diritto internazionale pubblico

Di precedenti, analogie, differenze e tesi poco convincenti riguardo alla Crimea

I riflettori dell’opinione pubblica mondiale sono oggi puntati sulla crisi tra Russia e Ucraina, relativamente alla penisola di Crimea. Un argomento ricorrente avanzato dal Governo russo, per ultimo dal Presidente Vladimir Putin nel suo discorso alla Duma del 18 marzo, è che la separazione della Crimea dall’Ucraina sarebbe pienamente giustificata e legittima alla luce del precedente del Kosovo, anch’esso caratterizzato da un intervento straniero a tutela della popolazione locale e dalla libera scelta  di questa di separarsi dallo Stato di appartenenza. Per contro, è rappresentativa della posizione delle diplomazie occidentali, lo sdegnato commento dalla Cancelliera tedesca, Angela Markel, quando ha definito il paragone “vergognoso”, in quanto in Kosovo la NATO sarebbe intervenuta per conto della comunità internazionale per porre fine alla pluriennale repressione di Milosevic non sanzionata dal Consiglio di sicurezza per effetto del (minacciato) veto russo.

Da un punto di vista politico e della legittimazione delle proprie azioni davanti all’opinione pubblica (non solo russa), l’argomento del precedente è straordinariamente efficace, quanto sottili, se non a volte inconsistenti, sono i ricorrenti “distinguo” delle diplomazie occidentali fondati prevalentemente sulla retorica del “caso sui generis” riferito al Kosovo. L’argomento del precedente kosovaro è diventato quasi un leitmotiv della politica estera e di difesa russa ogni qualvolta essa si rivolga alla tutela della propria area di influenza geo-strategica nei Paesi dello spazio post-sovietico: è stato utilizzato anche nell’estate del 2008 per giustificare l’intervento armato in Georgia a difesa delle repubbliche separatiste di Abcazia e Ossezia del Sud e per riconoscerne la sovranità e l’indipendenza (pochi mesi dopo il riconoscimento del Kosovo da parte di molti Paesi occidentali).

Se ci spostiamo sul piano delle norme del diritto internazionale, il quadro è ben più complesso e chi scrive ritiene che sia la tesi affermativa “del precedente”, sia la tesi contrapposta, che tende a negare in maniera categorica l’assimilazione dei due casi, siano poco persuasive.

Di seguito tre differenze fondamentali tra i due casi, che a mio modo di vedere, rendono poco convincente la tesi del precedente “giuridico”.

1) La soluzione di continuità tra l’aggressione armata NATO e l’indipendenza del Kosovo, inframmezzata da un lungo periodo di amministrazione delle Nazioni Unite nel quadro di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, la nota 1244. Nel caso della Crimea, l’aggressione armata russa si configura come una vera e propria “aggressione giuridica” volta al distacco di un pezzo di territorio ucraino e all’annessione alla Federazione Russa e, di fatto, già iniziata da anni con la politica di nationalization en masse effettuata dai consolati russi in Crimea. Dalla qualificazione della separazione della Crimea come risultante di un grava violazione di una norma di diritto imperativo, discendono anche ulteriori conseguenze sul piano della responsabilità internazionale, in particolare attraverso l’obbligo di non-riconoscimento in capo agli Stati terzi (reiterato nella bozza di risoluzione del Consiglio di sicurezza presentata dagli Stati Uniti il 13 marzo e “bloccata” dal veto russo).

2) La seconda differenza (messa in evidenza anche da Greppi in una recente intervista) è strettamente legata alla prima: nel caso kosovaro, si è giunti alla formazione di un nuovo Stato attraverso un processo di secessione sui cui esiti, in linea di principio, il diritto internazionale non detta regole e per lungo tempo ancorato a un processo internazionalizzato di definizione dello status finale. Nel caso della Crimea, se le notizie di queste ore, dovessero essere confermate, assisteremmo ad una annessione unilaterale, modalità di estensione della sovranità categoricamente vietata dal diritto internazionale contemporaneo, portata a termine nel giro di poche settimane, senza alcun coinvolgimento del Governo ucraino.

3)  La terza differenza riguarda le argomentazioni giuridiche addotte per giustificare l’intervento: nel caso dei Paesi NATO, un diritto di intervento umanitario a tutela di popolazioni minacciate dal proprio governo: nel caso della Russia un intervento a tutela di propri “nazionali”, anche su richiesta e invito di un Presidente, Yanukovich, (secondo la Russia) illegittimamente deposto. Chi scrive ritiene che, in entrambi casi, tali giustificazioni non avessero e non abbiano fondamento nelle norme del diritto internazionale, ma certamente le argomentazioni giuridiche addotte sono un ulteriore elemento che rende poco convincente la tesi del precedente da un punto di vista giuridico.

Ma, a parere dello scrivente, nemmeno la tesi della fondamentale diversità del caso kosovaro rispetto a quello crimeo (ben esposta da Linden-Retek e Brewer in un articolo pubblicato su opendemocracy, oltre che nell’intervista di Greppi sopra citata) regge ad un’analisi esaustiva degli aspetti di diritto internazionale coinvolti nelle due vicende.

Tre sono le analogie fondamentali che smentiscono questa tesi.

1) In entrambi i casi, l’impossibilità del governo centrale di esercitare la propria autorità sulle regioni separatiste, in altre parole l’assenza di effettività, è stata la risultante di un’aggressione armata dall’esterno.  Non va ripetuto ad un pubblico di lettori esperti quanto l’effettività sia importante nelle dinamiche della sovranità che il diritto internazionale prevede, riconosce e tutela. Considerata la lunghezza temporale dell’intervento militare NATO, la consistenza dei mezzi utilizzati, i danni materiali e le vittime prodotte dai bombardamenti aerei, è anzi ben più agevole la sussunzione della fattispecie concreta nella norma definitoria sull’aggressione, oggi inserita all’art. 8bis dello Statuto della Corte penale internazionale, in particolare se si prendono in considerazione i requisiti della gravità e della portata, di quanto non lo sia l’azione militare russa.

2) In entrambi i casi, la separazione è stata indotta da un intervento esterno ed è stata in violazione dell’integrità territoriale dello Stato. Nel caso kosovaro, attraverso una politica di riconoscimento e sostegno attivo da parte dei Paesi occidentali raccolti nel c.d. International Steering Group, che dal 2008 al 2012 hanno prima riconosciuto e poi guidato le autorità kosovare al traguardo della sovranità e dell’indipendenza (chi scrive ha recentemente sostenuto che in quel periodo il Kosovo ha costuito una moderna forma di suzerainty o c.d. “vassallaggio”). Nel caso crimeo, il referendum sulla separazione è stato reso possibile dall’intervento militare russo in violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

3) Pur non essendo applicabile in entrambi i casi il diritto di c.d. “secessione-rimedio” (nè i russi di Crimea erano stati vittime o minacciati di ritorsioni dal nuovo Governo di Kiev; nè tale minaccia era costituita dal Governo europeista del Presidente Tadic in Serbia), la gran parte della popolazione del territorio è stata a favore del mutamento di sovranità e questo costituisce un importante requisito procedurale del diritto internazionale contemporaneo in merito ai mutamenti territoriali (condizione necessaria, ma non sufficiente).

Quindi, lo ribadiamo, nè la tesi del “precedente”, nè la tesi della diversità, sono a nostro modo convincenti.

Vi è però un’ultima riflessione di raccordo tra la dimensione politica discussa in apertura e la dimensione giuridica positiva pocanzi esaminata. Riguarda la politica del diritto internazionale. Qui la tesi del precedente diventa nuovamente forte e mostra come “il precedente” sia in grado di minare la tenuta delle regole fondamentali della comunità internazionale. In un sistema giuridico orizzontale come quello internazionale, in particolare in ambiti come quelli relativi all’utilizzo della forza armata e all’intervento da parte dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, non esistono realisticamente strumenti di enforcement e di garanzia normati e istituzionalizzati, in grado di assicurare il rispetto delle regole violate da attori che si trovano in una situazione di forza e di privilegio. Tuttalpiù possono essere adottate sanzioni individuali di modesto rilievo da parte di singoli Stati o gruppi di Stati (che prevedibilmente non cambieranno le sorti della Crimea). Ciò induce a osservare come, in particolare in tali ambiti, l’osservanza spontanea sia la linfa vitale dell’effettività delle norme. Quando il rispetto viene meno, viene meno l’effettività delle norme e viene indebolito il sistema nelle sue stesse fondamenta. Un sistema orizzontale, perchè sia effettivo nelle sue regole fondamentali, si fonda anche su un equilibrio di ruoli e di potenza. Violare norme fondamentali sull’uso della forza e sull’integrità territoriale di uno Stato, come avvenuto in Kosovo, produce una necessità e volontà di emulazione da parte del “pari”, proprio per riaffermare il suo status di “pari”. In questo senso, l’argomento del precedente utilizzato dall’amministrazione russa è conseguenza quasi naturale in un processo di emulazione e favorisce la legittimazione del proprio operato presso l’opinione pubblica, non solo nazionale. Si spera che l’esperienza della Crimea induca sagge riflessioni, soprattutto negli Stati che hanno prodotto “il precedente”, pena un ritorno al diritto internazionale del XIX secolo, proprio ai confini dell’Europa.

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Enrico Milano

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