diritto internazionale privato

Possibili e opportune regole generali uniformi dell’UE in tema di legge applicabile

Lo sviluppo normativo imponente – ma per lo più frammentato – del diritto internazionale privato (DIP) europeo ha indotto a porsi la questione se sia utile – ed al limite necessario – formalizzare un complesso di regole generali in materia. Pare tuttavia difficilmente percorribile, sul piano politico prima ancora che giuridico, un regolamento comprensivo dei profili internazionalprivatistici che emergono da tutte le fonti di diritto dell’UE rilevanti in materia. Infatti, oltre alla nota base giuridica quale ora costituita dall’art. 81 TFUE per l’adozione di atti sulla cooperazione giudiziaria in materia civile, bisogna annoverare norme derivate “speciali” aventi una diversa base giuridica nel TFUE, convenzioni internazionali dell’UE (sia con Stati non membri che con uno Stato membro come la Danimarca) e i “corollari” internazionalprivatistici discendenti dal TFUE e dal TUE, il cui art. 6 incorpora a sua volta sia la Carta dei diritti fondamentali dell’UE sia la Convenzione europea dei diritti umani. Sarebbe quindi opportuno concentrare l’ipotizzato regolamento generale solo con riguardo a materie disciplinate da atti normativi aventi base giuridica nell’art. 81 TFUE perché maggiormente consoni ad una logica di “integrazione sistemica”, senza peraltro nascondersi le difficoltà sulla procedura che andrebbe seguita in considerazione dell’elevato grado di “geometria variabile” presente in materia tanto che, come è noto, alcuni regolamenti in vigore non vincolano tutti gli Stati membri.

L’attenzione maggiore va dedicata ai profili di diritto applicabile costituenti il noto progetto “Roma 0”, dal momento che nel campo del diritto processuale civile internazionale l’attuale regolamento n. 1215/2012 (“Bruxelles I-bis”) funge da disciplina generale, ancorché non esaustiva, della materia civile e commerciale, dando altresì indicazioni strutturali di funzionamento per norme affini di regolamenti settoriali. Peraltro l’esperienza applicativa di questa disciplina nell’arco di quasi quaranta anni dimostra che l’impianto normativo del “sistema Bruxelles I” si è via via consolidato nella “coscienza pubblica europea” grazie all’interpretazione uniforme della Corte di giustizia e alle modifiche apportate dal legislatore europeo nel corso di successive revisioni del testo originario del 1968. L’attuale versione del 2012 mantiene la continuità con quell’ormai lontano testo, anche se è certamente migliorata la profondità regolatoria della disciplina in vista del coordinamento tra sistemi processuali nazionali all’interno dello spazio giudiziario europeo. L’impatto è visibile anche sugli stessi sistemi processuali nazionali, omologando modelli concettuali e istituti che erano in passato assai diversi tra gli Stati membri e comunque non in linea con il “sistema Bruxelles I”.

È quindi legittimo domandarsi se nell’attuale fase storica meriti avviare una formalizzazione delle regole generali sul diritto applicabile senza che i regolamenti recanti una disciplina uniforme europea sulla legge applicabile abbiano potuto “saggiare” la coerenza “sistemica” delle proprie soluzioni e l’impatto sulle tradizioni giuridiche nazionali. Il carattere finora settoriale del DIP uniforme europeo esprime nei singoli atti un compromesso politico-giuridico che risente del tipo di interessi oggetto dello specifico regolamento. Così, ad esempio, il diritto uniforme europeo richiama sovente in caso di legge applicabile il “collegamento più stretto”, ma tale percorso che combina la tradizione anglosassone con il criterio di prossimità ha natura del tutto eccezionale rispetto al criterio obiettivamente precostituito ed incentrato su una circostanza astrattamente prevedibile che ricalca la tradizione continentale risalente a Savigny e Mancini. Nello stesso solco di prevedibilità si pone il ricorso sempre più diffuso all’autonomia della volontà nella determinazione della legge applicabile, sia pure con il supporto talora richiesto da legami significativi con l’ordinamento indicato.

In tale quadro articolato si collocano anche le soluzioni differenziate sulle regole generali applicabili. Il regolamento n. 650/2012 in materia di successioni è l’unico ad impiegare la tecnica del rinvio. La formula del diritto internazionale privato materiale si ritrova nel regolamento n. 1259/2010 sulla legge applicabile alla fase patologica del rapporto matrimoniale. I due regolamenti menzionati sono inoltre gli unici in cui, pur in diversa misura, si fa rinvio alle norme interne di riparto della competenza legislativa operanti nell’ordinamento la cui legge sia stata richiamata.

La varietà delle soluzioni che il diritto uniforme europeo manifesta su profili generali di DIP riflette differenze che emergono dal panorama comparatistico, sulle quali oltretutto già da tempo si confrontano le diverse scuole di DIP e talora anche singoli esponenti di una medesima “tradizione” nazionale. Nell’attuale fase storica, un ipotetico negoziato sul regolamento “Roma 0” difficilmente potrebbe eludere questa condizione assai articolata del dato normativo come della scienza giuridica internazionalprivatistica, specie considerando l’attenzione che l’art. 67 § 1 TFUE pone alle tradizioni giuridiche degli Stati membri. L’obiettivo di pervenire a regole uniformi dovrebbe del resto inserirsi nel consueto percorso: la Commissione pubblica il “Libro verde”, quindi raccoglie le osservazioni e definisce una proposta normativa. Come mostrano gli ultimi atti adottati di DIP europeo, i punti sensibili vengono affrontati e risolti in seno al Consiglio dell’UE secondo tecniche di compromesso proprie del negoziato intergovernativo sia pure ad elevato contenuto tecnico. Esemplare è l’atteggiamento frequente del Regno Unito, che “piega” il negoziato a propri fini senza poi neppure aderire al testo sfruttando l’opportunità di opting out.

Il testo uniforme su regole generali di DIP deve peraltro confrontarsi con la difficoltà di formalizzare tecniche di coordinamento tra ordinamenti quali sperimentate nella dimensione nazionale ma non facilmente trasponibili in una disciplina uniforme che coordina “dall’alto” i singoli sistemi giuridici dei paesi membri. Valgano, ad esempio, i casi in cui il DIP richieda la coincidenza tra forum e ius a favore di uno Stato membro: in tal caso non si tratta della tecnica pura del c.d. jurisdictional approach ovvero di applicazione generalizzata della lex fori, poiché nel DIP uniforme europeo la determinazione “a monte” del foro competente di uno Stato membro – cui è poi correlata l’applicabilità del suo diritto – dipende sempre da criteri normativi oggettivi e predeterminati, operanti per tutti gli Stati che ne sono destinatari su basi astrattamente paritarie.

Un ulteriore ordine di perplessità afferisce alla stessa necessità di giungere alla formulazione “codificata” di determinate regole generali di DIP. Ne costituisce un caso emblematico il tema delle qualificazioni, atteso che le espressioni contenute in norme di diritto dell’UE vanno comunque intese in modo univoco all’interno dello spazio giudiziario europeo. La tecnica di interpretazione uniforme utilizzata dalla Corte di giustizia combina – a seconda delle circostanze – diritto materiale interno dell’UE, principi generali di diritto condivisi dagli Stati membri e tradizione internazionalistica degli stessi. Pur con questa varietà d’impulsi che rispondono a logiche funzionali (Bariatti, Pataut, Codification et théorie générale du droit international privé, in Quelle architecture pour un code européen de droit international privé ?, a cura di Fallon, Lagarde e Poillot-Peruzzetto, Bruxelles, 2011, p. 340), il significato autonomo non è indefinito ed è sulla sua base che deve avvenire il raffronto con il diritto straniero, senza che al riguardo sia necessaria l’espressa enunciazione di un vincolo ermeneutico per l’operatore giuridico.

L’opportunità di un intervento normativo sulle regole generali di DIP uniforme europeo deve comunque valorizzare due caratteristiche di fondo dell’attuale disciplina. Per un verso, questa esperienza eredita e radicalizza la tradizione del diritto convenzionale uniforme accentuando la condizione di equivalenza tra sistemi giuridici anche in relazione a Stati non membri. Per un altro, il DIP uniforme europeo non è avulso dal processo di integrazione dell’UE; anzi è divenuto uno dei suoi strumenti.

Un punto fermo, difficilmente contestabile, è il carattere obbligatorio delle norme di diritto uniforme europeo e il loro primato, che ne esclude comunque la natura “facoltativa” a prescindere dalla diversa tradizione giuridica di singoli Stati membri. Perciò, anche in assenza di disposizioni espresse nei singoli regolamenti, è inevitabile l’applicazione del principio iura novit curia per assicurare l’effetto utile del diritto uniforme riguardo la legge applicabile da quello indicata (Corte di giustizia, sentenza 17 ottobre 2013, Unamar, causa C-184/12, punti 46 ss.). I due profili sono strettamente collegati e non vi sarebbe alcuna forzatura asserendo l’ineludibile corollario che discende dal carattere obbligatorio del regolamento di DIP uniforme nel senso di sancire il vincolo del giudice nazionale a conoscere il diritto straniero se del caso applicabile, senza che al riguardo rilevi né la sua afferenza ad un ordinamento di uno Stato membro, né tanto meno se la legge sia designata da un criterio oggettivo o dalla volontà precostituita dei soggetti privati. Logica conseguenza dovrebbe essere quindi il legittimo ricorso in cassazione per errata applicazione del diritto straniero.

Nell’ambito di una disciplina generale si potrebbe colmare la lacuna degli attuali regolamenti sul diritto applicabile in caso di mancato accertamento del diritto straniero ovvero di sua contrarietà con il limite dell’ordine pubblico. L’esigenza di evitare un approccio drasticamente legeforistico suggerirebbe di seguire la formula già sperimentata nella legge italiana di riforma del DIP, ricercando il diritto applicabile attraverso criteri di collegamento alternativi o sussidiari.

L’integrazione tra DIP e ordinamento dell’UE contamina l’impiego delle clausole di salvaguardia del DIP, quale il limite dell’ordine pubblico e finanche le norme di applicazione necessaria. La circostanza che sia nell’uno che nell’altro caso rilevi la componente materiale di diritto dell’UE potrebbe suggerire di affrontare la questione della frode alla legge, stabilendo se questa rilevi rispetto a comportamenti individuali che “abusano” della concorrenza tra ordinamenti sovrani per eludere norme imperative del diritto dell’UE. Ma non potrebbe ovviamente lo stesso limite essere evocato quando la norma di DIP uniforme europeo, configurando – ai fini sia della giurisdizione che della legge applicabile – un dato legame personale costituito dalla residenza abituale o dalla cittadinanza, lascia la persona libera di scegliere una nuova residenza abituale come anche di mantenere una pregressa cittadinanza non più effettiva.

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Francesco Salerno

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