diritto internazionale pubblico

Cinque argomenti contro il reato di negazionismo

Le idee, anche peggiori, si combattono con le idee, possibilmente le migliori. È in virtù di tale convincimento che, diversamente da quanto sostenuto dal Prof. Sacerdoti, sono contrario all’introduzione di un reato di negazionismo in Italia. Sinteticamente, tale posizione è fondata su cinque argomenti (sui quali è in corso un approfondimento).

1. Occorre distinguere la figura del giudice da quella dello storico. Si tratta della critica più nota: far passare in giudicato la storia significa contribuire alla creazione di una verità unica, immutabile, fabbricata, peraltro, con i rigidi strumenti del diritto. Si consideri, ex multis, il tema delle prove: il giudice – diversamente dallo storico – può utilizzare solo quelle ammissibili in giudizio, e questo comporta una verità di prospettiva decisamente meno ampia.

2. Il secondo argomento, già meno esplorato del primo, concerne l’altrettanto necessaria distinzione tra il giudice e il legislatore. Riferendoci ai progetti presentati nel corso degli ultimi tempi e cioè, rispettivamente, ai d.d.l. 8 ottobre 2012 n. 3511; 15 marzo 2013 n. 54; e 16 ottobre 2013 n. 54-A, quello che tali disegni non spiegano – e che invece meriterebbe un’adeguata puntualizzazione – è chi avrà il potere di accertare. Se s’intende attribuire tale potere al legislatore, occorre rammentare che proprio di recente il Conseil constitutionnel français ha sancito, con una decisione del 28 febbraio 2012, l’incostituzionalità di una norma che considerava ‘innegabili’ i soli genocidi certificati dalla legge. Se s’intende attribuirlo al giudice, occorre specificare quale. Anche ammesso (e non concesso!) che esista una definizione pacifica per ciascuno dei crimini contemplati nei progetti summenzionati (si pensi al caso dell’aggressione, o ancora al terrorismo), quale giudice sarà dotato di tale delicato compito? Quello internazionale, sempre che ne esista uno competente per il caso di specie? O quello interno, lontano miglia, e talvolta anche decenni, dalle scene invocate in giudizio?

3. Il terzo argomento è ispirato alle critiche mosse dalla dottrina penalistica. La contestazione maggiore è quella per cui simili reati rappresentano espressioni di ‘diritto penale simbolico’, il quale «fa male, prima di tutto, proprio ai simboli che usa» (così l’Unione delle Camere penali italiane in un appello lanciato sul relativo sito). Si prenda, come esempio di quanto considerato, l’ultimo progetto di legge italiano, quello del 16 ottobre 2013. In esso il reato non è configurato all’interno dello schema dell’istigazione, nonostante – come è stato osservato – sia questo «il parametro costituzionale di compatibilità, secondo risalenti insegnamenti della nostra Corte Costituzionale».

4. Ancora, e veniamo al quarto punto, introdurre questo tipo di reato significa esporsi al rischio dell’eterogenesi dei fini. Istruire un processo per condannare i negazionisti  non fa che rendere pubbliche le relative tesi, e quindi non più solo discutibili, ma discusse: esattamente quanto si intendeva evitare. La storia del negazionismo abbonda di tali esempi: trascinare in tribunale i negazionisti ha significato per lo più offrire loro una tribuna.

5. L’ultimo aspetto che merita attenzione è relativo ai profili internazionalistici. A tale riguardo diverse considerazioni si impongono. Innanzitutto, occorre specificare che la decisione del Consiglio dell’Unione europea del 28 novembre 2008, alla quale i progetti italiani rimandano, non domanda di introdurre la fattispecie oggi dibattuta in Parlamento, ma una diversa, punita con due anni in meno, e che contempla un più marcato elemento di pericolo (facendo riferimento a comportamenti che «siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o membro», cfr. ivi, art. 1, par. 1 lett. c e d).

Inoltre, se si volge lo sguardo alla ricostruzione di principi generali, dall’esame delle legislazioni nazionali non si evince alcun indirizzo unitario, e tali divergenze appaiono accentuate dal fatto che le ‘tecniche di bilanciamento’ adoperate dalle Corti costituzionali e dagli organi internazionali di tutela dei diritti umani… mutano sensibilmente se si tratta di negazionismo concernente l’olocausto o in altri casi. Per un esempio di quanto asserito sia sufficiente confrontare l’orientamento della Corte europea dei diritti umani nei due casi Garaduy c. Francia (decisione del 24 giugno 2003) e Perinçek c. Suisse (sentenza del 13 dicembre 2013). Se nel 2003 l’orientamento è stato quello di ritenere legittima una condanna per negazionismo (concernente l’olocausto), dieci anni dopo (occupandosi del genocidio armeno) la medesima Corte ha ritenuto che simili restrizioni della libertà di espressione non siano necessarie in una società democratica.

In conclusione, i pochi elementi concordi di una prassi così poco omogenea concernono il solo diniego dell’olocausto e sono compiuti per lo più attraverso il ricorso a strumenti di soft law (come nel caso della Risoluzione 255/61 dell’Assemblea Generale ONU del 2007, che tuttavia non richiede l’introduzione di un reato, ma solo di rigettare unreservedly ogni negazione dell’olocausto come ‘evento storico’). Eppure, circoscrivere in tale modo l’ambito applicativo di una norma significa – in ultima istanza – de-attualizzarla, appiattendo la tutela penale ad una funzione di mero ‘guardiano della storia’.

Quid juris? Aprirsi ad una nozione ampia di negazionismo (esponendosi al rischio di una successiva censura da parte di un organo di garanzia internazionale)? Optare per una nozione ristretta (con l’evidente pericolo di una deriva storico-simbolica)? O ancora – come qui suggerito – non optare per nessuna di queste opzioni (lasciando il diritto indifferente ai negazionisti, a meno che costoro non compiano condotte altrimenti rilevanti sotto il profilo penale)?

Salvo eccezioni (più uniche che rare), la dottrina internazionalistica italiana non si è ancora misurata con tali questioni. Ma è giunto il momento di contribuire a un dibattito tanto delicato quanto necessario.

 

 

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Gabriele Della Morte

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