Responsabilità d’impresa e industria estrattiva: cosa cambia con la nuovaDirettiva UE? Il caso del marmo di Carrara

Carlo Mazzoleni (Università di Roma La Sapienza)
- Introduzione
A meno di un anno dalla sua adozione, la Direttiva (UE) 2024/1760 relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (di seguito “Direttiva” o “CSDDD” dall’inglese Corporate Sustainability Due Diligence Directive) è oggetto di un repentino ripensamento da parte della neoeletta Commissione UE. Il 26 febbraio 2025 è stato infatti presentato il c.d. “Pacchetto Omnibus“, un insieme di proposte volte a semplificare la normativa UE in materia di sostenibilità e che potrebbe incidere significativamente sulla portata della Direttiva (per un commento vedi il recente contributo su questo blog). Il 3 aprile 2025, in attesa di discutere le possibili modifiche, il Parlamento UE ha approvato l’estensione dal 2026 al 2027 del termine per il recepimento della CSDDD a livello nazionale da parte degli Stati membri.
La proposta di revisione ha destato critiche sia da parte di alcune grandi imprese, che chiedono maggiore certezza normativa, che da varie organizzazioni della società civile, preoccupate di vedere vanificata l’adozione di una legge che introduce nuovi obblighi per le grandi imprese relativi agli impatti negativi sull’ambiente e sui diritti umani delle loro attività commerciali, incluso lungo le loro catene del valore. Per quanto siano stati evidenziati certi limiti (soprattutto in relazione all’ambito di applicazione) ed il rischio di effetti indesiderati nei paesi in via di sviluppo, la CSDDD rappresenta un fondamentale passo in avanti in materia di sostenibilità aziendale, in quanto traduce in obblighi giuridici standard di condotta internazionali − quali i Principi Guida ONU su impresa e diritti umani (Principi Guida) − non direttamente vincolanti per le imprese e ai quali gli Stati non hanno dato completa attuazione.
Per quanto riguarda l’Italia, nel 2022 un rapporto del Gruppo di Lavoro ONU su imprese e diritti umani ha individuato varie criticità nell’attuale ordinamento in relazione alla tutela dell’ambiente ed il rispetto dei diritti fondamentali a fronte delle attività d’impresa. Oltre a condannare la diffusione del fenomeno del caporalato e le connesse violazioni dei diritti dei lavoratori (soprattutto nei settori agro−alimentare e tessile), il rapporto individua una serie di scenari in cui le attività d’impresa determinano danni ambientali (come nel caso dell’ILVA a Taranto e delle attività estrattive di ENI in Basilicata) che comportano gravi lesioni di diversi diritti degli individui interessati. Un ulteriore settore industriale che in Italia, come nel resto del mondo, risulta particolarmente esposto al rischio di causare danni ambientali e violazioni dei diritti umani è quello minerario: emblematico in tal senso è il caso dell’estrazione di marmo nelle Alpi Apuane, in provincia di Massa−Carrara, sorprendentemente non preso in considerazione dal Gruppo di Lavoro ONU, nonostante la presentazione di uno studio al riguardo – vedi qui. Negli ultimi anni, infatti, l’esponenziale aumento delle attività estrattive ha esacerbato gli impatti negativi sia ambientali (quali l’inquinamento delle acque, l’erosione del suolo, l’alterazione paesaggistica e rischi per la biodiversità) che socio−economici (quali le scarse ricadute occupazionali ed i limiti a forme alternative di sviluppo per il territorio), il che ha portato varie associazioni della società civile a chiedere regole più stringenti in materia di attività minerarie (vedi Braucher e Imperatore).
Il presente contributo intende analizzare brevemente le implicazioni che potrebbero derivare dalla trasposizione in Italia della CSDDD per le imprese operanti nel settore minerario, utilizzando il caso dell’estrazione di marmo nelle Alpi Apuane per evidenziare gli impatti negativi associati alle attività estrattive ed i limiti dell’attuale quadro normativo nel farvi fronte.
2. Nuove regole di condotta per le imprese introdotte dalla CSDDD
La Direttiva richiede agli Stati membri di imporre alle grandi imprese – incluse quelle attive nel settore estrattivo – di adottare misure idonee ad identificare e affrontare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente che possono verificarsi nell’ambito delle loro attività e lungo le rispettive catene del valore, oltre a stabilire un regime di responsabilità civile e amministrativa per il mancato rispetto di tali obblighi (per un’analisi esaustiva si rimanda a Bonfanti).
Nell’ambito di applicazione della CSDDD rientrano le imprese che soddisfano i requisiti stabiliti all’articolo 2, tra cui: le imprese con sede nell’UE con almeno 1000 dipendenti e un fatturato netto mondiale superiore a 450 milioni di euro; le imprese straniere che generano lo stesso fatturato nel mercato dell’Unione. Secondo il Datahub gestito dall’ONG olandese SOMO, sono circa 7000 le imprese interessate, di cui circa 5000 con sede nell’UE (tra cui 420 in Italia). A tali imprese è richiesto di adottare una serie di misure volte ad identificare, prevenire, cessare e porre rimedio agli impatti negativi dovuti sia alle loro attività che a quelle delle loro filiali e dei partner commerciali nella loro catena di attività.
Il contenuto del dovere di diligenza è definito dagli articoli 7-16 della Direttiva che, sostanzialmente, ricalcano il processo di due diligence elaborato in strumenti internazionali quali i Principi Guida dell’ONU e le Linee Guida dell’OCSE, espressamente richiamati nei Considerando della CSDDD (ad esempio, nn. 5 e 6). In particolare, l’articolo 8 impone l’adozione di misure adeguate per individuare e valutare gli impatti negativi, effettivi o potenziali, delle attività d’impresa: a tal fine, alle imprese viene chiesto di mappare le proprie attività – e quelle delle loro filiali e partner commerciali − al fine di individuare i settori generali in cui è più probabile che gli impatti negativi si verifichino e, quindi, di effettuare una valutazione più approfondita in relazione ai settori maggiormente critici. Sulla base dei rischi riscontrati, la CSDDD prescrive l’adozione di misure idonee a prevenire gli impatti negativi potenziali (art. 9) e ad arrestare quelli effettivi (art. 10). In entrambi i casi, le imprese sono chiamate ad effettuare gli investimenti finanziari o non finanziari, gli adeguamenti o gli aggiornamenti necessari (ad esempio, degli impianti, dei processi e delle infrastrutture di produzione); di apportare le modifiche o i miglioramenti necessari al piano aziendale, alle strategie generali e alle attività della società stessa; ove necessario, di predisporre e attuare un piano d’azione che preveda scadenze ragionevoli e precise per l’attuazione di misure adeguate e indicatori qualitativi e quantitativi per misurare i progressi. Altra disposizione estremamente innovativa è l’art. 13, che introduce l’obbligo per le imprese di adottare misure adeguate per dialogare in modo efficace con i portatori di interessi in varie fasi del processo di due diligence, tra cui nell’individuazione degli impatti negativi ex art. 8 e nell’elaborazione di piani correttivi ex artt. 9 e 10.Per favorire un’effettiva partecipazione dei portatori di interesse, alle imprese è richiesto di identificare ed affrontate gli ostacoli al dialogo e provvedere a che i partecipanti non siano soggetti ad azioni di ritorsione, anche mantenendo la riservatezza e l’anonimato.
Circa i meccanismi sanzionatori, la CSDDD prevede due diverse conseguenze in caso di violazione degli obblighi di dovuta diligenza. Da un lato, gli Stati membri sono chiamati ad istituire un’autorità nazionale di controllo (art. 24) competente a richiedere informazioni ed effettuare indagini (di propria iniziativa o a seguito di segnalazione circostanziata trasmessale a norma dell’art. 26), imporre ordini e sanzioni pecuniarie (in conformità con l’art. 27), adottare misure provvisorie in caso di rischio imminente di danni gravi e irreparabili. Dall’altro, l’art. 29 introduce un regime di responsabilità civile per i danni causati dall’inosservanza agli obblighi di cui agli artt. 10 e 11 (relativi alla prevenzione ed all’arresto degli impatti negativi). La norma stabilisce che i soggetti danneggiati debbano essere nelle condizioni di potere ottenere sia un pieno risarcimento che provvedimenti giudiziali inibitori che costringano le imprese a porre fine alle violazioni compiendo un’azione o cessando una condotta.
Per valutare in che modo le imprese interessate dovranno modificare le proprie pratiche e politiche aziendali per conformarmi alla Direttiva, è necessario confrontare le nuove regole con quanto previsto dalle legislazioni nazionali che regolano le diverse attività d’impresa. Concentrandosi in questa sede sul settore minerario italiano, si prende in esame il caso dell’estrazione di marmo nelle Alpi Apuane al fine di analizzare se, e in che misura, l’attuale quadro normativo richieda alle imprese di prendere in considerazione ed affrontare gli impatti negativi, potenziali ed attuali, delle proprie attività minerarie sull’ambiente e sui diritti fondamentali, così da far emergere le principali novità che saranno introdotte con la trasposizione della CSDDD nell’ordinamento italiano.
3. L’estrazione di marmo dalle Alpi Apuane: impatti socio-ambientali e limiti normativi
A partire dalla fine degli anni ‘80, la millenaria attività di estrazione di marmo dalle Alpi Apuane, in particolare nella provincia di Massa−Carrara, ha conosciuto una significativa crescita per effetto di due principali fattori (vedi Braucher). Da un lato, l’introduzione di moderne e più efficienti tecnologie per l’escavazione ha permesso di aumentare la produttività; dall’altro, l’avvento del mercato del carbonato di calcio, prodotto utilizzato in svariati settori e ricavabile dalla riduzione in polvere di scaglie e detriti di marmo, ha fatto sensibilmente crescere la domanda di materiale. In passato considerati scarti, oggi quasi l’80% del marmo estratto dalle cave di marmo è composto da detriti, mentre i tradizionali blocchi destinati a fini artistici e ornamentali costituiscono circa il 20% (vedi lo studio di Legambiente relativo a 76 cave nel periodo 2002−2022).
Nonostante l’estrazione e la lavorazione del marmo abbiano un importante valore tradizionale e culturale per il territorio e la sua popolazione − oltre ad essere un settore estremamente redditizio per le imprese che vi operano −, da anni varie associazioni della società civile (tra cui, in ordine alfabetico: Apuane Libere, Athamanta, Legambiente Carrara, Salviamo le Apuane) denunciano come l’aumento delle attività minerarie stia generando diverse ricadute socio-ambientali negative.
Particolarmente gravi sono le conseguenze per l’ambiente, incluso in aree protette del Parco Regionale delle Alpi Apuane. La questione principale riguarda l’inquinamento delle risorse idriche a causa delle infiltrazioni di “marmettola”, materiale prodotto dall’estrazione del marmo e dal forte impatto sulla qualità delle acque superficiali e sotterranee (vedi qui, qui e per articoli scientifici Tazzini et al. e Piccini et al.) Inoltre, la crescente attività estrattiva ha determinato un’alterazione permanente del paesaggio, incidendo sulla biodiversità delle aree interessate (vedi Gentili et al.). Ulteriore impatto ambientale – dalle dirette conseguenze per la sicurezza degli abitanti delle zone interessate – è il dissesto idrogeologico dovuto alle operazioni di cava e alla gestione degli scarti di produzione, che comporta un aumento del rischio di frane e di alluvioni (vedi al riguardo l’esposto presentato da Legambiente alla Procura di Carrara nel 2023). Per quanto riguarda poi gli impatti socio-economici, da tempo il settore lapideo determina scarse ricadute occupazionali, costituendo al contempo un limite a forme alternative di sviluppo economico, ad esempio nei settori turistico e agricolo−pastorale (circa tali impatti e possibili soluzioni proposte dalla società civile vedi il Manifesto per le Alpi Apuane ed il Piano Programma di Sviluppo Economico Alternativo delle Apuane).
A fronte degli impatti socio−ambientali causati dalle attività minerarie, l’attuale quadro legislativo risulta carente di norme idonee ad assicurarne un’efficace individuazione e prevenzione. Senza entrare nel dettagli della complessa normativa applicabile − suddivisa tra norme nazionali (in materia estrattiva è tutt’ora in vigore il regio decreto n. 1443 del 1927, mentre in materia ambientale rileva il Testo Unico Ambientale del 2006), regionali (essendo le Regioni competenti a disciplinare i processi di autorizzazione per le cave (dal DPR 2/1972) e le miniere (dal D. Lgs. 112/1998): ad esempio, in Toscana è in vigore laLegge regionale 78/1998, modificata con riguardo alle sole cave dalla Legge regionale 35/2015; sul reparto di competenze in materia ambientale vedi qui) e comunali (essendo affidata ai Comuni la competenza di autorizzare le attività estrattive sul proprio territorio – vedi qui per il Comune di Carrara) − ci si limita a sottolineare come il procedimento per il rilascio delle autorizzazioni per le attività estrattive prenda in scarsa considerazione i possibili impatti negativi sull’ ambiente e le implicazioni socio−economiche per i cittadini.
In primo luogo, ai fini del rilascio dell’autorizzazione le imprese non sono tenute a effettuare una Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) a meno che la cava superi determinati limiti di materiale estratto o di estensione (ai sensi dell’ allegato III del TUA, lettera “s”, la VIA è richiesta per cave con più di 500.000 m3 /a di materiale estratto o di un’area interessata superiore a 20 ettari). Nel contesto dell’estrazione di marmo dalle Alpi Apuane, la gran maggior parte delle cave non raggiunge tali soglie, esentando così le imprese dall’obbligo di VIA. A questo proposito, nel Rapporto Cave 2021 Legambiente raccomanda l’adozione di una nuova legge quadro che preveda l’obbligo di effettuare la VIA per tutte le richieste di estrazione. Inoltre, sebbene le autorizzazioni prevedano spesso prescrizioni volte a garantire un appropriato smaltimento degli scarti di lavorazione e a garantire la stabilità idrogeologica del terreno, queste misure si rivelano spesso inefficaci. Ad esempio, come più volte evidenziato da Legambiente (v. qui e qui), le disposizioni per lo smaltimento della “marmettola” risultano insufficienti a prevenire l’inquinamento delle risorse idriche. In generale, viene criticata l’impostazione stessa di tali prescrizioni, che si limitano a imporre determinate azioni piuttosto che richiedere il raggiungimento di un risultato concreto (evitare la dispersione della “marmettola” nell’ambiente). A tutto questo si aggiunge la difficoltà di verificare il rispetto da parte delle imprese di tali prescrizioni, dovuta alla scarsa trasparenza delle attività nelle cave (vedi qui e qui). Questa opacità rende estremamente complesso ricondurre gli impatti ambientali a determinate condotte − soprattutto perché tali effetti, in particolare l’inquinamento delle acque, possono emergere a distanza di tempo e in aree distanti dai siti estrattivi −, garantendo così l’impunità delle imprese responsabili.
4. Considerazioni conclusive
Il caso dell’estrazione del marmo dalle Alpi Apuane è indicativo dei rischi ambientali e sociali legati alle attività minerarie in Italia, nonché dei limiti dell’attuale quadro normativo nel prevenirli e farvi fronte. Peraltro, tale scenario potrebbe estendersi nei prossimi anni ad altre parti d’Italia, in particolare quelle ricche di materie prime necessarie per produrre energie rinnovabili e dunque essenziali per la transizione energetica (vedi qui la mappa elaborata dall’ISPRA), di cui l’UE ha stabilito di aumentare la produzione con il Regolamento sulle materie prime critiche del 2024, che l’Italia ha recepito con il D.L. 84/2024.
Dunque, la trasposizione nell’ordinamento italiano della CSDDD rappresenta un’importante occasione per colmare le attuali lacune normative, imponendo alle imprese minerarie nuovi obblighi finalizzati ad individuare, prevenire e porre termine agli impatti negativi delle proprie attività su ambiente e diritti fondamentali. Tali regole di condotta imporranno alle imprese interessate di riconsiderare le proprie pratiche aziendali che, per quando conformi all’attuale legislazione, potrebbero non soddisfare i requisiti del ben più articolato processo di due diligence introdotto dalla Direttiva. Tra le principali novità che la CSDDD è destinata ad introdurre vi sono gli obblighi di identificare con precisione gli impatti negativi potenziali e di adottare misure idonee a prevenirli: infatti, come emerso in relazione al caso dell’estrazione di marmo nelle Alpi Apuane, ad oggi alle imprese estrattive non è richiesto sempre di effettuare la VIA e le prescrizioni autorizzative impongono esclusivamente obblighi di condotta e non di risultato. Inoltre, la mancata osservanza del nuovo dovere di diligenza consentirà ai diretti interessati di attivare i meccanismi sanzionatori, di natura amministrativa e civili, contenuti nella Direttiva.
Naturalmente, i nuovi obblighi si applicheranno in via diretta esclusivamente alle grandi imprese che rientrano nell’ambito di applicazione soggettivo della CSDDD: nel contesto dell’estrazione di marmo a Carrara si tratterebbe di poche imprese, poiché la maggior parte delle aziende minerarie non raggiunge le soglie di fatturato e numero di dipendenti. Nondimeno, la Direttiva è destinata a produrre conseguenze indirette anche per le imprese che siano “partner commerciali nella catena di attività” di imprese vincolate dalla CSDDD, cioè quelle con cui tale impresa abbia concluso un accordo commerciale connesso alle proprie attività ed inerente, tra gli altri, all’estrazione o all’approvvigionamento di materie prime (art. 3, lettera “g”). Tale definizione ricomprende certamente le piccole-medie imprese dedite all’escavazione di marmo e che riforniscono di materiale le grandi imprese vincolate al rispetto della CSDDD. Poiché per non incorrere in violazioni delle nuove regole le grandi imprese dovranno garantire che anche i propri partner commerciali operino in maniera conforme ai nuovi obblighi, è verosimile che verranno elaborate nuove clausole nei contratti di fornitura che impongano alle piccole e medie imprese di adeguarsi ai requisiti di sostenibilità previsti dalla Direttiva.
In ogni caso, perché la CSDDD produca effettivi cambiamenti nell’attuale contesto estrattivo italiano, tuttavia, sarà essenziale una efficace recepimento della normativa europea attraverso un procedimento partecipato e trasparente, che porti all’adozione di una nuova legge piuttosto che all’estensione di normative già esistenti. Fondamentale sarà poi l’elaborazione di chiare linee guida che definiscano in concreto il concetto di “misure idonee” a garantire il rispetto della Direttiva da parte delle imprese: l’art. 19 della CSDDD affida tale compito alla Commissione, chiamata ad elaborare indicazioni che definiscano concretamente la condotta richiesta alle imprese in specifici ambiti e, in particolare, nei settori maggiormente critici quale quello minerario. Nonostante possibili modifiche previste dal pacchetto Omnibus citato in apertura, gli Stati membri e l’Italia sono tenuti a prepararsi a tradurre la Direttiva in norme nazionali vincolanti per le imprese: per il settore estrattivo italiano questo non potrà che implicare importanti cambiamenti che avranno ripercussioni tanto nel contesto dell’estrazione del marmo dalle Alpi Apuane quanto nei futuri progetti per l’estrazione di minerali critici per la transizione energetica.
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