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“Diritti fantastici e dove trovarli”. La crisi di Ceuta e l’insostenibilità delle politiche migratorie europee

Anna Fazzini (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)

1. Introduzione

Ci perdonerà J.K. Rowling se prendiamo in prestito il titolo del celebre testo di magia di sua inventiva, “Animali fantastici e dove trovarli”, per descrivere lo stato dei diritti alle frontiere europee, sempre più labile, sacrificabile di fronte agli interessi nazionali di controllo e securizzazione del confine, assoggettato spesso al rispetto di mere garanzie formali e svuotato dei caratteri dell’effettività e della concretezza. E se ci si chiede dove trovarli, questi diritti evanescenti, vi è in particolare quel limbo giuridico, posto al confine ispano-marocchino, denominato la “frontiera delle frontiera”(così Ferrer-Gallardo, p. 2) – o anche zona di non-diritto (v. Frasca) –  dove risiedono Ceuta e la sua sorella Melilla.

La recente crisi umanitaria, che ha visto l’arrivo improvviso di 8.000-10.000 migranti nei giorni compresi tra il 17 e il 19 maggio sulle coste di Ceuta, la maggior parte dei quali sommariamente respinti in Marocco, riporta alta l’attenzione sulla profonda inadeguatezza delle politiche migratorie europee e, in particolare, sulle conseguenze, sul piano politico e giuridico, delle strategie di esternalizzazione dei controlli alle frontiere (per le denunce relative ai respingimenti “a caldo”, v., inter alia, la dichiarazione di Euro-Med Human Rights Monitor e il comunicato congiunto di diverse associazioni locali).

Secondo buona parte dei commentatori, infatti, all’origine della crisi, vi sarebbe un intento ricattatorio da parte del Marocco, che volutamente ha permesso l’attraversamento del confine, nel tentativo di condizionare (o punire) il governo spagnolo (e l’Unione europea) per ottenere benefici sul piano geo-politico o economico(per un’analisi v. Lopez Belloso e Fernandez Rojo). Come non ricordare, in proposito, il “ricatto” di Erdogan all’Europa nel febbraio 2020, quando la Turchia ha permesso il transito di centomila potenziali richiedenti asilo, oggetto poi di violenti respingimenti dalle autorità greche? (v. sul caso Spagnolo)

In particolare la pressione che il Marocco intende esercitare sarebbe legata alla questione di lunga data del Sahara occidentale, su cui il Regno maghrebino mira a vedersi riconosciuta la propria sovranità territoriale (e la miccia che avrebbe innescato una tensione già latente sarebbe stato il ricovero in un ospedale spagnolo del segretario generale del movimento nazionalista Fronte Polisario, Brahim Ghali, malato di Covid-19).

L’interesse del governo marocchino tuttavia potrebbe essere anche di natura economica e, perciò, legato alla rivendicazione di maggiori fondi per il suo impegno di contenimento e prevenzione dei flussi migratori, senza dimenticare che, ad aumentare l’insofferenza del Marocco, vi è anche la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, attesa per le prossime settimane, relativa agli accordi di associazione e pesca con l’UE (per approfondimenti sul tema v. Allen, Suárez-Collado).

Quale che sia il dossier sul tavolo della trattativa, ciò che è chiaro è che il Marocco non si qualifica come mero esecutore delle volontà e delle politiche spagnole ed europee, essendo consapevole che la presenza dei migranti sul suo territorio costituisce una leva da poter sfruttare strategicamente ai diversi livelli di negoziazione. L’elemento della migrazione, pertanto, – cinicamente – diviene moneta di scambio e oggetto di negoziazione, palesando la debolezza politica dell’Unione e dei Paesi europei nelle relazioni con i loro partner.

Ad ogni modo, la strategia ricattatoria del Marocco può essere considerata l’effetto ultimo di politiche migratorie che già incidono profondamente sulla dignità di migranti e rifugiati, comprimono la sfera dei loro diritti, creando luoghi di incertezza giuridica e depotenziando diritti assoluti, come quello al non-refoulement.

Di seguito, pertanto, ci si focalizzerà sull’impatto delle strategie di securizzazione dei confini e di esternalizzazione delle frontiere in Marocco sulla tutela dei diritti umani: questi ultimi sono svuotati della loro effettività a causa del contenimento dei migranti operato dalle autorità marocchine in virtù degli impegni assunti con la Spagna e l’Unione europea, e a causa delle violazioni dei diritti umani commesse dalle stesse autorità spagnole alle frontiere di Ceuta e Melilla, nella forma degli ormai noti respingimenti “a caldo”.

2. Il ruolo del Marocco nella strategia di esternalizzazione delle frontiere: l’impatto sui diritti umani

Il Marocco svolge un ruolo-chiave nelle strategie di esternalizzazione delle frontiere perseguite dall’Unione europea e dai suoi Stati membri. Ciò in virtù della sua posizione geografica privilegiata, che lo ha reso, in particolare a seguito dell’incremento dei flussi migratori all’indomani delle primavere arabe, Paese di transito verso l’Europa e insieme gendarme dell’Europa stessa.

In effetti la relazione tra il Marocco e la Spagna si pone come una sorta di “prassi modello”, precorritrice delle attuali forme di cooperazione, instauratasi all’interno di quelle pratiche di outsourcing delle frontiere che la Spagna ha cominciato ad implementare fin dagli anni ’90, tramite il rafforzamento dei confini di Ceuta e Melilla (definite laboratori dell’esternalizzazione), la cooperazione per le riammissioni (Spagna e Marocco hanno firmato un accordo di riammissione nel 1992), l’implementazione di un complesso sistema di sorveglianza dei migranti irregolari, il Sistema Integrado de Vigilancia Exterior (SIVE), gli accordi con i Paesi terzi per i pattugliamenti congiunti (anche con la Mauritania, il Senegal, in Niger) (per approfondimenti vedi Stege, Carrera et al).

Oggi il Marocco è un partner prioritario per l’Unione europea, interlocutore privilegiato nell’ambito dei processi multilaterali euro-africani, a cui vengono destinati quote ingenti dei fondi europei: a titolo esemplificativo, si riporta che il secondo portafoglio di cooperazione dell’UE in materia di migrazione è con il Marocco, con un totale di 342 milioni di euro, di cui circa 234 milioni provenienti dal Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa (dati di dicembre 2019) (si rinvia a Frasca, cit., su questo blog, per un quadro sulla cooperazione UE-Marocco e per le criticità inerenti agli opachi strumenti di soft law con cui si realizza).

Se, tuttavia, la cooperazione tra le due sponde in tema di securizzazione e controllo della migrazione incontra l’accordo di entrambe le parti, diverse sono le riluttanze del Marocco per ciò che riguarda l’altro obiettivo perseguito dall’Unione (anch’esso parte integrante della strategia di esternalizzazione) che attiene alla gestione dei migranti e al rafforzamento del sistema di protezione dei richiedenti asilo sul territorio marocchino (v. Gualtieri). Infatti, nonostante il Marocco sia parte della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati e abbia elaborato una propria Stratégie Nationale d’Immigration et d’Asile (SNIA) nel 2013, non si è ancora dotato di un proprio quadro giuridico organico, né di procedure adeguate per il riconoscimento della protezione internazionale. Gli standard di accoglienza sono inoltre più che inadeguati. I richiedenti asilo vivono in condizioni precarie, con numerosi ostacoli nell’accesso al cibo, all’alloggio, alla salute, all’istruzione e all’assistenza legale (Stege, cit.)

A questo stato di cose, si aggiungono le violazioni dei diritti umani attuate dalle autorità marocchine, denunciate da più parti, come conseguenza degli impegni assunti nei confronti della Spagna e dell’Unione europea al fine di prevenire la migrazione. Secondo l’ultimo rapporto Oxfam, i respingimenti arbitrari nei confronti dei migranti subsahariani ad opera delle autorità marocchine, a cui non si sottraggono minori e persone vulnerabili, avvengono in maniera sistematica. Il “controllo” marocchino si attua tramite retate, arresti arbitrari e smantellamenti degli insediamenti nelle vicinanze di Ceuta e Melilla, in modo da impedire gli attraversamenti e allentare periodicamente la pressione alle frontiere. Ad essi seguono trasferimenti nelle regioni a sud del Marocco e spesso respingimenti attraverso il confine. In merito all’esecuzione delle misure di espulsione dal Marocco – afferma il rapporto Gadem – si registrano inoltre violazioni dei diritti umani nella forma di detenzioni arbitrarie, trattamenti inumani e degradanti ediniego di accesso a mezzi di ricorso interni. Infine, come denunciano Amnesty International e Human Rights Watch, è la situazione complessiva dello stato dei diritti umani in Marocco a non essere positiva, in virtù della quale esso nonpuò essere considerato un Paese sicuro. In proposito si rileva che sussistono forme di persecuzioni per motivi politici, religiosi, dovuti all’orientamento sessuale (che è criminalizzato in Marocco) e sono fortemente limitati diritti fondamentali come la libertà di riunione e di associazione e la libertà di espressione.

3. Le devoluciones en caliente dinanzi alla Corte di Strasburgo

In questo quadro di contactless control operato sui migranti, ad ogni modo, va ricordato che la Spagna continua ad operare essa stessa respingimenti alla frontiera, come parte integrante della medesima strategia securitaria e anti-migratoria perseguita (sulla nozione di contactless control, v. Moreno-Lax e Giuffrè).

Ceuta e Melilla, in effetti, sono l’emblema di uno spazio d’eccezione, in cui violente pratiche repressive, accompagnate da ambiguità e incertezza giuridica, rendono possibili da decenni le cosiddette devoluciones en caliente degli stranieri intercettati sul confine tra il Marocco e il territorio spagnolo nel tentativo di effettuare il (tristemente) famoso salto de la valla (sulla specificità del contesto delle due enclavi vedi López-Sala, “Keeping up appearances. Dubious legality and migration control at the peripheral borders of Europe. The cases of Ceuta and Melilla”, in Carrera e Stefan).

La pratica dei respingimenti a caldo si diffonde a partire dal 2005, quando si rafforza in maniera significativa l’opera di costruzione delle barriere alle frontiere di Ceuta e Melilla, per poi trovare una (controversa) copertura legale solo nel 2015 con la Ley Orgánica de Protección de la Seguridad Ciudadana (LOPSC), che ha introdotto un emendamento alla Ley Orgánica 4/2000 sobre derechos y libertades de los extranjeros (LOEX). Il quadro normativo disposto dalla LOEX che prevedeva, in materia di ingresso e soggiorno irregolare, tre procedimenti amministrativi (il diniego d’entrata, il respingimento e l’espulsione), si arricchisce quindi di una nuova fattispecie, i rechazos en frontera, in base a cui «[g]li stranieri che siano individuati sulla linea di confine della demarcazione territoriale di Ceuta e Melilla nel tentativo di superare gli strumenti di contenimento per attraversare il confine in maniera irregolare possono essere respinti al fine di impedire il loro ingresso irregolare in Spagna» (disposizione addizionale decima alla legge).

Sulla tale pratica, si è pronunciata di recente la Corte europea dei diritti umani nella discussa sentenza del 13 febbraio 2020, N.D. e N.T. c. Spagna, relativa a respingimenti sommari avvenuti nell’agosto del 2004 alle frontiere di Melilla. In essa la Grande Camera, con un clamoroso revirement rispetto alla sentenza della Terza sezione dell’ottobre 2017 (sulla quale vedi, inter alia, i commenti di Salvadego, Cellamare), ha escluso la violazione dell’art. 4 del Prot. n. 4 CEDU (divieto di espulsioni collettive), elaborando una controversa eccezione alla disposizione (v., ex multis, Mussi, Pichl-Schmalz, Oviedo Moreno, Markard, Di Filippo). Ha di fatto escluso la responsabilità della Spagna, affermando che, nella fattispecie, la mancanza di un esame individuale delle situazioni dei ricorrenti, necessario ad accertare il carattere collettivo dell’espulsione, era imputabile alla culpable conduct di N.D. e N.T., avendo essi tentato un attraversamento irregolare, con l’intento di creare un pericolo per la sicurezza pubblica (vi era un numero elevato di stranieri che contemporaneamente tentava di superare le barriere), quando vi erano percorsi legali dove poter richiedere protezione internazionale, resi effettivamente disponibili dal governo spagnolo (ambasciate e consolati nei Paesi di origine e di transito e uffici alla frontiera).

Tra le numerose critiche alla sentenza, ci si limita in questa sede a riportare le perplessità sollevate in merito alla tutela effettiva del principio di non-refoulement. Sebbene, infatti, la Corte non abbia inteso autorizzare i respingimenti sommari alle frontiere di Melilla (l’art. 3 CEDU non era invocato nel procedimento; in merito vedi in particolare Thym,Wissing), ci si chiede come sia possibile garantire nei fatti il principio di non-refoulement, dal carattere assoluto e inderogabile, quando si ammette la possibilità di escludere, in certe circostanze, garanzie fondamentali, quali una procedura di identificazione e un esame individuale dei richiedenti, sulla cui (sola) base si può accertare il rischio di trattamenti contrari all’art. 3 CEDU (in questo senso Leboeuf e Lübbe). Non soddisfa inoltre neanche la valutazione della Corte riguardo alla disponibilità effettiva di canali di accesso legali spagnoli, in merito alla quale la Grande Camera effettua un accertamento del tutto formalistico e superficiale. Si ricorda, in particolare, che la Corte non tiene conto dei rapporti delle Terze parti intervenienti, come del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (v. parr. 142-143 e 152-155 della sentenza), che attestano come al tempo dei fatti non vi erano meccanismi effettivi di accesso alla frontiera e tali canali erano impossibili da utilizzare a causa, in particolare, del severo contenimento e dalle pratiche di profilazione razziale effettuate dalle autorità marocchine nei confronti dei migranti subsahariani. In proposito l’ufficio di Beni-Enzar, posto alla frontiera di Melilla, era accessibile solo per rifugiati siriani (per un’analisi sull’effettiva fruibilità di tali canali v. in particolare Carrera, p. 10 ss.).

In effetti, paradossalmente, non si considera che è proprio a causa di questa condizione, ossia della mancanza di effettivi canali di ingresso legali, conseguenza dell’esternalizzazione delle frontiere europee, che i migranti tentano di “espugnare” le strutture di protezione del confine o di raggiungere a nuoto le spiagge di Ceuta.

Infine, come ricordato, tale condizione permane tutt’oggi. L’ufficio presso il valico di frontiera di Ceuta è rimasto inoperativo dal momento in cui è stato inaugurato, cioè il 2015, mentre si continua a registrare l’impossibilità per i migranti subsahariani di raggiungere i valichi di frontiera a causa della violenza e delle retate esercitate dal Marocco ai confini con la Spagna. Afferma la Comisión Española de Ayuda al Refugio (CEAR) che «le vie legali di ingresso in Spagna attraverso Ceuta e Melilla (..) non costituiscono un’opzione realistica, né sono accessibili nella pratica, a causa del controllo che esercita il Marocco alla frontiera, impedendo l’uscita dal Paese delle persone rifugiate e potenziali richiedenti asilo».

4.… e al cospetto della Corte costituzionale spagnola

Simili critiche, infine, possono essere rivolte alla sentenza della Corte costituzionale spagnola, la quale si è espressa sul ricorso di illegittimità della LOPSC nel novembre 2020, allineandosi – in maniera prevedibile – alle conclusioni della Corte di Strasburgo (per un’analisi della sentenza vedi Rodríguez Duque, Pelliccia). La Corte costituzionale infatti fa salva la norma sui rechazos en frontera giustificandola con la necessità di ripristinare la legalità compromessa di fronte a situazioni di pericolo per la sicurezza pubblica derivanti dalla pressione migratoria al confine, nel quadro di quel regime speciale che è riscontrabile solo per Ceuta e Melilla (ricorre anche qui, come nella valutazione della Corte di Strasburgo, una discutibile argomentazione che accorda un peso rilevante alle esigenze securitarie e sovraniste dei Paesi europei, a discapito dei diritti degli individui). Il Tribunale, inoltre, a differenza della pronuncia della Corte di Strasburgo, estende la legittimità della disposizione al tentativo di ingresso individuale, e non soltanto a quelli en masse (significativa è in proposito l’opinione dissenziente del giudice Balaguer Callejón, che si chiede come ciò possa essere conforme agli obblighi internazionali, visto che si discosta dalle specifiche circostanze riscontrate in N.D. e N.T.).

Riguardo alla conformità della disposizione al principio di non-refoulement nonché al diritto d’asilo, sancito all’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e all’art. 13.4 della Costituzione spagnola, la Corte costituzionale rileva come la norma stessa preveda che «le domande di asilo vadano presentate nei luoghi autorizzati ai valichi di frontiera e analizzate secondo la normativa applicabile in materia» (così continua la disposizione addizionale alla LOEX di cui sopra). A parere della Corte non vi è dunque contrasto con le suddette norme, dal momento che la disposizione in questione si limita a indicare i luoghi autorizzati a ricevere le domande di protezione internazionale, non pone deroghe alla normativa sul diritto d’asilo e sulla protezione sussidiaria (Ley Orgánica n. 12/2009), e si pone nel rispetto degli obblighi internazionali, in base alle quali lo Stato deve garantire effettivi percorsi di accesso legali per richiedere tale protezione (evidente è l’influenza della sentenza N.D. e N.T., in cui, al par. 44, la Corte di Strasburgo afferma che «the effectiveness of Convention rights requires that […] States make available genuine and effective access to means of legal entry», sollevando,inoltre, perplessità in merito alla apparente introduzione di un obbligo positivo a carico degli Stati di prevedere effettivi canali di accesso ai sensi dell’art. 3 CEDU che si evincerebbe dalla formulazione della proposizione. Dai più, ad ogni modo, considerata una «Illusory Judicial Revolution», (v. Thym, cit.). Inoltre, in merito alla conformità con gli obblighi internazionali, la Corte chiarisce che, in ogni caso, le autorità spagnole devono garantire “speciale attenzione” alle categorie di persone particolarmente vulnerabili, facendo riferimento ai minori (soprattutto se non accompagnati), in considerazione della salvaguardia del superiore interesse del fanciullo e dei doveri di protezione dello Stato ai sensi dell’art. 3 della Convenzione delle Nazione Unite sui diritti del fanciullo e a donne incinte o persone anziane o disabili.

La Corte costituzionale non riscontra neanche la violazione delle norme costituzionali spagnole, tra cui l’art. 24 (diritto ad una tutela giuridica effettiva) e l’art. 106 relativo al controllo giudiziario sull’azione amministrativa, rilevate dai ricorrenti a causa dell’assenza di una procedura definita per legge per la fattispecie dei rechazos en frontera. Per la Corte, infatti, dall’art. 106 della Costituzione deriverebbe solo la possibilità di sottoporre a controllo giudiziario la legittimità dell’azione amministrativa, non anche, quindi, un diritto ad un procedimento amministrativo (Pelliccia, cit.). Inoltre, a parere della Corte, il rechazo en frontera si qualifica come “un’azione materiale di natura coercitiva” che viene posta in essere nell’ambito dei legittimi poteri di vigilanza e controllo esercitati dagli organi di sicurezza dello Stato. Pertanto, in merito alla contestata assenza di un procedimento ad hoc, la Corte ricorda che vi sono atti di esecuzione materiale dell’autorità amministrativa che si manifestano senza formalizzazione e che non cessano per questo di essere giuridicamente legittimi (significativa in merito è ancora l’opinione del giudice dissenziente, secondo cui, se pure una categorizzazione di questo tipo potrebbe essere valida per l’azione di intercettazione del migrante, conseguenza delle attività di sorveglianza svolte, certamente non lo è anche per l’azione di consegna dello stesso alle autorità marocchine. Un atto con queste caratteristiche, quale è il rechazo en frontera, implica conseguenze sul piano degli obblighi statali in materia di diritti umani tali da non poterlo declassare a “mera azione esecutiva”, che non richiede la certezza di un procedimento in cui siano previste adeguate garanzie).

Dunque, per la Corte costituzionale spagnola, il regime dei rechazos en frontera è legittimo, purché sia conforme agli obblighi internazionali e assoggettabile a controllo giudiziario. La contraddizione generata è evidente. Dal momento che questi requisiti sono di difficile applicazione nella pratica per la natura stessa dei respingimenti alla frontiera, ad essere perpetuato è solo un quadro di indeterminatezza giuridica. Infatti, in assenza di un procedimento definito per legge, viene lasciata ampia discrezionalità alle autorità spagnole in merito alle modalità con cui il respingimento deve essere attuato e si rischia di rendere teoriche, piuttosto che reali ed effettive, le garanzie cui ha diritto lo straniero in relazione alla possibilità di presentare domanda di protezione internazionale, di far valere le proprie ragioni avverso al refoulement, di accedere all’assistenza legale e di un interprete, nonché a meccanismi di protezione per i soggetti vulnerabili, come i minori, le donne incinte, le vittime di tratta. Infine, come afferma ancora il giudice dissenziente è paradossale ritenere che senza un procedimento minimo e la possibilità di individualizzare ciascun ipotesi di respingimento, si possa esercitare il diritto fondamentale a una tutela giudiziaria effettiva (art. 24.1 Cost.), attraverso un controllo giudiziario a posteriori sul respingimento e sulla legalità dell’azione amministrativa.

5. Conclusioni

Il ricatto politico “sulla pelle degli esseri umani” all’origine della crisi di Ceuta rivela il fallimento delle politiche di esternalizzazione delle frontiere, mettendo in luce le implicazioni politiche e giuridiche di un sistema insostenibile, che mina le basi stesse del progetto europeo.

Tale fallimento è particolarmente evidente in quello spazio di frontiera sui generis costituito dai regimi di Ceuta e Melilla, in cui l’imporsi degli interessi nazionali di controllo dei confini determina l’erosione della tutela effettiva dei diritti. Gli effetti combinati del contenimento dei flussi migratori, esercitato dal Marocco in virtù degli impegni assunti con i partner europei, e del regime eccezionale dei respingimenti alla frontiera, che formalmente fa salvi principi di diritto, poi vanificati dall’impossibilità di vederli applicati nella pratica, rendono difficile comprendere come effettivamente possa essere garantito il divieto di non-refoulement, il diritto all’asilo, nonché la protezione necessaria per i soggetti più vulnerabili (sull’evanescenza dei diritti “di frontiera”, v. più in generale Vitiello, p. 342).

In merito, viene in rilievo il “paradosso” della sentenza della Corte costituzionale spagnola che fa sì che sia data copertura legale ad una fattispecie giuridica di respingimento che, per come si attua in concreto, non può rispettare quei requisiti che la Corte stessa ha (astrattamente) individuato per la sua corretta applicazione (quali l’osservanza degli obblighi internazionali e la garanzia di una tutela giudiziaria effettiva). Tra questi requisiti vi è anche la garanzia di effettive vie legali di accesso al territorio spagnolo, che, come si è affermato, a dispetto della controversa valutazione della Corte di Strasburgo nel caso N.D. e N.T., costituisce tutt’oggi un’opzione irrealistica, proprio per effetto delle pratiche di esternalizzazione delle frontiere.

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Anna Fazzini

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