diritto internazionale pubblico

TUTELA DELLA SICUREZZA O VIOLAZIONE DEL DIRITTO DEL MARE?

Irini Papanicolopulu, Università di Milano Bicocca (membro della redazione)

 

Il giorno 14 giugno 2019 il governo italiano ha adottato il “Decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”. Il testo solleva vari problemi, già affrontati da post su questo e su altri blog, ma tra di essi è sicuramente di rilievo la questione della liceità delle misure nei confronti di navi che intendano entrare nel mare territoriale italiano, anche alla luce delle vicende di questi giorni, che coinvolgono la nave Sea Watch 3.

Le disposizioni rilevanti si trovano nei primi due articoli che, per completezza, sono riportati alla fine di questo post. In sostanza, le due norme prevedono il potere per il Ministro degli interni di “limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale” (art. 1) e la sanzione prevista per il comandante che non dovesse rispettare tale divieto (art. 2). La legittimità della misura può essere valutata da vari settori, tra cui il diritto costituzionale, il diritto amministrativo, il diritto dei diritti umani (anche internazionali) e il diritto del mare. Questo breve commento valuterà se tali misure sono compatibili con gli obblighi gravanti sull’Italia in quanto Stato parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (CNUDM) e ad altri trattati relativi al diritto del mare.

La prima questione concerne la possibilità di vietare l’ingresso nel mare territoriale in generale. Le premesse necessarie per rispondere a questa questione sono poche. In base alla CNUDM, ogni Stato ha un mare territoriale, che si estende fino a 12 miglia marine misurate dalle rilevanti linee di base. L’Italia ha un sistema di linee di base diritte e un mare territoriale di 12 miglia marine misurato a partire da queste linee di base. All’interno del suo mare territoriale, lo Stato costiero gode di sovranità (art. 2 CNUDM), limitata però dal diritto di passaggio inoffensivo attribuito alle navi di tutti gli stati (art. 17 CNUDM). Di conseguenza, non si può, in linea generale, impedire il passaggio di navi che esercitano il diritto di passaggio inoffensivo, mentre si può adottare misure necessarie a prevenire il passaggio non-inoffensivo (art. 25 CNUDM).

Occorre tuttavia considerare due aspetti. Primo, cosa si intende per passaggio inoffensivo e in quali casi il passaggio di una nave non è più tale, autorizzando lo Stato costiero ad adottare misure nei confronti della nave. Secondo, in quali casi lo Stato costiero può adottare misure nei confronti di navi che esercitano il diritto di passaggio inoffensivo.

In merito al primo aspetto, occorre esaminare i due termini “passaggio” e “inoffensivo”. Il “passaggio” consiste nella navigazione al fine sia di attraversare semplicemente il mare territoriale, sia di entrare o uscire da un porto dello Stato (art. 18, par. 1 CNUDM). Il passaggio deve essere rapido e continuo, salvo le eccezioni previste nell’ultima parte dell’art. 18, par. 2, CNUDM: attività necessarie per la navigazione ordinaria e, aspetto che più rileva dato il tipo di navi nel mirino dell’esecutivo, situazioni di forza maggiore, pericolo e necessità di prestare assistenza a navi e aeromobili in pericolo. Di conseguenza, l’ingresso, transito e sosta nel mare territoriale al fine di prestare soccorso a chi è in pericolo, oppure l’ingresso di un’imbarcazione in situazione di pericolo essa stessa al fine di trovare riparo in un porto, non autorizza lo Stato costiero ad adottare misure contro questa nave.

Per quel che riguarda il carattere “inoffensivo” del passaggio, questo è tale se non reca pregiudizio alla pace, il buon ordine o la sicurezza dello Stato costiero (art. 19, par. 1 CNUDM). Tra le attività che rendono il passaggio non-inoffensivo rientra “il carico o scarico di qualsiasi … persona in violazione alle norme … in materia di immigrazione … dello Stato costiero (art. 19, par. 2, lett. g). Di conseguenza, se una nave carica o carica persone in violazioni alle norme sull’immigrazione dello Stato costiero, il passaggio non è più inoffensivo e lo Stato costiero può intervenire.

Tuttavia, l’ingresso di una nave che trasporta persone soccorse in mare in adempimento dell’obbligo internazionale di salvare la vita umana in mare non può considerarsi come attività compiuta in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione, a condizione che l’obiettivo della nave sia semplicemente quello di far sbarcare le persone soccorse. Infatti, l’obbligo di salvare la vita umana in mare vincola sia gli stati (ai sensi dell’art. 98, par. 1 CNUDM) sia i comandanti di navi (ai sensi del Capitolo V, reg. 33 SOLAS, nonché di numerose norme nazionali, quali ad esempio l’art. 489 cod. nav.). Tale obbligo richiede al comandante di assistere le persone in pericolo e di condurle in un luogo sicuro. In altri termini, la fattispecie del salvataggio in mare continua fino a quando il comandante non abbia fatto sbarcare le persone in luogo sicuro, e il suo ingresso nel mare territoriale e nei porti di uno Stato non può essere visto sotto luce diversa. Non si può quindi precludere il passaggio inoffensivo ad una nave che ha soccorso persone in pericolo, anche al di fuori del mare territoriale, qualora questa intenda entrare al fine di perfezionare il proprio obbligo di salvare la vita umana in mare.

La seconda questione concerne la possibilità per lo Stato costiero di limitare il godimento del passaggio inoffensivo, stante che il principio generale stabilisce che non si possa ostacolare il passaggio inoffensivo, per esempio “imponendo alle navi straniere condizioni che hanno l’effetto pratico di negare o ostacolare il diritto di passaggio inoffensivo” (art. 24, par. 1 CNUDM). La minaccia di sanzioni amministrative per comportamenti che sono in conformità con la rilevante normativa nazionale ed internazionale, incluso l’obbligo di prestare soccorso, rientrano indubbiamente tra queste misure vietate.

Tuttavia, in alcuni casi lo Stato costiero può sospendere temporaneamente il passaggio inoffensivo in determinate zone del suo mare territoriale (art. 25, par. 3). Questa norma, tuttavia, pone condizioni rigorose per evitare abusi di questa possibilità: la sospensione deve essere temporanea, deve riguardare solo zone specifiche, deve essere essenziale per la protezione della sicurezza dello stato e, soprattutto, non deve essere discriminatoria, “de jure” o “de facto”. In altri termini, la sospensione deve riguardare solo una certa area (presumibilmente ristretta) del mare territoriale e deve essere applicabile a tutte le navi. Sospensioni del diritto di passaggio inoffensivo che si applichino in tutto il mare territoriale di uno Stato o solo a determinate navi, identificate come gruppo (navi di ONG che prestano soccorso) o, peggio ancora, singolarmente (come implicano le notifiche previste dall’art. 2 del decreto) costituiscono chiara violazione dell’art. 25, par. 3, nonché abuso di diritto, di per sé vietato dall’art. 300 CNUDM.

Nel concludere queste brevi osservazioni, è opportuno sottolineare come le norme esposte finora non siano isolate, ma vadano lette alla luce di tutte le altre norme rilevanti di diritto del mare e del diritto internazionale, tra cui quelle sull’obbligo di prestare soccorso, sull’obbligo di collaborare a tal fine, sull’obbligo di tutelare i diritti umani e sull’obbligo di garantire i diritti dei rifugiati. Tale lettura sistemica è dettata dalla CNUDM stessa, dal diritto internazionale, e perfino dal decreto, che fa riferimento alla normativa internazionale. Finanche la sospensione del diritto di passaggio inoffensivo conforme ai requisiti dell’art. 25, par. 3 CNUDM potrebbe così essere illecita se venisse a violare, per esempio, i diritti umani.

L’analisi che precede è squisitamente tecnica, rilevando semplicemente le difformità tra decreto e diritto internazionale del mare. In ogni caso, la liceità delle misure disposte negli artt. 1 e 2 del decreto dipenderà molto dalla loro applicazione. Un’applicazione che tenga in debito conto gli obblighi appena menzionati, e che quindi non intralci le attività di soccorso operate da privati che cercano di supplire il vuoto lasciato dagli Stati, pur sollevando alcuni dubbi, potrebbe rivelarsi conforme agli obblighi assunti dall’Italia. Tuttavia, le prime applicazioni di tali disposizioni sembrano segnalare la volontà dell’esecutivo di accantonare una serie di obblighi giuridici dell’Italia, e di farlo nel modo peggiore, vale a dire prendendo di mira una sola categoria di imbarcazioni, che per di più non compiono attività illecite. Paradossalmente, in base alla prima prassi attuativa, possono entrare nel mare territoriale italiano navi dedite nel traffico di esseri umani, di stupefacenti, di armi, navi che utilizzano lavoro forzato a bordo, navi che inquinano l’ambiente marino, ma non navi che prestano soccorso a chi in pericolo. Invece di proteggere lo Stato da attività veramente illecite, ci si accanisce contro chi salva vite umane.

In chiusura, occorre poi ribadire come, nonostante i tentativi dell’esecutivo di venir meno ai propri obblighi internazionali, il diritto internazionale ed il diritto del mare contengano una soluzione per i casi estremi. Si tratta della possibilità per qualsiasi nave che si trovi in una situazione di pericolo di entrare nei porti di qualsiasi Stato, a prescindere dal permesso dato da quest’ultimo. Come l’illustre giurista Vattel scrisse 250 anni fa:

«Il n’en est pas de même de cas de nécessité, comme, par exemple, quand un vaisseau est obligé d’entrer dans une rade qui vous appartient, pour se mettre à couvert de la tempête. En ce cas, le droit d’entrer par-tout, en n’y causant point de dommage, ou en le réparant, est, comme nous le ferons voir plus au long, un reste de la communauté primitive, dont aucun homme n’a pu se dépouiller ; & le vaisseau entrera légitimement malgré vous, si vous le refusez injustement».

Se uno Stato rifiuta ingiustamente l’ingresso di una nave in situazioni di pericolo, questa può legittimamente entrare nel mare territoriale e nei porti dello Stato al fine di trovare rifugio, malgrado dimostrazioni muscolose dello Stato costiero. E se lo Stato costiero adotta sanzioni contro questa nave, tali sanzioni saranno illecite sul piano internazionale e comporteranno l’obbligo di risarcire qualsiasi danno da esse causato.

Il testo dei due primi articoli del decreto e il seguente:

L’art. 1 prevede che:

«All’articolo 11 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente: «1-ter. Il Ministro dell’interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento di cui al comma 1-bis e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 2, lettera g), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689. Il provvedimento è adottato di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il Presidente del Consiglio dei ministri.».

In base all’art. 2:

«All’articolo 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 6 e’ inserito il seguente: «6-bis. Salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, il comandante della nave è tenuto ad osservare la normativa internazionale e i divieti e le limitazioni eventualmente disposti ai sensi dell’articolo 11, comma 1-ter. In caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, notificato al comandante e, ove possibile, all’armatore e al proprietario della nave, si applica a ciascuno di essi, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000. In caso di reiterazione commessa con l’utilizzo della medesima nave, si applica altresì la sanzione accessoria della confisca della nave, procedendo immediatamente a sequestro cautelare. All’irrogazione delle sanzioni, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente. Si osservano le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, ad eccezione dei commi quarto, quinto e sesto dell’articolo 8-bis.»

 

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