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La proposta della Commissione di uno strumento contro la disoccupazione generata dalla pandemia Covid-19 (‘SURE’): un passo nella giusta direzione, ma che da solo non basta

Francesco Costamagna, Università di Torino (membro della redazione)

Il 1° aprile 2020, la Presidentessa von der Leyen ha annunciato l’intenzione della Commissione di proporre la creazione di uno strumento contro la disoccupazione generata dalla pandemia Covid-19 nei Paesi membri. Il Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency (SURE) affronta una delle questioni più urgenti in questo periodo, mirando a offrire sostegno finanziario ai sistemi nazionali di contrasto alla disoccupazione, molti dei quali rischiano di collassare sotto il peso generato dagli effetti economici della pandemia e delle misure di lockdown. Il sostegno sarà garantito attraverso la concessione di prestiti ai Paesi che ne facciano richiesta, fino a un ammontare che potrà arrivare al massimo a 100 miliardi di euro in totale. Non sono previsti limiti massimi all’assistenza erogabile a un singolo Stato membro, ma la Proposta della Commissione stabilisce che non più del 60% del totale potrà andare ai tre Stati che abbiano ricevuto più risorse. Sul lato del finanziamento, la Proposta combina due forme di solidarietà: una sovranazionale e una transnazionale. Il SURE sarà, infatti, finanziato attraverso l’emissione di obbligazioni da parte della Commissione, aspetto questo significativo, e agli Stati membri sarà chiesto di contribuire attraverso la prestazione di garanzie, che dovranno coprire il 25% del totale.

L’idea di creare un simile strumento non è affatto nuova, essendo stata proposta e discussa a più riprese soprattutto a partire dalla crisi dei debiti sovrani che aveva investito l’Europa ormai più di dieci anni fa. A dire il vero, vi era chi riteneva che l’UE non avesse la competenza per la creazione di uno strumento simile e che, per utilizzare le parole usate dalla Commissione in una Comunicazione del 2013, «[t]ali misure richiederebbero una modifica sostanziale del trattato». L’attuale Commissione sembra aver, giustamente, cambiato idea, ritenendo che l’articolo 122 TFUE rappresenti una valida base giuridica per l’istituzione di un meccanismo che offra assistenza finanziaria ai sistemi nazionali contro la disoccupazione in tempi di crisi (amplius sull’utilizzo di tale previsione per contrastare la pandemia si veda Casolari). Più nello specifico, il Regolamento dovrebbe basarsi sull’art. 122(1) TFUE per il regime di garanzia a sostegno di SURE, mentre il comma 2 della medesima disposizione costituirebbe la base giuridica per l’organizzazione e la gestione del sistema di prestiti.

I diversi meccanismi contro la disoccupazione dei quali si è ipotizzata la creazione a livello sovranazionale nel corso del tempo possono essere distinti tra quelli a gestione diretta e quelli a gestione indiretta. Caratteristica fondamentale dei meccanismi rientranti nella prima categoria è la loro capacità di erogare i sussidi direttamente a favore dei soggetti che soddisfino determinati requisiti, senza la necessità di alcuna intermediazione da parte degli Stati membri, se non per la gestione di aspetti meramente operativi. L’obiettivo primario di questa tipologia di strumenti è la promozione della coesione sociale, offrendo una forma di assicurazione che opera sul piano individuale. Viceversa, i meccanismi del secondo tipo prevedono un trasferimento a favore degli Stati membri di risorse finanziarie da utilizzarsi per rafforzare gli ammortizzatori sociali nazionali. Si tratta, quindi, di strumenti di stabilizzazione macroeconomica, i quali operano in senso anti-ciclico, mirando ad attenuare l’impatto della crisi e ad alleviare il peso che grava sulle finanze degli Stati membri.

Il SURE si inscrive pienamente nella seconda categoria, quella dei meccanismi a gestione indiretta. Secondo la Proposta della Commissione, lo strumento mira, infatti, a fornire assistenza finanziaria agli Stati membri che abbiano dovuto far fronte a un sensibile aumento della spesa destinata agli ammortizzatori sociali a causa della pandemia. L’obiettivo non è, quindi quello di creare un meccanismo sovranazionale in grado di offrire assistenza diretta a coloro che rischino di perdere il lavoro, ma di creare una linea di finanziamento che rafforzi i meccanismi già esistenti a livello nazionale. I quali, dunque, continueranno a operare secondo le regole dettate dai legislatori nazionali, anche per quanto riguarda, ad esempio, la definizione della platea degli aventi diritto ad ottenere il sussidio. Sul punto, la Proposta della Commissione è giustamente molto vaga, limitandosi a fare riferimento alla possibilità che delle risorse messe a disposizione possano beneficiare sia i lavoratori dipendendenti che gli autonomi. È ovviamente auspicabile che gli Stati amplino il più possibile il novero degli aventi diritto, offrendo, anche grazie alla maggior disponibilità di risorse garantita dall’intervento dell’Unione, adeguata copertura anche alle innumerevoli forme di precariato che caratterizzano l’attuale mercato del lavoro e che, spesso, vengono dimenticate in questi frangenti.

Venendo ora alla struttura e al funzionamento del nuovo strumento, occorre rilevare, in prima battuta, come il SURE sia uno strumento ad hoc, pensato solo per rispondere all’impatto negativo del Covid-19 e non abbia, quindi, un carattere stabile. La Proposta prevede che, ogni anno, la Commissione dovrà valutare se sussistano ancora le ragioni che avevano portato alla creazione del meccanismo e, dunque, se l’applicazione del Regolamento istitutivo sia ancora giustificata. È chiaro che si tratta di una scelta che intende fugare ogni dubbio sulla natura emergenziale dello strumento e sull’impossibilità che esso possa diventare, in maniera surrettizia, un meccanismo permanente per il trasferimento di risorse verso gli Stati economicamente più deboli. Sul punto ci si sarebbe potuti aspettare un po’ più di coraggio da parte della Commissione, la quale avrebbe potuto cogliere l’occasione per giungere all’istituzione di un meccanismo permanente. D’altro canto, va rilevato come la Proposta in esame sia in qualche modo completata dalla riforma del Fondo di Solidarietà Europeo, il cui ambito operativo è stato esteso alle gravi emergenze di sanità pubblica (si veda il Regolamento 2020/461).

L’erogazione dei prestiti avviene su domanda dello Stato in difficoltà e non opera, quindi, in automatico, come invece prevedevano altre tipologie di meccanismi contro la disoccupazione proposti in passato. La decisione di concedere l’assistenza finanziaria è assunta dal Consiglio con l’adozione di un atto di esecuzione, su proposta della Commissione. Prima di formulare tale proposta, la Commissione è tenuta a consultare lo Stato richiedente e a valutare se questo soddisfi le condizioni per poter accedere all’aiuto. In particolare, essa deve accertarsi che vi sia stato un aumento «repentino e severo» della spesa per gli ammortizzatori sociali, che tale aumento sia avvenuto dopo il 1° febbraio 2020 e che sia dovuto alla pandemia (articoli 2 e 3 della Proposta).

Da questo punto di vista, il funzionamento del SURE richiama da vicino quello dei diversi strumenti di assistenza finanziaria creati in risposta a una crisi, quella finanziaria, che aveva carattere asimmetrico. Sebbene l’emergenza sanitaria in corso non abbia questa caratteristica, la Commissione dimostra, però, di ritenere che il suo impatto sul tessuto socio-economico degli Stati membri sarà diverso e diversa sarà la loro capacità di farvi fronte.

Come osservato in precedenza, per poter accedere all’aiuto è necessario aver subito un aumento improvviso e grave della spesa pubblica destinata a misure di sostegno economico per i lavoratori che rischino di perdere il lavoro a causa della pandemia. La Proposta non definisce cosa debba intendersi per repentino né, soprattutto, per severo, lasciando, così, alla Commissione un ampio margine di discrezionalità. Vista la situazione, è prevedibile – o, quanto meno, auspicabile – che la Commissione usi tale discrezionalità per soddisfare, nella misura più ampia possibile, le richieste presentate dagli Sati membri, i quali, purtroppo, non dovrebbero avere grosse difficoltà a dimostrare l’impatto devastante che la pandemia sta avendo sui livelli occupazionali e, di conseguenza, sulla spesa pubblica per fronteggiare questa emergenza nell’emergenza.

La decisione del Consiglio che autorizza l’esborso deve contenere una serie di informazioni relative al prestito, quali, tra le altre, il suo ammontare complessivo, la sua durata media e il numero massimo di rate nelle quali esso sarà erogato. La Proposta prevede, poi, che ulteriori dettagli relativi al prestito dovranno essere specificati in un accordo concluso tra la Commissione e lo Stato beneficiario. Tale accordo dovrà altresì contenere le disposizioni previste dall’articolo 220(5) del Regolamento 2018/1046 il quale stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio dell’Unione, disciplinando anche le ipotesi in cui sia l’Unione a fornire assistenza finanziaria agli Stati, come nel caso del SURE. Tali disposizioni riguardano, tra le altre, le misure da adottarsi per assicurare la corretta gestione dei fondi, garantire la tutela degli interessi finanziari dell’Unione e autorizzare le istituzioni e gli organismi competenti a esercitare la loro funzione di controllo. Si noti come la Proposta imponga il rispetto di tali requisiti, nonostante, ai sensi dell’articolo 282(3) del Regolamento 2018/1046, questi siano destinati a trovare applicazione solo nei confronti dell’assistenza finanziaria erogata a decorrere dalla data di applicazione del quadro finanziario pluriennale post 2020.

A differenza di quanto avvenne in occasione della crisi dei debiti sovrani, l’articolato della Proposta non prevede il ricorso a una politica di condizionalità tesa a subordinare la concessione dell’aiuto, o il pagamento di quote successive, all’adozione di specifiche riforme di carattere strutturale. L’esclusione della condizionalità costituisce un elemento importante, se non il più importante, della Proposta in esame. Come noto, infatti, una delle ipotesi poste sul tavolo dai c.d. “Stati virtuosi” – Paesi Bassi, in prima battuta – è quella di utilizzare il Meccanismo europeo di Stabilità (MES) per fornire gli aiuti necessari ai Paesi in maggiore difficoltà a causa della pandemia. Questi ultimi, tra i quali soprattutto Italia e Spagna, hanno, però, espresso la loro netta contrarietà a una soluzione di questo tipo, proprio in ragione del fatto che il ricorso al MES implicherebbe necessariamente, almeno a legislazione invariata, l’impegno da parte loro a procedere nuovamente sulla strada delle famigerate riforme strutturali quale condizione per l’ottenimento dell’assistenza finanziaria. Come chiarito dalla Corte di Giustizia in Pringle, infatti, «l’attivazione di un’assistenza finanziaria ai sensi di un meccanismo di stabilità come il MES è compatibile con l’articolo 125 TFUE solo qualora essa risulti indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e sia soggetta a condizioni rigorose» (par. 136). Secondo la Corte, l’imposizione di quella che l’articolo 136(3) TFUE definisce una «rigorosa condizionalità» mira a garantire che lo Stato beneficiario dell’assistenza finanziaria continui a perseguire una politica di bilancio virtuosa, sostituendosi alla pressione esercitata, in tempi normali, dai mercati finanziari. In realtà, come giustamente messo in luce dalla dottrina più attenta, la condizionalità svolge anche un’altra funzione, addirittura prevalente agli occhi di molti, dovendo assicurare che gli Stati siano «deterred from pursuing unsound budgetary policies by the prospect of having to live through the same amount of pain and misery inflicted on States assisted by the ESM» (Schepel, p. 88). L’utilizzo della condizionalità come deterrente, con l’obiettivo di evitare il rischio del cd. moral hazard, si sposa perfettamente con l’idea secondo la quale la crisi dei debiti sovrani doveva essere attribuita «to lazy southern grasshoppers begging for money from the productive, disciplined and ant-like northerners» (Tsoukala, pp. 37-38). Tale ricostruzione risultava del tutto inadeguata già in riferimento a quel tipo di crisi. Essa, infatti, non tiene in alcun conto di come i comportamenti talvolta irresponsabili dei Paesi più colpiti dalla crisi siano stati solo uno dei fattori che aveva determinato il forte deterioramento dei loro conti pubblici, trascurando, invece, il grave impatto di alcune carenze strutturali dell’Unione economica e monetaria derivanti, in particolare, dalla mancata creazione, in questo contesto, di strumenti di redistribuzione della ricchezza che pure erano stati preconizzati nei rapporti Werner e, sebbene in maniera meno convinta, Delors.

Tale ricostruzione, per quanto ancora propugnata da alcuni politici di Paesi c.d. “virtuosi”, risulta tanto più inaccettabile se riferita a una crisi come quella generata dalla pandemia del Covid-19, nella quale l’impatto delle eventuali colpe degli Stati è del tutto marginale rispetto a fattori di carattere endogeno. Senza contare che, in una situazione come quella attuale, l’imposizione di ulteriori tagli alla spesa pubblica – contenuto tipico dei cd. programmi di aggiustamento strutturale – risulterebbe del tutto insostenibile dal punto di vista economico, sociale e politico. Alla luce di quanto precede, risulta, quindi, pienamente condivisibile l’opposizione di alcuni Stati al ritorno della condizionalità per il tramite del MES e la scelta della Commissione di proporre uno strumento che non vi faccia ricorso.

Dal punto di vista normativo, l’esclusione della condizionalità è resa possibile dalla base giuridica del Regolamento che istituisce il SURE e, in particolare, dal ricorso all’articolo 122(2) TFUE. La disposizione prevede, infatti, la possibilità per l’Unione di fornire assistenza finanziaria a «uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo». Pertanto, come riconosciuto dalla Corte in Pringle, trattandosi di un trasferimento di risorse che avviene sulla base di una specifica previsione del Trattato, esso sfugge ai limiti derivanti dall’articolo 125 TFUE e, in particolare, all’obbligo del ricorso alla condizionalità. Questa, almeno, è l’interpretazione accolta dalla Commissione nell’elaborazione della Proposta per la creazione del SURE. Tuttavia, autorevole dottrina (si vedano, ad esempio, Repasi e Louis, “Guest editorial: The no-bailout clause and rescue packages”, Common Market Law Review, 47, 2010, 985) ritiene che anche l’assistenza finanziaria erogata sulla base dell’articolo 122(2) TFUE dovrebbe comunque sempre richiedere il rispetto da parte dello Stato beneficiario di talune condizioni specificamente connesse al tipo di assistenza concessa. Questo perché la norma del Trattato consente sì la concessione di tali aiuti, ma solo «a determinate condizioni». In effetti, Regolamento istitutivo del Meccanismo europeo di Stabilizzazione Finanziaria (EFSM), adottato nel 2010 proprio sulla base dell’articolo 122(2) TFUE, imponeva allo Stato che richiedeva assistenza di presentare un «programma di aggiustamento economico e finanziario» (articolo 3). Questi autori ammettono, però, che la condizionalità legata ad interventi fondati sull’articolo 122(2) TFUE possa essere meno severa rispetto a quella ex articolo 125 TFUE. Come già detto, la Proposta della Commissione va un passo oltre, escludendo la condizionalità. Si ritiene che tale scelta sia condivisibile e non ponga problemi di compatibilità con l’articolo 122(2) TFUE, il quale consente, ma non impone, il ricorso alla condizionalità. Questo soprattutto nel caso in cui l’intervento emergenziale avvenga in risposta ad una situazione di emergenza – quale, ad esempio, una pandemia – dovuta in maniera prevalente a fattori endogeni e, dunque, del tutto esterni al controllo degli Stati beneficiari. In un simile contesto, il ricorso alla condizionalità non potrebbe essere giustificato facendo riferimento ad alcuno degli obiettivi tradizionalmente individuati come propri dello strumento e avrebbe, dunque, un carattere meramente afflittivo.

Volendo trarre alcune conclusioni, per quanto necessariamente provvisorie, si ritiene che, ove si concretizzasse, la creazione del SURE sarebbe una notizia senz’altro positiva. Esso rappresenterebbe, almeno con riferimento alle misure adottate per contrastare la pandemia in corso, un primo passo concreto – per quanto solo temporaneo, vista la natura dello strumento – verso l’istituzionalizzazione a livello sovranazionale del principio solidaristico. Inoltre, la scelta di rafforzare la capacità degli Stati più esposti di offrire sostegno economico ai lavoratori che vedono sospesa o fortemente ridotta la loro attività appare largamente condivisibile, trattandosi di una questione centrale sia nell’immediato, sia in una prospettiva di più lungo periodo.

Con questo non si vogliono negare i limiti di uno strumento che non può in alcun modo considerarsi la soluzione ai problemi creati dalla pandemia. Soprattutto se paragonato ad altre ipotesi di intervento – quali, in prima battuta, i c.d. coronabonds – risulta evidente come si tratti di uno strumento con un raggio d’azione più limitato, meno incisivo dal punto di vista economico e meno significativo sul piano politico. Il paragone con i coronabonds, per quanto giustificato dal fatto che la Commissione abbia lanciato questa proposta in risposta al fallimento del Consiglio europeo del 26 marzo in cui gli Stati membri non sono riusciti a trovare un accordo su forme di mutualizzazione del debito, è, però, fuorviante e va, quindi, contrastato ogni tentativo di farli apparire come strumenti alternativi. Più correttamente, il SURE potrà costituire un ulteriore tassello in un quadro composito di interventi, alcuni dei quali, come il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) della BCE (sul quale si vedano Lionello su questo Blog e Van der Sluis) o la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita, sono già stati adottati e hanno enormemente contribuito a guadagnare tempo e spazio di manovra. Spazio e tempo che si spera siano utilimente sfruttati dalle Istituzioni di matrice intergovernativa per trovare finalmente soluzioni che sappiano offrire risposte adeguate alle enormi sfide poste dalla pandemia in corso.

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