diritto dell'Unione europea

Diritti e bilancio: quale equilibrio? Un commento alla sentenza 275/2016 della Corte costituzionale

Francesco Pallante, Università di Torino

1. Con la sentenza n. 275 del 2016 la Corte costituzionale torna a occuparsi del difficile rapporto tra attuazione dei diritti e vincoli di bilancio, una questione di attualità in diversi Paesi europei (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna). Prima di quest’ultima pronuncia, la Corte costituzionale si era già occupata di equilibrio di bilancio in almeno quattro importanti occasioni, sfociate nelle sentenze n. 264 del 2012, n. 10, n. 70 e n. 178 del 2015. Ad accomunare tali precedenti, la necessità di decidere se i sacrifici economici richiesti, in tempo di crisi, a determinate categorie di cittadini fossero o meno conformi a Costituzione. Nel primo e nel secondo caso l’equilibrio di bilancio è risultato prevalente, rispettivamente, sul diritto alla previdenza (art. 38 Cost.) e sul diritto del contribuente (art. 53 Cost.); nel terzo caso il diritto alla previdenza (art. 38 Cost.) è risultato prevalente sull’equilibrio di bilancio; nel quarto caso l’equilibrio di bilancio e il diritto di libertà sindacale (art. 39 Cost.) sono risultati prevalenti il primo per il passato, il secondo per il futuro.

Colpisce, in particolare, che le sentenze del 2015 siano state adottate da una Corte guidata sempre dallo stesso Presidente e in composizione quasi immutata e che, ciononostante, le decisioni risultino di segno molto diverso, se non addirittura contrario. Ciò a conferma di quanto ancora dubbio sia l’effettivo ruolo giocato dal principio dell’equilibrio dei bilanci (statale, regionali, locali) nell’ordinamento costituzionale italiano: super-principio costituzionale «imperioso» o «tiranno», destinato a prevalere in ogni caso di contrasto con altri princìpi, o principio costituzionale posto sullo stesso piano degli altri princìpi costituzionali e dunque, al pari degli altri, suscettibile di bilanciamento?

2. Nell’indeterminatezza della materia, la sentenza n. 275 del 2016 della Corte costituzionale è potenzialmente suscettibile di lasciare il segno, sebbene non tanto per il rigore e la “pulizia” concettuale delle argomentazioni utilizzate, quanto piuttosto per la perentorietà del suo passaggio centrale, quello in cui si legge che: «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (punto 11 del Considerato in diritto).

2.1. – Giuridicamente, la vicenda oggetto del giudizio si inquadra nell’ambito dell’art. 38, co. 3, Cost., per il quale «gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale». Tale previsione ha trovato attuazione, a livello statale, per opera della legge n. 104 del 1992 «Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», la quale «attribuisce al disabile il diritto soggettivo all’educazione ed all’istruzione a partire dalla scuola materna fino all’università» (Corte costituzionale, sentenze n. 215 del 1987 e n. 80 del 2010). Nell’ambito delle proprie competenze sul diritto allo studio e sull’assistenza socio-sanitaria, le regioni sono state poi chiamate a coordinare gli interventi degli enti locali in materia: nel caso di specie «i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio» – di cui all’art. 139, co. 1, lett. c), del d.lgs. n. 112 del 1998 – tra i quali rientra il servizio di trasporto scolastico degli studenti disabili.

Così definite le linee essenziali del quadro normativo, la questione decisa dalla sentenza n. 275 del 2016 nasce da due disposizioni legislative della legge della Regione Abruzzo n. 78 del 1978 «Interventi per l’attuazione del diritto allo studio» (così come modificata dall’art. 88, co. 1 e 4, della legge della Regione Abruzzo n. 15 del 2004 «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2004)»):

  • l’art. 5-bis, per il quale la Giunta regionale garantisce un contributo del 50% della spesa, necessaria e documentata, sostenuta dalle province per lo svolgimento del servizio di trasporto degli studenti portatori di handicap o di situazioni di svantaggio;
  • l’art. 6, co. 2-bis, che circoscrive la garanzia del contributo di cui al precedente art. 5-bis «nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa».

Ricorrente – innanzi al T.A.R. Abruzzo – è una delle province abruzzesi, quella di Pescara, che, a causa dell’art. 6, co. 2-bis, lamenta di essersi vista corrispondere dalla Regione non il 50% delle spese effettivamente sostenute per il trasporto scolastico dei disabili, ma una quota inferiore e, per di più, decrescente negli anni (dal 39% nel 2008 al 22% nel 2012, con un picco minimo del 18% nel 2009).

A fronte di tale situazione – peraltro non contestata nelle cifre dalla Regione – il giudice a quo individua nell’art. 6, co. 2-bis, della legge della Regione Abruzzo n. 78 del 1978 un illegittimo «condizionamento dell’erogazione del contributo [dovuto dalla Regione alle province] alle disponibilità finanziarie di volta in volta determinate dalla legge di bilancio» regionale, così da trasformare «l’onere della Regione in una posta aleatoria e incerta, totalmente rimessa alle scelte finanziarie dell’ente, con il rischio che esse divengano arbitrarie, in difetto di limiti predeterminati dalla legge» e che si risolvano «nella illegittima compressione del diritto allo studio del disabile, la cui effettività non potrebbe essere finanziariamente condizionata» (punto 2 del Considerato in diritto). Quanto ai parametri costituzionali violati, si tratterebbe dell’art. 10 Cost. – con riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 18 del 2009 «Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità» – e dell’art. 38 Cost., disposizioni volte, entrambe, ad assicurare «il diritto allo studio delle persone con disabilità» (punto 5 del Ritenuto in fatto).

Meritevole di interesse, nella concreta ricostruzione della vicenda, è la circostanza che – al di là di quanto espressamente sostengano il ricorrente e la stessa Corte sul punto – il diritto dei disabili non risulti, in sé, violato. A quanto è dato comprendere, gli studenti della Provincia di Pescara bisognosi del servizio di accompagnamento scolastico hanno infatti continuato negli anni a ricevere il servizio, senza riduzioni né, tanto meno, interruzioni. Ciò che, di fatto, induce il T.A.R. Abruzzo a sollevare la questione è il timore che i tagli al contributo regionale – che addirittura «possono essere ridotti già nella fase amministrativa di formazione delle unità previsionali di base» – finiscano, se confermati anche per il futuro, col pregiudicare l’effettiva erogazione del servizio, traducendosi, a quel punto sì, in una violazione del diritto, anche perché dalla legislazione regionale non risulta alcun «limite idoneo a dare effettività ai diritti previsti dalla Costituzione e sottesi a tale servizio di trasporto» (punto 18 del Considerato in diritto).

2.2. – Nell’affrontare la questione innanzi a lei sollevata, la Corte costituzionale segue un ragionamento disordinato, in cui si intrecciano argomentazioni differenti senza che sia sempre agevole seguire la logica del passaggio dall’una all’altra. Più che provare a ripercorrere l’evoluzione del discorso della Corte, può essere utile provare a offrirne una ricostruzione soggettiva, frutto della riorganizzazione dei “materiali” rinvenibili nella sentenza.

Punto di partenza può essere la considerazione che, a fronte della proclamazione costituzionale di un diritto, spetta al legislatore la predisposizione di tutti gli strumenti necessari alla sua realizzazione, affinché la relativa disposizione costituzionale non si riduca a «una mera previsione programmatica, ma venga riempita di contenuto concreto e reale». La scelta di quali strumenti effettivamente porre in essere rientra nella discrezionalità del legislatore, tenendo tuttavia conto che diverso è se il diritto possa o meno essere qualificato come fondamentale. Il carattere fondamentale del diritto opera, infatti, come limite alla discrezionalità, che risulta vincolata al «“rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati” (sentenza n. 80 del 2010)» (punto 5 del Considerato in diritto).

Nel caso di specie, la Corte non dubita che, in effetti, il diritto all’istruzione del disabile, di cui all’art. 38 Cost., debba essere qualificato come «fondamentale». Ne consegue il riconoscimento del vincolo alla discrezionalità del legislatore, che si concretizza nel dovere di garantire «il servizio di trasporto scolastico e di assistenza». Come affermato apoditticamente, infatti, «per lo studente disabile, [tale servizio] costituisce una componente essenziale ad assicurare l’effettività del medesimo diritto», sicché la sua mancata predisposizione si tradurrebbe nella violazione del diritto stesso (punto 5 del Considerato in diritto).

Ciò posto, la Corte prende in considerazione, sia pure senza così esplicitarlo, il tema del “costo” dei diritti. In generale, i giudici costituzionali sembrano voler dire che lasciare nell’incertezza la misura delle risorse destinate all’attuazione di un diritto costituzionale impedisce di programmare gli interventi volti alla sua effettiva realizzazione, in tal modo minandone l’effettività. Per usare le parole della sentenza: l’effettività di un diritto «non può che derivare dalla certezza delle disponibilità finanziarie per il soddisfacimento del medesimo» (punto 7 del Considerato in diritto). Ecco, allora, che, nel caso concreto sottoposto a giudizio, «l’indeterminatezza del finanziamento determina un vulnus all’effettività del servizio di assistenza e trasporto, come conformato dal legislatore regionale, con conseguente violazione dell’art. 38, terzo e quarto comma, Cost.», dal momento che «la garanzia del 50% della copertura del servizio di assistenza ai disabili appartiene alla conformazione della struttura e dell’organizzazione del servizio stesso» (punto 9 del Considerato in diritto).

Così argomentando, tuttavia, la Consulta non chiarisce da che cosa esattamente dipenda la violazione dell’art. 38 Cost.: dalla facoltà – concessa dall’art. 6, co. 2-bis, della legge regionale n. 78 del 1978 – di finanziare in misura pre-vincolata il contributo regionale alle province (a prescindere, dunque, dall’effettiva violazione della soglia del 50% di rimborso) o dalla effettiva limitazione del contributo, al di sotto del 50% delle spese provinciali, verificatasi negli anni tra il 2008 e il 2012? È chiaro che la prima ipotesi configurerebbe una tutela costituzionale dei diritti ben più rigorosa della seconda, con implicazioni di non trascurabile rilievo: per esempio, sulla costituzionalità della disposizione del Patto per la salute 2014-2016 in tema di assistenza socio-sanitaria (art. 6), il cui primo comma prevede che «le attività indicate al presente articolo sono effettuate nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente».

Sempre in tema di “costo” dei diritti, ulteriore incertezza deriva dal ricorso alla categoria dei diritti (non più «fondamentali», bensì) «incomprimibili», utilizzata dai giudici costituzionali per respingere le argomentazioni difensive della Regione Abruzzo. La sentenza non precisa quali diritti rientrerebbero in tale categoria, ma afferma che comunque ne fanno parte i «servizi che influiscono direttamente sulla condizione giuridica del disabile aspirante alla frequenza e al sostegno nella scuola» e – cosa che parrebbe avere rilievo di carattere più generale – che tali diritti implicano spese obbligatorie, la cui sostenibilità «non può essere verificata all’interno di risorse promiscuamente stanziate attraverso complessivi riferimenti numerici», come invece può avvenire «in relazione a spese correnti di natura facoltativa» (punto 7 del Considerato in diritto). Ora, se certamente si può criticare il linguaggio utilizzato dalla Corte (difficile immaginare una categoria di diritti «incomprimibili» in un contesto costituzionale improntato al pluralismo politico: più agevole ritenere che i giudici intendessero far riferimento al «nucleo incomprimibile» – o «nucleo duro» o «livello essenziale» – dei diritti), dalle parole citate sembra potersi ricavare l’idea che la previsione costituzionale di un diritto, o quantomeno di un diritto «fondamentale», renda obbligatorio il finanziamento di una serie di attività essenziali all’attuazione del diritto stesso. Ecco allora la distinzione tra spese «obbligatorie» e spese «facoltative»: «obbligatorie», essendo rivolte a coprire i costi di realizzazione delle attività essenziali all’attuazione del «nucleo incomprimibile» del diritto («fondamentale»?), sarebbero le spese non assoggettabili al vincolo delle risorse disponibili; «facoltative», non essendo rivolte ad analoga finalità, risulterebbero le spese assoggettabili, secondo la discrezionalità del legislatore, a tale vincolo.

Un ulteriore elemento a favore della lettura ora proposta sembra il passaggio della sentenza in cui si afferma che la legge regionale impugnata è incostituzionale perché configurata in modo tale da rendere «generico ed indefinito il finanziamento destinato a servizi afferenti a diritti meritevoli di particolare tutela, rendendo possibile […] che le risorse disponibili siano destinate a spese facoltative piuttosto che a garantire l’attuazione di tali diritti» (punto 8 del Considerato in diritto). Qui, come si intuisce, torna il tema della discrezionalità del legislatore (a riprova della, almeno parziale, sovrapponibilità delle categorie dei diritti «fondamentali» e dei diritti «incomprimibili»). La Corte sembra voler dire che il legislatore non è pienamente libero nel decidere la destinazione delle risorse economiche, perché determinati interventi devono essere prioritariamente finanziati, ma poi, anziché dichiarare espressamente che dare insufficiente copertura finanziaria alle spese costituzionalmente obbligatorie è incostituzionale, fa un passo indietro. Infatti, a venir colpito dalla censura di incostituzionalità non è, in sé, il mancato stanziamento delle risorse necessarie all’attuazione del «nucleo incomprimibile» del diritto dei disabili, ma la mancanza di coerenza, interna alla legge della Regione Abruzzo n. 78 del 1978, tra la disposizione «con la quale viene specificato il nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» e la disposizione «che subordina il finanziamento (da parte regionale) degli interventi alle politiche ed alle gestioni ordinarie del bilancio dell’ente» (punto 10 del Considerato in diritto). Si potrebbe ritenere che tale prudenza della Corte costituzionale sia giustificata dalla difficoltà di “colpire” con una pronuncia di incostituzionalità le leggi di bilancio. Ma è la stessa sentenza n. 275 del 2016 a smentirlo, ricordando – con doppia citazione di precedenti – che «in sede di redazione e gestione del bilancio, vengono determinate, anche attraverso i semplici dati numerici contenuti nelle leggi di bilancio e nei relativi allegati, scelte allocative di risorse “suscettibili di sindacato in quanto rientranti ‘nella tavola complessiva dei valori costituzionali, la cui commisurazione reciproca e la cui ragionevole valutazione sono lasciate al prudente apprezzamento di questa Corte (sentenza n. 260 del 1990)’” (sentenza n. 10 del 2016)» (punto 14 del Considerato in diritto). Non si può, dunque, «ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale» (sentenza n. 260 del 1990) (punto 3 del Considerato in diritto). Cosa che sembra, da ultimo, confermata anche dalle sentenze n. 188 del 2015 e n. 10 del 2016, che annullano parte delle leggi di bilancio della Regione Piemonte per il 2013 e il 2014, oltre a provvedimenti a esse collegati, poiché non destinavano alle province piemontesi risorse adeguate a far fronte alle funzioni (anche di carattere sociale) loro assegnate dalla Regione.

2.3. – A parte – considerato il rilievo dell’affermazione ricordata all’inizio sull’inversione del rapporto di condizionamento tra diritti e bilancio – merita di essere trattata la questione del rispetto dell’art. 81 Cost.

Nella vicenda processuale decisa dalla sentenza n. 275 del 2016, il tema è sollevato dalla Regione Abruzzo, che difende l’art. 6, co. 2-bis, della propria legge regionale n. 78 del 1978 sostenendo che, «ove la disposizione impugnata non contenesse il limite delle somme iscritte in bilancio, la norma violerebbe l’art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria». L’argomento è curioso: potrebbe aver forse fondamento, se l’attività a tutela degli studenti disabili svolta dalle province abruzzesi non fosse quantitativamente e qualitativamente prevedibile (quanti trasporti? e con l’impiego di quali strumenti?); ma così, evidentemente, non è: sia perché vi è una pregressa attività cui fare riferimento, sia, soprattutto, perché il coordinamento tra i diversi livelli territoriali nell’erogazione del servizio è finalizzato proprio alla programmabilità dello stesso. Lo rileva il passaggio della sentenza in cui si afferma che «l’impianto della legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978 [è] improntato al metodo della programmazione, secondo cui gli interventi ed i pertinenti oneri finanziari sono istruiti nell’anno precedente così da consentire la loro corretta iscrizione nel bilancio», con la conseguenza che «proprio la previa redazione del piano di assistenza testimonia l’inverosimiglianza dell’ipotesi di squilibrio di bilancio» (punto 12 del Considerato in diritto).

Come detto, però, la Corte non si ferma a questa valutazione, legata al caso di specie. Riallacciandosi alle considerazioni sull’obbligatorietà del finanziamento del «nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo» un diritto, una volta che tale nucleo sia stato «normativamente identificato», attribuisce alla sua sentenza una portata di carattere ben più ampio: a essere costituzionalmente doveroso, infatti, non è il rispetto dell’equilibrio di bilancio, ma l’erogazione delle prestazioni in cui si sostanzia il nucleo incomprimibile dei diritti (punto 11 del Considerato in diritto). Il dato di partenza è, dunque, la necessaria garanzia dei diritti e a partire da essa vanno “costruiti” i bilanci pubblici, destinando in essi obbligatoriamente tutte le risorse necessarie affinché le pubbliche amministrazioni assolvano ai propri doveri costituzionali. Ragionare all’inverso comporterebbe, infatti, la messa in discussione dell’effettività dei diritti, che risulterebbe legata non alle previsioni costituzionali, ma «a generiche ed indefinite previsioni di bilancio», dipendenti «da scelte finanziarie che [il legislatore] può svolgere con semplici operazioni numeriche, senza alcun onere di motivazione in ordine alla scala di valori che con le risorse del bilancio stesso si intende sorreggere», in tal modo condannando i diritti a una «una situazione di aleatorietà ed incertezza» (punto 16 del Considerato in diritto).

2.4. – Ecco, allora, il dispositivo della sentenza: «l’art. 6, comma 2-bis, della legge reg. Abruzzo n. 78 del 1978 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente all’inciso “, nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa,”».

3. L’oscillazione della giurisprudenza costituzionale lascia ancora indefinita una questione la cui posta in gioco è comunque chiara: la collocazione gerarchica, e dunque la forza giuridica, del principio dell’equilibrio di bilancio sancito nel nuovo art. 81 Cost. Per certi versi, si tratta del ritorno, sotto vesti nuove, di una vecchia questione: la normatività delle disposizioni costituzionali di programma (in particolare quelle che prevedono la realizzazione di uno Stato sociale), che, nei primi anni di vita della Costituzione, si tentò di vincolare alla previa adozione della legislazione ordinaria di attuazione (Corte di Cassazione, sentenza delle Sezioni Penali Unite del 7 febbraio 1948). Oggi è un altro il vincolo che si vorrebbe utilizzare, quello della previa allocazione delle risorse necessarie all’attuazione dei diritti, ma il risultato sarebbe lo stesso: l’inversione dell’ordine gerarchico delle fonti, con la subordinazione della Costituzione alla legislazione (di bilancio) ordinaria. Nei primi anni della storia costituzionale, la Consulta colse la prima occasione in cui poté pronunciarsi per tranciare il nodo gordiano che si voleva stringere al collo della Costituzione: lo fece con la sentenza n. 1 del 1956, proclamando la prescrittività di tutte le disposizioni costituzionali, incluse quelle di programma e di principio. Seguì una lunga fase di attuazione del dettato costituzionale. Si capisce, allora, quanto dalla risoluzione della questione odierna possa dipendere il volto futuro del nostro sistema dei diritti. Come ha scritto Lorenza Carlassare, in gioco è il «disegno complessivo» della Costituzione, a partire dal «valore centrale intorno al quale è costruito il sistema costituzionale: la persona umana e la sua dignità».

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Francesco Pallante

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3 Comments

  1. Stefano
    Febbraio 2, 2017 at 10:06 am — Rispondi

    Mi pare che alla lettura della Consulta manchi un elemento fondamentale: che il divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare la spesa pubblica costituisce la garanzia per le future generazioni di non trovarsi a pagare il costo dei diritti riconosciuti alle presenti. Pensare che l’indebitamento sia scaricato all’esterno è un’illusione: è solo scaricato in avanti, ma sempre all’interno del sistema, tramite il pagamento degli interessi sul debito.
    Inoltre, è del tutto fuorviante impostare il bilanciamento tra un sedicente principio di equilibrio di bilancio e l’erogazione delle prestazioni in cui si sostanzia il nucleo incomprimibile dei diritti. Gli interessi che sono effettivamente in gioco che dovrebbero essere bilanciati sono i diritti incomprimili dei cittadini di oggi e i diritti incomprimibili dei cittadini di domani. Il pareggio di bilancio è la regola (non è un principio!) che suggerisce il bilanciamento tra questi due poli: il legislatore costituzionale ha sostanzialmente detto “per il riconoscimento dei diritti, spendete le risorse che avete, e non ipotecate quelle del futuro”. A prescindere dal fatto che si condivida o meno questa regola, la Consulta dovrebbe rispettarla.
    D’altra parte, non possiamo chiudere gli occhi sul fatto che oggi una parte consistente della spesa pubblica è riservata al pagamento degli interessi sul debito. Immaginare di aumentare quella quota è una follia; e questa follia è la ragione per cui oggi siamo in una crisi senza via di uscita. La Consulta pensa che aumentare il peso sulle future generazioni sia un bilanciamento saggio?

  2. […] PALLANTE notifies us of a decision by the Italian Constitutional Court on how to reconcile balanced budget requirements with f… (in Italian), […]

  3. Alessandro
    Maggio 29, 2017 at 5:58 am — Rispondi

    “il divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare la spesa pubblica costituisce la garanzia per le future generazioni di non trovarsi a pagare il costo dei diritti riconosciuti alle presenti”
    .. no noo è questa la fregatura che ci sta rovinando che ci hanno voluto insegnare..
    è sempre stato il contrario.. si DEVE ASSOLUTAMENTE fare deficit. uno stato sovrano, con la propria moneta, va avanti così.. diventa via via migliore così.
    ecco a cosa è servito l’euro. a interrompere la possibilità allo stato di fare il normale e solito deficit per creare la ricchezza aggiuntiva.
    Questo è l’inganno globale.
    Come il debito pubblico “alto” non ha nessun motivo per farci dover fare sacrifici o doverlo ridurre in pochi anni dissanguandoci (e facendo morire aziende e persone).
    Ma dove andremo a finire. ci stanno portando a far la fine della Grecia convincendoci pure che è inevitabile e colpa nostra.
    ci hanno per decenni inculcato l’esatto contrario della solita, buona economia… per fareci diventare più poveri e arricchirsi come un dittatore spolpa un popolo sottomesso.
    Siamo stati fatti fessi, tutti. come in Matrix.

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