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Dibattito sul SIDIBlog: La revisione del Regolamento sulle procedure d’insolvenza / The EU Regulation on insolvency proceedings (recast) (4) L’ampliamento dell’ambito applicativo del Regolamento UE 848/2015 a sostegno della continuità aziendale: le procedure ricomprese nell’Allegato A alla luce dei nuovi istituti della Legge Fallimentare italiana

Giuseppina Laura Candito, Università Mediterranea di Reggio Calabria

An English summary is available at the end of the post

  1. L’antefatto alla rifusione del regolamento (CE) n. 1346/2000

La crescente incidenza dell’insolvenza delle imprese sul corretto funzionamento del mercato intraeuropeo, soprattutto a fronte dei rischi ingenerabili dal forum shopping in danno alla massa dei creditori, ha da tempo segnalato l’esigenza di una rifusione del regolamento (CE) n. 1346/2000 che, seppur più volte modificato, non è riuscito a perseguire appieno l’efficace gestione delle procedure d’insolvenza transfrontaliere.
Alla base dell’inadeguatezza del regolamento n. 1346/2000 vi è stata, anzitutto, la diffidenza degli Stati membri rispetto all’enucleazione di una procedura uniforme in un ambito dove le differenze tra i vari ordinamenti sono piuttosto persistenti. Tali differenze non sono certo di dettaglio, ma attengono alla stessa ratio e alle finalità perseguite; basti pensare che, mentre nella tradizione anglosassone gli istituti concorsuali privilegiano la gestione consensuale della crisi tra debitore e creditori, al contrario, l’esperienza francese che muove dall’Ordonnance du Commerce del 1673 di Luigi XIV, per come rielaborata dal Code de Commerce del 1808, opta per un’impostazione statalista ove il ruolo principale è assolto dal Tribunal de commerce, in un’ottica, quindi, fortemente moralistica e sanzionatoria.
Proprio quest’ultima influenza era particolarmente visibile nell’originario testo del Regolamento n. 1346/2000, ove l’approccio alle procedure d’insolvenza si connotava per l’eccesiva rigidità nel richiedere, quale presupposto di applicazione, lo spossessamento del debitore, restando quindi escluse dall’ambito di applicazione del regolamento tutte quelle procedure di ristrutturazione e risanamento previste per l’azienda in crisi ma non formalmente fallita.

Pertanto, la prima proposta di revisione del regolamento n.1346/2000, presentata dalla Commissione nel dicembre 2012, si incentrava (come anticipato in questo post) su quattro punti:
1) la necessità di introdurre, accanto alle procedure d’insolvenza che comportano lo spossessamento del debitore, procedure ibride e preventive;
2) la precisazione del c.d. COMI per agevolarne l’individuazione e contrastare il forum shopping a fini elusivi;
3) la ristrutturazione della procedura secondaria, coordinandola con le altre procedure instaurate e ponendo un sistema di cooperazione tra organi;
4) l’introduzione di una disciplina dei gruppi multinazionali di imprese (su cui si veda questo post).

Tale roadmap si poneva in linea con le priorità dell’agenda politico-economica dell’Unione definite dalla strategia Europa 2020: promuovere la ripresa economica e la crescita sostenibile, ottenere un tasso di investimento più elevato e la conservazione dei posti di lavoro, nonché garantire lo sviluppo armonioso e la sopravvivenza delle imprese.
Un ulteriore tassello verso l’uniformazione del diritto concorsuale dell’Unione è provenuto dalla Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014 “Un nuovo approccio all’insolvenza e al fallimento imprenditoriale”, con gli obiettivi di ravvicinare le soluzioni contrattuali e preconcorsuali presenti nei vari ordinamenti, onde consentire la ristrutturazione precoce dell’impresa (tra gli altri: Pacchi, La raccomandazione della commissione ue su un nuovo approccio all’insolvenza anche alla luce di una prima lettura del regolamento ue n. 848/2015 sulle procedure d’insolvenza, in Osservatorio di diritto societario e fallimentare, 2015).
Al mutamento di prospettiva ha contribuito anche la volontà del legislatore europeo di avvicinarsi alla Model Law dell’UNCITRAL sull’insolvenza transfrontaliera, nonché la disciplina sulla ristrutturazione delle imprese contenuta nel Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense.
Da qui l’adozione del regolamento (UE) 2015/848,che si applicherà alle procedure di insolvenza aperte a partire dal 26 giugno 2017, con cui il legislatore europeo ha inteso recepire tutti quei moniti provenienti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia nonché dalle corti interne e dalla dottrina più sensibile al tema (Bariatti, Corno, Il Regolamento (UE) 2015/848 sulle nuove procedure di insolvenza, Milano, 2015; De Cesari, Il Regolamento 2015/848 e il nuovo approccio europeo alla crisi dell’impresa, in Insolvenza e crisi di impresa, 2015, 1026 e ss.; Panzani, L’insolvenza in Europa: sguardo d’insieme, in Insolvenza e crisi di impresa, 2015, 1013 e ss. Sul versante straniero, in particolare: Dammann, Bleicher, En route vers la modernisation du règlement européen relatif aux procédures d’insolvabilité, in La semaine juridique – Entreprise et affaires, 2013, 22-28; Moss, Fletcher, Isaacs, The EC Regulation on Insolvency Proceedings. A Commentary and Annotated Guide, 2a ed., Oxford, 2009, 98 ss., i quali hanno definito il regolamento 1346/2000 un sistema a numero chiuso che non lascia spazio alle procedure prive delle caratteristiche dettate dall’art. 1 e non incluse nell’elenco tassativo dell’Allegato; Roussel Galle, La proposition de révision du règlement n° 1346/2000 sur les procédures d’insolvabilité, entre prudence et audace, in La semaine juridique – Entreprise et affaires, 2013, 9-11.).

  1. L’ampliamento dell’ambito applicativo e il superamento della nozione restrittiva di “procedura d’insolvenza” con il regolamento (UE) 2015/848

Tra le principali novità vi è anzitutto l’estensione dell’ambito applicativo del regolamento alle imprese che, pur non versando in uno stato di conclamata insolvenza, siano in uno stato di difficoltà economica comunque suscettibile di minare la continuità aziendale, anticipando così la soglia della rilevanza comunitaria a vantaggio di procedure di ristrutturazione, di remissione del debito, di riorganizzazione o liquidazione dell’attività d’impresa o di procedure altrimenti nominate, nelle quali il debitore mantiene ancora in tutto o in parte il controllo sui propri beni. L’esperienza, riportata dalla Commissione europea nel comunicato stampa del 12 marzo 2014, mostra che quanto prima le imprese in difficoltà sono in grado di ristrutturarsi, tanto maggiori sono le probabilità di successo.
Tuttavia, l’evidenza di tale dato è destinata a scontrarsi, anche dopo l’adozione del regolamento 2015/848, con l’impossibilità di accedere ad una ristrutturazione antecedentemente all’avvio di una procedura formale d’insolvenza prevista tutt’oggi in molti Paesi come ad esempio in Bulgaria, Ungheria, Repubblica ceca, Lituania, Slovacchia e Danimarca, ove le procedure risultano spesso inefficienti o costose, riducendo gli incentivi per le imprese a resistere. Del pari, in altri Paesi come Austria, Belgio, Estonia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Croazia, Polonia, Portogallo e Romania, è richiesto il decorso di un ampio lasso di tempo prima che gli imprenditori falliti siano ammessi al beneficio della liberazione dai debiti e possano avviare una nuova attività.
Inoltre, il nuovo regolamento si applicherà anche alle ipotesi in cui, essendo già intervenuto lo spossessamento totale o parziale del debitore, il giudice ovvero la legge concedano una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali al fine di consentire le trattative tra il debitore e i suoi creditori.
Il nuovo approccio del regolamento segna dunque un’evoluzione “from a law of morality to a law of continuity”, ovvero la transizione da una visione passiva dell’insolvenza, come procedimento autoritario volto allo smembramento del patrimonio per ripartire il ricavato delle vendite dei singoli assets tra i creditori, ad una prospettiva “interventista” sull’azienda e sull’impresa, per conservare il valore dei complessi produttivi in funzione di una loro ristrutturazione o di una cessione.
Pertanto, la normativa dovrebbe tendere all’individuazione ed al perfezionamento di strumenti flessibili che consentano il mantenimento della gestione nelle mani del debitore, riducendo l’intervento del giudice e assicurando nel contempo una seconda chance attraverso una condizionata liberazione dai debiti residui, sì da preservare le attività economiche e gli interessi dei lavoratori.

In un’ottica comparatistica è possibile rilevare come in Germania esistano strumenti, volti a favorire la ristrutturazione dell’impresa, azionabili dal debitore insolvente o in crisi, o dal debitore in sovraindebitamento. Tra queste misure s’inserisce lo Schutzschirmverfahren, una sorta di scudo protettivo che il Tribunale adotta ai sensi del 270b InsO, su richiesta del debitore in crisi o sovraindebitato, da cui discende la sospensione o il divieto di azioni esecutive individuali, ad eccezione di quelle reali immobiliari, per un periodo massimo di tre mesi in funzione della presentazione di un piano di salvataggio dell’impresa.

Spostando il focus sul sistema inglese e su quello francese è possibile constatare che, durante i negoziati per l’adozione del “nuovo” regolamento, erano stati sollevati dubbi in ordine all’inclusione nel suo campo di applicazione di procedure come quella inglese dello scheme of arrangement o quella francese di sauvegarde financière accélérée, giacché in esse potrebbe mancare il requisito della concorsualità, intesa come coinvolgimento dell’intera massa dei creditori, oltre che l’universalità o il vincolo di indisponibilità sui beni del debitore.

In realtà, queste procedure, ad eccezione dello scheme of arrangement, sono poi state incluse nell’allegato A con il superamento di una lettura restrittiva dell’elemento della concorsualità, in favore di una sua interpretazione autonoma, già emersa nella sentenza Eurofood (Corte di giustizia, sentenza 2 maggio 2006, causa C-341/04), e oggi corroborata dalla definizione contenuta all’art. 2, ai sensi del quale per procedura concorsuale “deve intendersi una procedura che comprende tutti o una parte significativa dei creditori del debitore a condizione che, nel secondo caso, la procedura non pregiudichi i crediti dei creditori non interessati dalla procedura stessa”.

  1. Focus sul sistema italiano

In particolare, per quanto riguarda l’Italia, risultano ricomprese in forza dell’Allegato A, oltre al fallimento, al concordato preventivo ed all’amministrazione straordinaria già previste con il regolamento n. 1346/00, la liquidazione coatta amministrativa, gli accordi di ristrutturazione, le procedure di composizione della crisi da sovra indebitamento del consumatore e la liquidazione dei beni.
Come già avvenuto in passato, si discute se l’elenco dell’Allegato A abbia portata tassativa o meno, in relazione a quelle procedure che, pur non essendo state richiamate in maniera espressa, ne condividano comunque natura e finalità.
La questione si pone, anzitutto, rispetto al concordato preventivo richiamato in maniera del tutto generica dall’Allegato A, senza che si specifichi alcunché sull’istituto affine del preconcordato.
Tale istituto, infatti, consente all’imprenditore di presentare una domanda riservandosi di depositare una proposta definitiva di concordato preventivo, corredata di piano e documentazione, entro un termine fissato dal giudice tra 60 e 120 giorni. Il fine è quello di concedere all’imprenditore un arco di tempo necessario a predisporre una proposta volta al superamento della crisi dell’impresa con il beneficio della sospensione delle azioni individuali esecutive e cautelari eventualmente intraprese da parte dei creditori, a decorrere dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese.
Orbene, nelle fattispecie caratterizzate da elementi di estraneità rispetto al nostro ordinamento, il problema si è posto in ordine all’efficacia da riconoscere proprio alla decisione di moratoria delle azioni esecutive individuali adottata dal giudice nei confronti dei creditori che vogliano aggredire i beni collocati in uno Stato diverso da quello di apertura della procedura.
Tenuto conto della Raccomandazione e del testo del regolamento rifuso, non dovrebbero comunque più esserci dubbi. La procedura di preconcordato si apre, infatti, con un provvedimento dell’autorità giudiziaria che rientra nella nozione di decisione offerta dall’art. 2 punto 7 del regolamento 2015/848.

Altrettanto dubbia è la possibilità di includere, nell’Allegato A, il concordato con riserva, a fronte delle diverse opinioni in ordine alla sua qualificazione, secondo alcuni, nei termini di una mera fase o modalità di avvio del concordato preventivo classico e degli accordi di ristrutturazione; secondo altri, invece, nei termini di un istituto autonomo.
Si tratta, invero, di una procedura di insolvenza pubblica sul patrimonio del debitore con l’imposizione di limiti ai suoi poteri gestori, prodromica ad altre procedure. Anche la previsione della moratoria dalle azioni esecutive dei singoli creditori risponde a quanto previsto dall’art.1, par. 1, lett. c) del regolamento che estende il suo perimetro applicativo alle procedure concorsuali nelle quali una sospensione temporanea delle singole procedure di esecuzione è concessa da un giudice o per effetto di legge al fine di consentire le trattative tra il debitore e i suoi creditori.
Né osterebbe l’eventuale mancanza della nomina di un commissario giudiziale, che è lasciata alla discrezionalità del giudice, atteso che, in mancanza di tale nomina, è lo stesso Tribunale ad assumere la funzione di organo di controllo della gestione.
Comunque venga qualificato, l’istituto appare oggi pienamente coerente con i principi posti dalla Commissione e come tale rientrante nell’ambito di operatività del regolamento.

Discussa è altresì la possibilità di ricomprendere nell’Allegato A i piani di risanamento asseverati ex art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare, i quali sono esenti dalla revocatoria di atti, pagamenti e garanzie sui beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia concretamente idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa. Tuttavia, lo strumento, utilizzato essenzialmente nei rapporti con le banche, non prevede l’intervento di un giudice né alcun giudizio di omologazione e non produce effetto vincolante per tutti i creditori.
Da qui le perplessità destate circa la sua inclusione nell’Allegato A. L’esclusione apparirebbe giustificabile in ragione proprio del fatto che tali piani asseverati sfuggono ad un controllo giudiziale tanto ex ante quanto ex post e non godono del beneficio della sospensione delle azioni esecutive individuali.
L’istituto risponde quindi solo in parte all’invito della Commissione, rivolto agli Stati membri, ad adottare nuovi strumenti di soluzione della crisi delle imprese sane in difficoltà, non essendo prevista quell’omologazione da parte del tribunale idonea a garantire gli interessi dei creditori dissenzienti. La Commissione ha distinto, infatti, tra l’ipotesi in cui il piano di ristrutturazione sia “adottato all’unanimità dei creditori interessati” e che “dovrebbe essere vincolante per la totalità di tali creditori” e il caso in cui il debitore voglia che il piano, adottato a maggioranza, sia vincolante per ogni singolo creditore interessato e identificato dal piano stesso, ipotesi quest’ultima, in cui è necessaria l’omologazione.

Ulteriore discrasia tra l’istituto ex art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare e i moniti europei si attesta sul profilo della pubblicità che è necessaria affinché tutti i creditori potenzialmente interessati siano informati dei suoi contenuti e godere del diritto di opporsi e proporre ricorso contro il piano. In merito, nonostante il piano ex art. 67, comma 3, lett. d) non sia assoggettato ad alcuna forma obbligatoria di pubblicità o di diffusione, nondimeno, oggi a seguito della novella di cui al D.L. n. 83/2012, è possibile per il debitore richiederne la pubblicazione nel registro delle imprese.
In conclusione, tali piani potrebbero essere considerati coerenti con la raccomandazione solo se approvati da tutti i creditori e pubblicati nel registro delle imprese che ne certificherebbe anche l’anteriorità rispetto al fallimento e alle operazioni esenti da revocatoria (De Cesari, Il Regolamento 2015/848, op. cit., 1033).
Tra le nuove procedure finalizzate a favorire un risanamento precoce, s’iscrive una particolare forma di accordo di ristrutturazione dei debiti, regolata dall’art. 182 septies, introdotta con il D.L. 23 giugno 2015, n. 83, convertito con modifiche nella L. 6 agosto 2015, n. 132. Si tratta di uno strumento soggetto all’omologa del tribunale cui possono ricorrere le imprese indebitate verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo.
La società debitrice, nella presentazione del ricorso, può individuare una o più classi tra i debitori finanziari che abbiano tra loro posizione giuridica e interessi economici omogenei in cui inserire anche i creditori finanziari non aderenti e chiedere che gli effetti dell’accordo vengano estesi anche a questi ultimi. Al fine di raggiungere e compattare detta minoranza, è necessario che tutti i creditori della classe siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede.
Occorre altresì che l’accordo sia stato accettato da un’ampia maggioranza: i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti inseriti in una classe devono rappresentare almeno il 75% dei crediti della categoria. Ai fini dell’omologazione, è necessario il raggiungimento della soglia del 60% dei crediti.
Il tribunale procede all’omologazione se verifica che il creditore finanziario che non ha prestato il suo consenso abbia effettivamente una posizione giuridica e un interesse economico omogenei con quelli degli altri creditori finanziari che hanno aderito volontariamente; deve altresì accertare che detto creditore abbia ricevuto informazioni complete e aggiornate sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, oltre a essere stato messo in condizione di partecipare alle trattative. Inoltre, deve verificare che detto creditore, in base all’accordo, possa ottenere un grado di soddisfazione delle proprie pretese non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. La minoranza dei creditori finanziari rimane così assoggettata alle condizioni e termini della ristrutturazione approvata dalla maggioranza qualificata e non avrà quindi diritto al rimborso integrale del credito.
L’art. 182 septies introduce anche un altro effetto protettivo prevedendo l’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese.
La norma, nonostante la sua complessità in ordine alla formazione delle classi e alla previsione del giudizio comparativo tra gli effetti dell’accordo di ristrutturazione e le altre alternative, introduce una nuova procedura che appare coerente con i principi ed i fini posti dalla Raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2014. Il nuovo istituto è infatti previsto per le imprese, non in stato di insolvenza, ma particolarmente indebitate verso i creditori più forti, semplifica l’accesso ad un accordo di ristrutturazione sottoposto oltre che all’approvazione della maggioranza anche all’omologazione da parte del tribunale.
Pertanto, costituendo la procedura ex art. 182 septies della Legge Fallimentare un particolare tipo di accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis, dovrebbe essere ricompresa nell’Allegato A (De Cesari, in Il Regolamento 2015/848, op. cit., 1036).
In conclusione, è possibile affermare che il legislatore dell’Unione, nel redigere il regolamento 2015/848, abbia tentato il più possibile di recepire i moniti espressi dalla Commissione con la Raccomandazione del 12 marzo 2014.
In particolare, è da salutare con favore l’ampliamento dell’ambito applicativo del regolamento a tutte quelle procedure ibride che possono consentire il perseguimento della continuità aziendale senza trascurare gli interessi della massa dei creditori.

 

Summary:

The increasing incidence of insolvency proceedings on the proper functioning of the intra-European market has long pointed to the need of Regulation (EC) n. 1346/2000, with the aim of setting new and more flexible rules providing that the declaration of bankruptcy and the divestment of debtors are no more conditions of application.

For this reason, the European Commission – with its Recommendation of 12 March 2014 titled “A new approach to insolvency and business failure” – highlighted the desirability of introducing hybrid and preventive procedures so as to enable early restructuring of companies. This is the effect of the enlightenment coming from both the UNICITRAL Model Law on cross-border insolvencies and the legislation on corporate restructuring addressed by Chapter 11 of the US Bankruptcy Code.

Through Regulation (EU) 2015/848, the EU Legislator has extended the scope of application of the Regulation n. 1346/2000 to companies that, even if not in a situation of full-blown insolvency, and just in a state of economic difficulty, are still likely to undermine business continuity within the EU. The Regulation also involves restructuring proceedings, debt relief, reorganization or liquidation of the business or procedures otherwise mentioned, where debtors still retain all or part of the control over their assets. Furthermore, the new rules will also apply to cases where the total or partial eviction of the debtor has already intervened and to which the judge or the law grant a temporary suspension of the individual enforcement actions in order to allow negotiations between the debtor and the creditors.

The new Regulation’s approach marks the transition from a “passive” understanding of insolvency proceedings as an authoritarian method aimed at the dismemberment of the heritage for distributing the individual assets’ proceeds of sales among creditors, to an “interventionist” perspective over companies and enterprises.

The post firstly analyses insolvency proceedings from a comparative perspective, and then moves towards the examination of the mechanisms provided by the Legge Fallimentare (the Italian Bankruptcy Law). It aims at verifying the compatibility of Italian proceedings with Regulation (EU) 2015/848 and the possibility of providing the same rules as to the ones set out in its Annex A. To this extent, the post not only investigates the pre-agreement (preconcordato) and the agreement with term but also more innovative mechanisms such as the renovation plans provided by article 67, paragraph 3, letter d) of the Legge Fallimentare and the debt restructuring agreements, regulated by article 182 septies.

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Giuseppina Laura Candito

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