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IL REGOLAMENTO (UE) 2019/1896 RELATIVO ALLA RIFORMA DI FRONTEX E DELLA GUARDIA DI FRONTIERA E COSTIERA EUROPEA: DA “FIRE BRIGADE” AD AMMINISTRAZIONE EUROPEA INTEGRATA?

Daniela Vitiello, Università della Tuscia

Emilio De Capitani, Queen Mary University

1. Lo scorso 4 dicembre è entrato in vigore il regolamento (UE) 2019/1896 del 13 novembre 2019, relativo alla guardia di frontiera e costiera europea. Il nuovo statuto dell’Agenzia della guardia di frontiera e costiera europea (Frontex) è frutto di un iter legislativo “lampo”, che prende le mosse dalla proposta della Commissione del 12 settembre 2018, elaborata a partire dalle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno 2018 (su cui v. Di Filippo, in questo blog). In quelle conclusioni si auspicava, tra l’altro, il rafforzamento del mandato e delle risorse dell’Agenzia, inteso ad assicurare un controllo efficace delle frontiere esterne e l’effettivo rimpatrio dei migranti irregolari, anche per mezzo dell’intensificazione della cooperazione con i paesi terzi (ivi, punto 10).

A tal fine, il nuovo regolamento abroga il regolamento (UE) 2016/1624, anch’esso adottato con inconsueta rapidità, che trasformava l’Agenzia europea per la cooperazione operativa alle frontiere esterne nell’Agenzia della guardia di frontiera e costiera europea, in risposta alla c.d. “crisi dei rifugiati” (Stato dell’Unione 2015). Come sottolineato da buona parte della dottrina (v. tra gli altri Carrera e den Hertog, De Bruyker, Ferraro e De Capitani, Peers, Rjipma), la riforma del 2016 andava poco oltre la mera metamorfosi “nominale” dell’Agenzia. Il regolamento 2019/1896, invece, attribuisce nuovi compiti e più incisivi poteri all’Agenzia, portando a compimento l’antica idea di un corpo permanente di guardie di frontiera, dotato di poteri esecutivi e in grado di soddisfare il fabbisogno operativo del dispositivo di sicurezza delle frontiere europee.

Oltre al corpo permanente, possono essere individuate almeno altre tre componenti fondamentali della riforma. In primo luogo, il consolidamento di un ambiente comune di condivisione delle informazioni,il cui corretto funzionamento è assicurato dall’Agenzia Frontex, che assume formalmente la funzione di ente gestore del Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (EUROSUR), del Sistema europeo di contrasto alla frode documentale (FADO) e dell’Unità centrale del Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS). Come puntualmente osservato dal Garante europeo della protezione dei dati, in questo modo l’Agenzia si qualifica quale hub centrale per il trattamento di una mole impressionante di dati personali (che include anche i dati personali operativi).

In secondo luogo, si assiste all’ulteriore valorizzazione della cooperazione inter-agenzia nella gestione integrata delle frontiere esterne dell’Unione, che riguarda in particolare i rapporti tra Frontex e l’Ufficio europeo per l’asilo, volti a favorire il rimpatrio dei richiedenti asilo denegati, con l’Agenzia europea dei diritti fondamentali, «per garantire l’applicazione continua e uniforme dell’acquis dell’Unione in materia di diritti umani» (art. 10, par. 1, lett. s)), con l’Agenzia europea di controllo della pesca e l’Agenzia europea per la sicurezza marittima, nell’ambito del supporto alle attività della guardia costiera (ora esteso alle attività di ricerca e il soccorso in mare), e infine, con Europol e Eurojust, in ordine alle attività di supporto alle autorità di contrasto.

In terzo luogo, si gettano le basi per un ipertrofico sviluppo della dimensione esterna della gestione integrata delle frontiere europee, che si rivolge, ma non si limita, ai Paesi terzi vicini (cons. 91) e assurge ad anello di congiunzione “operativo” tra le politiche di rimpatrio e di riammissione dell’Unione europea (Vitiello, p. 139 ss.).

Queste modifiche si accompagnano a un’espansione funzionale degli altri compiti di regolazione e monitoraggio introdotti dal regolamento del 2016, con il quale il nuovo regolamento condivide la base giuridica (artt. 77, par. 2, lett. b) e d), 79, par. 2, lett. c), TFUE), la definizione di «gestione integrata»(art. 3 reg. 2019, art. 4 reg. 2016) e l’affermazione del principio della condivisione delle responsabilità(art. 7 reg. 2019, art. 5 reg. 2016).

A tale espansione fa, nondimeno, da contraltare una profonda rimodulazione dei rapporti tra i diversi livelli di governo delle frontiere esterne dell’Unione europea, che incide sull’accountability complessiva del sistema europeo di gestione delle frontiere esterne e contribuisce – seppur parzialmente e con modalità ancora largamente perfettibili (Fernandez-Rojo, Gkliati) – a disancorare la tutela dei diritti fondamentali dalla tradizionale subordinazione all’eccezione della sicurezza interna, che ha caratterizzato la politica europea di gestione integrata delle frontiere esterne durante tutto il suo iter di sviluppo (Spagnolo). Non potendo, in questa sede, procedere a un’analisi di tutte le importanti modifiche introdotte dal regolamento del 2019, l’attenzione si concentra sui due cardini della riforma: l’esercizio di poteri esecutivi da parte del corpo permanente e la rimodulazione dei rapporti tra i livelli di governo delle frontiere esterne dell’Unione.

 

2. Ai sensi dell’art. 5 del regolamento 2019/1896, l’Agenzia comprende il corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea, che si compone di guardie di frontiera, scorte per i rimpatri, esperti in materia di rimpatrio e altro personale competente con poteri esecutivi.

Secondo l’allegato I, la capacità massima di questo corpo è di 10.000 unità che, se comparata ai 1.500 membri della riserva di reazione rapida prevista dal regolamento del 2016 e, ancor di più, ai 170 funzionari di Frontex alla data della sua istituzione nel 2004, dà la misura di una struttura operativa assolutamente fuori scala rispetto al mandato originario, quando i compiti operativi di Frontex erano assimilabili a quelli di una “fire brigade”, con funzioni di sostegno di emergenza.

L’art. 54 dettaglia le quattro categorie di personale operativo di cui si compone il corpo permanente: alla categoria 1 appartiene il personale statutario dell’Agenzia, impiegato all’interno di squadre da dispiegare nelle aree operative (art. 55), oltre al personale responsabile del funzionamento dell’unità centrale ETIAS; la seconda categoria include il personale distaccato a lungo termine presso l’Agenzia dagli Stati membri (art. 56); alla terza categoria fa capo il personale degli Stati membri pronto per essere messo a disposizione dell’Agenzia per impieghi di breve durata (art. 57); alla quarta categoria, infine, appartiene la riserva di reazione rapida che, ai sensi dell’art. 58, è composta da personale degli Stati membri pronto per essere impiegato negli interventi rapidi.

In base al par. 7 dell’art. 55, il personale statutario di Frontex, impiegato nelle squadre, è abilitato a svolgere compiti per i quali sono necessari poteri esecutivi, alle condizioni previste dall’art. 82, che richiede la previa autorizzazione dello Stato membro ospitante e il rispetto del piano operativo, oltre che (naturalmente) del diritto dell’Unione, nazionale e internazionale applicabile. Tra i compiti che richiedono l’esercizio di poteri esecutivi da parte del personale statutario di Frontex rientrano: la verifica dell’identità delle persone, compresa la consultazione delle pertinenti banche dati; l’autorizzazione all’ingresso, ovvero il respingimento alla frontiera, alle condizioni previste dal codice frontiere Schengen; l’apposizione di timbri sui documenti di viaggio; il rilascio o il rifiuto del visto alla frontiera, in base al codice visti; il pattugliamento dei valichi di frontiera, compresi l’intercettazione e il fermo delle persone entrate senza autorizzazione; la registrazione delle impronte digitali dei richiedenti asilo nella banca dati Eurodac; l’acquisizione dei documenti di viaggio dei rimpatriandi dai Paesi terzi e la scorta di coloro ai quali si applicano le procedure di rimpatrio forzato.

Il par. 8 dell’art. 82, aggiunge che i membri delle squadre, compreso il personale statutario di Frontex, possono essere autorizzati dallo Stato membro ospitante all’uso della forza, «inclusi il porto e l’uso delle armi di ordinanza, delle munizioni e dell’equipaggiamento», nel rispetto della legislazione nazionale di tale Stato membro e alla presenza delle sue guardie di frontiera (v. anche allegato V). Si richiede altresì la previa acquisizione del consenso dello Stato membro di appartenenza dei membri delle squadre, per le categorie 2, 3 e 4 del corpo permanente, e dell’Agenzia, per la categoria 1. A queste condizioni, peraltro, lo Stato membro ospitante può autorizzare i membri delle squadre a usare la forza sul suo territorio in assenza delle proprie guardie di frontiera, come pure «vietare il porto di determinate armi di ordinanza, munizioni ed equipaggiamento, a condizione che la sua normativa applichi il medesimo divieto alle proprie guardie di frontiera o al personale quando impegnato in compiti attinenti ai rimpatri» (ibid.).

L’esercizio di poteri esecutivi da parte del corpo permanente dipende, dunque, in prima battuta dal potere dello Stato membro ospitante di autorizzare le guardie di frontiera di altri Stati membri e il personale statutario di un’agenzia dell’Unione a svolgere compiti di enforcement diretto sul proprio territorio, che deve essere esercitato conformemente alla riserva relativa all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna, ai sensi dell’art. 72 TFUE (sentenza della Corte di giustizia Melki e Abdeli, punto 64).

Ciò impone, necessariamente, il rispetto dei principi ordinatori dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione, in primis dei principi di solidarietà e leale cooperazione (conclusioni dell’Avvocato generale Sharpston in Commissione c. Polonia, Ungheria e Repubblica ceca, punti 212 e 238 ss., su cui v. Ferri, in questo blog). In questi termini si spiega (tra l’altro) l’obbligo di parità di trattamento delle guardie di frontiera nazionali e di quelle del corpo permanente posto in capo allo Stato membro che autorizzi queste ultime all’uso della forza sul proprio territorio. D’altro canto, il rispetto della responsabilità statale in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e salvaguardia della sicurezza interna è garantito dalla previsione che non siano trasferiti al corpo permanente poteri finali, come quello relativo all’adozione delle decisioni di rimpatrio e trattenimento dei rimpatriandi, che resta di competenza esclusiva degli Stati membri (artt. 7, par. 2, 10, par. 1, lett. n, 48 e 50, reg. 2019).

 

3. Ai sensi dell’art. 7 del regolamento 2019/1896, «[l]a guardia di frontiera e costiera europea attua la gestione europea integrata delle frontiere come responsabilità condivisa tra l’Agenzia e le autorità nazionali preposte alla gestione delle frontiere». Tale previsione, come pure quella secondo la quale gli Stati conservano la responsabilità primaria nella gestione delle proprie frontiere esterne, era già stata introdotta dal regolamento del 2016. Il nuovo regolamento aggiunge che l’Agenzia «rende conto di qualsiasi decisione da essa adottata» (ivi, par. 4) e «risponde del proprio operato al Parlamento europeo e al Consiglio» (art. 6, già art. 7 reg. 2016), oltre ad essere assoggettabile alle indagini amministrative svolte dal Mediatore europeo (art. 119) e alla giurisdizione della Corte di giustizia (art. 98).

Inoltre, viene valorizzato il dovere di leale cooperazione tra gli Stati membri e l’Agenzia, contribuendo alla configurazione delle frontiere esterne come un bene giuridico amministrato solidalmente (art. 7, par. 3). Ciò non comporta la negazione delle prerogative statali in relazione alla partecipazione alle attività operative territoriali ed extraterritoriali dell’Agenzia. Sono fatte salve, in particolare, la facoltà degli Stati membri di invocare l’eccezionalità della situazione interna per non contribuire, o contribuire parzialmente, in termini di personale, alle operazioni congiunte sul territorio di altri Stati membri (artt. 51, par. 3, 57, par. 9), come pure quella di non partecipare alle attività operative dispiegate da Frontex nel territorio dei Paesi terzi (art. 74, par. 5). Tuttavia, l’esercizio delle prerogative statali è meticolosamente regolato, in modo da rendere verificabile il rispetto dell’obbligo di leale cooperazione.

In coerenza con i due punti precedenti viene istituito un ciclo politico strategico pluriennale per la gestione europea integrata delle frontiere, il cui punto di partenza sono le istituzioni europee (cfr. il punto 3 della roadmap per l’attuazione del nuovo regolamento). Nel regolamento del 2016, invece, si evocava soltanto una strategia tecnico-operativa, adottata dal consiglio di amministrazione di Frontex, alla quale gli Stati membri avrebbero dovuto “allineare” (si badi: non “conformare”) le rispettive strategie nazionali. Benché tale blanda formulazione scongiurasse l’ipotesi dell’esercizio da parte dell’Agenzia di un potere decisionale di tipo politico, in potenziale contrasto con la giurisprudenza di Lussemburgo sui limiti all’empowerment delle agenzie (sentenze della Corte di giustizia: Short-selling, punto 67, ed Europol, punti 43 ss.), essa appariva lacunosa nella misura in cui non chiariva il ruolo delle istituzioni europee. L’art. 8 del nuovo regolamento colma questa lacuna, prevedendo l’adozione di una strategia politica pluriennale da parte della Commissione.

Inoltre, dal combinato disposto degli artt. 6 e 112 può dedursi che l’attuazione di tale strategia da parte dell’Agenzia possa essere sottoposta alla lente del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, nell’ambito delle funzioni di controllo da essi esercitate ex art. 9 del protocollo 1, allegato al Trattato di Lisbona. Infatti, l’art. 112, par. 2, prevede che, su invito del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, il direttore esecutivo e il presidente del consiglio di amministrazione di Frontex partecipino alla cooperazione interparlamentare, essendo chiamati a rispondere dell’operato dell’Agenzia. L’interazione fra il livello sovranazionale e quello nazionale è, infine, inquadrata dalle disposizioni sulla pianificazione integrata, volte ad assicurare un livello di efficienza comparabile in tutte le sezioni di frontiera (art. 9), nonché dagli artt. 11 e 12, che qualificano lo scambio tempestivo e completo di informazioni tra gli Stati membri e l’Agenzia come espressione del dovere di cooperazione leale.

La razionalizzazione dei rapporti tra i diversi livelli di governo delle frontiere esterne dell’Unione europea si riflette sulla disciplina del meccanismo di monitoraggio della vulnerabilità e prevenzione delle crisi, contenuta agli artt. da 32 a 42 del nuovo regolamento.

La valutazione della vulnerabilità si basa sull’attività di monitoraggio svolta dai funzionari di collegamento di Frontex distaccati negli Stati membri (art. 31, par. 3, lett. c)) e sul potere di raccomandazione del direttore esecutivo dell’Agenzia, ai sensi dei parr. 7 e 9 dell’art. 32. Il mancato rispetto della raccomandazione del direttore è precondizione per l’esercizio di un potere decisionale da parte del consiglio di amministrazione di Frontex, che consiste nell’indicazione allo Stato membro interessato delle misure da adottare e dei termini per l’adozione delle stesse e – in caso di inadempimento – fa sorgere l’obbligo di informare il Consiglio e la Commissione (par. 10).

Nelle situazioni in cui l’inefficacia dei controlli alle frontiere esterne sia tale da compromettere il funzionamento dello spazio Schengen, il Consiglio potrà poi attivare la procedura di cui all’art. 42. Quest’ultima era già prevista dal regolamento del 2016 e si basa sul potere del Consiglio di adottare un atto di esecuzione che consente a Frontex di predisporre un piano operativo, da concordare con lo Stato membro interessato, per rimuovere le cause dell’inefficacia dei controlli. Solo nel caso in cui lo Stato membro in questione non rispetti l’obbligo di cooperare con l’Agenzia, nei termini indicati dalla decisione del Consiglio, la Commissione potrà attivare la procedura prevista dall’art. 29 del codice frontiere Schengen, che permette al Consiglio di raccomandare a uno o più Stati membri il ripristino dei controlli alle proprie frontiere interne.

Questa soluzione, che è configurata «come extrema ratio e come misura volta a proteggere gli interessi comuni nello spazio senza controllo alle frontiere interne» (art. 29, par. 2), può essere altresì attivata qualora la Commissione constati la persistenza di gravi carenze nei controlli alle frontiere esterne, legate alla circostanza che uno Stato membro trascuri i suoi obblighi in spregio alle misure specifiche indicate dalla Commissione per rimuovere la conseguente minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna nello spazio Schengen (art. 21, codice frontiere Schengen).

Né il regolamento di Frontex del 2016, né il codice frontiere Schengen, hanno previsto, tuttavia, una procedura specifica per l’attivazione del meccanismo di prevenzione delle crisi nel caso in cui l’inefficacia dei controlli in una sezione della frontiera esterna non dipenda da fattori strutturali, bensì da motivi contingenti, come un afflusso massiccio di cittadini di paesi terzi. Il nuovo regolamento rimedia a questa lacuna, attraverso l’assegnazione di specifici livelli di impatto alle sezioni di frontiera esterna (art. 34) e una reazione corrispondente ai livelli d’impatto (art. 35). In questo modo vengono messe a sistema e completate le frammentarie disposizioni in precedenza contenute nel capo III del regolamento Eurosur, anch’esso abrogato con la riconduzione della relativa disciplina all’interno del nuovo statuto di Frontex.

In particolare, ai sensi dell’art. 35, par. 1, lett. d), del regolamento 2019/1896, l’assegnazione temporanea di un livello di impatto “critico” a una sezione della frontiera esterna di uno Stato membro, adottata sulla base della valutazione della vulnerabilità e di comune accordo tra Frontex e tale Stato, obbliga l’Agenzia a notificare la situazione alla Commissione e, contestualmente, a raccomandare allo Stato membro di richiedere l’avvio di un’operazione congiunta o di qualsiasi altra operazione prevista dall’art. 36 (art. 41, par. 1). Nel caso di mancata attivazione da parte dello Stato membro ai fini dell’avvio di forme di cooperazione operativa coordinate dall’Agenzia, quest’ultima dovrà informare la Commissione e il Consiglio, che potranno fare ricorso alla procedura di cui all’art. 42 (ivi, par. 2).

Questo meccanismo, che intende massimizzare le sinergie tra la valutazione delle vulnerabilità e il meccanismo di valutazione Schengen (art. 33), incontra ancora il limite della centralità di un organo – quale il consiglio di amministrazione di Frontex – la cui composizione intergovernativa non viene minimamente intaccata (art. 101). Nondimeno, il fatto che “il controllore” possa essere più efficacemente controllato dalle istituzioni politiche dell’Unione e, in particolare, dal Parlamento europeo (artt. 6 e 42, par. 2), compensa almeno parzialmente questo vulnus.

 

4. Da ultimo, è opportuno sottolineare che il Parlamento europeo ha giocato un ruolo di primo piano nella riforma del regolamento di Frontex, come si evince dalla lunga serie di aggiustamenti in itinere dell’originaria proposta della Commissione. Per fare solo qualche cenno, basti considerare, nell’ambito dei rimpatri: l’espunzione del riferimento al potere degli esperti in materia di rimpatrio di identificare particolari gruppi di cittadini di Paesi terzi, previsto nel precedente regolamento e altamente problematico nella prospettiva del divieto di ethnic profiling (cfr. le sentenze della Corte di giustizia: Melki e Abdeli, Adil; v. anche la raccomandazione del Parlamento europeo del 2009); l’eliminazione del riferimento all’istituzione dei “centri controllati”, pezzo forte delle conclusioni del Consiglio europeo del giugno 2018; la chiara statuizione dell’obbligatorietà del piano operativo delle operazioni di rimpatrio; la rimozione del richiamo alle operazioni di rimpatrio “miste”, ovvero a partire dai Paesi terzi, stigmatizzata (peraltro) nelle dichiarazioni rese da Polonia, Ungheria e Slovenia al Coreper, il 29 0tt0bre 2019.

Più in generale, l’intervento parlamentare ha contribuito a riportare al centro del regolamento i valori dell’Unione e i diritti fondamentali, con diffusi richiami alla Carta. A tutela dei diritti fondamentali, peraltro, il nuovo regolamento amplia i poteri del responsabile dei diritti fondamentali (art. 109), coadiuvato da almeno quaranta osservatori (art. 110), che monitoreranno le singole operazioni dell’Agenzia, provvedendo a un reporting dettagliato e migliorando l’effettività del meccanismo di denuncia (art. 111).

Allo stesso tempo, tuttavia, la riforma di Frontex espande in maniera così significativa i poteri coercitivi dell’Agenzia e il suo mandato in materia di trattamento dei dati da creare una sorta di spazio amministrativo parallelo, che sarà tutt’altro che semplice monitorare, tanto da parte delle istituzioni europee, quanto della società civile.

In primo luogo, il conferimento all’Agenzia di un margine di discrezionalità amministrativa nell’esercizio di poteri coercitivi comporterà necessariamente un’interazione diretta tra Frontex e gli individui soggetti a tali poteri, riproponendo la questione delle condizioni restrittive di ricorso alla Corte di giustizia previste dall’art. 263 TFUE per le persone fisiche, ai fini del controllo di legittimità sugli atti degli organismi dell’Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.

Inoltre, l’espansione del mandato esterno dell’Agenzia – che non va in parallelo con la previsione di adeguati strumenti di monitoraggio delle conseguenze giuridiche dell’esercizio di poteri coercitivi da parte del corpo permanente sui diritti fondamentali degli individui nei Paesi terzi – getta una luce ancor più sinistra sul futuro della mobilità umana involontaria verso l’Unione europea. Anche perché, pur sottolineando il dovere di Frontex di assicurare la trasparenza e il controllo pubblico su tutte le attività, anche quelle extraterritoriali, il regolamento ribadisce che l’obbligo di fornire «informazioni precise, dettagliate, tempestive ed esaustive sulle sue attività» (art. 10, par. 2) non può andare a detrimento dei compiti dell’Agenzia, specialmente di quelli operativi.

Sarà, dunque, alquanto complesso superare di fatto lo scoglio della tradizionale “opacità” delle attività dell’Agenzia. D’altra parte, tanto il Mediatore europeo, quanto il Tribunale hanno recentemente giustificato tale opacità – rispettivamente in relazione ad Europol (caso 1270/2017/JAP) e a Frontex (sentenza Izuzquiza e Semsrott) – ribadendo che il potenziale pregiudizio per la sicurezza pubblica può essere efficacemente opposto, ai sensi del diritto dell’Unione, per negare l’accesso a una molteplicità di documenti relativi alle attività delle agenzie europee. Il nuovo regolamento dell’Agenzia rischia, sul punto, di aggravare il deficit di trasparenza di Frontex, soprattutto in relazione alle funzioni operative inquadrate nella cornice della sicurezza esterna dell’Unione che – al netto dei dubbi di legittimità che sollevano sotto il profilo della base giuridica – appaiono problematiche in rapporto al regime giuridico applicabile ai fini della classificazione delle informazioni.

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