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La proposta di regolamento UE sul riconoscimento della filiazione tra Stati membri: alla ricerca di un equilibrio tra obiettivi di armonizzazione e divergenze nazionali

Diletta Danieli (Università di Verona)

1. La continuità degli status personali e familiari in situazioni transfrontaliere solleva questioni giuridiche complesse e in costante evoluzione, la cui risoluzione richiede di tutelare, primariamente, i diritti fondamentali degli individui coinvolti e, al contempo, di operare un necessario bilanciamento con i valori e principi costitutivi di ciascun ordinamento nazionale. Se declinata all’interno dello spazio giudiziario europeo, tale tematica si pone altresì al crocevia tra competenze dell’Unione e settori riservati alla sovranità degli Stati membri (in generale sull’argomento si rinvia, ex multis, a Baruffi, in Di Stasi et al. 2023, pp. 347-379; Baruffi, in Pesce, pp. 13-34; Buonomenna, in Di Stasi et al. 2020, pp. 257-276; Deana; Marino; Salerno; Marongiu Buonaiuti; Baratta; nonché allo studio di Tryfonidou et al.; a livello internazionale, si segnala inoltre l’attenzione alla tematica della continuità degli status nella risoluzione dell’Institut de droit international «Human Rights and Private International Law» – Rapporteur: prof. Fausto Pocar, di cui in particolare rilevano, per i profili di seguito affrontati, gli artt. 10, 12 e 14 in merito ai quali v., rispettivamente, gli approfondimenti di Rossolillo 2022, Ruotolo, Feraci 2022a).

Nel quadro di questa più ampia prospettiva, l’attenzione si concentra in particolare sullo status filiationis in quanto oggetto di una proposta di regolamento, presentata dalla Commissione europea il 7 dicembre 2022, volta ad introdurre un regime uniforme in materia di giurisdizione e legge applicabile alla filiazione caratterizzata da elementi di estraneità, nonché di riconoscimento delle decisioni e di accettazione degli atti pubblici in tale ambito, cui si aggiunge la creazione di un certificato europeo di filiazione, a carattere facoltativo (COM(2022) 695 final, in seguito, anche solo «proposta»; per altri commenti in merito, v. Carpaneto e Luku). La proposta è stata preceduta da ampi lavori preparatori (consultabili a questa pagina; si vedano anche gli esiti delle riflessioni condotte dall’Expert Group on the recognition of parenthood between Member States, istituito dalla Commissione nel 2021) e si prefigge il principale obiettivo di garantire effettività alla tutela dei diritti fondamentali e degli altri diritti dei figli, che possono essere pregiudicati in caso di mancato (o parziale) riconoscimento della filiazione tra Stati membri, nonché, ulteriormente, di assicurare certezza e prevedibilità della normativa applicabile e di ridurre gli oneri finanziari e giuridici che insorgono nei procedimenti di riconoscimento.

La misura legislativa proposta, annunciata nel discorso sullo stato dell’Unione del 2020 e poi inclusa tra le priorità della strategia dell’UE per l’uguaglianza LGBTIQ, dello stesso anno (COM(2020) 698 final), e di quella sui diritti dei minori del 2021 (COM(2021) 142 final), si inserisce su un piano di continuità nel quadro delle iniziative politiche, anche di altre istituzioni europee, che, già in tempi più risalenti, hanno evidenziato l’opportunità di un intervento finalizzato al riconoscimento, tra gli Stati membri dell’Unione, degli effetti connessi agli atti di stato civile, tra cui quelli relativi alla nascita, alla filiazione e all’adozione (cfr., ancora nel 2010, il programma di Stoccolma del Consiglio europeo «Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini» e relativo piano d’azione della Commissione, COM(2010) 171 def., nonché il libro verde «Meno adempimenti amministrativi per i cittadini», COM(2010) 747 def.; nel 2017, la risoluzione del Parlamento europeo sugli aspetti transfrontalieri delle adozioni).

Fino a questo momento, tuttavia, la materia della filiazione, quale aspetto rientrante nell’ambito dello stato civile che rimane di competenza degli Stati membri con il limite del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento europeo (v. Corte di giustizia, causa C-267/06, Tadao Maruko; causa C-391/09, Vardyn; causa C-541/15, Freitag), è stata esclusa dai rispettivi campi di applicazione degli strumenti di cooperazione giudiziaria adottati nel settore del diritto di famiglia transnazionale sulla base giuridica dell’art. 81, par. 3, TFUE. Sotto altro aspetto, invece, il regolamento (UE) 2016/1191 ha previsto una semplificazione delle formalità amministrative per la circolazione, tra gli Stati membri dell’Unione, di alcuni documenti pubblici e relative copie autentiche, tra cui sono compresi quelli concernenti la nascita, la filiazione e l’adozione, fondandosi sulla diversa base giuridica dell’art. 21, par. 2, TFUE e intervenendo limitatamente al profilo dell’autenticità degli stessi, non degli effetti delle situazioni giuridiche in essi attestati (v. art. 2, par. 4, del regolamento 2016/1191; sull’ambito di applicazione di tale strumento, cfr. Vettorel; Danieli et al.).

La nuova proposta di regolamento intende integrare la legislazione dell’Unione attualmente esistente introducendo, in forza del già citato art. 81, par. 3, TFUE, una normativa internazionalprivatistica a carattere completo, che stabilisca norme comuni sulla competenza e legge applicabile per l’accertamento, in uno Stato membro, della filiazione in situazioni transfrontaliere, e sul riconoscimento e/o accettazione, tra Stati membri, delle decisioni giudiziarie e degli atti pubblici in materia di filiazione, istituendo altresì il certificato europeo di filiazione (così l’art. 1 della proposta, che ne definisce l’oggetto). In questo modo, da un lato, il futuro atto potrebbe affiancarsi ai regolamenti di cooperazione giudiziaria negli ambiti del diritto di famiglia e delle successioni con disposizioni che disciplinano la filiazione quale questione preliminare rispetto a tali materie (v. considerando 29 della proposta) e, dall’altro lato, permetterebbe la circolazione degli atti pubblici relativi alla filiazione anche per quanto riguarda il riconoscimento dei relativi effetti, senza pregiudicare il regolamento sui documenti pubblici sopra citato il quale continuerebbe ad applicarsi per i soli aspetti da esso governati (v. art. 2, par. 2 della proposta e considerando 15, che fa in particolare riferimento alle presentazione di copie autentiche e il ricorso, da parte delle autorità degli Stati membri, al sistema di informazione del mercato interno – IMI).

A livello giurisprudenziale, la questione del riconoscimento del rapporto di filiazione (legalmente) accertato in uno Stato membro UE è già stata affrontata dalla Corte di giustizia nel noto caso V.M.A. (causa C-490/20, conosciuta anche come Pancharevo), nella prospettiva tuttavia dell’esercizio dei diritti conferiti dalla cittadinanza europea, in particolare quello di libera circolazione e soggiorno all’interno dell’Unione (per un’analisi più approfondita della decisione, v. Baruffi 2022; Feraci 2022b; Grassi 2022; Maoli 2022; Tryfonidou).

In questo ambito, la Corte si è peraltro mossa nel solco di una precedente giurisprudenza elaborata con riferimento alle conseguenze, derivanti dalla cittadinanza dell’Unione, sulla circolazione degli status personali e familiari, attraverso cui è stata progressivamente garantita effettività alle posizioni giuridiche nascenti dagli artt. 20-21 TFUE e dalla direttiva 2004/38/CE (limitando il richiamo ad alcune tra le pronunce più recenti e rilevanti per il tema in esame, cfr. Corte di giustizia, causa C-673/16, Coman; causa C-129/18, SM).

Nel caso V.M.A., però, la Corte è stata per la prima volta chiamata a pronunciarsi su una fattispecie concernente lo status filiationis di una minore, nata in Spagna da una coppia omogenitoriale (una cittadina britannica e una cittadina bulgara) mediante fecondazione eterologa consentita secondo la legislazione nazionale. L’atto di nascita della minore, formato dalle autorità spagnole attestando la maternità di entrambe le donne, non era stato riconosciuto in Bulgaria al fine di registrare la nascita della minore quale cittadina di quello Stato membro, e al fine di rilasciare un documento di identità, necessario per il successivo esercizio della circolazione e soggiorno nell’Unione.

Argomentando, più precisamente, sulla base dei principi già espressi nella decisione Coman, riguardante la diversa ipotesi di un matrimonio same-sex di cui è stato imposto il riconoscimento, seppur trattandosi di un istituto non previsto nell’ordinamento dello Stato membro del foro, per permettere il rispetto dei diritti discendenti dalla cittadinanza europea (v. amplius Kochenov et al.; Grassi 2019; Rossolillo 2018), il giudice dell’Unione ha ritenuto sussistente l’obbligo, tanto per lo Stato membro di cittadinanza della minore quanto per ogni altro paese UE, di riconoscere il rapporto di filiazione come attestato nell’atto di nascita emesso dalle autorità di uno Stato membro ai (soli) fini di consentire al minore di circolare e soggiornare liberamente, con ciascun genitore, nel territorio europeo ai sensi dall’art. 21, par. 1, TFUE, e di esercitare gli ulteriori diritti connessi. L’obbligo così affermato in forza della sentenza V.M.A. (definito in dottrina come «funzionalmente orientato»: Feraci 2022b, cit., p. 571; analogamente Meeusen) non impone, invece, agli Stati membri, il riconoscimento dello status familiare a fini diversi dall’esercizio del diritto di circolazione e soggiorno (quali, ad esempio, con specifico riferimento ad un minore, le questioni riguardanti l’affidamento, o, più in generale, le questioni relative ad obbligazioni alimentari, successioni, sicurezza e previdenza sociale), né, tantomeno, richiede alcuna modifica della normativa nazionale in materia di diritto di famiglia e di stato civile.

Anche rispetto alla giurisprudenza appena richiamata in sintesi, la proposta di regolamento si pone, sotto un primo profilo, in una posizione di non interferenza, chiarita dall’art. 2, par. 1, quanto al godimento dei diritti in materia di libera circolazione e soggiorno conferiti dall’ordinamento UE a soggetti legati da un rapporto di filiazione. Per l’esercizio di tali diritti, infatti, la prova dell’esistenza del rapporto può essere prodotta con qualsiasi mezzo e non è richiesta l’esibizione degli attestati che accompagnano le decisioni giudiziarie o gli atti pubblici in materia (cfr. le intestazioni degli allegati da I a III della proposta), né del certificato europeo di filiazione (cfr. l’intestazione dell’allegato V della proposta), pur essendo comunque possibile in via facoltativa, a scelta del richiedente (così il considerando 14).

Sotto un secondo profilo, si può cogliere l’aspetto diverso su cui la proposta è, invece, in grado di incidere, vale a dire la circolazione «a tutti gli effetti» dello status filiationis all’interno dell’Unione (come evidenziano i considerando 10-11), permettendo così ai figli (e ai genitori) di esercitare pienamente i diritti derivanti dalla filiazione, accertata in uno Stato membro, ai sensi del diritto nazionale.

In questo contesto è infine opportuno un cenno al progetto Parentage/Surrogacy della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato (HCCH), avviato già nel 2010, che ha vissuto una fase di lavori maggiormente intensi a partire dal 2015 con l’istituzione di un Experts’ Group fino alla pubblicazione, a novembre 2022, del «Final Report: The feasibility of one or more private international law instruments on legal parentage», il quale sarà presentato alla riunione del Council on General Affairs and Policy dell’HCCH prevista a marzo 2023. Nel documento finale, sono in particolare confluite le proposte dell’Experts’ Group quanto alle possibili opzioni legislative per la creazione di due distinti strumenti a carattere vincolante: il primo volto ad introdurre una disciplina di diritto internazionale privato in materia di filiazione, in generale, e il secondo (nella forma di un protocollo separato) relativo alla filiazione costituita tramite accordi internazionali di maternità surrogata. Pur se collocato nel diverso contesto della Conferenza dell’Aja, questo progetto condivide con la proposta di regolamento UE le medesime finalità di garantire certezza e continuità ai rapporti di filiazione in situazioni transfrontaliere: sarà quindi interessante seguirne i futuri sviluppi anche in prospettiva “parallela”.

2. Volgendo l’attenzione ai principali contenuti della proposta di regolamento in esame, il suo ambito di applicazione è stabilito all’art. 3 che include la «materia civile della filiazione in situazioni transfrontaliere», come anticipato, ed esclude, invece, una serie di materie che trovano la relativa disciplina in altre fonti del diritto dell’Unione (ad esempio, la responsabilità genitoriale, le obbligazioni alimentari, le successioni) o del diritto internazionale (come l’adozione internazionale, regolata dalla Convenzione dell’Aja del 1993), o, ancora, che rimangono di competenza degli Stati membri (tra cui le questioni inerenti all’esistenza, validità e riconoscimento del matrimonio, la capacità giuridica delle persone fisiche, l’emancipazione, la cittadinanza, l’iscrizione della filiazione nei registri nazionali). Quanto al profilo territoriale, si precisa che il regolamento proposto non riguarda il riconoscimento delle decisioni giudiziarie o degli atti pubblici di accertamento della filiazione emessi in uno Stato terzo, né l’accettazione degli atti pubblici aventi efficacia probatoria della filiazione redatti o registrati in uno Stato terzo (trovando applicazione, in questi casi, il diritto nazionale di ciascuno Stato membro come ricordato dal considerando 32).

Per assicurare uniformità interpretativa alle disposizioni della proposta, come accade di frequente negli atti di diritto derivato, l’art. 4 aggiunge un elenco di definizioni, tra cui appare interessante richiamare quelle specificamente collegate all’oggetto dell’atto, come la nozione di «filiazione» quale rapporto intercorrente per legge tra genitore e figlio, quella di «figlio» inteso come qualunque persona, a prescindere dall’età, di cui debba essere accertata, riconosciuta o provata la filiazione, e quella di «accertamento della filiazione» con cui si fa riferimento alla determinazione per legge del rapporto tra figlio e genitore (compreso il caso di contestazione di una filiazione già accertata). Alla luce di queste norme generali, si evince che, ai fini dell’applicazione della proposta di regolamento, i rapporti tra genitori e figli possono essere di filiazione biologica, genetica, adottiva (legittimante e non legittimante) o per effetto di legge, a condizione che sia accertata in uno Stato membro, e indipendentemente (i) dalle modalità in cui il figlio è stato concepito o è nato (ivi incluse, quindi, le ipotesi di fecondazione assistita e di surrogazione di maternità), (ii) dalla situazione personale del genitore (che può essere un genitore – legale o intenzionale – singolo, oppure in una coppia di fatto, registrata o sposata), (iii) dall’età del figlio (minore o adulto, anche deceduto o non ancora nato) e (iv) dalla cittadinanza del/dei genitore/i e del figlio (cfr., su tutti gli aspetti menzionati, i chiarimenti forniti dai considerando 21, 24 e 26). La filiazione così intesa dal futuro regolamento risulta pertanto definita in termini sostanzialmente «neutri» con riguardo tanto al concepimento del figlio quanto al modello di famiglia da cui egli proviene, in forza della scelta politica compiuta dalla Commissione (cfr. relazione alla proposta, p. 3). Ciò si discosta chiaramente da quanto verificatosi in altri strumenti di cooperazione giudiziaria civile in materia familiare – in particolare il regolamento (UE) 2019/1111 e il regolamento (UE) 1259/2010 – che, non disciplinando le nozioni di «matrimonio» e di «coniuge», hanno dato luogo ad incertezze interpretative oscillanti tra l’individuazione di una definizione autonoma e il rinvio ai corrispondenti istituti delineati dagli ordinamenti interni degli Stati membri, con conseguente applicabilità variabile delle fonti di diritto dell’Unione (in argomento si veda, più ampiamente, Pesce).

Per quanto riguarda i profili propriamente internazionalprivatistici, in punto di competenza sull’accertamento della filiazione a carattere transfrontaliero la proposta contiene, innanzitutto, una serie di titoli generali di giurisdizione, tra loro alternativi e ispirati al comune principio di prossimità tra l’autorità giurisdizionale e il figlio di cui si tratta, che fanno riferimento allo Stato membro di residenza abituale o di cittadinanza del figlio o dei genitori, nonché di residenza abituale del convenuto o di nascita del figlio (art. 6). Seguono ulteriori criteri che vengono in rilievo laddove non siano applicabili quelli generali, i quali risultano variamente tratti dalle disposizioni di altri strumenti di cooperazione giudiziaria in materia di famiglia: la competenza fondata sulla presenza del figlio (art. 7), che può venire in gioco in particolare per i cittadini di paesi terzi, la competenza residua determinata dal diritto nazionale (art. 8), entrambe già presenti nella disciplina della responsabilità genitoriale del regolamento 2019/1111, e, infine, il forum necessitatis (art. 9). Quest’ultimo titolo sarebbe chiamato a operare nel caso in cui sia impossibile la trattazione di un procedimento in uno Stato terzo con cui la controversia sulla filiazione sia strettamente connessa. È, inoltre, significativo notare come la proposta di regolamento si conformi all’acquis del regolamento 2019/1111 riaffermando, in relazione all’accertamento della filiazione, il diritto del figlio, minore di diciotto anni e capace di discernimento, di esprimere la propria opinione e il corrispondente obbligo dell’autorità giurisdizionale competente di tenere tale posizione in debito conto (art. 15).

Rispetto alla legge applicabile, l’art. 17 della proposta valorizza, in via principale, il criterio di collegamento della residenza abituale di colei che partorisce, da stabilire al momento della nascita, che dovrebbe permettere l’individuazione del diritto sostanziale rilevante nella maggior parte dei casi, anche laddove si tratti della filiazione di un soggetto la cui residenza abituale potrebbe risultare difficile da determinare (ad esempio un neonato: cfr. considerando 51). Solo qualora non sia possibile stabilire la residenza abituale della madre, è previsto il ricorso alla legge dello Stato di nascita del figlio. In via ulteriormente eccezionale, laddove la legge così individuata conduca all’accertamento della filiazione nei confronti di un solo genitore, il par. 2 dell’art. 17 introduce due norme di conflitto sussidiarie (ossia, la legge dello Stato di cittadinanza di uno dei genitori e la legge dello Stato di nascita del figlio) al fine di accertare il rapporto di filiazione anche con riferimento al secondo genitore (ipotesi che può avere particolare rilevanza con riferimento al genitore non genetico in una coppia same-sex). Quanto all’eventuale modifica della legge applicabile quale conseguenza di mutamenti incidenti sui criteri di collegamento, si precisa che essa non è tale da inficiare la filiazione già accertata in uno Stato membro sulla base del (futuro) regolamento (cfr. art. 19). L’ambito della legge applicabile è invece chiarito dall’art. 18 della proposta come comprendente non solo le procedure di accertamento o contestazione della filiazione, la relativa legittimazione ad agire e i termini, ma anche «gli effetti giuridici vincolanti e/o l’efficacia probatoria degli atti pubblici» in materia, al fine di facilitarne il riconoscimento e/o l’accettazione.

Anche in questo contesto, sono poi riproposte norme di tenore simile a quelle precedentemente adottate in altri regolamenti nel settore della cooperazione giudiziaria civile per quanto riguarda, ad esempio, il carattere universale della legge designata come applicabile (art. 16), l’esclusione del rinvio (art. 21) e la possibilità di invocare l’eccezione di ordine pubblico per giustificare la disapplicazione di determinate disposizioni della legge straniera, sempre nel rispetto dei diritti e principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 22). A differenza delle scelte frequentemente operate negli strumenti adottati sulla base giuridica dell’art. 81 TFUE, si può tuttavia rilevare come non risulti perseguita, in via prioritaria, la tendenziale ricerca della coincidenza tra forum e ius. Il regime delineato dalla proposta è infatti strutturato, per quanto riguarda la legge applicabile, sul criterio di collegamento principale della residenza abituale di colei che partorisce e che, almeno nelle situazioni più tipiche, dovrebbe essere lo Stato di nascita, il quale, declinato in materia di giurisdizione, è invece solo uno dei titoli alternativi che concorre con gli altri elencati all’art. 6 al fine di agevolare l’accesso alla giustizia in uno Stato membro.

La questione del riconoscimento del rapporto di filiazione, che costituisce l’aspetto forse più rilevante dell’operatività concreta della proposta di regolamento, è disciplinata distinguendo tre regimi applicabili, rispettivamente, alle decisioni giudiziarie, agli atti pubblici produttivi di effetti giuridici vincolanti e agli atti pubblici privi di efficacia vincolante. In via preliminare, è utile richiamare la nozione autonoma di «atto pubblico» di cui all’art. 4 della proposta, che individua un documento redatto o registrato come tale in uno Stato membro e la cui autenticità riguardi la firma e il contenuto dell’atto e sia attestata da un’autorità pubblica, o altra autorizzata dallo Stato membro di origine. L’eterogeneità di sistemi e legislazioni, esistenti a livello nazionale, in materia di filiazione ha comportato l’individuazione delle suddette categorie di atti pubblici, a seconda che si accerti la filiazione con efficacia vincolante nello Stato membro di origine, come nel caso di un atto notarile di adozione o una decisione amministrativa di accertamento del rapporto a seguito del riconoscimento della paternità (v. considerando 59 della proposta), oppure che si comprovi soltanto la filiazione già accertata, come è il caso di un certificato di nascita o di filiazione, o un estratto dell’atto di nascita del registro dello stato civile, o, ancora, che si comprovino altri fatti, come può accadere per un atto notarile o amministrativo che attesta il consenso della madre o del figlio all’accertamento della filiazione, o il consenso del coniuge al ricorso a tecniche di riproduzione assistita (così il considerando 68). Ciò ha inciso sul diverso trattamento, in sede di riconoscimento, riservato alla sola categoria degli atti pubblici aventi effetti giuridici vincolanti che è stato mutuato, in sostanza, da quello applicabile alle decisioni giudiziarie. Al contrario, per gli atti pubblici aventi solo efficacia probatoria nello Stato membro di origine è previsto il diverso concetto di «accettazione», già introdotto nel regolamento n. 650/2012 in materia successoria e poi riproposto nei due regolamenti (UE) 2016/1103 e 2016/1104 sui regimi patrimoniali tra coniugi e sugli effetti patrimoniali delle unioni registrate (sul punto, cfr. Zanobetti, p. 30).

In sintesi, il riconoscimento, tra Stati membri, delle decisioni giudiziarie e degli atti pubblici che accertano la filiazione con efficacia vincolante (i quali devono essere formati in uno Stato membro che sia competente ai sensi del regolamento, stante la loro equiparazione ai provvedimenti emanati dalle autorità giurisdizionali) è ispirato al principio della fiducia reciproca ed è regolato su base automatica, senza che sia necessario il ricorso a procedure particolari nemmeno per quanto riguarda l’aggiornamento dei registri di stato civile (artt. 24 e 36 della proposta). Anche le ulteriori disposizioni rispecchiano, in larga parte, l’acquis degli strumenti di diritto internazionale privato dell’UE adottati in materia di diritto di famiglia e delle successioni, stabilendo tra l’altro: l’elenco tassativo di motivi di diniego del riconoscimento (adattati alla fattispecie della filiazione: v. artt. 31 e 39) e il relativo procedimento di non riconoscimento (art. 32 ss.); la circolazione facilitata dal rilascio di un attestato, che accompagna la decisione o l’atto pubblico, redatto sul modello uniforme di cui agli allegati I (per le decisioni) e II (per questa tipologia di atti pubblici) alla proposta; i divieti di riesame della competenza dello Stato membro di origine e del merito (artt. 40-41).

Per quanto riguarda la seconda categoria di atti pubblici, l’art. 45 della proposta sancisce che essi conservino, in un altro Stato membro, l’efficacia probatoria conferita nello Stato membro di origine, o comunque producano gli effetti più comparabili, e che la loro accettazione possa essere rifiutata solo per motivi di ordine pubblico, nuovamente da interpretarsi in conformità ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta UE. L’attestato (facoltativo) relativo a questa tipologia di atti pubblici, di cui all’allegato III alla proposta, contiene una serie di indicazioni specifiche volte a determinare quali siano gli effetti probatori che essi spiegano nello Stato membro di origine e a chiarire se essi siano oggetto di contestazione, in tale Stato, con riferimento alla loro autenticità o ai negozi/rapporti giuridici in essi registrati (non potendo, in questi casi, avere efficacia probatoria in altri Stati membri finché tali procedimenti siano pendenti).

Quale motivo comune che può fondare il rifiuto del riconoscimento o, a seconda dei casi, dell’accettazione di decisioni giudiziarie o atti pubblici in materia di filiazione, si pone quindi la manifesta contrarietà all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto, che deve essere modulato sulla base «dell’interesse dei figli» e la cui invocabilità è subordinata alla sussistenza di «circostanze eccezionali» come specifica il considerando 75 della proposta. Quest’ultima previsione ribadisce altresì che il diniego sulla base del motivo in esame non possa condurre ad una violazione della Carta dei diritti fondamentali, il cui richiamo sottende la necessità di tenere conto anche dei corrispondenti diritti garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo come interpretati dalla pertinente giurisprudenza della Corte di Strasburgo (art. 52, par. 3, della Carta UE e relative spiegazioni) che impone un bilanciamento degli interessi in gioco e non un’automatica prevalenza delle esigenze di tutela del figlio minore (nel filone giurisprudenziale della Corte europea in materia di surrogazione di maternità cfr., da ultimo, la sentenza del 6 dicembre 2022 nel caso K.K. e altri c. Danimarca). Ulteriori indicazioni sull’operatività dell’eccezione di ordine pubblico sono rinvenibili nella relazione alla proposta (pp. 16-17), che pone in correlazione il riferimento all’interesse dei figli con le finalità di protezione dei loro diritti, ivi compresa la salvaguardia di «legami familiari autentici» con i genitori, e chiarisce come il ricorso a tale clausola richieda un accertamento concreto delle specificità di ciascun caso, affinché le eventualità di mancato riconoscimento dello status filiationis siano limitate in ragione di circostanze quali la violazione dei diritti fondamentali «in fase di concepimento, nascita o adozione del figlio oppure di accertamento della filiazione». Dal complesso delle disposizioni appena accennate sembra così emergere la particolare rilevanza, ma non in termini assoluti, attribuita all’interesse dei figli nella ponderazione con altri valori concorrenti che parimenti informano il contenuto dell’eccezione in parola. Inoltre, tale bilanciamento non dovrebbe essere effettuato in virtù di una valutazione generale ed astratta che giunga a negare il riconoscimento, ad esempio, nelle ipotesi in cui si tratti di genitorialità di coppie dello stesso sesso, risultando ciò in contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’art. 21 della Carta UE.

3. Una menzione separata è dedicata al certificato europeo di filiazione, che rappresenta un modello standard uniforme a carattere transfrontaliero i cui contenuti riflettono l’armonizzazione di tutte le questioni internazionalprivatistiche, appena richiamate, che la proposta intende regolare e il cui riferimento normativo è naturalmente fornito dal certificato successorio europeo istituito dal regolamento n. 650/2012 (su cui più ampiamente, tra gli altri, Maoli 2021; Marcoz, in Bariatti et al., pp. 307-325; Wautelet et al., in Bonomi et al., pp. 653-672). Sebbene facoltativo, potendo essere richiesto solo dal figlio o da un suo rappresentante legale, il certificato di cui alla proposta presenta il valore aggiunto di avere il medesimo oggetto ed effetti in tutti gli Stati membri, essendo rilasciato nel paese UE in cui è accertata la filiazione sulla base delle norme sulla competenza previste dal (futuro) regolamento (v. art. 48 e considerando 79, nonché punto 4 dell’allegato V della proposta, che contiene il modello uniforme di certificato europeo) e avendo efficacia probatoria quanto agli elementi accertati in forza della legge applicabile designata dallo stesso (v. art. 53 e considerando 80, nonché punti 6.1.7 e 6.2.7 del citato allegato V).

Rispetto ai certificati nazionali di nascita o di filiazione i cui contenuti ed effetti probatori possono differire a seconda del paese membro di emissione (che pure, come si è visto, possono essere accettati in un altro Stato UE, eventualmente corredati dal relativo attestato, con il solo motivo ostativo della manifesta contrarietà all’ordine pubblico), il certificato europeo permette quindi una circolazione facilitata dello status filiationis all’interno dell’Unione, beneficiando di una procedura di rilascio uniforme e di un modello disponibile in tutte le lingue ufficiali, e, soprattutto, spiegando i suoi effetti ai sensi dell’art. 53 della proposta senza che l’autorità che lo riceve possa richiedere la presentazione di una decisione giudiziaria o di un atto pubblico in luogo del certificato (sarà l’interessato, in caso, a scegliere se produrre tali documenti in sede di domanda di riconoscimento). Come già per il precedente in materia successoria, anche per il certificato di filiazione è prevista la possibilità di rettifica, modifica, sospensione o revoca, nonché di contestazione delle relative decisioni adottate dall’autorità di rilascio (cfr. artt. 55-57).

Si segnala, infine, che la proposta contiene anche norme in materia di comunicazioni digitali tra le persone fisiche e le autorità competenti negli Stati membri, da effettuarsi attraverso gli strumenti istituiti sul portale europeo della giustizia elettronica, le quali possono riguardare, tra l’altro, la domanda e il rilascio del certificato europeo di filiazione, nonché i procedimenti ad esso connessi (art. 58, par. 1, lett. b; più in generale, sull’impatto della digitalizzazione nel settore della cooperazione giudiziaria civile, si rinvia a Tuo).

4. Alla luce di questa breve illustrazione della proposta, possono essere formulate alcune osservazioni, meramente preliminari, in primo luogo riferite all’ampio novero di rapporti di filiazione potenzialmente rientranti nell’ambito di applicazione del futuro regolamento. Se, come detto, si deve trattare di una filiazione accertata in uno Stato membro, sulla base di decisioni giudiziarie o atti pubblici ivi rilasciati, la circolazione di tale status prescinde da ulteriori condizioni legate alle modalità di concepimento o nascita del figlio, alla tipologia di famiglia di provenienza, alla cittadinanza dei genitori e del figlio o al luogo di nascita di quest’ultimo, con la finalità dichiarata di garantire il godimento di uguali diritti. Ciò può rivestire particolare rilevanza per le forme di genitorialità non fondate sul paradigma del matrimonio eterosessuale dei genitori e della filiazione biologica, variamente ammesse e disciplinate negli ordinamenti dei paesi UE, le quali non beneficiano attualmente di un quadro giuridico che permetta, nelle situazioni transfrontaliere, una tutela effettiva di diritti fondamentali quali il diritto all’identità, alla non discriminazione e al rispetto della vita privata e familiare, specie laddove non vi siano legami genetici tra i soggetti coinvolti. In queste fattispecie, il ricorso alla clausola di ordine pubblico, che, come detto, nella proposta è disciplinata come motivo «trasversale» per negare il riconoscimento o l’accettazione di decisioni giudiziarie o atti pubblici, appare limitato in ragione del necessario bilanciamento con le esigenze di protezione dell’interesse dei figli in questione e contestualizzato alla luce delle circostanze concrete del caso di specie.

Traendo spunto dai più recenti sviluppi della giurisprudenza italiana quanto al riconoscimento giuridico del legame di fatto instauratosi tra il figlio nato da maternità surrogata all’estero e il genitore intenzionale, partner dello stesso sesso del genitore biologico (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 30 dicembre 2022, n. 38162), si potrebbe ad esempio immaginare che il regime del riconoscimento automatico, di cui all’art. 24 ss. della proposta come attualmente previsto, possa rilevare ai fini della circolazione in un altro Stato membro UE del rapporto genitoriale accertato, in un caso come quello ad oggetto di tale pronuncia, in forza di una sentenza del competente Tribunale per i minorenni che disponga l’adozione del minore ai sensi dell’art. 44, c. 1, lett. d, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (trattandosi di una filiazione stabilita tramite adozione nazionale cui si applicano le disposizioni in materia di riconoscimento del futuro regolamento: cfr. considerando 25 della proposta). Rimanendo fermo il divieto di surrogazione di maternità nell’ordinamento italiano come principio di ordine pubblico, la Corte di Cassazione ha infatti ribadito, da un lato, l’esclusione di qualunque automatismo dato dal riconoscimento del provvedimento giudiziario straniero e dalla trascrizione dell’atto di nascita che indichino il padre intenzionale come genitore del minore nato mediante la suddetta tecnica procreativa e, dall’altro lato, l’idoneità dell’adozione in casi particolari a dare continuità al rapporto affettivo di tipo familiare creatosi tra l’adottante e il minore, attraverso una valutazione in concreto della realizzazione dell’interesse superiore di quest’ultimo (si ricorda inoltre che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 28 marzo 2022, n. 79, tale istituto fa nascere relazioni di parentela con i familiari dell’adottante, così superando una delle principali carenze di tutela riscontrate dalla stessa Corte nella precedente pronuncia del 9 marzo 2021, n. 33). Quanto all’eventuale diniego del riconoscimento, in un altro Stato membro, dello status così accertato in forza di tale provvedimento, non sembra possibile invocare utilmente la manifesta contrarietà con l’ordine pubblico per il solo motivo che si tratti di filiazione omogenitoriale, laddove essa risulti stabilita nell’interesse del figlio tramite un istituto giuridico idoneo a tal fine, entro il margine di apprezzamento di cui gode ciascun ordinamento nazionale in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Dall’approccio “inclusivo” che la Commissione ha inteso seguire nell’elaborazione della proposta non sembrano invece potersi ricavare indicazioni sulla questione, di non poco conto, della circolazione nell’Unione di un certificato di nascita formato dalle autorità di uno Stato terzo e successivamente riconosciuto in un paese membro (già segnalata, in dottrina, da Feraci 2022b, cit., p. 576; Maoli 2022, cit., p. 565), che potrebbe essere ricollegata all’interpretazione della definizione di «atto pubblico» di cui all’art. 4 della proposta di regolamento. Di tale problematica, peraltro, si era occupato anche l’Expert Group nominato dalla Commissione avanzando l’ipotesi di inserimento, nell’attestato che dovrebbe accompagnare il documento rilasciato dallo Stato membro, di una specificazione concernente il previo riconoscimento, sulla base del proprio diritto internazionale privato, del certificato emesso nello Stato terzo (cfr. minutes of the 6th meeting of the Expert Group, 9 February 2022, par. 3).

Su un piano più generale, emerge comunque il non facile adattamento di talune scelte legislative, sebbene già proprie dell’acquis degli strumenti di cooperazione giudiziaria civile nel settore del diritto di famiglia e delle successioni, rispetto ad una materia come la filiazione che risulta intimamente connessa alle specificità degli ordinamenti giuridici nazionali nella relativa regolamentazione. A questo proposito, si può richiamare la disciplina proposta quanto all’accettazione degli atti pubblici privi di efficacia vincolante, la quale si applica a documenti, rilasciati in uno Stato membro, destinati a circolare con particolare frequenza nelle fattispecie transfrontaliere, potendo comprovare il rapporto di filiazione pur nella diversità degli effetti che producono nel paese di origine (per un recente studio comparato, cfr. Gössl et al.). In questi casi, appare pertanto ancora più rilevante il ricorso al certificato europeo di filiazione, dotato di efficacia probatoria uniforme, al fine di garantire un riconoscimento rapido ed efficace del rapporto accertato in uno Stato membro.

Allo stato attuale, risulta comunque difficile ipotizzare gli sviluppi della proposta di regolamento nel corso della procedura legislativa, che, come è noto, richiede l’unanimità in seno al Consiglio, ai sensi dell’art. 81, par. 3, TFUE. In caso di mancato raggiungimento di tale requisito, potrebbe essere valutata l’opzione di istituire una cooperazione rafforzata, con esiti, tuttavia, che si prefigurano non soddisfacenti quanto al perseguimento del principale obiettivo di impedire trattamenti differenziati e la formazione di situazioni giuridiche c.d. claudicanti in conseguenza della circolazione del rapporto di filiazione tra uno Stato membro e l’altro.

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Diletta Danieli

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