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STRUMENTI GIURIDICI EFFICACI PER UNA COOPERAZIONE EFFICACE: IL NEGOZIATO DEL TEAM EUROPA CON LA TUNISIA IN QUALE DIREZIONE VA?

Francesca Perrini (Università di Messina)

È dello scorso 11 giugno la dichiarazione nella quale sono state esposte le linee della futura cooperazione tra il c.d. Team Europa (così definito da Ursula von der Leyen e costituito dalla stessa Presidente della Commissione europea, dalla Premier italiana Giorgia Meloni e dal Premier neerlandese Mark Rutte) e la Tunisia, concordata all’esito dell’incontro con il Presidente tunisino Kaïs Saied.

La cooperazione annunciata poggia su cinque pilastri, ritenuti di importanza fondamentale per la crescita economica e lo sviluppo democratico della Tunisia e per i quali l’Unione europea si impegna a fornire un considerevole sostegno finanziario. In particolare, il primo pilastro è costituito dallo sviluppo economico della Tunisia, per il quale l’Unione europea intende riservare fino a 900 milioni di euro; il secondo pilastro riguarda il potenziamento degli investimenti e dei rapporti commerciali tra le due controparti; il terzo pilastro individua l’energia come specifico settore di investimento secondo l’approccio win to win, che tiene conto della grande disponibilità tunisina di energie rinnovabili e del bisogno di energia pulita dell’Unione europea; il quarto pilastro è dato dalla migrazione, nell’ambito del quale la Presidente von der Leyen ha proposto di destinare 100 milioni di euro da utilizzare per il controllo delle frontiere e per la ricerca e il salvataggio in mare, nella prospettiva del comune interesse a contrastare il traffico di migranti; infine, il quinto pilastro, dedicato ai “contatti interpersonali” prevede un programma Erasmus+ di 10 milioni di euro finalizzato a incentivare la mobilità studentesca e altre forme di partenariato con le quali si auspica la possibilità per i giovani tunisini di studiare e lavorare negli Stati membri dell’Unione europea. 

La dichiarazione è il risultato di un serrato confronto diplomatico, sviluppatosi nel limitato arco temprale che va dal 1° all’11 giugno 2023 e consistente, secondo quanto riportato dalla stampa, in pochi contatti, tra i quali si segnala la visita del 6 giugno della Presidente Meloni a Tunisi, all’esito della quale la Premier italiana ha rilasciato un comunicato ottimista sul futuro delle relazioni italo-tunisine. 

Appare evidente, dunque, la ferma volontà di portare a casa un risultato, specialmente nell’ambito più delicato: quello della gestione dei flussi migratori. L’Unione europea prosegue nella sua politica di cooperazione con i Paesi terzi per la gestione del fenomeno migratorio, consistente nella richiesta di controllo dell’emigrazione in cambio di incentivi economici e di canali di ingresso regolari. L’Italia cerca un appoggio dell’Unione nel contrasto all’immigrazione. Dal canto suo, la Tunisia ha urgente bisogno di aiuti finanziari che agevolino i difficili negoziati in corso con il Fondo monetario internazionale (per i quali si rinvia a Viterbo).

Grande entusiasmo nei comunicati di Meloni e von der Leyen (rispettivamente del 6 e 11 giugno), a fronte di una più tiepida posizione del Presidente tunisino, che – stando a quanto riportato dalla stampa – non sembrerebbe disposto a trasformare il suo Paese nella guardia di frontiera di altri Stati e che esprime perplessità sull’ospitalità dei migranti in appositi centri di accoglienza in cambio di denaro. 

Al momento le informazioni disponibili sul contenuto di tale cooperazione si limitano a quanto risulta dai comunicati ufficiali. Ciò che emerge è comunque un cambio di rotta nella terminologia utilizzata, nella misura in cui non si parla più di contrasto all’immigrazione irregolare bensì di “lotta comune ai trafficanti di esseri umani”. Al di là delle espressioni utilizzate, viene tuttavia in rilievo un modello di cooperazione già visto, secondo il quale l’Unione europea mette in campo risorse economiche finalizzate al sostegno dell’economia tunisina chiedendo in cambio un controllo della migrazione. Si tratta dunque di un (certamente non nuovo) approccio economico nella gestione del fenomeno migratorio, che, del resto, trova conferma nell’accordo raggiunto tra i Ministri degli interni europei nella riunione del Consiglio dell’8 giugno scorso sulle norme per riformare le procedure di controllo alla frontiera (Camilli).

Resta da vedere quali forme assumerà la cooperazione. Anche da questo punto di vista, i negoziati sembrano andare in una direzione non nuova. Stando sempre alle dichiarazioni rilasciate, i risultati negoziali saranno presentati al Consiglio europeo del 29-30 giugno nella forma di un Memorandum of Understanding. Si tratta di una denominazione già usata in materia di immigrazione che può riferirsi tanto a intese politiche quanto a veri e propri accordi internazionali; basti pensare, a tale riguardo, al noto Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica italiana, del 2 febbraio 2017, che funge da modello per la «cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei migranti per fermare i flussi migratori» (Camilli). Come è noto, tale accordo è stato irregolarmente concluso in forma semplificata, così come altri accordi bilaterali aventi ad oggetto il contrasto all’immigrazione irregolare (Favilli). 

Nel caso del negoziato con la Tunisia, il Governo italiano facilita l’interlocuzione con l’Unione europea con l’obiettivo di realizzare quel controllo dell’immigrazione che non è riuscito ad ottenere con il controverso accordo del 2011, mai reso pubblico ma comunque oggetto di attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Khlaifia. Da parte dell’Unione europea, la cooperazione con la Tunisia si inserisce nel quadro dei rapporti con gli Stati terzi finalizzati al controllo e gestione delle frontiere ed evoca il celebre precedente dello Statement con la Turchia del 18 marzo 2016 (Roman).

Sulla natura giuridica di tale ultimo strumento ha avuto modo di pronunciarsi il Tribunale dell’Unione europea nelle ordinanze del 28 febbraio 2017, relative ai casi NF, NG e NM c. Consiglio europeo (per tutti, si veda causa T-257/16; da segnalare che la Corte ha respinto i ricorsi presentati contro tali ordinanze, cause riunite da C-208/17 P a C-210/17 P). A fronte della richiesta di annullamento della dichiarazione UE-Turchia, ritenuta dai ricorrenti un accordo internazionale concluso dal Consiglio europeo per conto dell’Unione, in violazione delle norme del TFUE sulla conclusione di accordi internazionali, il Tribunale si è dichiarato incompetente sostenendo che «il Consiglio europeo non ha adottato alcuna decisione di concludere un accordo con il governo turco a nome dell’Unione, né (…) ha impegnato l’Unione ai sensi dell’articolo 218 TFUE». Il Tribunale ha inoltre aggiunto che «anche supponendo che un accordo internazionale possa essere stato concluso informalmente nel corso della riunione del 18 marzo 2016 (…), tale accordo sarebbe intervenuto tra i capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione e il Primo ministro turco». 

Non sembra possano esservi dubbi sul fatto che l’atto in questione sia qualificabile come accordo (Zambrano) e ciò ove si considerino alcuni elementi che sembrerebbero deporre in tal senso. Innanzitutto, secondo quello che è un noto principio di diritto, per qualificare un atto giuridico, non bisogna guardare al nomen juris, ma al suo contenuto. Già nel 1962 la Corte internazionale di giustizia si esprimeva in tal senso, nel caso del Sud Ovest Africano ritenendo che «[t]erminology is not a determinant factor as to the character of an international agreement or undertaking. In the practice of States and of international organizations and in the jurisprudence of international courts, there exists a great variety of usage; there are many different types of acts to which the character of treaty stipulations has been attached». E, da questo punto di vista, la disciplina contenuta nello Statement UE-Turchia sembrerebbe deporre in tale senso. Vi è poi da considerare l’aspetto della volontà delle parti, che, sulla base di un principio consolidato di diritto internazionale possono liberamente scegliere la forma di manifestazione del consenso ad obbligarsi, purché la volontà di vincolarsi risulti in maniera evidente dal testo convenzionale, ovvero dai loro comportamenti, siano essi precedenti l’adozione dell’atto o successivi. Nel caso dello Statement UE-Turchia, tanto il contenuto quanto la volontà delle parti sembrerebbero confermarne la natura pattizia. Resta l’ambiguità se si tratti di accordo concluso dall’Unione europea (così è per Cannizzaro) ovvero dai singoli Stati membri. In quest’ultimo caso si tratterebbe di un accordo concluso in forma semplificata. 

Ciò detto, occorre rilevare che, quale che sia la loro qualificazione giuridica, i problemi che tali strumenti sollevano non sono di poco conto. 

Se si ritiene che si tratti di accordi conclusi dagli Stati membri dell’Unione, si pone la questione della loro validità, qualora l’accordo sia stato concluso in manifesta violazione di norme interne di importanza fondamentale sulla competenza a stipulare (secondo quanto dispone l’art. 46 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969). È questo il caso del citato accordo Italia-Libia e degli altri accordi bilaterali conclusi in materia di immigrazione dal nostro Paese, che, essendo di natura politica e comportando oneri alle finanze per lo Stato, avrebbero necessitato della legge di autorizzazione alla ratifica da parte del Presidente della Repubblica, di cui all’art. 80 della Costituzione (v. supra Favilli). 

Ove si ritenga che si tratti di intese politiche, si pone il problema dell’individuazione delle conseguenze in caso di loro inosservanza, visto che un’intesa politica è ben diversa da un accordo internazionale (v. per esempio Spagnolo in merito alle conseguenze delle violazioni dello Statement da parte delle autorità turche). 

Proprio da questo punto di vista, in un settore particolarmente delicato come quello dell’immigrazione – in cui ad essere in gioco sono il godimento di diritti fondamentali ed il destino stesso delle persone – bisogna poter disporre di strumenti giuridici efficaci. L’efficacia non può dipendere unicamente dal contenuto dell’atto giuridico, ma poggia su (e parte da) l’esatta qualificazione giuridica (e la corretta scelta) dello strumento su cui fondare la cooperazione. In attesa di conoscere gli esatti termini della cooperazione UE-Tunisia, è possibile ipotizzare che l’Unione europea proseguirà nell’adozione di un modello seguito tanto dall’Unione stessa, quanto dagli Stati membri (Favilli), che certamente assicura celerità, ma – comportando problemi in termini di validità dell’atto adottato e di individuazione delle conseguenze in caso di sua inosservanza – rischia di compromettere il buon esito della cooperazione.

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