diritto internazionale pubblicoLoris Marotti

Sui recenti sviluppi del caso Battisti: la dimensione interna e le (sue) ripercussioni sulla controversia fra Italia e Brasile

Loris Marotti, Università di Macerata

La sentenza del 26 febbraio 2015 adottata dalla ventesima Corte Federale riapre il c.d. «capitolo brasiliano» del caso Battisti. Per quanto si tratti di una pronuncia non definitiva avente ad oggetto questioni giuridiche di diritto interno e i cui riflessi sul piano internazionalistico – a differenza dei precedenti e ampiamente dibattuti interventi giurisprudenziali e dichiarazioni in materia – non appaiono così lampanti, alcune brevi osservazioni al riguardo sembrano opportune.

La pronuncia costituisce il primo (e presumibilmente non ultimo) esito di un procedimento avviato dal Procuratore della Repubblica Hélio Heringer il 13 ottobre 2011, a circa quattro mesi dall’emanazione della sentenza dell’8 giugno 2011 (sentenza Battisti II) con cui il Supremo Tribunal Federal (STF) aveva rigettato il ricorso del governo italiano avverso la decisione dell’allora Presidente Lula di non concedere l’estradizione di Battisti. Tale procedimento era essenzialmente diretto ad ottenere la declaratoria di nullità dell’atto di concessione del permesso di soggiorno permanente, nonché l’attivazione della procedura di espulsione (deportação) del condannato, indicando la Francia e il Messico come possibili destinazioni. La sentenza del giudice Mendes de Abreu qui in esame ha accolto in toto le richieste del Procuratore condividendone altresì le relative argomentazioni.

Si tratta – lo si è già detto – di una decisione dalla portata sostanzialmente «domestica», avendo ad oggetto la validità di un atto interno e l’azionabilità di un istituto, la deportação, disciplinato dal diritto interno. Tuttavia, un dato interessante che sembra emergere dall’esame del suo contenuto, e che potrebbe aprire a più ampie valutazioni, riguarda la relazione tra l’insindacabilità giurisdizionale degli atti politici di rilievo «esterno», ossia aventi ripercussioni sul piano internazionale, e il problema del conflitto interno tra poteri dello Stato. In altri termini, la sentenza del 26 febbraio rileva proprio nella misura in cui consente di ribadire la duplice portata del conflitto sotteso al caso Battisti: da un lato, un contrasto tutto interno all’ordinamento brasiliano tra potere esecutivo e giudiziario; dall’altro lato, la controversia internazionale in atto tra Italia e Brasile.

In merito al profilo da ultimo indicato, non vi è dubbio che la sentenza Battisti II del TSF rappresenti una concreta applicazione della criticata (giustamente) teoria degli atti politici. In quel caso, l’«atto politico» in questione, considerato dalla maggioranza dei giudici del STF come insuscettibile di scrutinio giudiziale, consisteva nel diniego di estradizione opposto dal Presidente uscente Lula nell’ambito della terza e ultima fase del procedimento estradizionale brasiliano. Si trattava dunque di un atto avente un rilievo «esterno», in quanto adottato a fronte di una richiesta fondata su un trattato internazionale (il Trattato di estradizione del 1989), la cui insindacabilità, a prescindere dal merito (e in particolare dalla presunta malafede nell’interpretazione e applicazione del trattato stesso), ha determinato l’insorgere della controversia internazionale tra i due Stati parti dell’accordo.

Venendo invece alla sentenza del 26 febbraio scorso, la questione principale concernente la pretesa nullità dell’atto concessivo del permesso permanente, atto posto in essere dal Conselho Nacional de Imigração (CNI), è stata risolta dal giudice mediante l’applicazione di un criterio gerarchico di soluzione dei conflitti tra atti normativi. In particolare, l’atto del CNI risultava fondato sul disposto dell’art. 1 della Resolução normativa n. 27/98, attributivo, tra l’altro, della competenza a valutare quelle «situazioni particolari» le quali, quandanche non espressamente previste, possano essere considerate soddisfacenti ai fini dell’ottenimento di un visto di residenza (par. 1). A giudizio del tribunale, è evidente che il riferimento alle «situazioni speciali» di cui alla norma in questione comprende le sole situazioni che risultano in  «perfeita consonância com a lei», non essendo possibile «transmutar em legal e legítima situação que contraria frontalmente comando legal expresso» (p. 8 della sentenza). Nel caso di specie, il «comando legal expresso» è costituito dall’art. 7, par. IV dell’Estatuto do Estrangeiro del 1980 (EdE), ai sensi del quale non sarà concesso il visto allo straniero «condannato in un altro paese per reato doloso passibile di estradizione secondo la legge brasiliana». Richiamandosi alla sentenza del 16 dicembre 2009 con cui il Supremo Tribunal Federal aveva autorizzato l’estradizione escludendo tanto la natura politica dei reati ascritti a Battisti quanto l’esistenza delle condizioni per la concessione dello status di rifugiato (sentenza Battisti I), il giudice Mendes de Abreu ha quindi dichiarato la nullità dell’atto del CNI e disposto per l’esecuzione del procedimento di espulsione.

D’altra parte, è interessante osservare come sia il Procuratore della Repubblica Hélio Heringer sia il Tribunale abbiano tenuto conto del potenziale contrasto di questa pronuncia con la decisione dell’ex-Presidente Lula di non concedere l’estradizione di Battisti. Basti al riguardo menzionare un passaggio dell’Ação Civil Pública del Procuratore, in cui si chiarisce come non rientri tra le finalità dell’azione da questi promossa l’analisi del merito della decisione del Capo del potere esecutivo. Tuttavia, prosegue il Procuratore, appare altrettanto evidente come questa decisione non abbia in alcun modo alterato la «natura giuridica» dei reati commessi da Battisti. A ben vedere, infatti, la competenza a valutarne la possibile qualificazione come reati “politici” «é exclusiva do STF e foi exercida para declarar os crimes praticados como sujeitos a extradição» (p. 11, corsivo aggiunto). Inoltre, sempre nell’ottica del Procuratore, un conflitto tra poteri non sarebbe comunque ravvisabile in relazione al rapporto tra gli istituti dell’estradizione e dell’espulsione. Pur essendo la legge chiara sul punto, nel senso che non è possibile procedere all’espulsione «se implicar em extradição inadmitida pela lei brasiliana» (art. 63 EdE), la tesi del Procuratore (evidentemente accolta dal Tribunale) pare fondarsi, da un lato, su una nozione brasiliana apparentemente ristretta di legge, inclusiva dei soli profili sostanziali dell’estradizione (vale a dire della natura non politica dei reati ascritti, e non anche degli aspetti procedimentali dell’istituto che comprendono l’intervento «insindacabile» del Capo dello Stato) e, dall’altro lato, sulla circostanza per cui Battisti potrà eventualmente essere espulso in un paese diverso da quello di origine, l’Italia, già parte richiedente nel procedimento di estradizione conclusosi con il diniego presidenziale. Ciò eviterebbe in sostanza una violazione «por via transversa» dell’atto politico presidenziale.

Occorre chiedersi, a questo punto, quali possano essere i futuri sviluppi di tale vicenda e in particolare se il potenziale nuovo conflitto «interno» che presumibilmente innescherà la decisione in oggetto sia in grado di avere delle ripercussioni sulla controversia internazionale tra Italia e Brasile. In prospettiva, l’espulsione di Battisti verso il Messico o la Francia inciderebbe solo in modo indiretto sulla controversia internazionale in atto tra i due paesi. È fin troppo agevole rilevare che, ove dovesse aver luogo la deportação, l’Italia avrebbe a disposizione due alternative: attivarsi ai fini dell’estradizione del condannato dal Messico, sulla base del trattato di estradizione del 28 luglio 2011 (peraltro non ancora ratificato dall’Italia); sollecitare la consegna del condannato da parte della Francia per mezzo di un mandato d’arresto europeo. L’espulsione di Battisti, pertanto, sarebbe idonea ad integrare un fatto «estintivo» della controversia internazionale, nella misura in cui verrebbe meno lo stesso (s)oggetto del contendere tra i due Stati. In altri termini, la sentenza del giudice Mendes de Abreu, più che rappresentare una sorta di «ravvedimento» dello Stato brasiliano rispetto al presunto illecito commesso ai danni dell’Italia, costituisce soltanto il primo dei numerosi e non agevoli passi verso una possibile estinzione della controversia di cui si discute.

In ogni caso, continua a destare perplessità la perdurante tendenza dei giudici brasiliani a far ricorso alla teoria degli atti politici. Invero, la sentenza in esame sembra discostarsi almeno in parte dall’argomento giustificante il ricorso a detta teoria fondato sulla nozione di institutional competence. Questo argomento, impiegato dal giudice Fux nella dichiarazione di voto resa nella sentenza Battisti II, consiste nella pretesa incapacità istituzionale del potere giudiziario di valutare la natura “politica” dei reati ascritti a Battisti nonché l’esistenza di rischi relativi al trattamento che l’Italia riserverebbe all’estradando. Nella decisione del giudice Mendes de Abreu, come si è visto, il richiamo alla sentenza Battisti I riflette invece l’idea che una simile valutazione competa al potere giudiziario e che la decisione politica dell’ex-Presidente Lula non sarebbe comunque stata idonea ad alterare la natureza jurídica di tali crimini.

Tuttavia, quanto alla ragionevole possibilità per il Procuratore prima e il giudice poi di effettuare una (nuova) valutazione circa i rischi cui il condannato sarebbe esposto se venisse espulso (piuttosto che estradato) verso l’Italia, tanto la domanda del Procuratore, quanto la sentenza del giudice Mendes de Abreu rievocano l’ostacolo dell’insindacabilità dell’atto presidenziale. Ciò appare in definitiva criticabile poiché in quella nozione brasiliana «ristretta» di legge, alla quale si è fatto cenno, non può non rientrare anche il trattato di estradizione la cui interpretazione certamente non è preclusa al potere giudiziario. Nel caso di specie, una «nuova» interpretazione dell’art. 3 del Trattato (concernente i motivi di rifiuto dell’estradizione) da parte del giudice Mendes de Abreu, su indicazione del Procuratore, avrebbe potuto aprire all’ipotesi dell’espulsione verso l’Italia; ciò, ad esempio, una volta accertato il venir meno, a fronte di mutate circostanze, di quei motivi che, a giudizio di Lula, giustificavano la mancata concessione dell’estradizione.

 

 

 

 

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