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LA NUOVA LEGGE ITALIANA SULLO SPAZIO: UN’ANALISI ATTRAVERSO LA LENTE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

Riccardo Ricchetti (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

A sessantuno anni dal lancio del San Marco 1 – il terzo satellite nella storia dopo il sovietico Sputnik 1 e lo statunitense Explorer 1 – il  Parlamento italiano ha approvato la Legge 13 giugno 2025, n. 89, che reca disposizioni in materia di economia dello spazio (di seguito “legge spazio”). Dopo un iter parlamentare durato circa un anno, il testo definitivo si compone di trentuno articoli, suddivisi nei seguenti titoli: i) disposizioni generali, ii) disposizioni in materia di esercizio delle attività spaziali da parte di operatori spaziali, iii) immatricolazione degli oggetti spaziali, iv) responsabilità degli operatori spaziali e dello Stato, v) misure per l’economia dello spazio.

Il presente contributo si propone di esaminare la compatibilità della nuova normativa italiana con il quadro giuridico internazionale vigente, conosciuto nel suo complesso come Corpus Iuris Spatialis (cfr. von der Dunk et al.). Un’analisi critica del provvedimento consentirà, inoltre, di valutare la capacità del nuovo impianto regolatorio di garantire certezza giuridica agli operatori e, al contempo, attrattività per gli investimenti privati, consolidando la posizione dell’Italia come player spaziale di primo piano nel panorama globale.

L’esigenza di una disciplina nazionale in materia di spazio si inserisce in un contesto cosmico in rapida evoluzione, divenuto oramai un teatro popolato da una pluralità di soggetti, pubblici e privati, spesso animati da logiche economiche e commerciali. Nonostante la straordinaria capacità del Corpus Iuris Spatialis di garantire un lungo periodo di relativa pace e ordine oltre l’atmosfera terrestre, occorre sottolineare come i trattati che lo compongono – Outer Space Treaty (OST), Rescue Agreement (ARRA), Liability Convention (LIAB), Registration Convention (REG), Moon Agreement (MOON) – non siano stati concepiti per affrontare l’esponenziale domanda di accesso allo spazio da parte degli operatori privati. Per tale ragione, essi sono prive di norme di dettaglio e, pertanto, necessitano di meccanismi di implementazione a livello internazionale e domestico. Di conseguenza, oltre quaranta Paesi (cfr. National Space Law Database – UNOOSA) hanno adottato delle proprie legislazioni nazionali, recependo parte dei contenuti dei trattati internazionali menzionati.

In questo quadro, l’Italia, pur avendo ricoperto fin dagli albori dell’era spaziale un ruolo da protagonista, era rimasta priva di una legislazione organica del settore. L’apporto italiano in questo campo è infatti risultato evidente sin dai primi anni Sessanta: non soltanto il primo oggetto europeo a varcare la linea di Kármán fu italiano, ma a questo primato hanno fatto seguito numerosi progetti pioneristici in collaborazione con le principali agenzie spaziali mondiali. In aggiunta, l’Italia può da tempo vantare un tessuto industriale, manifatturiero e accademico-scientifico di eccellenza, in grado di dare un contributo essenziale a importanti missioni di esplorazione e ricerca nel cosmo. Ciononostante, l’approccio seguito dal legislatore italiano si è limitato, da un lato, all’adesione ai principi espressi dal Corpus Iuris Spatialis,con la sola eccezione del Moon Agreement, e, dall’altro, a un progressivo adattamento istituzionale per garantire una politica spaziale unica e coerente a livello nazionale.

La L. 89/2025 colma, quindi, una significativa lacuna nell’ordinamento interno, disciplinando l’accesso degli attori privati nazionali allo spazio, stabilendo una procedura dettagliata per il rilascio delle autorizzazioni a operare, istituendo un registro nazionale degli oggetti spaziali lanciati e definendo il regime di responsabilità per danni derivanti da attività spaziali.

1. Il modello dell’International Law Association

Nel delineare l’ossatura della nuova legge spazio, il legislatore italiano ha inteso ricalcare in maniera evidente il modello proposto dalle Sofia Guidelines on a Model Law for National Space Legislation (di seguito, “ILA Model Law”), elaborate in occasione della settantacinquesima conferenza dell’International Law Association (ILA) e successivamente adottate dal Comitato per gli Usi Pacifici dello Spazio Extra-Atmosferico (COPUOS). Tali linee guida, frutto di un approfondito lavoro di armonizzazione giuridica, offrono uno schema di riferimento per gli Stati interessati a sviluppare o aggiornare la propria legislazione spaziale nazionale (cfr. Hobe). Pur rientrando nella categoria degli atti di soft law,e quindi privo di carattere vincolante, è innegabile come tale modello abbia contribuito a consolidare elementi comuni tra i diversi ordinamenti nazionali, così facilitando la cooperazione e riducendo le incertezze interpretative.

In particolare, l’ILA Model Law identifica cinque macroaree ritenute fondamentali per una legislazione nazionale in materia di spazio: i) finalità e definizioni generali, ii) autorizzazione e supervisione, iii) registrazione, iv) responsabilità e obblighi assicurativi, v) giurisdizione e sanzioni. Risulta evidente la corrispondenza con la struttura intorno alla quale si articola la legge italiana, che riprende esattamente nei primi quattro titoli le tematiche individuate dal modello internazionale. Analogo approccio è stato adottato con riferimento alle principali legislazioni nazionali in materia di spazio adottate sino ad ora – in particolare dai Paesi europei e da alcuni dell’area africana e latino-americana – a dimostrazione del valore indiscusso dell’ILA Model Law quale strumento di armonizzazione e codificazione del diritto internazionale spaziale.

2. I tre building blocks della legge spazio al vaglio del diritto internazionale

Nel solco dell’ILA Model Law, ogni ordinamento nazionale in materia di spazio si articola idealmente attorno a tre building blocks: autorizzazione e vigilanza, immatricolazione o registrazione e responsabilità (cfr. von der Dunk 2006, p. 95). In tal senso, la legge spazio segue perfettamente tale tripartizione, introducendo contemporaneamente alcune specificità legate alla realtà istituzionale nazionale.

2.1. Lautorizzazione e vigilanza delle attività spaziali

Il primo blocco – il regime di autorizzazione e vigilanza – trova una disciplina dettagliata nel Titolo II della Legge n. 89/2025 e rappresenta la trasposizione interna del dettato dell’articolo VI OST, il quale individua gli Stati come i soggetti internazionalmente responsabili sia per le attività condotte di propri organi, sia per quelle compiute da soggetti non governativi. Tale principio, discostandosi parzialmente dalle regole generali di diritto internazionale sull’attribuzione delle condotte dei privati allo Stato, impone ai singoli Paesi di predisporre un sistema efficace di autorizzazione e supervisione continua, volto a prevenire l’assunzione di responsabilità internazionale per operatori non autorizzati o non sottoposti ad alcuna forma di controllo (cfr. Zannoni).

In linea con tale principio, la legge spazio dispone che tutte le attività spaziali «condotte da operatori di qualsiasi nazionalità, nel territorio italiano nonché […] condotte da operatori italiani al di fuori del territorio italiano» debbano essere previamente autorizzate dalla cosiddetta “Autorità responsabile”, identificabile con «il Presidente del Consiglio dei ministri o lAutorità politica delegata alle politiche spaziali e aerospaziali».

La procedura amministrativa per il rilascio dell’autorizzazione prevede la compartecipazione di una pluralità di attori istituzionali. In primo luogo, l’Agenzia spaziale italiana (ASI) è incaricata, entro sessanta giorni, di effettuare gli accertamenti necessari circa la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi indicati agli articoli 5 e 6. In caso di esito positivo, l’istruttoria viene trasmessa all’Autorità responsabile, al Ministero della Difesa e al Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca aerospaziale (COMINT). Quest’ultimo valuta che l’attività spaziale oggetto della richiesta non possa rappresentare un pregiudizio per la sicurezza nazionale, per la continuità delle relazioni internazionali e per gli interessi fondamentali della Repubblica. Nello svolgere tale esame, il COMINT ha facoltà di adire le amministrazioni pubbliche potenzialmente interessate, nonché gli organismi di informazione e sicurezza della Repubblica, il Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. La decisione definitiva sulla domanda di autorizzazione deve essere necessariamente adottata «entro il termine massimo complessivo di centoventi giorni».

L’ampio coinvolgimento interistituzionale appare giustificato dalla necessità di garantire una procedura di rilascio dell’autorizzazione oggettiva e trasparente, in grado di bilanciare i diversi interessi coinvolti. Tuttavia, l’efficacia del regime descritto potrà essere compiutamente valutata solo sulla base della sua concreta implementazione. Difatti, esso appare particolarmente complesso e rischia di tradursi in ritardi burocratici, duplicazioni procedurali e crescente incertezza giuridica per gli operatori. In un settore dinamico e altamente competitivo come quello spaziale, un approccio troppo rigido o gravoso potrebbe scoraggiare gli investimenti, ostacolare l’innovazione e compromettere la competitività. Sarà, dunque, fondamentale che i decreti attuativi introducano criteri chiari e tempi certi, garantendo un equilibrio reale tra le esigenze di sicurezza e quelle di sviluppo del settore.

Per completare la trattazione, la legge spazio introduce un sistema di vigilanza da parte dell’ASI, riconoscendo a quest’ultima la facoltà di accedere a tutti i documenti e alle informazioni relative all’attività spaziale autorizzata e all’oggetto spaziale lanciato in orbita. Nell’ipotesi in cui le operazioni di controllo non possano essere espletabili per cause imputabili all’operatore, la legge dispone l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 150mila a 500mila euro. In forma più grave, l’esercizio non autorizzato di attività spaziali, ovvero il loro proseguimento oltre la scadenza della stessa, comporta, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, la pena della reclusione da tre a sei anni e della multa da 20mila a 50mila euro.

Degna di nota è il meccanismo di riconoscimento dell’autorizzazione concessa da parte di altri Stati, purché conformi a criteri equivalenti a quelli richiesti dalla legge spazio o in virtù di un accordo bilaterale. Sebbene in apparenza tale previsione possa apparire marginale, in realtà essa risponde a una concreta esigenza sollevata dagli operatori privati, spesso penalizzati dalla frammentazione normativa e dalla necessità di ottenere plurime autorizzazioni.

Alla luce di quanto esposto, i meccanismi di autorizzazione e vigilanza predisposti dalla nuova legge italiana attuano il dettato dell’articolo VI OST e, di conseguenza, aderiscono all’obbligo da parte dello Stato di garantire che le attività spaziali autorizzate siano in conformità con il diritto internazionale (cfr. von der Dunk 2011). In aggiunta, il regime sanzionatorio previsto rispecchia la norma di chiusura dell’ILA Model Law, la quale impone di stabilire una sanzione amministrativa in caso di attività spaziali non autorizzate in virtù della gravità dell’infrazione. Tuttavia, a differenza di quest’ultima, la legge italiana ricorre a sanzioni di natura penale.

2.2. Limmatricolazione degli oggetti spaziali

Esaurita l’analisi del regime autorizzativo, il Titolo III si concentra su un altro building block, ossia l’immatricolazione o registrazione degli oggetti spaziali.

L’obbligo di registrazione trova il suo fondamento giuridico nella Registration Convention de 1975, la quale impone agli Stati parte di istituire un registro nazionale per gli oggetti spaziali lanciati da aree che si trovano sotto la propria giurisdizione o il proprio controllo e di trasmettere «non appena possibile» una serie di dati identificativi al Segretario Generale delle Nazioni Unite (artt. II- IV REG).

Accanto al registro nazionale, la risoluzione 1721(XVI) del 1961 approvata dall’Assemblea generale ONUdispone la creazione del cosiddetto resolution register presso il Segretario Generale ONU. Sebbene di natura volontaria e aperta anche a Stati non parte della Registration Convention, questo strumento assume un ruolo chiave nel favorire la cooperazione e la trasparenza a livello globale.

L’obbligo di registrazione a livello nazionale e internazionale risponde a due esigenze. In primo luogo, l’immatricolazione consente di identificare lo Stato di lancio di un oggetto spaziale, con evidenti ricadute in termini d’individuazione del soggetto responsabile di eventuali danni (cfr. Cheng, 1997). In secondo luogo, i due registri consentono una condivisione costante delle informazioni relative agli oggetti spaziali, adempiendo gli obblighi di trasparenza espressi dallo stesso Corpus Iuris Spatialis (cfr. Lyall e Larsen, pp. 75-115). Tale funzione è stata ulteriormente ribadita dalle Guidelines for the Long-term Sustainability of Outer Space Activities (LTS Guidelines), approvate dal COPUOS nel giugno 2018. Segnatamente, la guideline A.5 incoraggia gli Stati e le organizzazioni internazionali a mantenere registri accurati e aggiornati, sottolineando l’importanza della registrazione ai fini della sicurezza operativa e della sostenibilità a lungo termine delle attività nello spazio extra-atmosferico.

L’Italia, aderendo alla Registration Convention, aveva già ottemperato, sin dal 2005, all’obbligo di istituzione di un registro tenuto dall’ASI. La Legge n. 89/2025 conferma tale assetto e lo rafforza significativamente, mutuando integralmente l’articolo 10 dellILA Model Law e prevedendo l’istituzione un registro pubblico nazionale, accessibile e strutturato secondo le specifiche tecniche della Convenzione del 1975.

In sintesi, il nuovo quadro normativo italiano in materia di registrazione si caratterizza per una rigorosa adesione agli standard internazionali e per l’introduzione di strumenti idonei a rispondere alle sfide emergenti derivanti dalla crescente commercializzazione dello spazio. Tuttavia, l’efficacia di tale sistema dipenderà in larga misura dalle modalità di gestione affidate all’ASI e dal grado di accessibilità dei registri.

2.3. La responsabilità per danni causati da attività spaziali

Un altro tema di cruciale importanza trattato è relativo alla responsabilità degli operatori spaziali pubblici e privati per i danni causati dalle loro attività. Mediante il Titolo IV, la legge spazio affronta i profili della responsabilità civile degli operati spaziali e ne regola le implicazioni risarcitorie.

Il riferimento imprescindibile a livello internazionale è costituito dalla Liability Convention del 1972, la quale stabilisce un regime di responsabilità, come pacificamente accettato dalla dottrina internazionalistica (cfr. Cheng), di natura oggettiva e assoluta per i danni causati sulla superficie terrestre o agli aeromobili in volo e alle persone e cose che si trovano a bordo di questi ultimi (art. II LIAB). Ciò comporta che l’operatore sia ritenuto sempre responsabile, con l’unica eccezione dell’ipotesi in cui dimostri che il danno sia stato causato esclusivamente e dolosamente dalla condotta di un terzo e che non sia stato possibile impedire tale condotta. Diversamente, la responsabilità sarà ritenuta per colpa solo nel caso di danni occorsi nello spazio extra-atmosferico (art. III LIAB).

La legge spazio recepisce tale impostazione, affermando all’articolo 18 un principio generale di responsabilità civile dell’operatore per i danni causati da attività spaziali. Tale approccio si ispira all’articolo 11(a) dell’ILA Model Law, il quale suggerisce agli Stati di inserire nelle proprie legislazioni nazionali una norma specifica per la responsabilità dell’operatore. Tuttavia, la normativa italiana presenta alcune differenze rispetto al modello internazionale.

In primo luogo, la disciplina nazionale non distingue tra danno causato sulla superficie terrestre o a un aeromobile in volo e danno provocato altrove. In questa particolare ipotesi, invero, il diritto internazionale ritiene che tale responsabilità sia di natura colposa, come ad esempio in caso di danno arrecato a una infrastruttura nello spazio extra-atmosferico, ma i redattori italiani sono rimasti silenti sul punto. Nonostante ciò, l’Italia ha sottoscritto la Convenzione del 1972 e conseguentemente accoglie quanto stabilito dall’articolo III della stessa, il quale prevede proprio questa distinta forma di responsabilità per il caso specifico sopra riportato.

In secondo luogo, merita attenzione il riferimento all’articolo 1227 del Codice civile, prevedendo un parallelismo tra concorso del fatto colposo del danneggiato e concorso del fatto colposo del creditore. La scelta di recuperare un istituto esistente nell’ordinamento civile e riadattarlo a una fattispecie completamente nuova è particolarmente significativa, poiché dimostra come anche degli strumenti giuridici domestici possano essere utili a colmare le lacune presenti nel diritto dello spazio (cfr. Jakhu).

Proseguendo, l’articolo 19 disciplina l’azione di rivalsa che promuove lo Stato nei confronti degli operatori spaziali che abbiano cagionato danni a Stati esteri, secondo quanto stabilito dalla Liability Convention. Quest’ultima dispone che lo Stato che subisce un danno possa presentare allo Stato di lancio una domanda di riparazione. Definito l’an e il quantum del risarcimento, lo Stato italiano potrà a sua volta rivalersi sull’operatore spaziale responsabile del danno «entro 24 mesi dallavvenuto adempimento delle obbligazioni risarcitorie».

Viceversa, in caso di danni causati sul territorio italiano da uno Stato straniero, il danneggiato potrà presentare «denunzia di sinistro e istanza di risarcimento allo Stato italiano, entro sei mesi dal verificarsi del danno o da quando gli effetti sono emersi». Questo comporta che lo Stato italiano chieda e ottenga dall’omologo straniero il risarcimento del danno patito e che versi «le relative somme alle persone danneggiate che hanno presentato denunzia». Se ciò non dovesse avvenire a causa della mancata domanda di riparazione da parte italiana entro i termini previsti o in caso di risarcimento insoddisfacente, la vittima sarà legittimata a «proporre domanda di risarcimento […] direttamente nei confronti dello Stato italiano, entro cinque anni decorrenti dalla scadenza del termine concesso allo Stato italiano per presentare la domanda di risarcimento o dalla comunicazione avente a oggetto l’esito della denunzia».

Senza addentrarsi nelle questioni procedurali, è possibile individuare un fil rouge tra le disposizioni richiamate: garantire, in modo tempestivo e completo, un’equa riparazione del danno patito. Al contempo, il passaggio da una visione puramente interstatale in materia di responsabilità per danni causati da attività spaziali a una che vede il coinvolgimento degli operatori privati responsabili, soprattutto in termini risarcitori, va letto nell’ottica dell’articolo VI OST.

Al fine di garantire l’adempimento delle eventuali obbligazioni risarcitorie, l’articolo 21 impone la stipula di «contratti assicurativi o altra idonea garanzia finanziaria a copertura dei danni derivanti dall’attività spaziale con massimale pari a 100 milioni di euro per ciascun sinistro». Precisamente, il massimale è calcolato sulla base di tre fasce di rischio, definite mediante un successivo decreto attuativo, e può essere ridotto fino al 50% per le attività meno pericolose. Di fronte a un operatore che «persegue esclusiva finalità di ricerca o che è qualificato come start-up innovativa [n.d.r. il massimale sarà pari a] 20 milioni di euro per ciascun sinistro».

In definitiva, il tema della responsabilità per i danni provocati dalle attività spaziali trova ampio riscontro nella legge italiana, il quale non manca di ispirarsi alle principali norme internazionali di riferimento. L’introduzione di meccanismi finalizzati all’ottenimento tempestivo del risarcimento dovuto e l’introduzione di un obbligo assicurativo per gli operatori rendono la legge spazio un valido strumento per contribuire a promuovere una crescita sostenibile e sicura delle attività spaziali nel contesto nazionale, e soprattutto globale.

3. Le misure per la space economy e la riserva di capacità trasmissiva nazionale

Il Titolo V rappresenta l’assoluta novità della L. 89/2025, in quanto getta le basi di una politica industriale nazionale in materia di spazio. Esso prevede, da un lato, l’istituzione di un Fondo nazionale per l’economia dello spazio e, dall’altro, la redazione di un piano quinquennale di investimenti per il settore. In aggiunta, vengono introdotte procedure semplificate per favorire la costituzione di partenariati pubblici-privati, con specifiche misure dedicate a start-up e piccole e medie imprese.

Benché attengano prevalentemente a profili economico-finanziari e amministrativi, alcune previsioni di tale sezione assumono rilievo sul piano internazionale e rivelano l’orientamento strategico dell’Italia nel dominio spaziale.

In particolare, la norma che qui trova un approfondimento è l’articolo 25. La sua formulazione definitiva, risultante da un intenso confronto parlamentare, istituisce la cosiddetta riserva di capacità trasmissiva nazionale (RCTN), avente lo scopo di «garantire la massima diversificazione nonché la sicurezza nazionale, sia satelliti sia costellazioni in orbita geostazionaria, media e bassa, gestiti esclusivamente da soggetti appartenenti all’Unione europea o all’Alleanza atlantica, anche in modo da assicurare un adeguato ritorno industriale per il sistema Paese», nonché di assicurare « in situazioni critiche o di indisponibilità delle principali dorsali di interconnessione delle reti terrestri, un instradamento alternativo e con velocità di trasmissione adeguata alle comunicazioni tra

nodi di rete strategici per applicazioni di natura governativa o di interesse nazionale, ivi comprese le funzionalità e le comunicazioni del cloud nazionale».

La RCTN si configura come una risorsa di emergenza, su cui poter fare affidamento nell’eventualità in cui le reti di comunicazione terrestre siano inutilizzabili, a causa di disastri, emergenze o potenziali conflitti armati. La RCTN fungerebbe, pertanto, da binario parallelo attraverso cui assicurare la continuità dello scambio di comunicazioni e il corretto funzionamento dell’apparato pubblico. Ciò presuppone il ricorso a costellazioni satellitare e all’archiviazione in cloud di una moltitudine di dati sensibili, conservati su infrastrutture satellitari in orbita LEO e MEO.

La norma in questione ha sollevato fin dalla sua presentazione diversi interrogativi circa la gestione delle infrastrutture spaziali strategiche sul piano nazionale. Come anticipato, l’inedita presenza di attori privati ha inevitabilmente inciso sul controllo delle comunicazioni satellitari e sulla sicurezza dei singoli Paesi, offrendo, da un lato, tecnologie all’avanguardia e minando, dall’altro, il monopolio pubblico in questo settore. In tale quadro, la previsione che la gestione di infrastrutture critiche quali la RCTN avvenga esclusivamente da soggetti appartenenti all’Unione europea o alla NATO riflette la crescente attenzione alla sicurezza cibernetica e alla protezione dei dati strategici, in linea con l’attuale assetto geopolitico.

Sul punto, risulta significativo il richiamo implicito alla costellazione IRIS2 (Infrastructure for Resilience, Interconnectivity and Security by Satellite), cogestita dall’ESA e dall’Agenzia europea per il programma spaziale (EUSPA). Questo progetto europeo incarna le medesime finalità assegnate alla RCTN: resilienza, interconnessione e protezione (sul punto v. ESPI). Tuttavia, la realizzazione di IRIS2 ha subito diverse battute di arresto nel corso degli anni, evidenziando una grave lacuna nella visione spaziale strategica europea. A oggi, infatti, nessuna infrastruttura satellitare pubblica europea è in grado di assolvere le finalità della RCTN. Al contrario, la tecnologia necessaria è attualmente fornita da soggetti privati, in particolare dalla statunitense SpaceX, leader indiscussa nel settore. Non solo SpaceX ha dispiegato un numero di satelliti imparagonabile rispetto ai propri concorrenti, ma soprattutto la società spaziale fondata da Elon Musk possiede una nuova generazione di direct to cell satellites, i quali non necessitano della presenza di infrastrutture terrestri per operare. È evidente come tale disparità renda Starlink, allo stato attuale, la realtà più competitiva attualmente sul mercato.

Ciononostante, è opportuno soffermarsi su quelli che sono gli elementi critici derivanti dal possibile affidamento di questi servizi a un soggetto privato. Tralasciando le valutazioni di natura politica che esulano dal presente contributo, è condivisibile che le infrastrutture spaziali connesse alla sicurezza di un Paese permangano nelle mani di soggetti istituzionali, ovvero di partenariati pubblico-privati sotto adeguato controllo statale. Pertanto, è indubbio che l’esecutivo italiano debba valutare attentamente tali aspetti e predisporre strumenti idonei a garantire la sicurezza pubblica. Sul punto, l’intenzione dichiarata nella legge spazio non è quella di utilizzare in via esclusiva un’unica costellazione satellitare. Al contrario, il Governo ha espresso la necessità di creare una costellazione satellitare italiana da utilizzare per le finalità sopra riportate e, al contempo, ha avviato interlocuzione anche con altri soggetti privati oltre alla già menzionata Space X. Nell’ottica di diversificazione, appare rilevante una potenziale alternativa rappresentata dalla costellazione OneWeb del gruppo Eutelsat.

Ad ogni modo, l’articolo 28 della legge spazio esclude l’applicabilità della stessa alle attività spaziali condotte dal Ministero della difesa e dagli organismi di informazione per la sicurezza della Repubblica. La medesima norma reca, inoltre, un richiamo esplicito ai poteri speciali di golden power, esercitabili dall’esecutivo anche sugli assetti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per l’attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Così facendo, il nuovo provvedimento italiano sembra fugare i dubbi circa i rischi per la difesa nazionale, assicurando un forte controllo pubblico in tale contesto.

4. Conclusione

L’adozione della Legge 89/2025 rappresenta una tappa fondamentale nel consolidamento del ruolo dell’Italia nel panorama spaziale globale. Essa non si configura soltanto come una risposta normativa alla crescente rilevanza strategica del dominio extra-atmosferico, ma altresì come uno strumento cruciale per rafforzare la competitività del sistema industriale nazionale nell’ambito della space economy.

Sotto il profilo giuridico, il testo normativo si pone in coerenza con i principi fondamentali del Corpus Iuris Spatialis, recependo le fonti internazionali e ricalcando il Model Law on National Space Legislation dell’International Law Association. Tale approccio conferma la consapevolezza, già riconosciuta in dottrina (cfr. Jakhu), della necessità di integrare il diritto interno con una solida architettura giuridica sovranazionale, capace di garantire prevedibilità, responsabilità e sostenibilità nell’esercizio delle attività spaziali.

Degna di nota è, inoltre, la volontà del legislatore di superare la tradizionale centralità delle agenzie pubbliche, favorendo l’emersione di un ecosistema imprenditoriale nazionale in cui gli operatori privati possano operare autonomamente lungo l’intera catena del valore. In tal senso, l’Italia si afferma oggi come uno dei pochi Stati operativi lungo tutto lo spettro delle attività spaziali, condizione che le conferisce un vantaggio competitivo strutturale.

Ciononostante, l’effettiva portata della legge spazio dipenderà dalla sua attuazione. La validità teorica, infatti, dovrà tradursi in meccanismi applicativi efficaci e adattabili all’evoluzione del settore. I decreti attuativi avranno, quindi, un ruolo cruciale nel definire in concreto l’effettivo impatto del provvedimento sul settore spaziale nazionale. Senza un’implementazione chiara e flessibile, sorge il rischio che gli obiettivi normativi restino confinati all’ambito programmatico, senza incidere sul dato reale.

Occorre, infine, richiamare la recente proposta dell’EU Space Act presentata dalla Commissione europea. Sarà fondamentale comprendere se e come il regolamento europeo potrà integrarsi con le legislazioni nazionali adottate da tredici Stati membri, evitando sovrapposizioni. Solo mediante la costruzione di una cornice giuridica condivisa, nei limiti imposti dai trattati europea, l’Italia potrà realmente tradurre in sostanza il motto dell’ASI: «La strada che porta allo spazio passa per il nostro Paese».

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Riccardo Ricchetti

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