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IL DIFFICILE BILANCIAMENTO TRA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E DIRITTI UMANI NEI VACCINI: LA COVAX FACILITY È UNA SOLUZIONE?

Chiara de Pascale (Università degli Studi di Milano)

1. Introduzione

Il 5 maggio 2021 Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, ha rilasciato una dichiarazione avanzando l’idea di sospendere temporaneamente i diritti sui brevetti dei vaccini anti COVID-19. Il Direttore Generale dell’OMS Tedros Ghebreyesus ha dichiarato che le affermazioni di Biden rappresentano un «monumental moment in the fight against COVID-19». Il resto del mondo non ha reagito in maniera univoca alla storica proposta di Biden: da un lato c’è stata la convinta e ferma opposizione di tutte le compagnie farmaceutiche e di alcuni Stati, come la Germania, dall’altro l’appoggio dei Direttori Generali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), oltre che di taluni Stati, tra cui l’Italia, la Cina e la Russia. Per quanto riguarda l’Unione europea, tra gli organi istituzionali dell’organizzazione si è creata una spaccatura sul tema: il 10 giugno 2021 il Parlamento europeo ha approvato la deroga temporanea proposta da Biden, ma la Commissione e il Consiglio dell’Unione si sono invece mostrati più restii.

La proposta di Biden riprende in realtà una posizione adottata da India e Sudafrica a ottobre 2020, a cui inizialmente gli Stati Uniti si erano opposti: i due Stati avevano suggerito la sospensione di alcune previsioni del TRIPs Agreement (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) per la prevenzione, il contenimento e il trattamento del COVID-19, ricevendo anche il supporto di organizzazioni non governative, come Amnesty International, e di alcuni esperti delle Nazioni Unite, ma incontrando la convinta opposizione di vari Stati membri dell’OMC (sulle reazioni alla proposta di India e Sudafrica, v. Dugard, Handmaker e Porter). In particolare, India e Sudafrica chiedevano una sospensione delle sezioni 1 (Copyright and Related Rights), 4 (Industrial Designs), 5 (Patents) e 7 (Protection of Undisclosed Information) della Parte II dell’accordo TRIPs, in modo da non creare barriere all’accesso temporaneo ai medicinali necessari per combattere il COVID, compresi i vaccini. L’8 e il 9 giugno 2021 gli Stati membri dell’OMC si sono riuniti, tra le altre cose, per discutere della proposta di Biden, ma non sono giunti ad una posizione comune, preferendo rimandare ogni decisione definitiva in proposito al prossimo incontro sull’accordo TRIPs, previsto per ottobre 2021. La possibile sospensione dei brevetti è infatti una questione particolarmente controversa, che è stata per anni oggetto di acceso dibattito in tutto il mondo: come noto, essa implica un complicato bilanciamento tra la tutela dei diritti legati alla proprietà intellettuale dei vaccini, garantita a livello internazionale dall’accordo TRIPs, e la protezione dei diritti umani, in particolare il diritto alla salute e il diritto a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni (tra molti, v. Boschiero).

La proposta di Biden, nonostante le potenzialità sotto il profilo della tutela dei diritti umani, in realtà presenta alcuni limiti. L’eventuale sospensione dei brevetti, infatti, pur rendendo i vaccini disponibili ad un costo più accessibile, potrebbe non garantire comunque il pieno accesso alle tecnologie da parte dei Paesi più arretrati che già non ne dispongano e che rischierebbero così di continuare a dipendere da altri per la produzione dei vaccini (v. Eccleston-Turner e Rourke). Nonostante l’eliminazione dei costi del brevetto, per la produzione è infatti necessario anche possedere le conoscenze indispensabili per lo sviluppo, oltre che avere la disponibilità economica per sopportare gli alti costi industriali richiesti per le tecnologie, i controlli di qualità, i principi attivi e le materie prime. Inoltre, la proposta di Biden relega in secondo piano la tutela della proprietà intellettuale, mentre è importante riconoscere e premiare l’aspetto del rischio industriale di sviluppo. Dopotutto, le aziende sono più propense a investire nell’ideazione e nella sperimentazione di un nuovo prodotto se sanno di poter poi ottenere un ritorno economico certo al momento della commercializzazione. Va però riconosciuto come la ricerca per lo sviluppo dei vaccini anti COVID è stata, in alcuni casi, finanziata anche con contributi pubblici (per esempio da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea) e sono stati quindi gli Stati ad addossarsi il rischio industriale. Tuttavia, concretizzando la proposta di Biden, si rischierebbe di creare un precedente tale da rendere le compagnie farmaceutiche più restie a investire in nuovi vaccini o farmaci: alle incertezze proprie delle fasi di sviluppo e sperimentazione si aggiungerebbero quelle legate al rischio di sospensione del brevetto (sul tema, v. Rowland).

Ci si chiede quindi se esista un’alternativa efficace e meno controversa che consenta di conciliare la tutela dei diritti umani con le regole imposte dall’accordo TRIPs. Per rispondere a questo interrogativo, occorre innanzitutto brevemente illustrare il problema da cui trae origine la proposta del Presidente statunitense: l’iniquità della distribuzione delle dosi vaccinali nel mondo. Si passerà poi ad evidenziare i termini del dibattito nato dalla proposta di sospendere i brevetti, ossia il conflitto tra le norme legate alla proprietà intellettuale e la tutela dei diritti umani. Infine, verrà analizzata l’iniziativa COVAX Facility, per capire se essa possa costituire una valida alternativa per conciliare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale con la tutela dei diritti fondamentali alla salute e ai benefici del progresso scientifico, garantendo un’equa distribuzione dei vaccini in tutto il mondo.

2. Nazionalismo vaccinale

La proposta di Biden nasce dall’evidenza che le dosi nell’ultimo anno non sono state distribuite in modo equo tra i vari Stati del mondo. Il 23 aprile 2021 il Direttore Generale dell’OMS Ghebreyesus ha denunciato l’iniquità nella distribuzione dei vaccini per il COVID-19, sottolineando come, sulle circa 900 milioni di dosi di vaccini somministrate fino a quel momento in tutto il mondo, oltre l’81% fosse destinato ai Paesi ad alto e medio reddito, mentre solo lo 0,3% a Paesi a basso reddito. Già precedentemente, il 18 gennaio 2021, il Direttore Generale aveva previsto gli effetti catastrofici di una distribuzione poco bilanciata dei vaccini contro il COVID-19. Anche il Bloomberg’s COVID-19 Vaccine Tracker ha evidenziato che al 9 febbraio 2021 gli Stati ad alto reddito si erano assicurati il 60% delle dosi di vaccini disponibili, pur rappresentando solo il 16% della popolazione mondiale: su 131 milioni di dosi distribuite in 73 diversi paesi, il 78% era destinato a Stati Uniti, Cina, Unione europea e Regno Unito (v. Sundaram e Chowdhury). La corsa degli Stati ad accaparrarsi vaccini per la propria nazione (“nazionalismo vaccinale”), contrasta però con la natura globale del COVID-19, che può essere sconfitto solo con l’immunizzazione della maggior parte della popolazione mondiale. Secondo l’OMS, gli effetti negativi del nazionalismo vaccinale non si attenueranno finché almeno il 70% della popolazione non sarà vaccinata, ossia fino al 2023/2024 (per un approfondimento sugli effetti del nazionalismo vaccinale, v. De Silva). Proprio per scongiurare il rischio di un ritardo nella comune lotta al COVID-19, l’Assemblea Mondiale della Sanità già il 19 maggio 2020 aveva approvato una risoluzione con cui ha dichiarato che l’immunizzazione dal COVID-19 deve essere considerata un “global public good”: in un contesto di pandemia globale, «no one is safe until everyone is», come sottolineato dal vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, Amina Mohammed. È indispensabile che gli Stati cooperino e coordinino gli sforzi in tutto il processo di ricerca scientifica, sviluppo e distribuzione dei vaccini (sul ruolo della collaborazione internazionale, v. Gostin, Abdool Karim e Meier). L’iniqua distribuzione delle dosi vaccinali rischia altrimenti di mettere in pericolo i diritti umani degli individui di tutto il mondo, e in particolare il diritto alla salute e il diritto a godere dei benefici del progresso scientifico.

3. Il (possibile) contrasto tra proprietà intellettuale e diritti umani

L’esigenza di coordinare gli sforzi per contrastare il nazionalismo vaccinale deriva infatti dalla necessità di tutelare innanzitutto il diritto alla salute, garantito dall’articolo 12 della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights – ICESCR), trattato ratificato da 171 Stati del mondo. Gli Stati parte della Convenzione hanno infatti un obbligo specifico e continuo di agire il più efficacemente e velocemente possibile nella direzione della piena realizzazione del diritto alla salute. Tuttavia, la scarsa disponibilità di dosi e il ritardo nelle vaccinazioni ostacolano il realizzarsi progressivo del diritto di ogni individuo al più alto livello di salute possibile, da raggiungere anche tramite la cooperazione internazionale, come sottolineato nel General Comment no. 14, redatto dal Comitato per i diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite (CESCR). Inoltre, l’iniqua distribuzione dei vaccini è in contrasto con il diritto di ogni individuo a godere senza discriminazioni dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni, come evidenziato recentemente, nel 2020, dal suddetto Comitato, nel General Comment no. 25. Anche in questo caso, si tratta di un diritto tutelato dall’ICESCR, e in particolare dall’articolo 15.

Ci si trova pertanto di fronte ad un potenziale contrasto normativo: gli Stati devono tutelare i diritti umani degli individui consentendo a tutti l’accesso ai vaccini, ma allo stesso tempo l’accordo TRIPs impone costi notevoli per l’acquisto e la produzione dei vaccini a tutela della proprietà intellettuale, causando una disparità nella distribuzione delle dosi che trova terreno fertile nel nazionalismo vaccinale. Lo stesso CESCR, nel General Comment no. 17 sul diritto di ogni individuo alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore, ha sottolineato come la tutela di tali interessi non possa andare a discapito di altri diritti umani fondamentali, e in particolare del diritto alla salute. Eppure, un soggetto che voglia sfruttare o importare un prodotto brevettato, come un vaccino, può farlo solo se riceve l’autorizzazione del titolare del brevetto stesso e normalmente queste autorizzazioni vengono concesse solo dietro un corrispettivo economico, che si aggiunge ai costi dei vaccini legati alle necessarie spese di produzione, trasporto e conservazione (v. Information Note WTO). Inevitabilmente, tutto ciò favorisce gli Stati più ricchi: come possono gli Stati più poveri adempiere agli obblighi che sono loro imposti dall’ICESCR, se sono privi dei mezzi necessari a garantire i diritti umani precedentemente citati? Com’è noto, con la dichiarazione di Doha del 2001 si è cercato di conciliare il potenziale contrasto tra diritti umani e proprietà intellettuale, stabilendo che l’accordo TRIPs non può essere d’ostacolo ad un governo nella protezione della salute pubblica, dovendo esso essere interpretato in maniera tale da promuovere l’accesso ai medicinali da parte di tutti. La dichiarazione di Doha ha infatti in primis riconfermato le cosiddette “flessibilità” previste dall’accordo TRIPs: in base all’articolo 31 TRIPs, in situazioni di emergenza, come quella attuale, uno Stato può infatti produrre un bene anche senza l’autorizzazione del titolare del brevetto. Questa previsione è stata sfruttata in passato in un limitato numero di casi da Paesi in via di sviluppo, per far fronte a crisi sanitarie gravi; per esempio, nel 1998, il Sudafrica ha invocato l’articolo 31 per contrastare il diffondersi dell’Aids. La dichiarazione di Doha ha inoltre suggerito di estendere ulteriormente queste flessibilità, consentendo agli Stati che non dispongono di capacità di fabbricazione e produzione sufficienti di effettuare importazioni da altri Stati che possano e vogliano assisterli, senza interferenza da parte dei titolari dei brevetti interessati: dopo lunghe contrattazioni, è stato così introdotto nel 2017 l’articolo 31 bis TRIPs, che prevede la possibilità di una licenza obbligatoria a favore dei Paesi in via di sviluppo con inferiori capacità produttive (tra molti, v. Desierto). Gli articoli 31 e 31 bis TRIPs presentano però garanzie territoriali e procedurali molto stringenti, come l’intrasferibilità della licenza, la limitazione dello sfruttamento del brevetto esclusivamente allo scopo per il quale la licenza è stata concessa e la prova di avere in precedenza tentato invano di ottenere l’autorizzazione del titolare ad eque condizioni. Inoltre, in ogni caso, spetta una forma di compensazione a chi ha brevettato il vaccino, in base a quanto stabilito dall’articolo 31(h) e dall’articolo 31bis (2) TRIPs. Infine, non è chiaro il livello di flessibilità concesso da queste norme: anche quando il Sudafrica ha invocato l’articolo 31 TRIPs per assicurarsi vari medicinali necessari per combattere l’AIDS, per esempio, si è originato un contenzioso con una grande casa farmaceutica, che ha accusato lo Stato di aver interpretato in maniera eccessivamente estensiva le norme del TRIPs; lo stesso è avvenuto nel 2013 in India (v. Goglia e Macrì).

Se quindi da un lato le flessibilità concesse dalla dichiarazione di Doha non sono sufficienti a risolvere il problema degli elevati costi dei vaccini, dall’altro anche la soluzione proposta da Biden non è definitiva e presenta, come si è detto, alcuni limiti. Un’alternativa che, insieme alle flessibilità garantite dall’accordo TRIPs, potrebbe rappresentare una soluzione efficace, sembrerebbe essere la “COVAX Facility” (COVID-19 Vaccines Global Access), un’iniziativa nata ad aprile 2020 proprio per combattere il nazionalismo vaccinale e risolvere il potenziale contrasto normativo tra tutela dei diritti umani e proprietà intellettuale.

4. L’iniziativa COVAX Facility: punti di forza

L’iniziativa COVAX Facility è uno dei pilastri del progetto ATC (Access to COVID-19 Tools) Accelerator, lanciato dall’OMS ad aprile 2020 per sviluppare nel modo più efficace, veloce e coordinato possibile gli strumenti necessari a combattere il COVID-19. Il 24 agosto il Direttore Generale Ghebreyesus ha dichiarato che 172 Stati del mondo avevano risposto positivamente alla COVAX Facility. Quest’iniziativa è coordinata da GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunization), un’organizzazione internazionale nata nel 2000 con lo scopo di unire gli sforzi di settore pubblico e privato per accelerare lo sviluppo dei vaccini e garantirne l’accesso a più Stati possibili. GAVI è sostenuta nella guida del progetto anche da CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations), una partnership globale che dal 2017 si adopera per lo sviluppo di vaccini che arrestino la diffusione di future epidemie. Il progetto COVAX, di cui l’iniziativa COVAX Facility fa parte, nasce con tre obiettivi principali: in primo luogo accelerare lo sviluppo dei vaccini per il COVID-19, fornendo supporto finanziario a possibili soluzioni promettenti per lo sviluppo di nuovi vaccini; in secondo luogo sfruttare un meccanismo finanziario di push-and-pull per incentivare investimenti in capacità produttiva in situazioni di elevato rischio. Il terzo obiettivo, perseguito proprio tramite la COVAX Facility, è quello di assicurare l’equa distribuzione dei vaccini nel mondo, procurando, stanziando e distribuendo dosi ai Paesi in via di sviluppo. In questa direzione, il 23 febbraio 2021 il Ghana è stato il primo paese del mondo a ricevere, tramite la COVAX Facility, il vaccino per il COVID-19: in particolare, sono state inviate ad Accra 600.000 dosi di AstraZeneca. Da quel momento, vari altri Stati hanno potuto beneficiare dei vaccini AstraZeneca e Pfizer grazie alla stessa iniziativa, che ad oggi ha distribuito più di 106 milioni di fiale in 135 Stati, ponendosi l’ambizioso obiettivo di arrivare a consegnare 2 miliardi di dosi nel 2021. Il 3 maggio 2021, GAVI ha concluso un accordo di fornitura anche con Moderna, che ha annunciato l’invio di 500 milioni di dosi agli Stati a basso-medio reddito coinvolti nel programma COVAX, di cui 34 milioni da ricevere entro la fine del 2021.

Al progetto COVAX partecipano alcune organizzazioni internazionali, tra cui l’OMS e l’UNICEF, varie associazioni no-profit, come la Fondazione Bill & Melinda Gates, e rappresentanti del settore farmaceutico. Anche alcuni personaggi di spicco dal punto di vista mediatico hanno espresso la loro solidarietà al progetto: per esempio i Duchi di Sussex, Harry e Meghan, o l’attivista Greta Thunberg, che ad aprile 2021 ha donato 100.000 euro alla causa. Infine, partecipano alla COVAX Facility gli Stati, divisi in due gruppi: i cosiddetti governi self-financing, che contribuiscono economicamente alla COVAX per pagare le dosi che ricevono, e i funded, che invece possono disporre di fiale pagate tramite strumenti di solidarietà (sul tema, v. Von Bogdandy e Villarreal). Per i Paesi sviluppati che contribuiscono anche economicamente alla COVAX, essa rappresenta un’opportunità per diversificare la strategia di approvvigionamento dei vaccini, visto che non impedisce agli Stati che ricevono dosi tramite la COVAX di concludere contratti con le compagnie farmaceutiche produttrici di vaccini anche esternamente al progetto. Al contrario, per i Paesi in via di sviluppo, questa iniziativa costituisce la strada più accessibile per potersi permettere i vaccini, grazie al COVAX AMC (COVID-19 Vaccines Advance Market Commitment), lo strumento di finanziamento che sostiene la partecipazione di 92 economie a basso e medio reddito alla distribuzione delle dosi (sul ruolo di questo fondo di sostegno, v. Eccleston-Turner e Upton). Perché uno Stato possa ricorrere a questi strumenti di finanziamento, sponsorizzati per esempio dalla Banca Mondiale e dalla Fondazione Bill & Melinda Gates, è necessario che abbia un reddito pro capite inferiore a 4.000 dollari all’anno. L’idea di un fondo di finanziamento nasce dall’esperienza dei vaccini contro lo pneumococco: nel 2009 Italia, Regno Unito, Canada, Russia, Norvegia e la Fondazione Bill & Melinda Gates, col supporto della Banca Mondiale, hanno raccolto 1,5 miliardi di euro per lo sviluppo dei vaccini contro questa infezione.

Indubbiamente, il progetto COVAX rappresenta un grande passo avanti nella tutela dei diritti umani. Il General Comment no. 25 del Comitato per i diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite sottolinea proprio come, nell’adottare le misure necessarie per tutelare il diritto di ognuno a godere dei benefici del progresso scientifico, gli Stati debbano cercare di limitare i possibili effetti negativi della proprietà intellettuale: per esempio, fornendo il supporto necessario, anche attraverso l’assistenza e la cooperazione internazionale, affinché chiunque possa sfruttare la ricerca scientifica per tutelare altri diritti umani fondamentali, come il diritto alla salute. L’obiettivo della COVAX Facility è proprio quello di garantire ad ogni Stato una quantità di dosi sufficienti a immunizzare il 20% della popolazione, percentuale che riflette il numero di fiale approssimativamente necessarie per proteggere le fasce a rischio. Gli Stati self-financing possono comprare, tramite la COVAX, dosi per vaccinare al massimo il 50% della popolazione, ma non riceveranno più di quanto necessario a immunizzare il 20% della popolazione finché tutti gli Stati partecipanti non ne avranno ottenuta la medesima percentuale.

5. (segue) …e punti di debolezza

Fin dalla sua nascita, il progetto COVAX ha riscosso tanto plauso quante critiche. Benché la COVAX Facility rappresenti un’iniziativa senza precedenti dal punto di vista della cooperazione internazionale per il diritto alla salute e per il diritto a beneficiare del progresso scientifico e delle sue applicazioni, il progetto non è sufficiente ad assicurare che la popolazione mondiale abbia accesso ai vaccini in maniera equa: fornisce agli Stati in via di sviluppo solo il 20% delle dosi necessarie per immunizzare la popolazione e i fondi raccolti non bastano a coprire completamente i costi (v. Boschiero, «COVID-19 vaccines as global common goods: an integrated approach of ethical, economic policy and intellectual property management», in Global Jurist, in corso di pubblicazione).

Inoltre, la COVAX Facility – ed è questo certamente l’aspetto che resta più critico – non aiuta gli Stati a basso reddito a creare una propria capacità produttiva, non fornendo le infrastrutture e le conoscenze necessarie a produrre da sé i propri vaccini. L’iniziativa rimane infatti molto legata ai già esistenti produttori di vaccini e, nelle settimane più recenti, la COVAX Facility si è trovata ad affrontare un’emergenza legata proprio alla mancata consegna delle dosi ordinate da parte di alcuni fornitori; in particolare, dal Serum Insitute of India, primo produttore al mondo di vaccini, che ha sospeso la fornitura al progetto COVAX a causa della situazione pandemica tragica che l’India sta vivendo. Secondo alcuni esperti, come per esempio Suerie Moon (co-direttrice del Global Health Centre del Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra) e Mark Eccleston-Turner (professore di Global Health Law alla Keele University), l’iniziativa mitiga il problema dell’equa distribuzione dei vaccini, senza però risolverlo definitivamente. Inoltre, la COVAX Facility è stata spesso criticata, anche da organizzazioni non governative come Medici Senza Frontiere, per l’assenza di trasparenza dei contratti con le case farmaceutiche: i vaccini comprati da GAVI spesso sembrano rappresentare un’occasione di arricchimento per le big pharma coinvolte, invece che essere venduti a prezzo di costo per favorire la soluzione dell’emergenza epidemica (sulle criticità dell’iniziativa COVAX, v. Human Rights Watch).

6. Conclusioni

Nonostante gli aspetti negativi appena evidenziati, la COVAX Facility, fornendo le dosi agli Stati che non possono permettersi di pagare i titolari dei brevetti, permette di tutelare la proprietà intellettuale, realizzando comunque alcune componenti del diritto alla salute e del diritto a godere dei benefici del progresso scientifico. L’iniziativa COVAX rappresenta un primo passo fondamentale verso la collaborazione internazionale per la sconfitta del nazionalismo vaccinale, che rischia di prolungare la pandemia di COVID-19 mettendo in pericolo la vita di tutti. L’iniziativa ha senza dubbio un ruolo fondamentale e indispensabile nelle prime fasi della distribuzione dei vaccini, ma a lungo termine dovrebbero essere potenziate e chiarite le flessibilità concesse dagli articoli 31 e 31 bis del TRIPs Agreement, in modo da risolvere in maniera definitiva il potenziale contrasto tra proprietà intellettuale e diritti umani. Un contributo decisivo in questa direzione potrebbe forse arrivare ad ottobre, con la discussione in seno all’OMC rimandata a dopo l’estate.

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Chiara de Pascale

Chiara de Pascale

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  1. […] Il primo riguarda la necessità di armonizzare la disciplina post-pandemica con gli altri ambiti dell’ordinamento internazionale, già caratterizzato da frammentazione. Alcuni studiosi, insieme a voci provenienti dal mondo delle ONG e da esperti indipendenti dell’ONU, in particolare, la Relatrice speciale ONU sul diritto alla salute fisica e mentale (v. Davis et al.), sottolineano, anzitutto, come l’adozione di un nuovo trattato rappresenti un’occasione unica per incoraggiare gli Stati a meglio comprendere l’inscindibile unione tra la tutela della salute pubblica e la tutela internazionale dei diritti umani. Un’opportunità, dunque, per armonizzare il diritto internazionale in materia sanitaria con i principi derivanti dal diritto internazionale dei diritti umani (v. sul tema Habibi et al.). Secondo tale orientamento, infatti, un potenziale trattato potrebbe intervenire sulla tutela del diritto alla salute in toto concepito come «right to physical and mental health» (parole che ricordano la definizione di salute contenuta nel Preambolo COMS), che include, come ricordato dal Comitato ONU per i diritti economici, sociali e culturali (CESCR), l’accesso a programmi di immunizzazione contro le più gravi malattie infettive (v. General Comment No. 14, par. 36; v. Statement on universal and equitable access to vaccines for the coronavirus disease (COVID-19), par. 2). La tutela di tale diritto, inscindibilmente unito al «diritto di ogni individuo a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni» (v. art. 15 Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali) dà vigore all’argomentazione di chi ritiene che il trattato debba intervenire anche sul corrente regime di regolamentazione dei diritti di proprietà intellettuale (IPRs), considerati dal medesimo Comitato ONU come «prodotti sociali, con funzione sociale», il cui fine dovrebbe essere «human well-being, to which international human rights instruments give legal expression» (v. Substantive issues arising in the implementation of the International Covenant on economic, social and cultural rights, par. 4). Più in particolare, sarebbe opportuno che il testo assicurasse lo status di “bene pubblico globale” agli IPRs relativi ai vaccini e agli strumenti diagnostici e terapeutici necessari per sviluppare e produrre tecnologie essenziali nel caso di eventi pandemici. A tale riguardo, si ritiene (v. ‘t Hoen) che il nuovo quadro normativo dovrebbe vincolare gli Stati parte ad incentivare la condivisione volontaria di diritti di proprietà intellettuale ed assicurare una distribuzione ottimale di tecnologie sanitarie in tempi di pandemia, in tutte le regioni del mondo. La difficoltà, in questo caso, sarà quella di fare dialogare tali possibili nuove norme con quanto già previsto in particolare dal trattato TRIPS, le cui disposizioni sono state in passato (v. qui e qui), e sono ancora oggi (v. qui), sotto i riflettori, specialmente in merito alla disciplina dei brevetti e agli annosi problemi da questa creati all’accesso ai farmaci (v. qui), soprattutto per i Paesi più poveri (sul punto, e sul difficile bilanciamento tra IPRs e diritti umani v. Boschiero, De Pascale). […]

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