diritto dell'Unione europea

La Corte costituzionale portoghese tra emergenza finanziaria, prestiti internazionali e principi costituzionali: un compromesso ‘calcolato’?

Il dibattito sulla strategia di consolidamento delle finanze pubbliche nell’Unione europea trova un nuovo apporto nella sentenza n. 187/2013 del 5 aprile scorso, con cui la Corte costituzionale del Portogallo ha dichiarato parzialmente incostituzionale la legge n. 66-B/2012 sul bilancio dello Stato per il 2013 già approvata dal Parlamento.

L’ammanco di bilancio derivante dall’espunzione degli interventi dichiarati incostituzionali viene indicato dalla stampa specializzata in 1,3 miliardi di euro: il governo di Lisbona dovrà trovare una pronta soluzione, pena la discordanza tra i risultati sul rientro del debito sovrano ed i parametri di politica economica fissati per ricevere i prestiti internazionali per l’anno in corso. In tale ottica, le indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale delimitano, ma non precludono, i margini di manovra dell’esecutivo e del legislatore.

Infatti, il giudizio della Corte si inscrive nella considerazione della congiuntura di “emergenza finanziaria” cui le misure impugnate intendono far fronte nell’ambito di una strategia pluriennale (v. sentenza n. 187/2013, par. 26 e 35). Considerando legittimo l’obiettivo del riequilibrio delle finanze pubbliche in un contesto di “particolare eccezionalità”, perché volto alla preservazione delle capacità di finanziamento dello Stato e, per ciò stesso, allo svolgimento delle sue funzioni essenziali (v. ivi, par. 30), la Corte raggiunge conclusioni bilanciate nell’applicare i principi costituzionali invocati dai ricorrenti.

Così, secondo la Corte, la congiuntura eccezionale giustifica il mantenimento per il terzo anno consecutivo della riduzione delle retribuzioni lorde mensili superiori ai 1500 euro dei lavoratori nel settore pubblico (l. n. 66-B/2012, art. 27), sia rispetto al principio costituzionale del legittimo affidamento, data la dimensione pluriennale della strategia di risposta alla crisi del debito sovrano, sia nei confronti del principio di uguaglianza, in virtù dell’efficacia certa ed immediata del sacrificio addizionale temporaneamente richiesto ai lavoratori del settore pubblico rispetto al settore privato (v. sentenza n. 187/2013, par. 27 e 44). Al contrario, viene sottolineato come, cessata l’urgenza immediata, il legislatore avrebbe potuto individuare misure alternative al rinnovo della sospensione del pagamento delle indennità per ferie degli impiegati pubblici (l. n. 66-B/2012, art. 29), il cui effetto continuativo e cumulativo con l’altra misura si traduce in una differenziazione di trattamento eccessiva (v. sentenza n. 187/2013, par. 41 e 44).

Pervasa dall’approccio brevemente tratteggiato, la sentenza presenta molti altri punti meritevoli di attenzione, perché estende l’analisi a numerosi interventi che incidono negativamente non solo sulle retribuzioni dei lavoratori nel settore pubblico, ma anche sulle pensioni, sulla tassazione del reddito delle persone fisiche e sulle prestazioni sociali per malattia e disoccupazione, ritenuti in parte giustificati dalla situazione economica eccezionale rispetto ad un ampio spettro di principi e diritti tutelati dalla costituzione.

Ad esempio, nella sentenza della Corte costituzionale portoghese è centrale il rapporto tra le misure di bilancio 2013 e l’assistenza finanziaria accordata al Portogallo dall’Unione europea, in coordinamento con il Fondo monetario internazionale e gli Stati membri, a partire dal 2011. La sentenza contribuisce alla dialettica tra gli attori istituzionali interessati, che a mio avviso palesa la fase di travaglio e aggiustamento che l’Unione sta attraversando in relazione alla crisi economica e finanziaria.

Primo, il Tribunal Constitucional Portugal ricorda a più riprese che la legge finanziaria 2013 si inquadra “nell’ambito della concretizzazione di un orientamento strategico connesso al perseguimento di uno sforzo di consolidamento finanziario previsto nel Programma di aggiustamento economico e finanziario (PAEF) concordato tra il governo portoghese e [la ‘troika‘ (Commissione, FMI, BCE)]”. La Corte ricostruisce l’insieme degli strumenti giuridici rilevanti: su richiesta del Portogallo, costretto dall’emergenza finanziaria, il programma veniva concordato nel maggio 2011; i parametri di politica economica generali ivi previsti, tra cui quelli relativi al bilancio annuale, venivano inoltre specificati tra il governo e la Commissione europea in un protocollo d’intesa su condizioni specifiche di politica economica. In particolare, nell’ambito del Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF, istituito nel 2010 con Regolamento UE sulla base dell’art. 122, par. 2 TFUE), una decisione di esecuzione del Consiglio approvava il PAEF e concedeva al Paese assistenza finanziaria per un periodo triennale, con un prestito erogato in tranches, i cui pagamenti sarebbero stati subordinati ad una valutazione positiva della Commissione sul soddisfacimento dei parametri fissati nella decisione stessa e nel protocollo (v. sentenza n. 187/2013, par. 1).

Secondo, quale valore giuridico è attribuito a questo insieme di strumenti dalla stessa Corte? Il protocollo di intesa con la Commissione, così come il memorandum con il FMI, sono considerati strumenti vinculativos per il Portogallo, dal momento che “se fundamentam em instrumentos jurídicos – os Tratados institutivos das entidades internacionais que neles participaram, e de que Portugal é parte – de Direito Internacional e de Direito da União Europeia, os quais são reconhecidos pela Constituição, desde logo no artigo 8.º, n.º 2. Assim, (…) o memorando de entendimento específicas de política económica se fundamenta, em última análise, no artigo 122º, n.º 2, do Tratado sobre o Funcionamento da União Europeia” (ivi, par. 29). Anzi, la necessità di rispettare i memorandum con il FMI e l’Unione europea è motivo di giustificazione del mancato rispetto del principio di uguaglianza, nei limiti della proporzionalità, di alcune misure impugnate (v. ivi, par. 41 e 68).

Il terzo elemento del rapporto tra misure di austerità degli Stati membri dell’Unione e assistenza finanziaria dell’Unione riguarda, invertendo la prospettiva, la collocabilità delle prime nel campo di applicazione del diritto dell’Unione. In proposito, occorre tener presente la pluralità dei contesti giuridici cui sono riconducibili tali misure, come emerge anche dalla prassi più recente delle corti. Cercando tra le ultime pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea, non scorgo posizioni che confutino l’inquadramento operato dal giudice costituzionale portoghese, perché, appunto, i casi affrontati sono diversi. Innanzitutto, nell’ordinanza del 7 marzo 2013, la Corte di giustizia si dichiara manifestamente incompetente sulla questione pregiudiziale sollevata dal Tribunal do Trabalho do Porto sulla conformità al diritto dell’Unione, specialmente alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, della riduzione delle retribuzioni dei lavoratori nel settore pubblico prevista nella legge finanziaria portoghese del 2010 per il 2011 (misura, peraltro, già dichiarata non incostituzionale dalla Corte costituzionale lusitana con sentenza n. 396/2011, riprodotta nelle due leggi finanziarie successive, collegate al PAEF, e in questo contesto di nuovo dichiarata legittima nella sentenza n. 187/2013). L’incompletezza del provvedimento di rinvio è probabilmente alla base dell’ordinanza (v. par. 12). Comunque, è evidente che quella misura legislativa del 2010 perseguisse allora i target generali del Patto di stabilità, non ancora quelli specifici dettati dal protocollo di intesa del maggio 2011 – da considerarsi posti “em moldes formalmente mais vinculativos”, se si segue la Corte costituzionale portoghese (sentenze n. 396/2011, par. 5 e n. 187/2013, par. 41). È anche evidente la differenza tra gli strumenti considerati nella pronuncia portoghese del 5 aprile scorso e il Meccanismo europeo di stabilità, creato al di fuori dei Trattati dell’Unione e destinato a sostituirsi al MESF, oggetto dell’ormai famosa pronuncia Pringle della Corte di giustizia (causa C-370/12, sentenza del 27 novembre 2012; cfr. spec. par. 180 in cui la Corte nega l’applicabilità della Carta dei diritti fondamentali).

Quarto, non sono mancate reazioni puntuali da parte di altre istituzioni dell’Unione europea alla recente sentenza portoghese. La Commissione è intervenuta a sottolineare le rassicurazioni date dal governo di Lisbona subito dopo la sentenza, sull’impegno a rispettare gli obiettivi e le scadenze del PAEF, ammonendo che “a strong consensus around the programme will contribute to its successful implementation. In this respect, it is essential that Portugal’s key political institutions are united in their support” (Statement by the European Commission on Portugal, 7 aprile 2013). Pochi giorni dopo, peraltro, nell’incontro informale in cui si sarebbe dovuto decidere di prorogare le scadenze medie massime dei prestiti erogati anche sulla base del MESF, l’Ecofin si è pronunciato positivamente in tal senso, avendo ricevuto dal governo portoghese la rassicurazione che questi avrebbe presto provveduto a concordare con la troika ulteriori misure di risanamento del bilancio (v. Statement by the Eurogroup and the Ecofin Ministers, 12 aprile 2013).

È possibile ricondurre le posizioni assunte da istituzioni nazionali e dell’Unione sugli interventi di consolidamento del bilancio portoghese, a parametri giuridici che non lascino gli uni sordi o muti nei confronti delle esigenze degli altri? A mio avviso, in un contesto così intricato in cui l’obiettivo proclamato della stabilità finanziaria nella zona euro e nell’intera Unione europea (cfr. anche l’intervento di Roberto Cisotta su questo blog) è perseguito da più meccanismi e con articolate politiche economiche e sociali, che comportano il coinvolgimento sia delle istituzioni dell’Unione sia degli Stati membri, all’interno o all’esterno dell’ambito di applicazione dei Trattati UE, si ripropone la controversa questione del rapporto tra ordinamenti interni e principi fondamentali dell’Unione. Da ciò discende anche il particolare rilievo della previsione di un vincolo di coerenza e congruenza tra i vari strumenti predisposti nell’esercizio delle competenze dell’Unione, nell’attuazione del diritto dell’Unione e al di fuori di questi ambiti (v. qui, p. 293). Altresì, il sindacato di legittimità sull’operato, e di Stati membri, e di istituzioni dell’Unione, rispetto ai vincoli di tutela dei diritti umani derivanti pure dal diritto dell’Unione, risulterebbe rafforzato solo adottando un’interpretazione estensiva della nozione di campo di applicazione del diritto dell’Unione con riferimento ai diritti fondamentali.

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Lorenza Mola

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