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Le sanzioni internazionali sono un ostacolo alla risposta degli Stati alla pandemia da COVID-19?

Mirko Sossai, Università Roma Tre

È ancora troppo presto per stabilire se la pandemia da COVID-19 non soltanto comporti un cambiamento epocale, ma possa, al contempo, prefigurare un cambiamento d’epoca. Stati e organizzazioni internazionali si sono mossi in ordine sparso, evidenziando una tensione che da tempo permea la vita di relazione internazionale, tra aspirazioni cooperative e solidaristiche verso l’unità e l’universalità e spinte centrifughe nel segno della tutela dei singoli interessi nazionali. La rapidissima diffusione della pandemia in ogni continente parrebbe esigere nuove forme di cooperazione su scala regionale e globale, ma la tentazione dei governi è spesso nel senso di una drastica serrata dei ranghi. Nel messaggio del 26 marzo 2020 del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres rivolto agli Stati del G20 compaiono le coordinate di una rinnovata solidarietà internazionale per fronteggiare una minaccia che non conosce confini: l’appello per un immediato cessate il fuoco globale, la richiesta di una risposta coordinata per fermare la trasmissione del virus, l’auspicio che siano presto individuate misure per contenere l’impatto sociale ed economico della crisi. Colpisce in tale messaggio l’appello ad allentare i regimi sanzionatori che minano la capacità degli Stati di rispondere alla pandemia. Anche l’Alto Commissario per i diritti umani Michelle Bachelet ha chiesto la sospensione delle sanzioni al fine di evitare il collasso del sistema sanitario dei Paesi colpiti dalle misure o, almeno, che siano garantite ampie deroghe di carattere umanitario per assicurare l’accesso a farmaci e attrezzature mediche essenziali al contrasto al COVID-19.

Il coronavirus non fa che accentuare i dubbi sugli effetti delle misure coercitive unilateralmente decise soprattutto dagli Stati Uniti e sul paradosso in cui incorrerebbero: pur proponendosi come strumento più ‘umano’ rispetto alle alternative (l’uso della forza armata) per la tutela di taluni interessi, come la protezione dei diritti umani, esse continuerebbero a contribuire al peggioramento delle crisi umanitarie all’interno dei Paesi colpiti. La questione se le ‘sanzioni’ di natura economico-finanziaria siano di ostacolo per rispondere alla pandemia da COVID-19 costituisce una delle linee di faglia che segnano lo stallo politico attuale. Esemplare, in questo senso, la notizia riportata dalle agenzie di stampa della presentazione in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di due bozze di risoluzione rivali tra loro: l’una, successivamente approvata il 2 aprile 2020 con il nuovo sistema di voto resosi necessario a causa della pandemia, afferma il ruolo centrale delle Nazioni Unite nella risposta al COVID-19; l’altra, sponsorizzata dalla Federazione russa con l’appoggio, niente affatto casuale, di Cuba, Nicaragua e Venezuela, chiedeva tra l’altro la sospensione delle misure coercitive unilaterali. Quest’ultima iniziativa si inserisce nel più ampio dibattito sulla legittimità delle ‘sanzioni’ imposte dagli Stati Uniti nei confronti non soltanto dei Paesi già citati, ma soprattutto dell’Iran, dopo la decisione dell’amministrazione Trump di abbandonare l’accordo sul nucleare (JCPoA).

Occorre pertanto soffermarsi a discutere se la rimozione delle misure coercitive di natura economica sia un’azione necessaria al fine di garantire l’approvvigionamento di farmaci e dispositivi medici, essenziali alla lotta contro il COVID-19; oppure, al contrario, se sia sufficiente il ricorso allo strumento delle esenzioni di carattere umanitario. Per comprenderne le specifiche modalità operative può essere utile una comparazione con meccanismi analoghi previsti nell’ambito delle sanzioni delle Nazioni Unite: uno spunto da cui prendere le mosse è offerto dalla recente prassi relativa alla Corea del Nord, Paese ai confini con il primo epicentro del contagio.

Le deroghe di carattere umanitario alle sanzioni delle Nazioni Unite nei confronti della Corea del Nord

Nel quadro delle sanzioni delle Nazioni Unite, l’espressione ‘deroghe o esenzioni umanitarie’ risponde a due diverse esigenze: la prima, di assicurare il soddisfacimento dei bisogni essenziali delle persone listate; la seconda, di salvaguardare l’aiuto prestato dagli operatori umanitari. Non vi è alcun automatismo: è necessario l’inoltro di una richiesta, solitamente al Comitato delle sanzioni. Non si tratta dunque di ‘eccezioni’ in senso proprio, dal momento che quest’ultimo termine indica piuttosto le situazioni di esclusione tout court dall’applicazione delle misure adottate dal Consiglio di sicurezza in base all’art. 41 della Carta.

Il primo significato, quello più noto, della nozione tiene conto delle specifiche esigenze umanitarie delle persone soggette a cc.dd. sanzioni mirate: si riferisce alla procedura prevista nel quadro delle sanzioni mirate per assicurare che queste persone possano ricevere assistenza derogando alle misure di ‘divieto di viaggio’ e ‘congelamento dei fondi’. Il regime sanzionatorio nei confronti di Al-Qaida e Daesh riconosce ad esempio che gli individui sanzionati possano inoltrare una richiesta al focal point istituito dalla ris. 1730 (2006) sia di potersi spostare nel territorio di un altro Stato, giustificandone i motivi, sia di poter disporre dei fondi necessari per coprire le spese di base, compreso l’acquisto di generi alimentari e il pagamento di affitti o garanzie ipotecarie, medicinali e cure mediche.

La seconda accezione del termine ‘deroghe o esenzioni umanitarie’ individua una diversa procedura volta a salvaguardare le attività di assistenza umanitaria prestata da Stati, organizzazioni internazionali e non governative a beneficio della popolazione civile presente nel territorio di uno Stato generalmente colpito da sanzioni. Paradigmatico è il caso della Corea del Nord: da ultimo, la ris. 2397 (2017), al par. 25, stabilisce che il Comitato delle sanzioni possa decidere di escludere talune attività di carattere umanitario dall’applicazione delle misure sanzionatorie. Le richieste di deroga devono contenere, tra le varie condizioni da soddisfare, una descrizione dettagliata dei beni e dei servizi forniti nei successivi sei mesi, l’indicazione delle transazioni finanziarie a essi associate e una lista dei beneficiari. Sebbene la Corea del Nord abbia fatto sapere che non vi sono casi di persone positive al COVID-19 nel Paese, sin dal 20 febbraio di quest’anno il Comitato delle sanzioni sopra citato ha approvato quattro richieste di deroga provenienti da uno Stato – la Svizzera –, un’organizzazione internazionale – l’Organizzazione mondiale della sanità – e due ONG – Medici senza frontiere e la Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa –, per la fornitura di dispositivi di protezione individuale, attrezzature per la sanificazione ambientale e kit per la diagnosi del COVID-19.

Un allentamento delle sanzioni unilaterali statunitensi per combattere il coronavirus?

Questo è il tempo della solidarietà e non dell’esclusione”: con efficace sintesi il Segretario generale Guterres ha così spiegato i motivi del suo appello a revocare le sanzioni che ostacolano l’accesso al cibo e alle cure mediche per fronteggiare il COVID-19. Al centro dell’attenzione internazionale vi è soprattutto la situazione in Iran, Stato colpito da sanzioni unilaterali statunitensi ed epicentro regionale della pandemia nel Medioriente, con più di 53.000 casi accertati e 3.000 vittime, al momento in cui si scrive: suscita profonda preoccupazione il rischio di diffusione del virus nei Paesi vicini, la Siria e l’Iraq in particolare, distrutti da conflitti armati di cui non si intravede ancora la fine.

Nelle ultime due settimane si sono moltiplicate le richieste all’amministrazione Trump di sospendere o ridurre le sanzioni. Il 25 marzo 2020 un gruppo di Paesi guidato da Cina e Russia si era rivolto al Segretario generale delle Nazioni Unite chiedendo la loro cessazione completa in quanto contrarie allo spirito umanitario e di ostacolo agli aiuti internazionali.

In aggiunta all’appello dell’Alto Commissario per i diritti umani, anche il Relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione si è espresso a favore dell’estinzione delle sanzioni contro Siria, Venezuela, Iran, Cuba e, in misura minore, Zimbabwe, affermando che tali misure indeboliscono le capacità di affrontare la diffusione della pandemia. Se ben comprendiamo, un messaggio recapitato non soltanto a Washington, ma anche a Bruxelles.

Anche all’interno dell’opinione pubblica statunitense cresce la posizione favorevole a un allentamento delle misure sanzionatorie, comprese quelle nei confronti dell’Iran: se ne sono fatti interpreti, in una lettera indirizzata al governo, alcuni membri del Congresso, tra cui Bernie Sanders ed Elizabeth Warren. Più sfumato l’approccio dell’ex vicepresidente Joe Biden, che pure ha osservato che le deroghe di carattere umanitario in realtà non permettono a Teheran di dotarsi delle attrezzature mediche necessarie.

L’inefficacia delle esenzioni umanitarie è dovuta al fatto che quest’ultima generazione di sanzioni ha perseguito con insistenza l’obiettivo di isolare l’Iran, creando un forte disincentivo per banche e imprese private di ogni parte del mondo a mantenere anche un tenue legame con quel Paese. Le sanzioni ‘secondarie’, ossia quelle con efficacia extraterritoriale, si caratterizzano non soltanto per le limitazioni al commercio di servizi e prodotti petroliferi, ma soprattutto per l’imposizione di forti restrizioni all’accesso al sistema finanziario statunitense per gli enti coinvolti in transazioni con l’Iran. In altri termini, nonostante la previsione di esenzioni umanitarie, gli istituti bancari mostrano una cautela eccessiva, dovuta al timore di essere estromessi dai circuiti finanziari e di dover pagare multe per svariati miliardi di dollari: una classica situazione di ‘overcompliance’, ossia di aderenza eccessiva alle misure sanzionatorie. Non a caso è stato di recente messo a punto dalla Svizzera, in stretta collaborazione con i servizi competenti negli Stati Uniti e in Iran e con alcune banche e aziende svizzere, un meccanismo di pagamento per l’invio di aiuti umanitari in Iran, denominato Swiss Humanitarian Trade Arrangement (SHTA).

Già lo scorso 20 marzo, in occasione del Capodanno iraniano, il Presidente Hassan Rouhani aveva rivolto un messaggio direttamente al popolo americano, affermando che la ‘guerra’ contro il COVID-19 potesse avere esito positivo solo se tutte le nazioni si fossero messe nelle condizioni di vincerla insieme. Significativamente, il governo di Teheran ha chiesto il sostegno del Fondo monetario internazionale (FMI) per affrontare la pandemia. In un primo tempo, il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo aveva escluso ogni ipotesi di allentamento delle sanzioni, sottolineando che le esenzioni umanitarie avevano permesso l’importazione da parte dell’Iran di kit diagnostici sin dallo scorso gennaio e che il regime iraniano aveva respinto l’offerta di assistenza sanitaria. In successive dichiarazioni del Segretario di Stato, il rifiuto dell’amministrazione statunitense è apparso meno netto: ad esempio, il 31 marzo 2020 Pompeo ha precisato che l’amministrazione intende tutelare in ogni caso l’assistenza umanitaria. Coloro che, anche nella stampa americana, si sono dichiarati contrari alla sospensione delle sanzioni hanno sostenuto che una scelta di questo tipo non comporterebbe di per sé un rafforzamento della risposta iraniana al COVID-19 a motivo delle inefficienze del sistema sanitario e della corruzione di cui soffre il regime. Nel frattempo, l’Unione europea ha annunciato il proprio sostegno alle richieste di aiuto finanziario presentate dall’Iran e dal Venezuela al FMI e la disponibilità a fornire un’assistenza immediata per 20 milioni di euro. Con un certo tempismo, Francia, Germania e Regno unito hanno finalmente annunciato l’operatività del meccanismo di pagamento alternativo volto a facilitare gli scambi commerciali con l’Iran, noto come INSTEX (Instrument in Support of Trade Exchange), che per la prima volta ha reso possibile l’esportazione di presidi medici dall’Unione europea all’Iran.

Come rendere le deroghe di carattere umanitario più efficaci?

 L’inefficacia del meccanismo delle esenzioni umanitarie, come anche documentato da un recente rapporto di Human Rights Watch, è dunque il motivo per cui le sanzioni unilaterali statunitensi possono rappresentare un ostacolo alla risposta degli Stati alla pandemia del COVID-19. Occorre ricordare che sugli Stati Uniti incombe l’obbligo, sancito dalla Corte internazionale di giustizia nell’ordinanza nell’affare delle Presunte violazioni del Trattato di amicizia, commercio e diritti consolari del 1955, di rimuovere ogni restrizione alle esportazioni verso l’Iran di medicine, dispositivi medici, derrate alimentari e altri prodotti agricoli.

Un allentamento delle sanzioni nei confronti dell’Iran appare al momento poco plausibile, sebbene non siano da escludere cambiamenti anche repentini, come è avvenuto rispetto alla posizione statunitense nei confronti del Venezuela. Non vi è dubbio che la sospensione delle sanzioni significherebbe un deciso cambio di rotta rispetto alle sorti stesse dell’accordo sul nucleare iraniano. Tuttavia, la diffusione del virus pare al momento aver peggiorato le relazioni tra i due Paesi. Il problema politico, ancor prima che giuridico, investe una volta ancora il principio di buona fede: vi è il sospetto che in realtà l’Iran invochi in maniera strumentale l’emergenza COVID-19 per ottenere la revoca delle sanzioni; sul versante opposto, la critica rivolta agli Stati Uniti è che stia utilizzando la propagazione del virus come strumento per esercitare una pressione ulteriore su Teheran oltre quanto sarebbe possibile ottenere attraverso le sanzioni.

Rimane il fatto che alcuni problemi non appaiono di facile soluzione: si consideri ad esempio il ruolo assunto dal corpo delle guardie rivoluzionarie iraniane (IRGC), soggette alle misure sanzionatorie, nel fronteggiare la diffusione del virus.

Nell’immediato si possono immaginare alcune iniziative concrete volte a rassicurare il settore privato di non essere sottoposto a sanzioni in caso di transazioni commerciali e finanziarie con l’Iran per chiari scopi umanitari. Le ha elencate Joe Biden nella sua recente dichiarazione: il rilascio di licenze ampie per aziende farmaceutiche e per quelle che producono presidi e attrezzature sanitarie; la creazione di un canale dedicato per banche internazionali e imprese che offrono servizi logistici o assicurativi; la predisposizione di ‘comfort letter’ le quali offrano adeguate garanzie nel senso che non saranno inflitte multe, notoriamente assai salate, qualora gli operatori commerciali e finanziari siano coinvolti nell’esportazione in Iran di beni essenziali alla risposta sanitaria al COVID-19.

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