Stickydiritto dell'Unione europeadiritto internazionale privatodiritto internazionale pubblico

Sull’attualità e l’importanza degli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984

Le brutali violenze e gli abusi perpetrati in Egitto, in passato (caso Regeni), e più di recente (caso Zhaki), nonché il rischio che simili atti si ripetano in futuro, ci inducono a porre l’accento sugli strumenti normativi di cui la comunità internazionale si è dotata, per prevenire e reprimere atti di tortura. Si tratta di norme di diritto internazionale, poste a tutela di interessi collettivi, ritenuti di primaria importanza. Di particolare rilievo è la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, conclusa a New Tork il 10 dicembre 1984, di cui sono parti contraenti, ad oggi, 171 Stati, inclusi l’Italia e l’Egitto.

La Convenzione prevede una solida rete di obblighi in capo agli Stati parte, per evitare che gli autori di atti di tortura, o di trattamenti inumani e degradanti, restino impuniti. Essa, infatti, non si limita a dettare obblighi volti a prevenire simili comportamenti nei territori sottoposti alla loro giurisdizione, ma richiede l’adempimento di ulteriori obblighi positivi, tra cui quello di indagare e reprimere tali atti, e di fornire cooperazione e assistenza giudiziaria ad altri Stati contraenti, che siano impegnati a perseguirne gli autori. Si tratta, in particolare, dell’articolo 12 della Convenzione, ai sensi del quale “ogni Stato parte assicura che le sue autorità competenti procedano ad una inchiesta immediata e imparziale ogni volta che ci sono ragionevoli motivi di credere che un atto di tortura è stato commesso in un qualunque territorio sotto la sua giurisdizione”; e si tratta, inoltre, dell’articolo 9, par. 1, con cui si stabilisce che “gli Stati parte si accordano reciprocamente la più ampia assistenza giudiziaria in ogni procedimento penale relativo ai reati previsti all’articolo 4 [atti di tortura], compresa la comunicazione di tutti gli elementi di prova dei quali dispongono e che siano necessari ai fini della procedura”. A ciò si aggiunga che l’obbligo di assistenza e cooperazione giudiziaria tra gli Stati discende dalla suddetta Convenzione, a prescindere dall’esistenza di un accordo bilaterale in materia.

È infine necessario ricordare che il mancato rispetto degli obblighi appena richiamati legittima gli Stati parte della Convenzione, nei cui confronti tali obblighi sono dovuti, a contestarne la violazione, anche con atti formali, e a pretenderne il puntuale adempimento. In presenza di reiterati rifiuti di cooperazione, così come di altre inottemperanze, purtroppo verificatesi nella prassi cui ci riferiamo, la Convenzione offre la possibilità di ricorrere (o di minacciare di ricorrere) alle procedure ad hoc di soluzione delle controversie, specificamente indicate all’articolo 30 della stessa.

Roma, 16 dicembre 2020

Fausto Pocar (Presidente)

Susanna Cafaro (Vice Presidente)

Pasquale De Sena (Segretario generale)

Angela Di Stasi

Pietro Gargiulo

Francesco Munari

Andrea Spagnolo Francesca Clara Villata

Previous post

L’efficacia del Joint Procurement Agreement dell’UE nell’emergenza COVID 19 e la sua compatibilità con il diritto OMC

Next post

Sezioni Unite, sentenza n. 20442 del 2020: il «contrappunto fugato» della sent. 238/2014 Corte cost.

The Author

Consiglio direttivo della SIDI

Consiglio direttivo della SIDI

1 Comment

  1. Giuseppe Licastro
    Maggio 2, 2021 at 3:58 pm — Rispondi

    Sembra confacente far presente il link (del sito web del CeSPI) che contiene la registrazione video dell’interessante webinar (del 30 aprile 2021) dal titolo “Il caso Regeni: gli strumenti del diritto internazionale”: https://www.cespi.it/it/eventi-note/eventi/il-caso-regeni-gli-strumenti-del-diritto-internazionale

Rispondi a Giuseppe Licastro Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *