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La protezione dei bambini provenienti dall’Ucraina attraverso gli strumenti di diritto internazionale privato

Laura Carpaneto (Università di Genova)*

1. Introduzione

I bambini per la loro condizione di vulnerabilità sono particolarmente esposti alle conseguenze più avverse dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina. Accanto ai tradizionali strumenti di diritto internazionale umanitario, anche gli strumenti di diritto internazionale privato stanno svolgendo un’importante funzione di protezione in favore di tutti quei minori abitualmente residenti in Ucraina che, a causa del conflitto in corso, sono costretti a trasferirsi in altri paesi, principalmente in quelli dell’UE.

Meccanismi di protezione possono essere attivati principalmente ai sensi (i) della Convenzione dell’Aia del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori e (ii) del Regolamento 2019/1111 (cd. Regolamento Bruxelles II-ter) relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori, che dal 1° agosto 2022 ha sostituito il Regolamento 2201/2003 (cd. Regolamento Bruxelles II-bis).

La Convenzione dell’Aia del 1996 costituisce lo strumento di riferimento per la protezione di minori in situazioni caratterizzate da elementi di internazionalità: è uno strumento completo, che alle tradizionali norme di diritto internazionale privato (finalizzate ad individuare il giudice competente, la legge applicabile e a disciplinare il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni) affianca norme sulla cooperazione giudiziaria e amministrativa.

La caratteristica forse più importante di questo strumento (in vigore in 53 Stati) è, tuttavia, il suo global appeal: si tratta, infatti, di una convenzione che riesce a porsi come strumento di riferimento per la protezione di minori, proprio perché prende atto dell’esistenza di istituti molto diversi presenti negli ordinamenti statali e ne coordina l’applicazione attraverso le norme di diritto internazionale privato.

E se, in questa prospettiva, la disciplina della kafalah è forse l’esempio più significativo e conosciuto, anche la norma di conflitto sull’attribuzione della responsabilità genitoriale (art. 16) che contempla l’ipotesi di attribuzione mediante accordo (senza l’intervento di autorità pubbliche) costituisce una conferma di quanto sopra detto.

L’importanza dello strumento è stata ben compresa dall’Unione europea, che, coerentemente con il pragmatismo che caratterizza la sua azione, ha sollecitato la ratifica da parte dei suoi Stati membri, che in tal senso hanno provveduto. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la ratifica è avvenuta con Legge 18 giugno 2015, n. 101.

Del resto, l’impianto normativo della Convenzione non è estraneo agli Stati membri: ad esso si ispira il Regolamento 2019/1111 (così come i suoi predecessori) e con esso questo strumento si coordina espressamente (art. 97), prevedendo sostanzialmente che (i) le norme della Convenzione in punto di giurisdizione si applichino ogni volta che il minore abbia la sua residenza abituale (non in uno Stato dell’Unione europea, bensì) in uno Stato contraente della Convenzione e (ii) le norme della Convenzione che regolano il regime di circolazione delle sentenze trovino applicazione ogni volta che si tratti di una sentenza pronunciata da giudici di Stati contraenti, ma non membri dell’Unione europea.

«Nuove», invece, sono per gli Stati membri dell’Unione le norme di conflitto che la Convenzione prevede e che, grazie all’avvenuta ratifica, completano il quadro normativo di riferimento predisposto dal Regolamento Bruxelles II bis e, adesso, ter.

L’Ucraina è uno Stato contraente della Convenzione dell’Aja del 1996 e tale circostanza consente di mettere in campo gli strumenti di protezione da essa previsti in favore dei minori che, a causa del conflitto, sono costretti ad abbandonare il loro Paese. Poiché molti bambini si dirigono verso il territorio degli Stati membri dell’Unione che con l’Ucraina confinano, è poi possibile beneficiare della virtuosa applicazione coordinata della predetta Convenzione e del Regolamento 2019/1111, potendo tuttavia giovarsi di strumenti di cooperazione giudiziaria più intensi grazie al particolare rapporto di reciproca fiducia che sussiste all’interno dello spazio giudiziario europeo.

Peraltro, consapevole dell’impegno assunto con la ratifica della Convenzione del 1996,  il governo ucraino, il 9 marzo 2022, si è premurato di comunicare ufficialmente l’impossibilità di garantire il pieno adempimento degli obblighi da essa derivanti proprio a causa dell’aggressione armata subita dalla Russia.

Tra le diverse problematiche che affliggono i bambini che, prima della guerra, avevano la loro residenza abituale in Ucraina, ne sono state identificate qui di seguito alcune, le quali sono state considerate alla luce degli strumenti di diritto internazionale privato menzionati.

2. I rischi di tratta e adozioni illegali

I bambini che dall’Ucraina sono stati sfollati in altri paesi, spesso senza i genitori (cd. bambini separati) o addirittura senza un adulto di riferimento (cd. bambini non accompagnati), sono esposti ai rischi di tratta e di adozione illegale. La condizione di vulnerabilità di tali bambini è stata presa espressamente in considerazione dal Comitato sui diritti del fanciullo nel General Comment n. 6 del 2005 (si vedano rispettivamente i paragrafi 8 e 7)

Già prima della guerra, in un rapporto del 2014, era emerso che i bambini di nazionalità ucraina erano tra le vittime di tratta più comuni da parte di reti criminali operanti tra l’Ucraina e i paesi dell’Europa e dell’Asia centrale.

A causa dello sfollamento di massa in corso, la situazione rischia di degenerare: dall’inizio della guerra, la ONG ucraina Magnolia ha segnalato già più di 2.200 casi di bambini dispersi in Ucraina. Missing Children Europe ha attivato un servizio telefonico per la ricerca di questi bambini.

Per altro verso, ogni anno si perfezionano numerosi procedimenti di adozione internazionale di bambini di nazionalità ucraina: il Servizio Sociale Internazionale riporta che nel 2020 sono state 277 le adozioni internazionali di bambini di nazionalità ucraina. E tali adozioni avvengono al di fuori del quadro normativo della Convenzione dell’Aia del 1993 sulla protezione dei bambini e la cooperazione in materia di adozione internazionale, della quale l’Ucraina non è parte contraente.

La mancanza di tale strumento, unitamente al crescente rischio di adozioni illegali di bambini separati dai loro genitori o non accompagnati a causa della guerra in corso, rendono necessario intervenire e rafforzare la cooperazione internazionale in tal senso.

In questa prospettiva, meritano di essere menzionate due iniziative a livello internazionale, una del governo ucraino ed una del governo italiano.

Sul fronte del diritto internazionale privato, il Permanent Bureau della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato ha diramato una information note nella quale ha precisato che la Convenzione dell’Aia del 1993 non dovrebbe applicarsi in situazioni come quella in corso, poiché è difficile stabilire se il minore in questione si trovi effettivamente in una situazione di abbandono, che è il presupposto per attivare  la procedura di adozione. Del resto, già in passato la Conferenza dell’Aja aveva evidenziato la necessità di prestare particolare attenzione a bambini sfollati o rifugiati e alla loro condizione di vulnerabilità proprio con riferimento ai procedimenti di adozione (si veda la raccomandazione del 1994).

Tale comunicato ha evidentemente una funzione meramente informativa e tutt’al più dissuasiva, ma ha il pregio di provenire dall’organizzazione competente per materia, che vanta un numero di Stati membri significativo e, quindi, di avere quantomeno una risonanza a livello globale.

Sempre sul fronte internazionale, va segnalata un’iniziativa bottom-up: è stata avviata una moratoria internazionale contro le adozioni, proprio con la finalità di evitare che il conflitto sia utilizzato come pretesto per accelerare le adozioni internazionali già in atto e, ancora, per aggirare o disattendere i principi e le norme che disciplinano l’adozione internazionale.

La moratoria ha raggiunto oggi un significativo numero di adesioni; oltre all’ente promotore (The Alliance for child protection in humanitarian crisis) altri quaranta attori hanno aderito.

Sul fronte interno, invece, si segnala il comunicato del governo ucraino finalizzato a chiarire la sua posizione rispetto alle adozioni (reperibile in una traduzione in inglese non ufficiale).

Più precisamente, nel comunicato, da un lato, si chiede di non diffondere la falsa notizia relativa alla necessità di procedere all’adozione di minori ucraini e, dall’altro, si precisa che la legislazione ucraina prevede che il procedimento di adozione avvenga sotto il controllo e con il consenso del servizio sociale nazionale, che per evidenti ragioni in questo momento non è attivo e non può portare a termine le necessarie attività di controllo dei documenti che il procedimento di adozione richiede.

Infine, la Commissione Adozioni Internazionali, nella seduta del 28 giugno 2022, in ragione del perdurare della situazione di emergenza derivante dal conflitto, ha deliberato la sospensione rispetto all’assunzione di nuovi incarichi per l’adozione di bambini in Ucraina e nella Federazione russa.

3. Esercizio della giurisdizione a tutela dei minori sfollati

La specifica condizione dei minori sfollati è considerata dalla Convenzione dell’Aia del 1996: secondo quanto previsto dall’art. 6 (cd. presence rule), il giudice del luogo nel quale il minore sfollato si viene a trovare ha competenza giurisdizionale per l’adozione delle misure di protezione necessarie. In altre parole, la semplice presenza di un minore sfollato in uno Stato contraente della Convenzione consente ai giudici di tale Stato di esercitare la giurisdizione per quanto concerne le misure di protezione su quello specifico minore.

Come raccomandato da diversi strumenti di soft-law  (si vedano, ad esempio, le linee guida UNGA per l’assistenza alternativa), il giudice competente deve in primo luogo identificare il minore e adottare misure al fine di nominare, in conformità con la legge applicabile, una persona come amministratore ad hoc, tutore o consulente del minore e quindi individuare la migliore misura di protezione, avuto specifico riguardo al caso di specie e alle condizioni del bambino.

Analogo titolo di giurisdizione fondato sulla presenza del minore è previsto nel Regolamento 2019/1111 all’art. 11. Ma tale norma ha un’applicazione residuale: come precisato al considerando n. 25, trova applicazione solo per i minori che prima dello sfollamento risiedevano in uno Stato membro dell’Unione. Allorché la residenza abituale sia in un Paese terzo, come nell’ipotesi qui considerata, troverà applicazione l’art. 6 della Convenzione dell’Aja.

La ratio del titolo di giurisdizione previsto dai due strumenti con norme sostanzialmente identiche è quella di garantire una sorta di forum necessitatis in favore dei minori sfollati e, conseguentemente, l’adozione di misure che ne garantiscano la protezione.

Dal punto di vista delle misure adottabili, l’art. 3 della Convenzione dell’Aja individua le misure che vertono, in particolare, su (i) attribuzione e delega della responsabilità genitoriale, b) il diritto di affidamento, che comprende il diritto di occuparsi della persona del minore, e in particolare il diritto di decidere sul suo luogo di residenza, nonché il diritto di visita  c) la tutela, la curatela e gli istituti analoghi;  d) la designazione e le funzioni di ogni persona o organismo incaricato di occuparsi della persona o dei beni del minore, di rappresentarlo o di assisterlo;  e) il collocamento del minore in una famiglia di accoglienza o in un istituto, o la sua assistenza legale tramite kafalah o istituto analogo;  f) la supervisione da parte delle autorità pubbliche delle cure fornite al minore da ogni persona incaricata di occuparsi del minore; g) l’amministrazione, la conservazione o la disposizione dei beni del minore.

In termini analoghi si esprime l’art. 2.2 del Regolamento 2019/1111.

La principale differenza tra i due strumenti risiede nel fatto che il Regolamento 2019/1111 non contempla la misura di protezione della kafalah, che è stata, invece, espressamente inclusa nell’ambito di applicazione ratione materiae della Convenzione del 1996, con l’obiettivo di favorire la ratifica dello strumento da parte dei Paesi di tradizione islamica.

Con specifico riferimento alla protezione dei bambini provenienti dall’Ucraina, peraltro, come meglio precisato nel prosieguo, l’obiettivo è senz’altro quello di procedere ad una loro identificazione e all’individuazione della misura di protezione che meglio consenta di garantire protezione immediata, ma anche di rafforzare i contatti del minore con i propri familiari ancorché magari non presenti sul territorio dello Stato nel quale il minore si trova. In questa prospettiva, come anche indicato nel prosieguo, è possibile ricorrere allo strumento dell’affidamento transfrontaliero.

4. Affidamento mediante «accordi» e individuazione della legge applicabile

In Ucraina esistono diverse forme di collocamento familiare di bambini privi di cure parentali, che spesso si basano su «accordi» (ad es. l’accordo di patrocinio ex art. 261 del Codice della Famiglia).

L’accordo, infatti, nel diritto ucraino è considerato un fondamentale «regolatore dei rapporti familiari» (v. art. 7 del codice di famiglia, vedi supra).

L’attribuzione “informale” della potestà genitoriale su un minore in virtù di un accordo può dare origine a problemi nel momento dello spostamento (peraltro forzato) del minore in altro Stato, l’ordinamento giuridico del quale non preveda una tale flessibilità. Può, in altri termini, verificarsi una limping situation: i minori, regolarmente affidati al personale degli istituti o, comunque, ad adulti di riferimento, mediante accordi (spesso non scritti), vengono accolti dalle autorità dello Stato di destinazione, nell’ordinamento del quale frequentemente non sono previste forme di affidamento così flessibili.

Invero, la Convenzione dell’Aja del 1996 contempla espressamente le predette forme di attribuzione di responsabilità genitoriale: ai sensi dell’art. 16 della Convenzione dell’Aia del 1996, l’attribuzione della potestà genitoriale in virtù di un accordo (così come di un atto unilaterale) è regolata dalla legge della residenza abituale del figlio al momento nel quale l’accordo (o l’atto unilaterale) diventa efficace.

È, quindi, il diritto ucraino a disciplinare le situazioni di cui sopra e, dato il ruolo riconosciuto da quest’ultimo al «contratto di diritto di famiglia» in merito all’attribuzione della responsabilità genitoriale, i caregiver che siano in grado di dar prova dell’esistenza di un tale accordo dovrebbero poter esercitare la responsabilità genitoriale nei confronti dei minori anche nello Stato di destinazione che sia parte della Convenzione del 1996.

Permangono evidentemente rischi di tratta di minori sopra evidenziati. È, quindi, in ogni caso necessario che le autorità competenti degli Stati di destinazione effettuino controlli rigorosi e raccolgano tutte le informazioni possibili sul bambino e sull’accordo in essere.

Un ausilio in tal senso potrà derivare da una recente iniziativa del Consiglio dei notariati dell’Unione europea in collaborazione con il notariato ucraino. È, infatti, stato previsto una sorta di certificato finalizzato a facilitare il viaggio dei minori che lasciano l’Ucraina: tale certificato, previsto in forma bilingue, ossia in lingua ucraina e, al contempo, in una lingua ufficiale dell’Unione europea, consente l’indicazione delle seguenti informazioni: (i) identità del bambino, (ii) informazioni relative ai genitori per il caso che non sia da questi accompagnato, (iii) permesso per il bambino di lasciare l’Ucraina in compagnia di un adulto di riferimento, (iv) trasferimento dell’affidamento del minore.

5. Bambini collocati in istituto in Ucraina

Il numero di bambini che si trovano in istituto in Ucraina è elevato: nel 2020 l’Ucraina disponeva di 718 strutture di accoglienza istituzionale in cui 102.570 bambini vivevano in assistenza residenziale.

Anche per questi bambini il movimento forzato a causa della guerra è un problema rilevante.

La Convenzione dell’Aia del 1996 prevede uno specifico meccanismo di cooperazione tra gli Stati contraenti: il cosiddetto cross-border placement o affidamento transfrontaliero di minori ex art. 33.

L’affidamento è una misura di protezione, che viene predisposta in favore di bambini che sono privi di una figura adulta di riferimento che possa prendersi cura di loro ovvero in caso di bambini che hanno particolari esigenze dovute a malattie fisiche o mentali e che richiede, necessariamente, l’intervento delle autorità pubbliche.

L’affidamento transfrontaliero è l’istituto che, avvalendosi della cooperazione tra autorità di diversi Stati membri, consente di individuare una soluzione di cura per un bambino in uno Stato diverso da quello nel quale abitualmente risiede.

Una norma analoga è prevista a livello europeo dall’art. 82 del Regolamento 2019/1111. Mentre a livello europeo il cross-border placement è uno strumento ampiamente utilizzato (come risulta da uno studio del 2016, p. 44 e ss.), lo stesso meccanismo previsto dall’art. 33 della Convenzione dell’Aia del 1996 non trova una frequente applicazione.

Tuttavia, un tale meccanismo consentirebbe di realizzare, anche in tempi rapidi, ma sotto il controllo delle autorità pubbliche, lo spostamento di minori che si trovano negli istituti o, comunque, sotto le cure del personale degli istituti nel territorio ucraino in famiglie o strutture di assistenza che si trovino in uno Stato limitrofo, che sia contraente della Convenzione dell’Aia del 1996.

In altri termini, i minori ucraini collocati negli istituti o comunque bisognosi di assistenza e sotto la giurisdizione delle autorità pubbliche ucraine potrebbero essere collocati in uno qualsiasi dei paesi dell’Unione europea nel quale siano disponibili soluzioni di cura e affidamento.

6. Bambini nati in Ucraina in virtù di un accordo internazionale di maternità surrogata

Un altro rilevante problema è quello relativo ai bambini nati attraverso accordi di maternità surrogata in tempo di guerra. Come è noto, l’Ucraina ammette l’istituto della surrogazione di maternità e dispone di diverse strutture che consentono l’attuazione di tale tecnica di procreazione assistita.

Dall’inizio della guerra, sono molti i bambini nati da madri surrogate, che, tuttavia, non hanno la relativa responsabilità genitoriale. Problemi simili si sono già riscontrati durante la pandemia da COVID 19, quando i genitori di intenzione si sono trovati impossibilitati a raggiungere i bambini nati mediante surrogazione.

La comunità internazionale è alla ricerca di strumenti per proteggere i diritti di tali bambini e contemperare tali diritti con gli interessi degli adulti coinvolti (genitori di intenzione e madre surrogata). Si segnalano, in proposito, diverse iniziative: (i) il progetto parentage/surrogacy in corso presso la Conferenza dell’Aia, (ii) i cosiddetti “principi di Verona”; (ii) il lavoro del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla vendita dei bambini e, da ultimo, (iv) l’iniziativa della Commissione europea. Tuttavia, allo stato attuale,  non esistono strumenti specifici di cooperazione internazionale.

Vero è che  in genere gli accordi di surrogazione di maternità prevedono il coinvolgimento di centri sanitari, i quali, in virtù dei predetti accordi, sono responsabili della cura dei minori sino al momento dell’arrivo dei cd. genitori di intenzione.

Allorché – come accade oggi in Ucraina – l’accordo non si possa perfezionare e i bambini restino sotto le cure del personale dei centri sanitari presso i quali sono nati, si potrebbe ricorrere anche in questo caso allo strumento del collocamento transfrontaliero previsto dall’art. 33 della Convenzione dell’Aja. Proprio perché tale istituto si fonda sulla collaborazione tra le autorità dei diversi Paesi coinvolti, potrebbero in questo modo essere ridotti i rischi di traffici illegittimi, di tratta.

Tale soluzione implica l’intervento delle autorità pubbliche dei Paesi coinvolti e, quindi, innanzitutto delle autorità ucraine, per le quali evidentemente in questa fase è molto difficile operare e “adempiere pienamente” alle obbligazioni derivanti dalla Convenzione del 1996.

Per altro verso, indispensabile è altresì la collaborazione degli Stati di destinazione dei minori.

7. Una proposta di virtuosa applicazione coordinata degli strumenti a disposizione

Come si accennava, il cross-border placement è uno strumento al quale si può ricorrere per facilitare lo spostamento dall’Ucraina di bambini in istituto o, comunque, che si trovino nelle cure di centri sanitari.

Il coinvolgimento delle autorità pubbliche è, al contempo, il pregio e il difetto di questo strumento: è un pregio, in quanto in tal modo si riducono i rischi di tratta cui i minori ucraini sono esposti soprattutto in questo momento, ma è anche un difetto, in quanto le autorità pubbliche ucraine non sono verosimilmente in grado di porre in essere gli adempimenti che l’art. 33 impone loro (ad es. un report sulla condizione di ciascun minore), stante anche il contenuto della dichiarazione resa dal governo ucraino in relazione all’applicazione della Convenzione (v. supra).

Secondo quanto previsto dall’art. 39 della Convenzione dell’Aja del 1996, ogni Stato contraente può stipulare accordi volti a migliorare l’applicazione delle norme sulla cooperazione previste dalla Convenzione stessa e, tra esse, quindi, anche dell’art. 33.

In questa prospettiva, si potrebbe ragionare su una virtuosa applicazione degli strumenti a disposizione che preveda la stipulazione di uno o più accordi ex art. 39 della Convenzione con uno o più Stati membri dell’Unione europea limitrofi, finalizzati a realizzare un primo placement nel territorio di tali Stati, ma già contemplando la possibilità di una sorta di placement secondario (beneficiando del consolidato meccanismo previsto dall’art. 82 del Regolamento Bruxelles II-ter) verso il territorio di Stati Membri dell’Unione europea non necessariamente limitrofi all’Ucraina, che magari dispongano di maggiori e migliori misure di protezione.  

Si tratterebbe di un’applicazione della rilevante disciplina orientata al rispetto dei best interests of the child e, sul piano dei rapporti tra Stati Membri, di un buon esempio di applicazione del principio di solidarietà.

* Il post prende spunto da un analogo contributo pubblicato sulla newsletter bimestrale di maggio/giugno 2022 del Servizio Sociale Internazionale.

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