diritto dell'Unione europea

Alea iacta est: il Tribunale condanna l’Unione europea a risarcire i danni causati dalla violazione del diritto alla durata ragionevole del processo

Daniele P. Domenicucci, referendario presso il Tribunale dell’UE e docente nell’Università della Lorena – Nancy

Le opinioni espresse sono personali e non possono essere riferite all’Istituzione alla quale l’autore appartiene

Con tre sentenze (asimmetricamente) gemelle, pronunciate in poco più di un mese, il Tribunale (il “Tribunale”) ha condannato l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’UE (in prosieguo, “CG” allorché si farà riferimento alla giurisdizione e “CGUE” allorché si farà riferimento all’istituzione), a risarcire i danni causati dall’eccessiva durata dei processi celebrati alcuni anni orsono dinanzi allo stesso Tribunale. L’UE, rectius la CGUE che risponde dell’illecito con i propri fondi, dovrà così sborsare complessivamente 807.827 euro (di cui 16.000 a titolo di danno morale) per risarcire i danni patiti da 5 società che avevano presentato ricorso dinanzi al Tribunale per l’annullamento della decisione della Commissione che aveva sanzionato l’intesa nel settore dei sacchi industriali di plastica.

Con le sentenze pronunciate il 10 gennaio 2017, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, il 1° febbraio 2017, Kendrion/UE e il 17 febbraio 2017, ASPLA e Armando Álvarez/UE, il Tribunale ‒ statuendo in composizione ampliata e diversa da quella che aveva deciso le cause la cui durata è stata considerata eccessiva ‒ traccia un solco importante nella giurisprudenza dell’UE: da un lato, esso riconosce, per la prima volta, la responsabilità extracontrattuale dell’UE per fatto del giudice; dall’altro, condanna la stessa UE a risarcire i conseguenti danni, sia materiali che morali, in misura significativa se comparata alle (invero piuttosto rare) condanne inflitte in precedenza.

1. L’iter giurisprudenziale che ha condotto al riconoscimento della responsabilità extracontrattuale dell’UE per violazione del termine ragionevole di giudizio

Prima di esaminare nel merito le citate sentenze, è utile ripercorrere brevemente i passaggi giurisprudenziali attraverso i quali si è giunti ad affermare che la violazione del diritto a che la causa sia esaminata entro un termine ragionevole (in prosieguo, “violazione del termine ragionevole), sancito ormai dall’art. 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali (la “Carta”), implica una responsabilità extracontrattuale dell’UE che può essere fatta valere nell’ambito di un’azione di danni dinanzi al Tribunale. Invero, prima ancora della proclamazione della Carta, la CG aveva riconosciuto, per la prima volta nella sentenza Baustahlgewebe/Commissione, il diritto di ogni persona a un processo equo entro un termine ragionevole, mutuandolo essenzialmente dall’art. 6, § 1, CEDU. Essa aveva ritenuto che fosse possibile, nell’ambito di un giudizio d’impugnazione, non solo annullare la sentenza del Tribunale, ove la ricorrente avesse dimostrato che la durata eccessiva del processo di primo grado aveva influito sulla soluzione della controversia, ma anche procedere a una riduzione forfettaria (nella fattispecie di 50.000 ecu) della sanzione contestata. Tale approccio era giustificato da «ragioni di economia processuale e al fine di garantire un rimedio immediato ed effettivo a tale vizio procedurale» (Baustahlgewebe/Commissione, §§ 47-49 e 141-142). A distanza di diversi anni, la CG ha tuttavia precisato (nel contesto di una causa avente ad oggetto l’annullamento di una decisione della Commissione che accertava l’esistenza di un abuso di posizione dominante, senza infliggere ammende) che la violazione del termine ragionevole poteva dar luogo a un ricorso per risarcimento danni (Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione, § 195). Se questa sentenza sembrava lasciare aperto uno spiraglio alla possibilità per il giudice dell’UE di ridurre l’ammenda, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito (v. art. 261 TFUE), laddove la violazione del termine ragionevole si fosse verificata nell’ambito di processi aventi a oggetto l’annullamento di una decisione che infliggeva un’ammenda (cfr., al riguardo, AG Kokott, concl. Solvay/Commissione, §§ 325-332; v. anche Tribunale, sent. CEPSA/Commissione, § 269), con le sentenze Gascogne Sack Deutschland/Commissione, Kendrion/Commissione e Groupe Gascogne/Commissione del 2013, la CG abbandona definitivamente l’approccio della sentenza Baustahlgewebe/Commissione (cfr. AG Wathelet, concl. Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, §§ 117-119). In effetti, la CG precisa, da un lato, che la violazione del termine ragionevole, in assenza di indizi attestanti che esso abbia avuto un’incidenza sulla soluzione della controversia, non può condurre all’annullamento della sentenza impugnata e, dall’altro, che siffatta violazione deve essere “sanzionata” in un ricorso per risarcimento danni, sulla base degli art. 268 e 340, secondo comma, TFUE. Tale ricorso, considerato quale «rimedio effettivo e di applicazione generale» per far valere e «sanzionare» tale violazione, va proposto dinanzi al Tribunale, giudice dei singoli, che dovrà però decidere in una composizione diversa da quella che aveva deciso la controversia sfociata nel processo la cui durata è contestata (Gascogne Sack Deutschland/Commissione, Kendrion/Commissione e Groupe Gascogne/Commissione, §§ 82, 83 e 90). Nel precisare, sulla falsariga della giurisprudenza della Corte EDU, che la durata ragionevole del processo va valutata sulla base di criteri – che non presentano carattere cumulativo e la cui elencazione non è esaustiva – quali l’importanza della causa per la parte ricorrente, la complessità della stessa e il comportamento delle parti (v., inter alia, Groupe Gascogne/Commissione, §§ 85 e 86), la CG ha constatato, sia nelle citate sentenze Groupe Gascogne/Commissione e Kendrion/Commissione che in quelle che ne hanno consolidato i principi giurisprudenziali (v., inter alia, Deltafina/Commissione, § 91, FLS Plast/Commissione, §§ 137-141, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, § 20, nonché, da ultimo, Repsol Lubricantes y Especialidades e a./Commissione, §§ 101-101), il carattere irragionevole della durata del processo dinanzi al Tribunale, esaminando, in particolare, il periodo di inerzia dello stesso tra la fine della fase scritta e l’apertura della fase orale del processo (v., inter alia, Galp Energía España e a./Commissione, § 58). La CG si è così pronunciata, non senza attirarsi le critiche dei suoi avvocati generali, sulla violazione sufficientemente qualificata di una norma superiore, ossia l’art. 47 della Carta (tale violazione essendo manifesta e non necessitando la produzione di alcun elemento da parte della ricorrente), intesa a tutelare i singoli, che costituisce la prima delle tre condizioni richieste dalla giurisprudenza per poter configurare il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’UE (v., inter alia, Holcim (Deutschland)/Commissione, § 49). Secondo la CG, spetta poi al Tribunale «valutare tanto la materialità del danno invocato quanto il suo nesso causale con l’eccessiva durata del procedimento giurisdizionale controverso procedendo all’esame degli elementi di prova forniti a tal fine» (Groupe Gascogne/Commissione, § 88), considerato che il danno risarcibile non può che riguardare il periodo di tempo che eccede la durata ragionevole del processo.

2. I ricorsi per risarcimento danni introdotti dinanzi al Tribunale

Il Tribunale è stato così adìto (solo) da alcune delle società in capo alle quali la CG aveva riconosciuto il diritto a ottenere il risarcimento dei danni per violazione del termine ragionevole. Dopo aver rigettato l’eccezione di irricevibilità sollevata, per atto separato, dalla CGUE, che contestava la sua qualità di parte convenuta (ord. Kendrion/UE, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE e Aalberts Industries/UE), Il Tribunale ha valutato il merito delle domande risarcitorie e accordato a tali società, oltre che alle società ASPLA e Armando Álvarez (che invece non avevano fatto valere la violazione del termine ragionevole dinanzi alla Corte), il risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti a causa della irragionevole durata dei processi svoltisi dinanzi ad esso. Il ricorso contestualmente proposto da Aalberts Industries, mirante a contestare l’eccessiva durata del processo avente ad oggetto una domanda di annullamento di una diversa decisione della Commissione (relativa ad un’intesa nel settore dei raccordi), accolta dallo stesso Tribunale che ha disposto l’annullamento integrale dell’ammenda inflitta dalla Commissione, confermato dalla CG in sede di impugnazione, è stato invece respinto (v. infra).

L’ultima causa, quella introdotta da Guardian contro la decisione della Commissione che aveva sanzionato l’intesa posta in essere nel mercato del vetro piano, è tuttora pendente. Quest’ultima azione risarcitoria presenta peraltro due particolarità: (i) contrariamente a tutte le altre ricorrenti sopra menzionate, Guardian aveva ottenuto dalla CG l’annullamento parziale della sentenza di primo grado la cui durata era contestata e una conseguente riduzione della sanzione; (ii)  oltre a chiedere il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione del termine ragionevole, Guardian chiede anche di essere risarcita dei danni derivanti dalla violazione del principio della parità di trattamento, nella misura in cui la Commissione e il Tribunale hanno commesso errori nel calcolo delle ammende.

Da un rapido sguardo d’insieme emerge che, ai fini della proponibilità di un’azione di danni con le caratteristiche appena descritte e del suo eventuale accoglimento: (i) non rileva quale sia stato l’esito della causa (di prima istanza) la cui durata sia considerata irragionevole (per inciso, l’unico ricorso d’annullamento accolto dal Tribunale è stato quello proposto da Aalberts Industries), né tanto meno quale sia stato l’esito del giudizio di impugnazione dinanzi alla CG della sentenza del Tribunale la cui durata è contestata (l’unica impugnazione, almeno in parte, accolta è stata quella proposta da Guardian); (ii) è altresì irrilevante che la ricorrente abbia impugnato la sentenza del Tribunale di cui contesta l’eccessiva durata e invocato dinanzi alla CG la violazione del termine ragionevole (Aalberts Industries non ha impugnato né, tanto meno, sollevato siffatta violazione in via incidentale) o che abbia proposto impugnazione senza tuttavia far valere tale violazione dinanzi alla CG (questo è il caso di ASPLA e Armando Álvarez).

Le sentenze in esame suscitano interesse sia per quanto attiene ad alcuni aspetti della ricevibilità che per il merito. Quanto alla ricevibilità, va osservato che il Tribunale, dopo aver rigettato, come detto, l’eccezione di irricevibilità sollevata con atto separato dalla CGUE, ha anche puntualmente respinto ogni altra eccezione sollevata da quest’ultima. In particolare, tra queste va menzionata quella relativa alla prescrizione dell’azione, che ha consentito al Tribunale di chiarire la questione, rimasta sinora controversa (p. 36), della determinazione del dies a quo del termine di prescrizione quinquennale previsto per le azioni di danni. Al riguardo, il Tribunale ha infatti precisato (Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, §§ 48-49 e ASPLA e Armando Álvarez/UE, §§ 46-47) che, nel caso specifico di un’azione di questo tipo, il fatto generatore del danno idoneo a far sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’UE va ricollegato alla sentenza con la quale si conclude il processo nel cui ambito è stato oltrepassato il termine ragionevole, fissando così come dies a quo per il computo del menzionato termine di prescrizione la data di pronuncia di detta sentenza.

3. Le questioni relative al merito: le condizioni che consentono di configurare la responsabilità extracontrattuale dell’UE e la quantificazione dei danni che la CGUE è condannata a risarcire

Quanto al merito, diverse riflessioni possono essere svolte sul canovaccio che costituisce il filo conduttore delle tre sentenze. Dapprima, il Tribunale ricorda che, conformemente alla giurisprudenza, il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’UE e l’attuazione del diritto al risarcimento del danno dipendono dalla sussistenza di tre condizioni cumulative riguardanti: (i) l’illegittimità del comportamento contestato all’istituzione dell’UE; (ii) l’effettività del danno e (iii) l’esistenza di un nesso di causalità fra detto comportamento e il danno lamentato (v., inter alia, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, §§ 53-55), successivamente procede alla disamina della sussistenza di tali condizioni.

 Per ciò che riguarda la prima condizione, è interessante soffermarsi sull’approccio seguito dal Tribunale con particolare riferimento a due dei casi tra quelli in commento (v. Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE e Kendrion/UE) in cui la CG aveva già rilevato incidentalmente che la durata del processo di primo grado era stata eccessiva e che il Tribunale aveva quindi violato il termine ragionevole. In effetti, il Tribunale, dopo aver fatto meramente rinvio a quanto rilevato dalla CG nelle sentenze d’impugnazione (v., inter alia, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, § 61), procede, a giusto titolo, ad un esame autonomo e minuzioso dei vari elementi di cui occorre tener conto per valutare se la durata di un processo sia stata ragionevole o meno per poi giungere alla conclusione che, nelle fattispecie esaminate, il periodo di inattività di 20 mesi, intercorso tra la fine della fase scritta e l’apertura di quella orale, è ingiustificato e costituisce pertanto una violazione dell’art. 47, secondo comma, della Carta (v. Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, §§ 62-78 e Kendrion/UE, §§ 47-63). Il Tribunale attribuisce così un’importanza del tutto marginale all’obiter dictum della CG, pur pervenendo a conclusioni sostanzialmente identiche. In proposito, va osservato che se l’approccio della CG (di recente nuovamente criticato peraltro dai suoi avvocati generali, §§ 73-75), consistente nel rilevare in via incidentale la violazione del termine ragionevole, rischiava di ingenerare confusione su quale fosse la strada migliore da intraprendere per far valere siffatta violazione (v. qui, p. 28 e ss.), con le sentenze in parola il Tribunale sgombera il campo da ogni equivoco e rende di fatto superfluo qualsiasi previo giudizio incidentale della CG in sede di impugnazione.

Con riguardo, più specificamente, alla sussistenza della prima condizione, va osservato che il Tribunale, dopo aver considerato che la durata complessiva del processo (5 anni e 9 mesi) non è in alcun modo giustificata (v., inter alia, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, § 61), sceglie di soffermarsi sul periodo di 46 mesi intercorso tra la fine della fase scritta e l’apertura di quella orale (v., inter alia, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, § 63). Tenuto conto della complessità della causa e del comportamento delle parti, il Tribunale ritiene che la durata di 15 mesi (che include ovviamente i tempi di traduzione delle ultime memorie depositate e della relazione d’udienza, ove la lingua di procedura non sia il francese, che, come noto, è la lingua di lavoro della CGUE), tra la fine della fase scritta del processo e l’apertura di quella orale, sia, in linea di principio, sufficiente per procedere a un’analisi delle questioni giuridiche e fattuali rilevanti, all’istruzione del caso, mediante eventuali misure di organizzazione del procedimento o mezzi istruttori, e alla preparazione della fase orale (v., al riguardo, l’art. 87 del reg. proc. Trib. sulla relazione preliminare). Qualora, come nelle fattispecie in esame, vi siano più ricorsi (spesso in diverse lingue) contro la stessa decisione (il che è pressoché la regola nelle cause in materia di intese), la trattazione parallela di cause connesse può giustificare il prolungamento del processo per il periodo di 1 mese per ogni ulteriore causa connessa (11 nelle fattispecie in esame). Nelle cause in commento, il Tribunale ritiene dunque congrua la durata di 26 mesi (15 mesi + 11 mesi per le cause connesse) a fronte dei 46 realmente trascorsi tra la fine della fase scritta del processo e l’inizio di quella orale e, di conseguenza, ingiustificato un periodo di inattività di 20 mesi, il quale costituisce una violazione sufficientemente grave dell’art. 47, secondo comma, della Carta.

Facendo applicazione dei medesimi principi, il Tribunale ha rigettato invece il ricorso per risarcimento danni proposto da Aalberts Industries. In questo caso, la durata del periodo intercorso tra la fine della fase scritta e l’apertura di quella orale era di 25 mesi (§ 63) e, poiché vi erano stati 10 ricorsi (in diverse lingue) avverso la medesima decisione, il Tribunale ha ritenuto che una durata di 24 mesi (15+9 per le cause connesse) potesse essere considerata ragionevole (§§ 71-73). Le circostanze particolari del caso, riassumibili essenzialmente nell’eccessiva lunghezza e complessità dei vari scritti difensivi (oltre che degli allegati) prodotti dalle parti e nel ritardo in cui era incorsa la Commissione nel depositare la traduzione in francese della controreplica (§§ 74 e 75), sono state decisive per giustificare l’allungamento di 1 mese della durata considerata ragionevole del processo e per concludere che il lasso temporale di 25 mesi intercorso tra la fine della fase scritta e l’apertura di quella orale non rivelava alcun periodo di inerzia da parte del Tribunale (§§ 75 e 76). Considerato che Aalberts Industries non aveva invocato l’eccessiva durata del periodo trascorso, rispettivamente, tra il deposito del ricorso e quello della controreplica e tra l’udienza e la pronuncia della sentenza (§§ 77 e 78) e che, in ogni caso, non erano state rilevate incongruenze al riguardo (§ 78), il Tribunale ha ritenuto ragionevole la durata complessiva del processo e respinto, pertanto, il ricorso nella sua interezza, dal momento che non era soddisfatta la prima delle tre condizioni da cui dipende il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’UE (§ 81).

In conclusione, non si può non rilevare una certa severità del Tribunale nei propri confronti, fissando a 15 mesi la durata ragionevole del periodo che intercorre tra il deposito dell’ultimo scritto difensivo e la data dell’udienza in cause indubbiamente complesse e voluminose quali quelle in materia di intese (l’AG Sharpston, § 92, aveva, per es., suggerito di considerare “irragionevole” un periodo di inerzia del Tribunale di più di 18 mesi tra la chiusura della fase scritta e la convocazione delle parti all’udienza, che avviene di norma almeno un mese prima della stessa). Mutatis mutandis, sembra peraltro evidente che in cause meno complesse la soglia di tolleranza sia destinata ad abbassarsi ulteriormente.

Nel passare all’esame della sussistenza della seconda e della terza condizione, il Tribunale dapprima ricorda la giurisprudenza (§ 27) secondo la quale il pregiudizio di cui si chiede il risarcimento deve essere reale e certo e poi quella (§ 53) secondo la quale occorre che vi sia un nesso causale, cioè un rapporto di causa-effetto sufficientemente diretto, tra il comportamento asseritamente pregiudizievole dell’istituzione e il danno lamentato, incombendo sul ricorrente l’onere di dimostrare tanto il pregiudizio che il nesso di causalità. Date queste premesse, il Tribunale procede poi alla disamina dei vari tipi di danno invocati dalle ricorrenti.

In primo luogo, il Tribunale accetta la tesi secondo cui le ricorrenti avrebbero subìto un pregiudizio materiale effettivo e reale in quanto, nella fase di inerzia del processo, hanno dovuto sopportare le commissioni applicate loro dagli istituti di credito per le garanzie bancarie a copertura del pagamento dell’ammenda e degli eventuali interessi (Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, § 131). Al riguardo, il Tribunale ha ritenuto che vi fosse un nesso di causalità tra la violazione del termine ragionevole, che ha determinato un prolungamento ingiustificato della durata del processo, e il pregiudizio lamentato dalle ricorrenti che consiste, per l’appunto, nella perdita patrimoniale subita in virtù del pagamento di spese bancarie aggiuntive durante il periodo in questione (cfr. Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, §§ 114-115).

In proposito, è interessante notare come il Tribunale abbia rigettato alcune obiezioni che la CGUE traeva dalla giurisprudenza (v. §§ 122-124), confermata di recente dallo stesso Tribunale (§ 101), in cui si era ritenuto che il nesso causale tra il comportamento ascritto alla Commissione (l’illegittimità della sua decisione che infliggeva l’ammenda) e il danno lamentato (il pagamento delle spese di garanzia bancaria durante tutta la durata del processo) non potesse essere qualificato come sufficientemente diretto, dal momento che la costituzione di detta garanzia era stata frutto di una libera scelta (§ 137) ‒ resa possibile dalla Commissione, in deroga al carattere immediatamente esecutivo, a norma dell’art. 299 TFUE, delle sue decisioni ‒ di rinviare il pagamento dell’ammenda al momento in cui fosse divenuta definitiva.

Nelle fattispecie in esame, il Tribunale ritiene, da una parte, che, al momento della costituzione della garanzia bancaria, le ricorrenti non potevano prevedere che il processo avrebbe superato ogni ragionevole durata e potevano anzi legittimamente attendersi che la loro causa sarebbe stata esaminata entro un termine ragionevole e, dall’altra, che il superamento di tale termine è intervenuto dopo la scelta iniziale di costituire la garanzia bancaria (cfr. Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, §§ 119-120). Al riguardo, resta tuttavia da chiedersi se, nella realtà, sia possibile cristallizzare il momento iniziale in cui le società hanno deciso liberamente di costituire la garanzia, senza poter immaginare che il processo si sarebbe prolungato oltre un termine ragionevole, o se, invece, data la natura e la finalità di detta garanzia (le cui spese venivano, nelle fattispecie in esame, contabilizzate trimestralmente), non si tratti piuttosto di una scelta che si ripete nel tempo fino alla fine del processo la cui durata è contestata, con tutto quel che ne conseguirebbe quanto alla sussistenza di un nesso causale sufficientemente diretto.

È peraltro evidente che, ancorando il risarcimento alle spese di garanzia bancaria sostenute durante il periodo di superamento del termine ragionevole, ove la società sanzionata abbia invece provveduto al pagamento immediato dell’ammenda e la decisione impugnata sia poi annullata dal Tribunale all’esito di un processo dalla durata irragionevole, sarebbe difficile dimostrare l’esistenza di un danno patrimoniale, dal momento che la Commissione si vedrà costretta a restituire l’importo pagato  inizialmente con tutti gli interessi del caso (§ 37).

Da ultimo, merita soffermarsi sulla valutazione del danno in parola nelle diverse cause. La premessa del ragionamento del Tribunale, comune ai tre casi in esame, è che il danno patrimoniale subìto dalle ricorrenti sia quello derivante dal pagamento delle spese di garanzia bancaria nell’arco temporale che corrisponde alla violazione del termine ragionevole, che nelle fattispecie in esame è, come detto, di 20 mesi (v., inter alia, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, §§ 131-132). Ciò nondimeno, il Tribunale, conformemente al principio dispositivo, esamina le singole richieste risarcitorie, tutte peraltro ancorate alla sola durata eccessiva del processo dinanzi al Tribunale.

In particolare, Gascogne sostiene di aver subìto un pregiudizio nel periodo compreso tra il 30 maggio 2011, data in cui la decisione impugnata sarebbe dovuta diventare definitiva, e il 12 dicembre 2013, data in cui l’ammenda è stata effettivamente pagata (Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, § 123). Kendrion sostiene di aver subìto un pregiudizio nel periodo compreso tra il 26 agosto 2010, data in cui la CG avrebbe dovuto ipoteticamente pronunciarsi sull’impugnazione (rendendo così la decisione impugnata definitiva), e il 26 novembre 2013, data in cui la CG si è effettivamente pronunciata (Kendrion/UE, § 67). ASPLA e Ármando Alvarez fanno, invece, valere di aver subìto un pregiudizio nel periodo compreso tra il 16 marzo 2010, vale a dire 20 mesi prima che il Tribunale si pronunciasse sui loro rispettivi ricorsi d’annullamento, e il 14 gennaio 2011, data in cui è stata comunicata loro la data dell’udienza (ASPLA e Ármando Alvarez/UE, §§ 123-126).

Premesso che le commissioni bancarie successive alla sentenza del Tribunale (del 16 novembre 2011) non hanno logicamente alcun nesso con la violazione dell’art. 47, secondo comma, della Carta (che si è necessariamente arrestata con la pronuncia di detta sentenza), il Tribunale accorda il risarcimento per le spese di garanzia bancaria sostenute da Gascogne, nel periodo che va dal 30 maggio 2011 al 16 novembre 2011 (circa 5,5 mesi), da Kendrion, nel periodo che va dal 26 agosto 2010 al 16 novembre 2011 (circa 15 mesi), e, infine, da ASPLA e Ármando Alvarez, nel periodo che va dal 16 marzo 2010 al 14 gennaio 2011 (circa 10 mesi), anziché al 16 novembre 2011, avendo queste ultime fissato come dies ad quem il giorno in cui è stata comunicata loro la data dell’udienza. Ciò spiega perché il calcolo delle mensilità oggetto del risarcimento sia stato così diverso nei 3 casi in commento, la cui durata irragionevole era invece la stessa. La diversità dei risarcimenti accordati è dipesa invece dal diverso ammontare dell’ammenda oggetto della garanzia bancaria.

In secondo luogo, il Tribunale riconosce che tutte le ricorrenti ‒ tranne ASPLA e Armando Álvarez che non lo hanno richiesto ‒ hanno subìto un danno morale in considerazione del prolungato stato d’incertezza (considerato inabituale rispetto a quello di un normale procedimento giurisdizionale) in cui sono state costrette, il quale ha influito sulla pianificazione delle decisioni da adottare e sulla gestione delle stesse società. Il Tribunale ha quantificato tale danno in via equitativa in 5.000 euro sia per Gascogne che per Gascogne Sack Deutschland, conformemente peraltro a quanto suggerito in via subordinata dalla CGUE nei suoi scritti difensivi, e 6.000 euro per Kendrion. Secondo il Tribunale, tale tipo di danno non poteva infatti essere riparato integralmente mediante la mera constatazione dell’avvenuta violazione del termine ragionevole (Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, § 158; Kendrion/UE, § 129).

In terzo luogo, il Tribunale decide che le somme riconosciute a titolo di risarcimento del danno patrimoniale debbano essere rivalutate (fatta eccezione per Kendrion che non lo ha chiesto) attraverso il pagamento di interessi compensativi, ai quali vanno aggiunti gli interessi di mora a decorrere dalla data della sentenza fino al pagamento integrale di tali somme, al tasso fissato dalla BCE per le sue principali operazioni di rifinanziamento, aumentato (in ossequio al principio dispositivo) del 2%, così come richiesto da Gascogne (§§ 179-180) e da ASPLA e Ármando Alvarez (§§ 150-151), anziché del 3,5%, così come previsto dall’art. 83, § 2, lett. b) e dall’art. 111, § 4, lett. a), del regolamento delegato n° 1268/2012 della Commissione e come disposto nella causa Kendrion/UE (§ 140), in mancanza di indicazioni da parte della ricorrente su quale fosse il tasso da applicare.

Il Tribunale non ritiene, invece, sufficientemente provate le perdite lamentate in ragione del pagamento alla Commissione degli interessi legali sul valore nominale dell’ammenda durante il periodo di superamento del termine ragionevole, dal momento che tali interessi non erano superiori al beneficio che le ricorrenti avevano potuto trarre dal mancato pagamento dell’ammenda e dalla conseguente utilizzazione della somma ad essa corrispondente (v., inter alia, Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, §§ 106-110). Anche la  presunta perdita di chance lamentata da Gascogne per non aver trovato «più presto» un investitore non è stata ritenuta sufficientemente provata (Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE, §§ 87-94).

In definitiva, sebbene non del tutto insignificanti, i risarcimenti sinora accordati (come detto, 807.827 euro) sono ben lontani da quelli richiesti (complessivamente 26,8 milioni di euro, secondo quanto paventato dal Consiglio nel giustificare i costi della riforma del Tribunale). D’altra parte, conformemente al principio secondo il quale il giudice dell’UE non può statuire ultra petita (§ 27), il Tribunale ha avuto buon gioco nello sforbiciare le richieste risarcitorie grazie alle “leggerezze” in cui sono incorse le ricorrenti non solo nel quantificare i danni subiti, ma anche nel determinare il periodo di rivalutazione (ove richiesto) oltre che il tasso applicabile agli interessi di mora.

4. Conclusioni

In conclusione, ci si può certo interrogare, come correttamente è stato fatto in dottrina, sull’impatto concreto che queste sentenze avranno, soprattutto alla luce del carattere poco più che simbolico del risarcimento del danno morale in esse riconosciuto; ciò nondimeno, se dovessero essere confermate dalla CG (il 17 marzo 2017 la CGUE ha proposto impugnazione contro la sent. Gascogne Sack Deutschland e Gascogne/UE), esse costituirebbero delle utili linee direttrici sia per la valutazione della durata eccessiva di un processo sia per la quantificazione dei danni patrimoniali e morali che eventualmente ne derivino. Cosicché, la loro semplice applicazione, in presenza di una previa richiesta risarcitoria inviata alla CGUE, consentirebbe di trovare una rapida soluzione bonaria in via stragiudiziale e di evitare pertanto un dispendioso e, tutto sommato, lungo processo. Considerato però che la CGUE ha deciso di impugnare, come detto, la prima, in ordine di pronuncia, delle tre sentenze in commento (ed è verosimile che farà lo stesso per le altre due, i cui termini di impugnazione non sono ancora decorsi), occorrerà attendere che la CG si pronunci definitivamente per vedere se l’intelaiatura realizzata dal Tribunale è sufficientemente solida.

D’altra parte, come già evidenziato in altri scritti (pp. 48-50), il fenomeno delle azioni di danni per violazione del termine ragionevole resta, tuttora, molto circoscritto. Se per alcune situazioni del passato (segnatamente, quelle in cui la CG ha già riconosciuto, in via incidentale, una violazione del diritto del termine ragionevole) potrebbe addirittura essere già decorso il termine di prescrizione (v. supra), sembra alquanto difficile immaginare che vicende processuali come quelle che hanno dato origine alle descritte azioni risarcitorie possano riprodursi in un prossimo futuro, tenuto conto, segnatamente, dell’aumento della “capacità produttiva” del Tribunale grazie al raddoppio del numero dei suoi giudici.

Rimane certamente uno sparuto gruppo di casi, tuttora pendenti dinanzi alla CG, in cui quest’ultima potrebbe ancora rilevare incidentalmente che il Tribunale ha violato in maniera sufficientemente qualificata il proprio obbligo di esaminare la causa entro un termine ragionevole (in senso contrario, v. Trafilerie Meridionali/Commissione, § 68), tuttavia ciò non implica necessariamente che le società vittime di siffatta violazione abbiano poi realmente interesse ad intraprendere un’azione risarcitoria dinanzi al Tribunale, conoscendone già l’orientamento.

Da ultimo, come è stato correttamente evidenziato in dottrina e in altri scritti (p. 22), anche se il Tribunale ha dato sinora un’indubbia prova di imparzialità, giudicando peraltro severamente il proprio operato e aprendo risolutamente la strada al risarcimento dei danni cagionati dall’eccessiva durata dei suoi processi, è anche opportuno chiedersi se il sistema attuale, che gli attribuisce, in virtù del combinato disposto degli art. 256 TFUE e 51 dello Statuto, la competenza in primo grado per tale tipo di azioni (con conseguente possibilità, come si è visto, di impugnare dinanzi alla CG e di protrarre ulteriormente l’eventuale ottenimento del risarcimento), sia del tutto soddisfacente o se, in una prospettiva de iure condendo, non sia più efficace, mediante una modifica del citato art. 51, riservarne la competenza alla CG, in primo e unico grado.

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