazione di due norme speculari: l’art. 22 e l’art. 52, che disciplinano, rispettivamente, il caso in cui un’organizzazione internazionale agisca in contromisura, anche nei confronti dei propri membri, e il caso in cui l’organizzazione internazionale sia destinataria di contromisure.

L’art. 22, che qui interessa,è una norma complessa e disciplina tre situazioni: l’adozione, da parte di un’organizzazione internazionale, di contromisure nei confronti 1) di soggetti terzi; 2) di propri membri per violazioni generali del diritto internazionale; 3) di propri membri per violazioni delle “regole dell’organizzazione”. Nel caso sub 1) l’art. 22 subordina la legalità delle contromisure alle condizioni, procedurali e sostanziali, poste nella parte del Progetto a ciò dedicata (Parte quarta, Cap. II) e che sostanzialmente ricalcano quelle previste nel Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati. Nel caso sub 2) l’adozione di contromisure è subordinata non solo alle condizioni di cui sopra, ma anche alla circostanza che esse siano «not inconsistent with the rules of the organization» e che non vi siano rimedi interni atti a far cessare diversamente il comportamento illecito. Nel caso sub 3) è previsto che l’organizzazione internazionale non possa agire in contromisura a meno che ciò non sia previsto dalle stesse “regole dell’organizzazione”.

In pratica, la severità delle condizioni al verificarsi delle quali la contromisura è lecita è direttamente proporzionale al legame che intercorre tra l’organizzazione e il soggetto nei confronti dei quali la contromisura dovrebbe dispiegare i suoi effetti. Questo è dimostrato dal ruolo decisivo attribuito alle “regole dell’organizzazione”. Com’è stato sostenuto (Vezzani, “Countermeasures by Member States against International Organizations”, in Ragazzi, p. 373 ss.) gli articoli del Progetto sulle contromisure sembrano aprire a una regolazione delle contromisure fondata esclusivamente su leges speciales (più in generale sul punto v. Gradoni). Se da un lato la costruzione della CDI sembra rispondere alle critiche fondate sull’inaccettabilità dell’idea stessa che uno Stato possa adottare contromisure nei confronti dell’organizzazione internazionale di cui è membro e viceversa (Ahlborn 2011a), d’altro canto è vero che essa rende, nei fatti, molto difficile il ricorso a contromisure (ancora Vezzani, op. cit., p. 382-384). Le “regole dell’organizzazione”, infatti, comprendono «the constituent instruments, relevant decisions and resolutions, and established practice of the Organization» (Vienna Convention on the Law of Treaties between States and International Organizations or between International Organizations, art. 2, j)): una categoria ampia, all’interno della quale, come vedremo, possono ricadere diversi atti d’importanza strategica proprio per l’OMS.

Andando con ordine, e calando nella realtà dell’OMS le considerazioni fin qui svolte, si rende immediatamente necessario notare che la sua membership, quasi universale, rende di scarsa utilità pratica ragionare della possibilità di adottare contromisure nei confronti di Stati non membri. Certo è, però, che l’OMS possa adottare misure atte a far cessare illeciti commessi da altre organizzazioni internazionali. Non è possibile, in questo breve spazio, dar conto di tutte le condizioni cui verrebbero subordinate tali misure. Desta però interesse ragionare brevemente sulla qualifica di soggetto leso che l’OMS deve dimostrare per poter ricorrere alle contromisure. Tale qualifica potrebbe derivare dalla violazione di una qualsiasi delle norme contenute nei vari accordi di collaborazione che l’OMS ha stipulato con altre organizzazioni internazionali. L’OMS, però, potrebbe anche considerarsi lesa nel momento in cui fossero violati obblighi erga omnes, tra i quali potremmo anche considerare la tutela della salute (Acconci). In questo caso, nulla parrebbe impedire all’OMS di agire nei riguardi di uno Stato o di un’organizzazione internazionale per indurli a rispettare i propri obblighi in questa materia (così la risoluzione di Cracovia, del 2005, dell’Institut de droit international, art. 5), ciò che invero si è già verificato nella prassi di altre organizzazioni internazionali (Klein, p. 401-402).

Le considerazioni appena svolte possono legittimamente applicarsi anche al caso in cui l’OMS intenda adottare misure contro gli Stati membri al fine di indurre questi ultimi al rispetto di obblighi derivanti dal diritto internazionale. Ad esempio, è capitato, proprio durante la diffusione del virus Ebola, che alcuni Stati, tra cui il Canada, abbiano adottato eccessive e probabilmente ingiustificate misure restrittive della libertà di viaggiare e commerciare da e con gli Stati colpiti dall’epidemia, potenzialmente idonee a incidere negativamente sul coordinamento della risposta internazionale all’emergenza sanitaria (Fidler 2015).

Vero è, però, che tali misure, oltre a rappresentare potenziali violazioni di varie norme di diritto internazionale, sono state adottate contravvenendo a una precisa raccomandazione dell’OMS e, in ultima istanza, all’art. 2 dei RSI che vieta «unnecessary interference with international traffic and trade». Simili condotte degli Stati membri possono quindi qualificarsi come violazioni delle “regole dell’organizzazione”. Infatti, la “forza” dell’OMS si fonda sulla possibilità di imporre agli Stati membri l’adozione di misure al fine di prevenire la diffusione e il contagio di malattie pericolose e, più in generale, al fine di contribuire alla tutela internazionale della salute. Questa attività para-normativa (Oddenino, “Profili internazionali ed europei del diritto alla salute”, in Ferrara, p. 129) si concretizza nell’adozione di regolamenti (art. 21 della costituzione dell’OMS) vincolanti per gli Stati membri (art. 22). I più noti sono i già citati RSI modificati da ultimo nel 2005. È difficile sostenere che tali atti non siano “regole dell’organizzazione” anche se la loro adozione, sebbene formalmente avvenga attraverso l’Assemblea dell’OMS richiama logiche della negoziazione dei trattati internazionali (Schermers, Blokker, p. 794-795).

Come visto in apertura, il rispetto dei RSI e, più in generale, dei regolamenti dell’OMS costituisce per l’organizzazione un vero punto debole, tanto che il rischio che gli Stati interpretino in maniera anarchica questi atti è molto alto. Non è un caso che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione 2177, abbia fatto ricorso al capitolo VII della Carta per richiamare gli Stati all’osservanza dei RSI nella gestione della “crisi Ebola”, destando, peraltro, qualche perplessità sull’opportunità che il rispetto dei regolamenti venga assicurato in tal modo (Balmond).

Ciononostante, stando al testo dell’art. 22 del Progetto, l’OMS potrebbe reagire a una violazione dei Regolamenti solo se ciò fosse previsto dalle “regole dell’organizzazione”.

Analizzando, anzitutto, la sua costituzione emerge l’assenza di norme che conferiscano all’OMS la facoltà di adottare contromisure qualora gli Stati membri violino le regole dell’organizzazione. L’art. 7, infatti, contempla solo la possibilità per l’organizzazione di sospendere il diritto di voto agli Stati che non rispettino i loro obblighi finanziari e, dunque, si presenta come una sanzione. Vi è, invece, tra le competenze dell’Assemblea, la possibilità di adottare «any other appropriate action to further the objective of the Organization» (art. 19, lett. m)). È lecito chiedersi se questa norma possa contenere un implicito richiamo alla possibilità di adottare contromisure nei confronti degli Stati membri. Certamente appare molto ampia, ma è dubbio che essa possa soddisfare i requisiti dell’art. 22 del Progetto, che appaiono molto stringenti, poiché sono tesi al rispetto degli «special ties existing between an international organization and its members» (Progetto, art. 22, commentario, par. 6).

Spostando l’attenzione, più nello specifico, ai RSI del 2005, è opportuno concentrarsi sull’art. 56, comma 5, secondo cui: «in the event of a dispute between WHO and one or more States Parties concerning the interpretation or application of these Regulations, the matter shall be submitted to the Health Assembly». Sembra, almeno all’apparenza, che questa norma possa indicare la strada verso un meccanismo, invero un po’ primitivo, di composizione delle controversie (Burci, Feinäugle, “The ILC’s Articles Seen from a WHO Perspective”, in Ragazzi, cit., p. 187), che renderebbe superfluo e non legittimo il ricorso alle contromisure.

Vanno però fatti alcuni rilievi. La formula inclusa nell’art. 56, comma 5, dei RSI è stata forse pensata proprio in quest’ultima prospettiva (Fidler 2005, p. 346 e 379), ma non è presente in altri Regolamenti dell’OMS e non è detto che venga riproposta in futuro. Inoltre, non è chiaro, mancando prassi, fino a che punto il meccanismo di cui all’art. 56, comma 5, dei RSI sia realmente idoneo a indurre uno Stato a porre fine a un proprio comportamento illecito (Foltea, p. 154-155).

Lo scenario appare ostile: non sembrano esserci le condizioni affinché l’OMS adotti contromisure in caso di violazioni delle RSI. Questa parziale conclusione deve però indurre due riflessioni di carattere generale: la prima legata all’art. 22 del Progetto, la seconda alle effettive ambizioni dell’OMS a essere destinataria di norme che le consentano di adottare contromisure.

Quanto al primo aspetto, l’art. 22 appare eccessivamente rigido, limitando fortemente le possibilità di un’organizzazione internazionale di ricorrere a contromisure. In particolare, le cautele introdotte con riguardo alle violazioni delle “regole dell’organizzazione” commesse dagli Stati membri appaiono pensate per organizzazioni sofisticate, che prevedono sistemi sanzionatori e di soluzione delle controversie. Non è un caso che molti Autori ritengano che queste cautele rappresentino sviluppo progressivo e non codificazione del diritto internazionale sul punto (Pustorino, “L’ammissione della Palestina all’UNESCO”, in La Comunità Internazionale, 2011, p. 599-600, Tzanakopoulos, in Ragazzi, cit., p. 368; si noti che tali Autori si riferiscono all’art. 52 del Progetto, che è comunque speculare all’art. 22). Se così fosse, vi sarebbe forse spazio per una regola più elastica, che meglio consideri le istanze di organizzazioni internazionali meno sofisticate che, più di altre, necessitino di ricorrere a mezzi quali le contromisure. In questo modo, nulla ostacolerebbe l’OMS nell’adozione di contromisure in risposta alle violazioni dei Regolamenti commesse dai propri Stati membri, ciò che, peraltro, ben si sposa con il ruolo dell’OMS stessa nella governance della tutela della salute (Klabbers).

Viene però da chiedersi, in ultima istanza, se l’OMS ritenga di dover combattere fino in fondo questa battaglia; o meglio, se l’OMS ritenga che le contromisure siano uno strumento efficace a disposizione delle organizzazioni internazionali, tenendo conto del fatto che non vi è traccia di ciò nel progetto di riforma dell’organizzazione.

Ebbene, la risposta sembra fornirla la stessa organizzazione, in un commento inviato alla CDI nel corso della 61esima sessione. L’OMS evidenzia come, in generale, il tema delle contromisure debba essere letto considerando la posizione “privilegiata” in cui si trovano gli Stati membri di un’organizzazione internazionale. Questi, infatti, possono indurre le organizzazioni cui appartengono ad aderire ai propri obblighi internazionali adottando nei loro confronti contromisure, quali, ad esempio, la sospensione dell’erogazione di finanziamenti. Una simile preoccupazione trova fondamento nella prassi recente, nella decisione del Governo degli Stati Uniti di sospendere il finanziamento all’UNESCO a seguito dell’ammissione della Palestina quale membro (Pustorino, cit.; Ahlborn 2011b). È chiaro, come sostenuto ancora dall’OMS, che le organizzazioni internazionali abbiano invece a disposizione pochi – e meno efficaci – strumenti di pressione nei confronti degli Stati: tra questi vi è la sospensione dal diritto di voto dello Stato inadempiente, della cui efficacia è comunque lecito dubitare (basti pensare che ancora adesso il Congresso degli Stati Uniti non ha autorizzato la ripresa dei finanziamenti all’UNESCO nonostante la sospensione dall’esercizio del diritto di voto; cfr. Ingadottir, “Financing international institutions”, in Klabbers, Wallendhal (eds.), p. 120).

Inoltre, l’adozione di contromisure rischierebbe di imporre alle organizzazioni internazionali di violare il proprio mandato; per dirla con le parole dell’OMS «[t]he suspension by the organization concerned of its activities […] would negatively affect the interests of the beneficiaries of those activities» e quindi essere contraria alle “regole dell’organizzazione” (Dopagne, “Sanctions and countermeasures by International Organizations: Diverging lesson for the idea of autonomy” in Collins, White). Questo tema sembra essere molto caro all’OMS, che talvolta è stata accusata di essere troppo indulgente verso le pretese di attori non-statali con interessi economici, tra cui le industrie farmaceutiche, a detrimento del proprio mandato (Deshman).

Non è detto, però, che il rischio di compromettere le funzioni dell’organizzazione rappresenti un ostacolo insormontabile. Le contromisure devono sempre essere proporzionali (sul punto, in generale, v. Cannizzaro) e in definitiva tale requisito, che in questo breve scritto non si è potuto esplorare, potrebbe rappresentare una giusta garanzia di equilibrio tra, da un lato, la necessità di salvaguardare il rapporto tra organizzazioni internazionali e Stati membri e, dall’altro lato, la doverosa attenzione alle funzioni essenziali di talune organizzazioni.

 

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