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Dibattito sul SIDIBlog: Verso una codificazione europea del diritto internazionale privato?/Towards a EU PIL Codification? (4) Il futuro regolamento Roma 0 e la qualificazione

Samuel Fulli-Lemaire è dottorando di ricerca in diritto internazionale privato nell’Université Panthéon-Assas (Paris II)

Le divergenze esistenti tra i metodi sottesi alla qualificazione delle espressioni tecnico-giuridiche contenute nelle norme di diritto internazionale privato adottate negli Stati membri costituiscono un problema fondamentale per il diritto internazionale privato europeo, in non poca misura perché i campi d’applicazione rispettivi dei diversi strumenti adottati sulla base dell’art. 81 Tfue vanno spesso determinati grazie a operazioni di qualificazione. Così, si applicherà il futuro regolamento sui regimi patrimoniali fra coniugi piuttosto che il futuro regolamento sui partenariati registrati, a seconda che venga qualificata, dall’ordinamento del foro, come matrimonio o partenariato l’unione formalizzata fra due persone dello stesso sesso. Divergenze di qualificazione fra Stati membri possono quindi far rientrare fattispecie analoghe nell’ambito di applicazione di strumenti europei diversi, conducendo di fatto a un’applicazione differenziata degli stessi.

Ma le difficoltà possono anche sorgere dagli stessi strumenti europei, perché in diversi casi si ritiene possibile che la stessa espressione sia interpretata in modi diversi a seconda del regolamento rilevante. Ad esempio, ci si può chiedere se la qualificazione delittuale dell’azione del subacquirente contro il fabbricante, ritenuta dalla Corte di giustizia dell’Unione nella sentenza Jakob Handte a proposito dell’articolo 5, punto 1, del regolamento “Bruxelles I”, sia o meno trasponibile alla questione della legge applicabile, e condurre all’applicazione del regolamento “Roma II” piuttosto che del regolamento “Roma I”. Certo, un’astratta esigenza di interpretazione uniforme potrebbe far optare per una risposta affermativa (v. anche i considerando (7) e (17) del regolamento “Roma I”), però una parte della dottrina sottolinea che la competenza internazionale ed i conflitti di leggi obbediscono a logiche diverse, ciò che almeno in astratto potrebbe giustificare certe divergenze. Ed infatti la Corte non sempre ricorre all’interpretazione intertestuale (v. in particolare la sentenza Falco Privatstiftung).

Gran parte della complessità proviene quindi dal fatto che l’operazione di qualificazione nel diritto internazionale privato dell’Unione europea, rispetto a ciò che succederebbe nel caso di un qualsiasi strumento convenzionale, si svolge nell’ambito di un sistema in divenire che deve essere, per quanto possibile, reso coerente. Sembra quindi adeguato cercare soluzioni all’interno di questo sistema. Certe difficoltà sono ovviamente risolte dai testi europei stessi, l’esempio più famoso è forse l’inclusione nel regolamento “Roma II” di disposizioni dedicate alla culpa in contrahendo (v. art. 2, §2 e 12). Allo stesso modo, ogni definizione così “codificata” risolve un problema di qualificazione. Ma appunto, questi strumenti sono settoriali, quindi la possibilità di generalizzare le soluzioni ivi contenute rimane dubbia. Per lo più, questi casi sono per forza puntuali, quindi la necessità di sviluppare una soluzione generale rimane, e ci chiediamo se un futuro regolamento “Roma 0” potrebbe essere il veicolo ideale.

Con ogni probabilità, come prospettato dalla dottrina, un tale testo conterrebbe, infatti, diverse regole relative alla qualificazione. A differenza di quanto appena detto a proposito degli strumenti settoriali, le definizioni che al limite potrebbero trovare spazio nel futuro regolamento “Roma 0” non permetterebbero di risolvere le difficoltà relative alla qualificazione, perché si tratterebbe di nozioni tecniche come la residenza abituale. Per un verso, l’adozione di regole uniformi di matrice sovranazionale, di per sé, potrebbe costituire un significativo progresso. Però, se si volesse andare oltre a questa reazione istintiva, è più complesso misurare fino a che punto le difficoltà accennate andrebbero risolte mediante l’adozione di tali regole uniformi. Tuttavia è necessario, innanzitutto, chiedersi quali queste potrebbero essere.

La dottrina sembra considerare che la logica sottesa ad un futuro regolamento “Roma 0” imponga di usare qualificazioni autonome, perché solo così potrà essere realizzato l’obiettivo di uniformità d’applicazione (v. ad es., in Quelle architecture pour un code européen de droit international privé?, il contributo di A. Marmisse-d’Abbadie d’Arrast, Qualification et concepts autonomes dans l’élaboration d’un code européen de droit international privé, e quello di S. Bariatti e É. Pataut, Codification et théorie générale du droit international privé). Tale soluzione appare incontestabile dal punto di visto teorico; meno convincenti potrebbero risultarne tuttavia i risvolti pratici, tranne laddove sia possibile fare affidamento sulla giurisprudenza della Corte di giustizia. Sembra quindi difficile fare a meno di ricorrere ad un metodo sussidiario, che con ogni probabilità sarebbe quello della qualificazione lege fori (V. S. Leible, M. Müller, The Idea of a Rome 0 Regulation, YPIL 2013), per motivi di praticità e perché si tratta del metodo più diffuso fra gli Stati membri (per una panoramica, v. ad es. E. Hernández-Bretón, An attempt to regulate the problem of “characterization” in private international law, in Festschrift für Erik Jayme). Ovviamente, sarebbe anche concepibile chiedere ai giudici di adottare un approccio comparatista, ma si può scommettere che, in assenza di una presa di posizione chiara della Corte o di uno strumento di diritto derivato, il metodo della qualificazione “autonoma” raramente sarebbe diverso da quello sotteso alla qualificazione lege fori.

La conclusione di questa breve riflessione è dunque chiara. Le difficoltà non derivano tanto dall’assenza di regole uniformi in materia di qualificazione, quanto dall’assenza di definizioni e qualificazioni uniformi. Il regolamento “Roma 0”, che non racchiuderebbe definizioni rilevanti e dovrebbe per forza concedere uno spazio alla qualificazione lege fori, non potrebbe quindi cancellare completamente né le conseguenze delle divergenze fra le qualificazioni adottate negli ordinamenti degli Stati membri, né le ambiguità che circondano le possibili divergenze di interpretazione di certe nozioni a seconda dello strumento di diritto derivato considerato. Queste difficoltà, in realtà, verranno risolte via via che il sistema a cui si è fatto riferimento in apertura si completerà, principalmente grazie all’attività interpretativa della Corte di giustizia. Cercare di accelerare questo processo con soluzioni imposte top down sembra in gran parte illusorio.

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