La dimensione esterna delle politiche sanitarie dell’Unione europea e la cooperazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità
Marco Inglese, Università di Sarajevo
1. Il presente contributo intende esaminare la dimensione esterna delle politiche sanitarie dell’Unione europea alla luce della cooperazione che questa ha posto in essere con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
L’intervento si articola in tre sezioni. Nella prima, si analizzerà il ruolo dell’Unione nella promozione esterna della tutela della salute, ossia, si valuterà l’impatto che le sue politiche sanitarie possono giocare nella prevenzione, nel contenimento e nella risposta alle minacce transfrontaliere. Più in particolare, si vedrà come queste azioni debbano essere inserite in un duplice quadro: da un lato, come relazioni privilegiate tra l’UE e gli Stati terzi; dall’altro, nel contributo che essa può apportare in seno all’OMS. Nella seconda parte, invece, si verificheranno le modalità operative con le quali l’UE partecipa ai lavori dell’OMS. Considerati quindi i rapporti tra le due organizzazioni, si proveranno a delineare le loro responsabilità nelle ipotesi di gravi, attuali e globali pericoli per la salute umana che possano mettere a repentaglio la sopravvivenza della popolazione civile. In conclusione, si offrirà una valutazione critica della tematica trattata per comprendere se l’azione dell’UE rispetti i vincoli di risultato imposti dal Trattato di Lisbona.
Quest’ultimo ha efficacemente dotato l’Unione Europea di un variegato apparato di competenze (v. Lucia Serena Rossi) per la tutela della salute. Esse si rinvengono, in primo luogo, all’art. 4, par. 2, lett. k), TFUE, per quel che concerne i «problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica» come area di competenza concorrente e, in secondo luogo, all’art. 6, lett. a), TFUE, in materia di «tutela e miglioramento della salute umana» come competenza di sostegno e coordinamento. Tali disposizioni sono a loro volta completate dalla clausola trasversale di cui all’art. 9 TFUE e trovano la loro espressione più completa nell’art. 168 TFUE (v. Valerie Michel 2003-2004). Infine, l’art. 35 della Carta dei diritti fondamentali prevede la garanzia di un livello elevato di tutela della salute umana.
Ai fini del presente contributo, l’art. 168, par. 3, TFUE, è la disposizione rilevante nella misura in cui «l’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali competenti in materia di sanità pubblica». Più in generale, ciò si inserisce nella lotta ai c.d. grandi flagelli e alle gravi minacce a carattere transfrontaliero (art. 168, par. 1 e 5, TFUE). Pertanto, è naturale collegare tali aspetti al ruolo svolto dall’OMS e alle forme di cooperazione che l’UE ha instaurato con essa. L’argomento è ancora più attuale se si pensa all’epidemia di ebola che ha colpito tra il 2014 e il 2015 alcune nazioni dell’Africa occidentale –con conseguenti allarmi nel resto del mondo- e alla più recente preoccupazione dovuta al virus zika che ha avuto i primi focolai in Brasile.
Per delimitare il nostro campo di indagine, occorre infine aggiungere che non si farà riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia per i profili riguardanti l’utilizzo dell’art. 168 TFUE come base giuridica (v. Tamara Hervey 2001) ma si approfondiranno soltanto i rapporti tra le due organizzazioni internazionali. Parimenti, la concettualizzazione del diritto alla salute, così come elaborata dal diritto dell’UE (v. Tamara Hervey 2003) e da quello internazionale (v. John Tobin), sarà lasciata sullo sfondo.
2. La principale difficoltà nel tracciare i confini della dimensione esterna delle politiche sanitarie dell’Unione consiste nel fatto che, da un lato, esse sono rimaste ancorate ad una visione per lo più emergenziale; dall’altro, sono state soverchiate da esigenze ritenute più impellenti, quali, ad esempio, la lotta al terrorismo, la sicurezza nazionale, la protezione dei dati personali e la rapidità degli investimenti. Sotto altri profili, esse hanno avuto un ruolo differente nelle dispute commerciali che hanno contrapposto l’UE e gli Stati Uniti nel caso degli ormoni e al momento rivestono una certa importanza per quel che riguarda la negoziazione delle clausole di salvaguardia del TTIP, sulle quali non è ancora possibile esprimersi in maniera dettagliata. In altri termini, sembra che l’UE (re)agisca solo quando stimolata su aspetti ben determinati. Anche a livello di azioni di sostegno, le c.d. strategie per la salute, si limitano ad affermare meccanicamente il suo ruolo nello scacchiere globale.
Il terzo programma di azione dell’Unione in materia di salute (2014-2020) prevede infatti lo sviluppo delle politiche sanitarie ponendosi nel solco del Libro bianco Insieme per la salute e superandone le principali criticità. In particolare, facendo opportuno riferimento anche alla decisione relativa alle gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero, viene evidenziato il ruolo proattivo da porre in essere nella lotta, ad esempio, all’influenza H1N1 e alla Sars, aggiungendo, inoltre, il contrasto alle minacce provocate dal cambiamento climatico o da incidenti biologici e chimici (su questi aspetti v. Nathalie De Grove-Valdeyron, (p. 54 e 63-64)). Di conseguenza, il programma prevede il rafforzamento della cooperazione con le organizzazioni internazionali e segnatamente con l’OMS. Più nel dettaglio, esso include una dotazione finanziaria di circa Euro 450 milioni, maggiore quindi rispetto a quella stanziata per il periodo 2008-2013.
Gli strumenti menzionati sono diretti agli Stati membri e alle istituzioni dell’UE nonostante contengano qualche apertura anche agli Stati terzi, con particolare enfasi rispetto a quelli candidati all’adesione.
Nulla si dice rispetto alle organizzazioni internazionali; rectius, la possibilità (o la necessità?) di cooperare viene costantemente ribadita senza però predisporre null’altro. Il che suscita notevoli perplessità poiché, se da un lato l’art. 168, par. 3, TFUE prevede tale facoltà, utilizzando la formula del favorire; dall’altro, è anche vero che l’art. 216, par. 1, TFUE, consente all’Unione di stipulare accordi con le organizzazioni internazionali al fine di realizzare gli obiettivi previsti dai Trattati (cfr. Marise Cremona (p. 224)). Ora, sebbene l’art. 3 TUE non la menzioni esplicitamente, si potrebbe far rientrare la tutela della salute nella nozione di “benessere”. Quest’ultimo sarebbe, infatti, riconducibile alla definizione di salute fornita dall’OMS per la quale essa è uno «stato di completo benessere [enfasi aggiunta] fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia».
Appurata la presenza di un chiaro favor verso la collaborazione sia con gli Stati terzi sia con le organizzazioni internazionali, è ora possibile esaminare i rapporti tra l’Unione e l’OMS (v. Michel Bélanger).
3. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è una delle agenzie delle Nazioni Unite (Gian Luca Burci e Claude-Henri Vignes) i cui scopi precipui sono la tutela e la promozione della salute dell’uomo. L’UE non fa parte dell’OMS in quanto, secondo la sua Costituzione, solo gli Stati possono chiedere di essere ammessi. Ciononostante, l’UE non ha fatto mancare la propria partecipazione –per il tramite di una rappresentanza permanente- in tutte le questioni più attuali degli ultimi anni. Ciò è in parte dovuto, secondo Vincent Rollet e Peter Chang, al fatto che l’azione dell’Unione non è guidata esclusivamente dai Trattati ma anche dalle legittime aspettative degli Stati membri e, più in generale, della comunità internazionale.
Si segnalano quindi, a titolo di esempio, gli accordi con alcuni paesi terzi –tra cui l’Egitto e la Moldavia- in cui, inter alia, l’UE offre aiuti economici per affrontare le emergenze e per l’ammodernamento dell’assistenza di base e ospedaliera. Tuttavia, non si tratta, almeno a parere di chi scrive, di accordi stipulati con lo scopo specifico di tutelare la salute umana ma di strumenti onnicomprensivi e che dunque non sono idonei a configurare una prassi omogenea in materia di politiche sanitarie esterne. Tra l’altro, non è un caso che, anche a livello organizzativo, essi siano gestiti dalla DG Europaid e non dalla DG Sanco che, per contro, rappresenta l’UE in seno all’OMS. Di conseguenza, viene ancora sottolineato come uno dei problemi più comuni sia, da un lato, la capacità di presentarsi come un attore credibile (to speak with one voice); dall’altro, il fatto che l’Unione sia ancora percepita solamente come una potenza economica piuttosto che come un soggetto idoneo a portare avanti una strategia sanitaria di ampio respiro. A tale perplessità, si può naturalmente opporre l’argomentazione che l’UE è retta dal principio di attribuzione delle competenze e quella in discorso si sta sviluppando solo recentemente ed è da esercitarsi a sostegno degli Stati membri.
Samantha Battams et al. argomentano che, sebbene l’Unione non sia parte dell’OMS, essa avrebbe comunque un ruolo di fondamentale importanza nella misura in cui il 30% dell’intero budget dell’organizzazione proviene dagli Stati membri. Gli autori evidenziano inoltre la necessità di coerenza tra le politiche sanitarie interne e quelle esterne, sostenendo come alcune di queste –in primis quelle del tabacco- siano ancora espressione delle logiche del mercato comune. Essi segnalano anche una certa diffidenza reciproca tra i rappresentanti degli Stati membri e quelli dell’UE, diffidenza che si ripercuote sull’effettiva capacità di quest’ultima di accreditarsi come attore sanitario globale (su cui v. anche le conclusioni del Consiglio). Infine, essi pongono l’accento sul ruolo proattivo giocato dall’UE nelle negoziazioni riguardanti la riforma dell’OMS, concludendo che, nonostante gli sforzi intrapresi, l’Unione goda di maggiore considerazione presso altre organizzazioni –in particolare l’Organizzazione Mondiale del Commercio- se non altro a causa dello sviluppo maggiore di alcuni settori strategici.
E’ stato opportunamente segnalato che la crescita dell’UE come attore sanitario globale passi anche attraverso una politica commerciale accorta, basata sulle clausole trasversali del Trattato (art. 9 TFUE) -e sul principio health in all policies (HIA, Mark Flear), nonché rispettosa dell’art. 168 TFUE. Anche in questo caso la tutela della salute pubblica deve rappresentare il principio guida dell’azione dell’Unione. In altri termini, come già avviene per altri ambiti, si legifera in una materia con il (non) velato obiettivo di disciplinarne un’altra dove la competenza dell’UE risulta più debole (Valerie Michel 2012). Ponendo la questione in altri termini, è possibile sostenere la negoziazione di un accordo in materia di sperimentazione clinica sulla base dell’articolo 168, par. 3 TFUE, e non sull’art. 207 TFUE?
Sembra quindi che ci sia una chiara «internal/external asymmetry» (Chien-Huei WU (p.512)) nelle politiche sanitarie esterne dell’UE. Dunque, quando si tratta di aspetti commerciali indirettamente relativi alla tutela della salute –si pensi ad esempio alla legislazione farmaceutica e ai brevetti- si predilige la competenza esclusiva di cui all’art. 3, lett. e), TFUE. Quando invece occorre accreditarsi come attore sanitario globale si ricade invece nella più docile competenza di sostegno. Tale dicotomia si ripercuote sia sui processi decisionali da adottare in un caso e nell’altro, sia sulle modalità operative con cui l’Unione europea partecipa come osservatore ai lavori dell’OMS.
4. La responsabilità delle organizzazioni internazionali nella risposta alle minacce alla salute pubblica globale passa attraverso una serie di azioni mirate al contenimento del rischio, alla riduzione del contagio, agli investimenti pubblici per la ricerca e sviluppo di nuovi farmaci ma soprattutto attraverso la chiara presa di posizione che le nazioni colpite dalle emergenze sanitarie non possono essere lasciate sole a se stesse. Tale affermazione è condivisa dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il quale, con la risoluzione 2177, riconosce che il diffondersi dell’ebola rappresenta una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale e incoraggia le organizzazioni –tra cui l’Unione europea e l’Unione africana- e gli Stati ad affrontare la crisi nel modo più rapido possibile. Con tali auspici, il Consiglio di Sicurezza riconosce all’OMS il ruolo di leader nella gestione delle operazioni. Essa ha infatti approntato un piano operativo congiunto che prevede il dispiegamento rapido di tutti i soggetti coinvolti nella tutela della salute pubblica globale, incluse le organizzazioni non governative.
Nel prevedere uno stanziamento iniziale di Euro 11 milioni, anche le conclusioni del Consiglio affari esteri sottolineano l’importanza del ruolo assunto dall’OMS. Tuttavia, la risoluzione del Parlamento europeo sulla risposta dell’UE allo scoppio dell’ebola evidenzia come la reazione degli Stati membri all’emergenza sia stata “lenta e irrisoria”, invitando questi ultimi e la Commissione a preparare una strategia di mobilitazione. Nonostante le criticità iniziali, le azioni dell’UE si sono nel frattempo potenziate poiché, grazie alla decisione relativa alle gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero, è stato migliorato il coordinamento con l’OMS.
La reazione dell’Unione alle minacce alla salute pubblica globale si è realizzata attraverso la costituzione di un corpo medico europeo (al quale l’Italia non partecipa, v. qui) –composto da squadre di emergenza e supporto, laboratori e cliniche (v. qui per le specifiche tecniche operative)- e di una task force dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) composta da immunologi e infettivologi. Queste azioni sono però coordinate dalla DG Humanitarian Aid and Civil Protection (v. qui) e non della DG Sanco. Di conseguenza, l’intervento dell’UE è stato più orientato al perseguimento degli obiettivi di cui agli articoli 196 TFUE (protezione civile) e 208-211 TFUE (cooperazione allo sviluppo e aiuti umanitari) piuttosto che al rispetto del dettato dell’art. 168, par. 3 TFUE.
Si potrebbe dunque formulare l’ipotesi che l’Unione agisca sì verso l’esterno ma con lo scopo indiretto di aumentare il livello di tutela della salute pubblica sul proprio territorio. Sembra quindi possibile rinvenire in tale approccio una sorta di effetto utile delle politiche sanitarie esterne. Il che è del resto coerente con la constatazione che la deroga per motivi di sanità pubblica alle libertà fondamentali è da sempre stata connaturata al sistema del Trattato.
La disamina finora svolta ha permesso di dimostrare il ruolo dell’OMS e dell’Unione nel contrasto alle epidemie trasformatesi in gravi minacce transfrontaliere in grado di mettere a repentaglio la sopravvivenza di uno Stato. Si è cercato inoltre di provare come le organizzazioni internazionali abbiano livelli di responsabilità differenti, calibrati in base ai propri trattati istitutivi, rispetto a determinati fenomeni. Sostanzialmente, se l’OMS rimane l’attore principale nel contrasto alle emergenze sanitarie di carattere globale, l’Unione mantiene una ben riconoscibile funzione di supporto e sostegno nella gestione delle emergenze.
5. L’analisi delle politiche sanitarie esterne dell’Unione e la sua partecipazione ai lavori dell’OMS permette di trarre alcune conclusioni sulla strategia e sulle responsabilità delle organizzazioni internazionali rispetto ai gravi pericoli per la salute pubblica globale. Per quel che riguarda l’UE, nonostante il Trattato preveda una serie di azioni concrete contro le malattie infettive, i grandi flagelli e le minacce transfrontaliere, il suo ruolo continua ad avere un carattere estemporaneo e legato alle contingenze del momento. Del resto, l’UE ha adempiuto le proprie responsabilità esterne in maniera quasi funzionale, ossia, cercando di salvaguardare la propria dimensione interna. Le iniziative intraprese si sovrappongono a quelle avviate sotto l’egida della protezione civile, a loro volta affiancate da quelle in materia di aiuto umanitario e cooperazione allo sviluppo. Eppure, l’art. 168, par. 3, TFUE ben prevede la cooperazione dell’UE con le organizzazioni internazionali in materia sanitaria.
Tuttavia, l’Unione è ancora percepita come un gigante economico, dotato di un’insufficiente proiezione esterna delle proprie politiche interne, eccezion fatta, probabilmente, per alcuni settori specifici quali, ad esempio, la politica commerciale comune e la tutela dei dati personali. E’ quindi naturale ritenere che il ruolo preponderante nella salvaguardia della salute pubblica a livello mondiale debba spettare all’OMS, in quanto organizzazione dotata di maggiori poteri di intervento, di ben definite competenze tecniche e scientifiche nonché precise responsabilità derivanti dalla propria Costituzione.
Infine, per quel che riguarda l’Unione, gli sforzi di coordinamento con l’OMS non devono essere sottovalutati, anzi, dimostrano lo sviluppo di una visione globale anche in un settore peculiare come la protezione della salute. Ad ogni modo, per quanto ciò non rappresenti un fattore negativo in ottica funzionale, rimane ancora da chiarire se tali interventi possano nel tempo configurarsi come l’espressione di una genuina politica di tutela della sanità pubblica oppure se rimarranno sempre una reazione alle emergenze del momento.
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