diritto internazionale pubblico

Ancora sull’ordinanza del Tribunale internazionale del diritto del mare nel caso dell’incidente dell’“Enrica Lexie”

Roberto Virzo, Università degli Studi del Sannio

I principali profili dell’ordinanza del 24 agosto 2015 resa nel caso relativo all’Incidente dell’“Enrica Lexie” (Italia c. India) del 24 agosto 2015 sono stati già commentati in questo blog da Massimo Lando. Propongo qualche ulteriore spunto di riflessione che la pronuncia del Tribunale internazionale del diritto del mare (il Tribunale o ITLOS) offre.

Il primo di essi attiene alle funzioni alle quali il Tribunale ha ritenuto debbano assolvere le misure cautelari che ha prescritto ai sensi dell’art. 290, par. 5 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione o UNCLOS).

È opportuno al riguardo riprendere il punto 1 del Dispositivo:

«The Tribunal, (1) by 15 votes to 6, Prescribes (…): Italy and India shall both suspend all court proceedings and shall refrain from initiating new ones which might aggravate or extend the dispute submitted to the Annex VII arbitral tribunal or might jeopardize or prejudice the carrying out of any decision which the tribunal may render».

Alla finalità di preservare i diritti rispettivi delle parti in controversia, prevista espressamente dall’art. 290, par. 1 UNCLOS e indicata nei par. 125-126 dell’ordinanza, il Tribunale ne aggiunge dunque due. Per l’ITLOS, le misure della sospensione dei processi instaurati dinanzi alle giurisdizioni nazionali indiane e italiane e del divieto di iniziarne nuovi sono altresì strumentali ad evitare che la controversia possa inasprirsi o estendersi e che una modificazione della situazione di diritto che si determinerebbe dal proseguimento o dall’avvio di procedimenti nazionali comprometta, se non vanifichi, l’esecuzione di eventuali pronunce del costituendo Tribunale arbitrale.

Non si tratta di una peculiarità di questa ordinanza ed anzi la strumentalità atipica – in quanto non contemplata né dall’UNCLOS né dal regolamento ITLOS – dell’impedire un aggravarsi della controversia può considerarsi una costante nella giurisprudenza del Tribunale di Amburgo in materia cautelare. Ma nel caso di specie, considerata la natura della misura prescritta, peraltro diversa da quella sollecitata dalla parte attrice e disposta ai sensi dell’art. 89, par. 5 del Regolamento ITLOS, le due funzioni attribuite ai provvedimenti provvisori appaiono particolarmente interessanti.

Partendo dalla necessità di evitare che il tribunale arbitrale, del quale l’ITLOS ritiene sussista la competenza prima facie, decida sulla giurisdizione nel caso dell’incidente dell’Enrica Lexie, dopo che una o entrambe le parti l’abbiano già affermata o abbiano già cominciato ad esercitarla, occorre anzitutto osservare che siffatta funzione della misura cautelare è collegata con quella della salvaguardia dei diritti rispettivi delle parti. Il maggiore pericolo che si vuole qui neutralizzare è, cioè, che, stante la fisiologica durata del procedimento arbitrale ai sensi dell’allegato VII della Convenzione, l’eventuale decisione del Tribunale dell’Aja sull’esercizio della giurisdizione in base all‘UNCLOS, da parte dell’India o dell’Italia, finisca per essere tardiva per le stesse parti controvertenti. La finalità di cui si sta qui discutendo si estende non solo all’eventuale lodo di merito del tribunale arbitrale, ma a ogni altra ordinanza o sentenza che questo possa emanare. Il punto 1 del dispositivo si riferisce invero a «any decision which the tribunal may render». Una volta costituito, il tribunale arbitrale avrà, ad esempio, anche una competenza cautelare e, ai sensi dell’art. 290, par. 5 UNCLOS, potrà, su domanda di una delle parti, modificare, revocare o confermare le misure cautelari adottate dall’ITLOS. Non è peraltro escluso che venga presentata una istanza in tal senso. Lo Stato attore potrebbe avere interesse a riproporre le domande non accolte dal Tribunale di Amburgo o a introdurne nuove. Ancora si potrebbe ricorrere al Tribunale arbitrale qualora si pongano questioni di interpretazione relativamente alla portata della misura di sospensione disposta dall’ITLOS. In particolare, non è del tutto pacifico se essa comporti o meno l’automatica proroga del provvedimento di autorizzazione a beneficiare di cure mediche in Italia emesso, nei confronti del fuciliere della Marina italiana Massimiliano Latorre, dalla Corte suprema indiana (da ultimo il 13 luglio 2015).

La motivazione dell’ordinanza suggerisce poi un’ulteriore considerazione a proposito della suddetta finalità. Nel par. 73, l’ITLOS precisa che l’«article 290 of the Convention applies independently of any other procedures that may have been instituted at the domestic level (…) and, if proceedings are instituted at the domestic level, this does not deprive a State of recourse to international proceedings». Il Tribunale di Amburgo è consapevole che procedimenti in qualche modo collegati, poiché scaturiti dal medesimo fatto, ma relativi a controversie diverse, sono pendenti dinanzi a giurisdizioni interne, da un lato, e a organi giurisdizionali e arbitrali previsti dall’UNCLOS, dall’altro. Si tratta di procedimenti paralleli instaurati nell’ambito di due ordinamenti interni e dell’ordinamento internazionale e, per tale ragione, non facilmente coordinabili. Di qui il rischio che si addivenga a giudicati contraddittori, eventualmente preceduti da ordinanze altrettanto contraddittorie. Sicché alla finalità esplicita di non pregiudicare le pronunce del tribunale arbitrale UNCLOS, perseguita attraverso la ricordata misura cautelare della sospensione, è probabilmente sottesa anche quella di impedire il pressoché contestuale svolgimento di procedimenti paralleli.

Quanto all’obiettivo di non aggravare o estendere la controversia in relazione alla quale è disposta la misura cautelare, si è già accennato che si tratta di una funzione non indicata espressamente dall’UNCLOS o dal Regolamento ITLOS, ma che il Tribunale è solito attribuire alle sue misure provvisorie. A partire dalla pronuncia dell’11 marzo 1998 nel caso M/V “SAIGA” (No. 2) (Saint Vincent e Grenadine c. Guinea), misure provvisorie, punto 2 del dispositivo e par. 44 della motivazione, in tutte le ordinanze in cui ha concesso misure cautelari, il Tribunale ha ritenuto opportuno fondarne la prescrizione anche su siffatta esigenza.

In ciò si ravvisa una differenza con la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia in materia cautelare. Mentre quest’ultima dispone misure provvisorie volte a evitare l’aggravamento o l’estensione della controversia solo quando le specifiche circostanze del caso lo giustificano (vedi, per un esempio, l’ordinanza sulle misure provvisorie del 18 luglio 2011 nell’affare relativo alla Domanda di interpretazione della sentenza del 15 giugno 1962 nel caso relativo al Tempio di Preah Vihear (Cambogia c. Tailandia), par. 59 e 69, punto B4), l’ITLOS ritiene sempre essenziale ribadire la funzione poc’anzi sottolineata.

Del resto, avendo ben chiaro che la sua principale missione consiste nel contribuire al regolamento delle controversie internazionali per le quali è adito (vedi al riguardo il par. 391 della sentenza del Tribunale del 14 marzo 2012 nel caso della Controversia concernente la delimitazione del confine marittimo tra Bangladesh e Birmania nel Golfo del Bengala), l’ITLOS, pure nell’ambito del processo cautelare ex art. 290 UNCLOS (poco rileva se come giudice investito del merito della controversia oppure competente solo nelle more della costituzione di un tribunale arbitrale), cerca di individuare i rimedi più appropriati, tra l’altro, per evitare l’inasprimento della controversia.

Ciò può comportare che, anche qualora il Tribunale non possa prescrivere obblighi positivi di cooperazione, le parti sappiano approfittare del mero obbligo negativo di non aggravare la controversia, riprendendo o potenziando consultazioni dirette. Una simile circostanza si è verificata, ad esempio, per i casi del recupero di terra da parte di Singapore nello Stretto di Johor (Malaysia c. Singapore) e dell’“Ara Libertad” (Argentina c. Ghana): l’esecuzione delle misure cautelari ordinate dall’ITLOS e i negoziati tra le parti in causa che ne sono scaturiti hanno determinato che le due controversie siano state risolte non già con sentenza, ma tramite accordi.

Anche nell’ordinanza del 24 agosto 2015, poiché la misura provvisoria ha, tra i suoi effetti, quello di stabilire che, salva diversa valutazione del Tribunale arbitrale, debba essere risolta prioritariamente la controversia internazionale sulla giurisdizione in base all’UNCLOS, le parti potrebbero essere indotte, in pendenza del procedimento arbitrale, al parallelo ricorso al negoziato e persuadersi della convenienza di addivenire ad una soluzione concordata. Qualora un nuovo negoziato venga avviato, sarebbe peraltro auspicabile che esso sia diretto a favorire un ampio accordo, prevedendo, ad esempio, le modalità con cui va realizzata, a livello bilaterale, la cooperazione più volte richiesta dalle organizzazioni internazionali competenti nel contrasto alla pirateria marittima (sull’importanza della cooperazione internazionale in materia, si veda il par. 24 della Dichiarazione del giudice ad hoc Francioni).

Un’ultima, breve riflessione riguarda la questione del rilievo, nell’ambito dell’affare dell’Incidente dell’“Enrica Lexie, delle considerazioni di umanità e della tutela internazionale dei diritti umani. Nell’ordinanza del 24 agosto 2015, l’ITLOS si limita a riaffermare, richiamando la propria giurisprudenza, che considerazioni di umanità si devono applicare al diritto del mare come a qualsiasi settore del diritto internazionale (par. 133) e a dichiararsi conscio («aware») tanto del dolore e delle sofferenze patite dai familiari delle vittime dell’incidente (par. 134), quanto delle conseguenze che il prolungamento delle misure restrittive della libertà stanno cagionando ai due fucilieri della marina italiana e alle loro famiglie (par. 135).

Tuttavia, distaccandosi da sue precedenti pronunce, l’ITLOS non ha ritenuto opportuno chiedere alle parti in causa di conformarsi ad obblighi internazionali sui diritti umani, inclusi quelli inerenti al giusto processo e ha finito per non concedere la seconda misura cautelare sollecitata dall’Italia. Lo Stato attore aveva infatti chiesto all’ITLOS di ordinare all’India la revoca immediata delle misure restrittive della libertà imposte ai due fucilieri della Marina italiana (al riguardo vedi il commento di Irini Papanicolopulu).

Quali che siano le ragioni per cui il Tribunale di Amburgo è pervenuto a siffatta conclusione (sul punto, si vedano le discordanti tesi sostenute dai giudici che hanno allegato dichiarazioni od opinioni all’ordinanza), c’è da chiedersi se, in caso di riproposizione della domanda, questa non possa essere invece accolta dal Tribunale arbitrale (nell’ipotesi, beninteso, che anch’esso si pronunci per la sussistenza, prima facie, della sua competenza). Invero, la misura cautelare della sospensione dei processi instaurati dinanzi agli organi giudiziari nazionali, ordinata dall’ITLOS, e la priorità da accordare alla soluzione della controversia interstatuale sulla giurisdizione in merito all’Incidente dell’“Enrica Lexie”, determinano, in primo luogo, che non possa escludersi un danno per lo Stato attore, dovuto all’esercizio della giurisdizione da parte dello Stato convenuto, nel lasso di tempo febbraio 2012-agosto 2015. Inoltre, considerati i tempi necessari alla conclusione del procedimento arbitrale e quelli dell’eventuale, successivo processo penale in uno dei due Stati – nonché il tempo già trascorso da quando sono state adottate misure ristrettive della libertà dei due fucilieri – tali misure appaiano sempre meno conformi agli norme internazionali sui diritti umani, rilevanti in argomento. È da condividere al riguardo la preoccupazione del giudice Jesus: «the detention or restrictions on the movement of persons who wait excessively long to be charged with criminal offenses is, per se, a punishment without a trial. In such situations, every day that a person is under detention or subject to restrictions on movement is one day too many to be deprived of his or her liberty» (par. 11 dell’Opinione individuale).

Per ovviarvi, il Tribunale arbitrale potrà fare ricorso all’art. 293 UNCLOS ed applicare, attraverso un’interpretazione coordinata, le norme di diritto internazionali non incompatibili con la Convenzione. Tra tali norme sono infatti da annoverare anche quelle inerenti ai diritti umani e all’equo processo. Ciò è confermato, con riferimento agli «international human rights standards», oltre che da autorevole dottrina (tra gli altri, v. Treves, 2010, p. 6), dalla recente sentenza arbitrale del 14 agosto 2015 nel caso relativo all’Artic Sunrise (Paesi Bassi c. Federazione Russa), par. 198.

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