Stickydiritto dell'Unione europea

La mancata sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele

Mauro Gatti (Università di Bologna; Membro della redazione)

I rappresentanti degli Stati membri dell’UE hanno discusso della situazione a Gaza sia in occasione del Consiglio Affari esteri (23 giugno) sia nel Consiglio europeo (26 giugno), senza tuttavia giungere ad alcuna decisione. Come spesso accade, gli Stati membri risultano divisi: alcuni, come la Spagna, auspicano una risposta alle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, mentre altri, come la Germania, vi si oppongono. Di conseguenza, gli Stati membri si sono limitati, come di consueto, ad accordarsi per “proseguire le discussioni” (Conclusioni del 26 giugno).

Eppure, l’UE avrebbe la possibilità di reagire concretamente nei confronti di Israele, segnatamente sospendendo l’applicazione dell’Accordo di Associazione UE-Israele (di seguito, l’Accordo di Associazione). Una sospensione mirata, limitata ad alcuni aspetti chiave dell’Accordo, non richiederebbe necessariamente l’unanimità tra gli Stati membri.

Ad oggi, il massimo che l’Unione è riuscita a produrre, dopo venti mesi di attacchi contro la popolazione civile palestinese, è l’adozione di un rapporto amministrativo sulla situazione a Gaza, cui ha fatto seguito soltanto… un secondo rapporto (1). Del resto, appare poco probabile che l’UE sospenda l’applicazione dell’Accordo di associazione o adotti altre misure significative, nemmeno nel prossimo futuro (2) In questo contesto, il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani non sembra costituire una priorità per l’Unione (3).

1. I rapporti sulla Situazione a Gaza

Nel 2000, l’UE e Israele hanno concluso un Accordo di associazione, che crea un’area di libero scambio e istituisce un “dialogo politico” tra le parti. Ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo, il “rispetto dei diritti umani e dei principi democratici” costituisce “elemento essenziale” dell’accordo. Se Israele violasse tale art. 2, l’UE potrebbe adottare misure che includono, tra l’altro, la sospensione dell’applicazione dell’Accordo. Infatti, il rispetto dei diritti umani è “elemento essenziale” dell’Accordo, la cui violazione costituisce una material breach dell’Accordo, che l’UE può invocare per sospendere o persino terminare l’applicazione dell’Accordo (in tal senso, v. Bartels 2004, Hachez 2015; cfr. l’art. 60 della Convenzione di Vienna del 1969). L’art. 79 dell’Accordo di associazione, peraltro, riconosce espressamente che, qualora una delle parti ritenga che l’altra parte non abbia adempiuto a un obbligo previsto dal presente accordo, essa può adottare le “misure appropriate”.

Vari soggetti richiedono, da tempo, la sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele, in ragione, inter alia, dell’occupazione illegale della Palestina e della discriminazione sistematica contro i Palestinesi in Israele (v., ad es., Ferreira et al., 2014). La questione ha assunto particolare rilevanza dall’inizio della campagna israeliana contro Gaza. Già a febbraio 2024, i governi di Spagna e Irlanda hanno richiesto alla Commissione di “undertake an urgent review of whether Israel is complying with its obligations […] and if it considers that it is in breach, that it proposes appropriate measures to the Council to consider.” La Commissione non pare, però, aver dato seguito a questa richiesta. Ciò non sorprende, se si considera il sostegno che Von der Leyen offre ad Israele (basti pensare che, dopo l’aggressione di Israele all’Iran, di cui al post di Santini, Von der Leyen ha riaffermato il diritto all’“autodifesa” di Israele).

Josep Borrell, allora Alto rappresentante, aveva una linea politica diversa e ha richiesto un rapporto sulla situazione in Medio-oriente al Rappresentante speciale dell’UE per i diritti umani (EUSR). Il rapporto dell’EUSR (di seguito: il Rapporto del 2024) è stato anticipato al Consiglio a luglio e aggiornato a novembre 2024. Il testo completo non è stato pubblicato ufficialmente, ma è stato fatto filtrare alla stampa (Il Rapporto è stato pubblicato da EUObserver). Poiché l’ufficio dell’EUSR “has no dedicated capacity to assess the situation on the ground”, il Rapporto del 2024 si fonda interamente su valutazioni fatte da entità appartenenti al sistema delle Nazioni unite (id., p.2). Alla luce di queste valutazioni, il Rapporto ha rilevato la probabile commissione di crimini di guerra e contro l’umanità a Gaza, inclusi attacchi indiscriminati contro la popolazione civile (id., par. 51), attacchi agli ospedali (id., parr. 63-65), l’uso della fame come metodo di guerra (id., par. 58), e la detenzione senza tutele legali di palestinesi(id., par. 67).

Ovviamente, le conclusioni del Rapporto del 2024 non sono vincolanti per l’UE: un rapporto dell’EUSR non crea diritti e obblighi e non riflette la posizione politica dell’Unione: spetta al Consiglio decidere in merito (cfr. CGUE, Signature d’accords internationaux, punto 64). Peraltro, il Rapporto certifica una situazione notoria. Ad esempio, una nota dell’ambasciata olandese a Tel Aviv del novembre 2023, filtrata alla stampa, rilevava come l’esercito israeliano fosse “intent on deliberately causing massive destruction to infrastructure and civilian centres” (Euractiv). Già a fine 2023, Israele aveva già causato la morte di più di 20.000 persone, la maggior parte civili, e aveva forzato, attraverso i suoi bombardamenti, l’evacuazione di più dell’80% della popolazione di Gaza (OCHA). E, di lì a poco, Israele ha bloccato gli aiuti umanitari per i palestinesi (UN; PBS), tanto che, a marzo 2024, Josep Borrell, rilevava che “starvation is being used as a war arm” (BBC).

Il Rapporto del 2024 ha, comunque, avuto una certa rilevanza pratica, poiché, sulla base di questo Rapporto, Borrell ha proposto al Consiglio di sospendere il “dialogo politico” con Israele (Borrell 2024). Apparentemente, Borrell mirava ad una sospensione parziale dell’Accordo di associazione con Israele, limitata alla sua parte “politica”. Il “dialogo politico” con uno Stato terzo, infatti, è una questione che riguarda la Politica estera e di sicurezza comune (PESC, v., in tal senso, CGUE, Accordo con il Kazakistan, punto 41), relativamente alla quale l’Alto rappresentante dispone di un potere di iniziativa. Diversamente, spetterebbe alla Commissione proporre la sospensione delle altre parti dell’Accordo, ad esempio, in materia di commercio. Proponendo la sospensione del solo “dialogo politico” con Israele, l’Alto rappresentante ha aggirato la Commissione europea, la quale probabilmente non avrebbe adottato iniziative contrarie agli interessi di Israele. Ad ogni modo, il Consiglio non ha dato seguito alla proposta di Borrell (ANSA; DW).

Di lì a sette mesi, è stato il governo olandese a chiedere all’Alto rappresentante, Kaja Kallas, una “review of Israel’s compliance with Article 2” (Veldkamp 2025). Tale richiesta è stata assecondata, in seno al Consiglio, dalla maggioranza degli Stati membri, il 20 maggio 2025 (Consiglio).

Anche il nuovo Rapporto (di seguito, Rapporto del 2025) è stato redatto dal Rappresentante speciale dell’UE per i Diritti umani, sempre sulla base di fonti delle Nazioni Unite, ed è stato inviato agli Stati membri il 20 giugno 2025. Il Rapporto non è stato pubblicato ufficialmente, ma è stato fatto filtrare alla stampa (anche questo Rapporto è stato pubblicato da EUObserver). Come ci si poteva attendere, il Rapporto del 2025 conferma gli esiti del Rapporto precedente, traendone l’ovvia conclusione: “there are indications that Israel would be in breach of its human rights obligations under Article 2 of the EU-Israel Association Agreement”.

A prima vista, il Rapporto del 2025 potrebbe sembrare poco utile, dal momento che ricalca quello del 2024, il quale sarebbe già stato più che sufficiente a giustificare la sospensione dell’Accordo di associazione. Peraltro, entrambi i Rapporti hanno, finora, avuto lo stesso impatto sulle decisioni del Consiglio, cioè nessuno. Ciò nonostante, essi rivestono una certa importanza, in quanto esprimono una critica — seppur implicita e informale — nei confronti di Israele, una critica che il Consiglio verosimilmente non avrebbe formulato in modo esplicito e formale. Per quanto improbabile, è anche possibile che, riconoscendo nel contesto dell’UE i crimini israeliani, i Rapporti contribuiscano a consolidare una maggioranza di Stati membri favorevole all’adozione di misure — seppur tardive e limitate — nei confronti di Israele.

2. L’inazione del Consiglio

Il Rapporto del 2025 è stato discusso dai rappresentanti degli Stati membri nella riunione del Consiglio affari esteri del 23 giugno 2025. La discussione non ha portato ad alcun risultato concreto. Il Rapporto è stato discusso anche dal Consiglio europeo il 26 giugno 2025, di nuovo senza giungere a nessuna decisione. Le conclusioni del Consiglio europeo contengono una lista di formule tanto vaghe quanto usuali: il Consiglio europeo “deplores the dire humanitarian situation in Gaza” e ricorda genericamente che “Israel must fully comply with its obligations under international law”. Soprattutto, il Consiglio europeo “takes note of the report on Israel’s compliance with Article 2 of the EU-Israel Association Agreement and invites the Council to continue discussions on a follow-up, as appropriate, in July 2025” (Conclusioni del 26 giugno 2025, corsivo mio).

L’inazione delle istituzioni governative si pone in continuità con la politica dell’Unione, che non ha adottato alcuna misura nei confronti di Israele dall’ottobre 2023. Sembra difficile, peraltro, che le “discussions” in seno al Consiglio possano portare all’adozione di misure significative nelle prossime settimane.

La sospensione dell’Accordo di associazione in toto pare particolarmente inverosimile. La sospensione dell’applicazione di un accordo internazionale è oggetto di una decisione del Consiglio (Art. 218, par. 9, TFUE), avente carattere discrezionale (v., in tal senso, CGUE, Mugraby, punto 70).  Peraltro, il Consiglio non sospende di frequente accordi internazionali per reagire a violazione dei diritti umani (cfr. Bartels 2023). Nel caso degli Accordi di associazione, in particolare, la sospensione deve essere approvata dal Consiglio all’unanimità, secondo l’art. 218, parr. 8 e 9, TFUE (v. CGUE, Accordo con l’Armenia, punto 29). Basta l’opposizione di un singolo governo a impedire la sospensione dell’Accordo di associazione con Israele. E vari governi europei sostengono Israele, per ragioni storiche (ad esempio, Germania), per affinità ideologica (Ungheria, Italia) o perché suoi fornitori di armi (Germania, Italia).

Più plausibile, ma comunque improbabile, pare la sospensione parziale dell’Accordo di associazione. I Trattati dell’UE non regolano esplicitamente la procedura per la sospensione parziale di accordi internazionali. Vi sono stati, comunque, casi in cui l’UE ha sospeso degli accordi in modo parziale, come reazione al comportamento di Stati terzi. Nel 2011, in particolare, il Consiglio ha deciso di sospendere l’applicazione dell’Accordo di cooperazione con la Siria, limitatamente al commercio di petrolio e prodotti petroliferi, a causa della “brutale campagna sferrata da Bashar Al-Assad e dal suo regime contro il loro stesso popolo” (Decisione 2011/523, preambolo). La decisione che sospende parzialmente l’applicazione dell’Accordo non si fonda sulla base giuridica degli Accordi di associazione, su cui si basava l’atto di conclusione dell’Accordo con la Siria, e che avrebbe imposto l’uso dell’unanimità in Consiglio (v. artt. 217 e 218, par. 8, TFUE). Invece, la decisione di sospensione parziale dell’Accordo con la Siria si fonda sulla base giuridica sostanziale della politica commerciale (art. 207 TFUE), cui è relativo l’oggetto della parte di accordo sospesa, e che richiede generalmente la votazione a maggioranza qualificata.

In altri termini, mentre la sospensione in toto di un Accordo di associazione richiede la votazione all’unanimità in Consiglio, la sospensione di una parte dell’Accordo di associazione, apparentemente, potrebbe avvenire con votazione a maggioranza qualificata in Consiglio, quando essa riguarda settori in cui i Trattati dell’UE impongono tale modalità di voto (in tal senso, v. Cîrlig 2025, p. 2; cfr. la posizione della Commissione nella relazione allegata a COM(2024) 142, par. 4;). È, dunque, ipotizzabile che il Consiglio possa, con un voto a maggioranza qualificata, sospendere le parti dell’Accordo di associazione UE-Israele relative al commercio, che ne costituiscono il cuore. Posto che l’UE è il principale partner commerciale di Israele, una decisione in tal senso avrebbe un notevole impatto concreto.

Ciò nonostante, nella riunione del 23 giugno, il Consiglio non ha sospeso l’Accordo di associazione, neppure parzialmente. Si può, peraltro, dubitare che una tale sospensione parziale possa avvenire in tempi brevi, sia perché alcuni Stati membri sono strenui sostenitori di Israele (v. sopra), sia perché gli Stati uniti esercitano pressione sui Paesi europei. Anche la resistenza della Commissione potrebbe contribuire a scoraggiare una sospensione parziale dell’Accordo di associazione. Ai sensi dell’art. 218, par. 9, TFUE, spetta alla Commissione proporre la sospensione dell’Accordo di associazione (salvo il caso di una sospensione riguardante il solo dialogo politico, come visto sopra). Alla luce dell’orientamento politico della Commissione Von der Leyen, pare difficile che, a breve, questa proponga di sospendere, sia pure parzialmente, l’Accordo di associazione con Israele.

Visto che la sospensione dell’Accordo di associazione è assai improbabile, si potrebbe ipotizzare che l’UE adotti altre misure nei confronti di Israele, magari già nel Consiglio affari esteri di luglio. Nell’ultima riunione del Consiglio europeo, secondo il presidente lituano, “the high representative was asked to bring initial proposals to the table and she will do it … during July and probably the [Foreign Affairs Council] will take some measures” (Politico). È presumibile che si faccia qui riferimento a misure PESC, che possono essere proposte dall’Alto rappresentante (e non dalla Commissione). In tale ambito, l’Unione potrebbe teoricamente adottare delle “misure restrittive”, cioè delle sanzioni, nei confronti di Israele o della sua dirigenza (come ha fatto nei confronti della Russia, oggetto di 17 ‘pacchetti’ di sanzioni dal 2022). Ma l’adozione di misure restrittive richiede l’unanimità degli Stati membri e pare impossibile che tutti gli Stati membri concordino nel sanzionare Israele o i suoi dirigenti.

È più probabile che l’Alto rappresentante proponga delle misure PESC di minore portata. Un’indicazione in tal senso viene dalle Conclusioni del Consiglio europeo, il quale “reiterates its call on the Council to take work forward on further restrictive measures against extremist settlers and entities and organisations which support them” (Conclusioni del 26 giugno). È possibile, quindi, che il Consiglio sanzioni semplici cittadini israeliani ‘estremisti’, come già avvenuto lo scorso anno (Decisione 2024/1967). D’altronde, sanzionare dei singoli ‘estremisti’ è sì facile, ma illogico e, probabilmente, inefficace: responsabili dei crimini a Gaza non sono soltanto gli ‘estremisti’, ma soprattutto i dirigenti e gli agenti dello Stato israeliano e, di conseguenza, lo Stato stesso. Ad esempio, è curioso che l’UE sanzioni gruppi ‘estremisti’ che cercano di “bloccare gli autocarri che forniscono e trasportano aiuti umanitari” a Gaza (Decisione 2024/1967, allegato, sub Tsav 9), ma non lo Stato, e i suoi leader, che bloccano gli aiuti umanitari su ben più ampia scala.

Visto che le misure PESC, in questo contesto, paiono poco praticabili o inefficaci, l’Unione potrebbe esplorare delle soluzioni offerte da altre politiche. La prassi suggerisce che misure lato sensu sanzionatorie potrebbero essere adottate nel quadro della politica commerciale, nell’ambito della quale il Consiglio vota a maggioranza qualificata. Ad esempio, la Commissione ha, di recente, proposto di eliminare gradualmente l’importazione di gas dalla Russia, per mezzo di una misura afferente alla politica commerciale ed energetica (COM(2025) 828). In linea di principio, una soluzione simile sarebbe configurabile, mutatis mutandis, anche nel caso di Israele.

In particolare, nove Stati membri (Belgio, Irlanda, Finlandia, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia) hanno chiesto alla Commissione di valutare “how trade in goods and services linked to illegal settlements in the Occupied Palestinian Territory can be brought into line with international law” e, particolarmente, con il Parere della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024 (v., in particolare, i parr. 279 e 280). Si può ipotizzare che l’Unione possa, nell’ambito della politica commerciale, limitare l’importazione di beni e servizi provenienti dalle colonie israeliane. Una misura del genere, comunque, inciderebbe soltanto su una frazione delle esportazioni israeliane e, di conseguenza, potrebbe non risultare incisiva. Peraltro, è improbabile che una tale misura venga adottata. Al di fuori della PESC, il potere d’iniziativa appartiene generalmente alla Commissione. Difficilmente la Commissione Von Der Leyen, date le sue priorità politiche, proporrebbe l’adozione di misure commerciali lato sensu sanzionatorie nei confronti di Israele. E, quand’anche le proponesse, non è certo che una maggioranza qualificata di Stati membri le approverebbe, viste le probabili pressioni statunitensi. Non sembra casuale, quindi, che, nelle Conclusioni del 26 giugno, il Consiglio europeo abbia omesso di menzionare possibili sviluppi futuri in merito al commercio con le colonie israeliane.

3. Il disinteresse per i diritti umani

Tra il 2024 e il 2025, il Rappresentante speciale per i Diritti umani dell’UE ha redatto due Rapporti sulla situazione in Medio-oriente, nei quali si rileva il mancato rispetto per i diritti umani, “elemento essenziale” dell’Accordo di associazione UE-Israele. Sebbene tali Rapporti non siano vincolanti né rappresentino la posizione ufficiale dell’Unione, essi rivestono una certa rilevanza, in quanto suggeriscono una critica – sia pur implicita e indiretta – nei confronti di Israele. In questo senso, i Rapporti del Rappresentante speciale per i Diritti umani possono essere ricondotti alla lunga serie di strumenti di soft law attraverso cui le istituzioni dell’Unione contribuiscono all’attuazione delle sue politiche, anche al di là di quanto espressamente previsto dai Trattati (cfr., fra gli altri, Eliantonio et al. 2023).

L’effetto principale dei Rapporti è quello di certificare – se mai ve ne fosse bisogno – che Israele ha commesso gravi infrazioni del diritto internazionale e dei diritti umani a Gaza, violando così un “elemento essenziale” dell’Accordo di associazione con l’UE. Tale violazione giustificherebbe l’adozione di misure nei confronti di Israele – come la sospensione dell’Accordo – che, tuttavia, il Consiglio non ha adottato.
Questa inazione da parte dell’UE si inserisce, peraltro, in continuità con la sua precedente politica di passività nei confronti di Israele. Contrasta, invece, con la reattività mostrata verso altri Stati: l’Unione ha già sospeso accordi con Stati terzi, o adottato altre misure sanzionatorie, in risposta a violazioni del diritto internazionale (si vedano, ad esempio, i casi di Siria e Russia citati sopra). Pare dunque vero che l’Unione contribuisce alla “rigorosa osservanza” del diritto internazionale, come richiesto dai Trattati (art. 3, par. 5, TUE), ma solo nelle relazioni con alcuni Stati terzi.

La passività dell’UE nei confronti di Israele non è una conseguenza del requisito dell’unanimità in Consiglio, spesso indicato come il principale ostacolo all’azione esterna dell’Unione. L’UE potrebbe infatti sospendere parte dell’Accordo di associazione con Israele, o adottare altre misure, con una maggioranza qualificata degli Stati membri. L’inazione dell’Unione è piuttosto il risultato delle priorità politiche della Commissione e di una parte significativa degli Stati membri, i quali – come osservato dal Primo ministro sloveno – “hanno deciso di dare priorità ai propri interessi e non ai diritti umani del popolo palestinese” (ANSA). Il rispetto dei diritti umani, evidentemente, non costituisce un elemento “essenziale” dell’Associazione UE-Israele.

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