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LA PANDEMIA DI COVID 19: L’ONU FINALMENTE BATTE UN COLPO?

Ilja Richard Pavone, Consiglio Nazionale delle Ricerche e membro del Coordinating Committee dell’ESIL Interest Group on Peace & Security

1. I limiti strutturali dell’OMS nella gestione della pandemia di COVID-19, hanno sollevato riflessioni e parallelismi sulla gestione internazionale delle precedenti emergenze sanitarie di rilevanza internazionale. Ci si è domandati, in particolare, se il precedente rappresentato dalla Risoluzione 2177/2014  relativa all’epidemia di Ebola nell’Africa Occidentale potesse replicarsi con il COVID-19 (v. Svicevic).

Come noto, la Risoluzione 2177 ha segnato uno spartiacque nella prassi del Consiglio di sicurezza (CS). Per la prima volta nella sua storia, infatti, il Consiglio ha espressamente classificato una malattia infettiva come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali ai sensi dell’art.39 della Carta dell’ONU (v. inter alia, Pavone, “Ebola and the Securitization of Health: United Nations Security Council Resolution 2117/2014 and Its Limits, in The Governance of Disease Outbreaks. International Health Law: Lessons from the Ebola Crisis and Beyond, a cura diVillareal et al., Baden-Baden, 2017, p. 301 ss., in generale, sui presupposti dell’azione del CS nell’ambito del Capitolo VII della Carta, v. Cadin). Nel caso di specie, il CS rispose alla richiesta di convocazione dell’allora Segretario generale del 17 settembre 2014, adottando la Risoluzione il giorno successivo.

Anche se alla Risoluzione in oggetto non sono seguite misure coercitive ai sensi degli articoli 41 e 42 della Carta, né tantomeno sono state inviate forze armate nei Paesi interessati per contrastare l’epidemia, essa ha rappresentato una ‘risposta straordinaria’ ad un ‘evento straordinario’ .

Il 9 aprile 2020 il Segretario generale dell’ONU António Guterres ha esercitato le proprie funzioni politiche autonome previste all’art. 99 della Carta dell’ONU, richiamando all’attenzione del Consiglio di sicurezzala minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali rappresentata dalla pandemia di COVID-19.

Alla luce della rapida diffusione del virus nel mondo e delle potenziali ricadute negative in ambito sociale, politico ed economico, in particolare, nei Paesi in via di sviluppo, Guterres ha sottolineato l’importanza di fare fronte alle implicazioni non solo sanitarie legate alla pandemia in atto.

Il COVID-19, infatti, presenta tutte le condizioni idonee a trasformare un’emergenza sanitaria in una crisi umanitaria, alla luce delle ricadute sui processi di pace, sulla tutela dei diritti fondamentali e sulla tenuta stessa della democrazia. Egli ha, infatti, affermato che il COVID-19 pone “a significant threat to the maintenance of international peace and security” e pertanto, “the engagement of the Security Council will be critical to mitigate the peace and security implications of the COVID-19 pandemic”.

Nell’evidenziare la stretta connessione tra salute pubblica e sicurezza globale (per alcune riflessioni sulla più generale rilevanza del tema della salute per il diritto internazionale, v. Acconci; Gostin; Villareal) il Segretario generale ha invitato il Consiglio di sicurezza (CS) a superare le divisioni al suo interno, al fine di agire in una logica di multilateralismo.

Mentre l’ONU (tramite il Segretario generale e l’Assemblea) e l’OMS hanno agito per contrastare la diffusione del virus nei rispettivi ambiti della cooperazione allo sviluppo e della gestione delle pandemie, è mancata una visione relativa agli aspetti securitari del COVID-19. Cina e Stati Uniti – membri permanenti del Consiglio di sicurezza con diritto di veto – sono, infatti, imbrigliati in logiche proprie della Guerra Fredda.

Washington, ha accusato Pechino di essere la causa della pandemia – non ha caso ha ribattezzato il COVID-19 – come il virus di Wuhan. La Cina, a sua volta, è stata assai poco trasparente nel fornire informazioni sulla reale diffusione del COVID-19 e sul rischio di trasmissione da uomo a uomo all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), (relativamente alla risposta dell’OMS, v. Acconci in questo blog; Pavone). Fonti attendibili sostengono che il virus circolasse nel Paese addirittuta dal mese di novembre del 2019 (Heymann et al) e che il numero reale dei decessi sia stato sottostimato.

Lo stallo in seno al CS ha sollevato dubbi sulla capacità di tale organo di intervenire in presenza di un’emergenza sanitaria che possa avere ripercussioni sulla pace e sulla sicurezza in assenza di una leadership statunitense concreta. Gli USA sono stati, infatti, i promotori del processo di ‘securitization’ della salute in seno al Consiglio, tramite l’adozione delle risoluzioni 1308/2011 e 1983/2011 sull’HIV/AIDS, della risoluzione 2177/2014 e l’istituzione della prima operazione di peace-keeping volta a far fronte ad una seria malattia infettiva (United Nations Mission for Emergency Ebola Response – UMEER). Senz’altro la crisi nelle relazioni diplomatiche tra Cina e USA, forse il punto più basso dal massacro di Tiananmen nel 1989 ha avuto un concreto sugli sforzi volti alla cooperazione globale nella gestione della pandemia.

Nel presente scritto valuterò alcuni concetti distinti ma interconnessi: i poteri del Segretario Generale di richiamare all’attenzione del CS una potenziale minaccia alla pace e alla sicurezza, le possibili ricadute sulla sicurezza del COVID-19 sulla sicurezza evidenziate dal Segretario, e infine le implicazioni di un eventuale coinvolgimento del CS. Sosterrò, infine che, in caso di mancato intervento del CS nel quadro del Capitolo VII, si sarebbe in presenza di un modello – rappresentato dalla Risoluzione 2177 –  che non sembra avere trovato in seguito applicazione nella prassi.

2.  L’art. 99 della Carta dell’ONU, prevede che, “Il Segretario Generale può richiamare l’attenzione del Consiglio di Sicurezza su qualunque questione che, a suo avviso, possa minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”. Il Segretario può, pertanto, invitare il CS ad iniziare una discussione su un determinato tema, ma ciò, non implica il fatto che poi segua automaticamente un intervento diretto da parte del Consiglio (Conforti, Focarelli, Le Nazioni Unite, 9 ed., CEDAM, Padova, 2017, p. 324 ss).

Nella prassi, l’art. 99 della Carta è stato formalmente invocato in pochi casi e in ancora meno è stato espressamente richiamato. I casi più eclatanti risalgono al 1960 in merito alla questione del Congo e al 1979 relativamente al problema della detenzione prolungata del personale diplomatico e consolare degli Stati Uniti in Iran.

Più recentemente, Guterres, nel contesto della crisi dei Rohingya al confine tra Myanmar e Bangladesh, ha richiesto un’azione concertata per prevenire un’ulteriore escalation della crisi umanitaria, richiedendo al Consiglio “to press for restraint and calm to avoid a humanitarian catastrophe”.

Nello specifico, la possibilità da parte del Segretario generale di invocare l’intervento del CS in presenza di una seria malattia infettiva era stata già prevista nel noto rapporto In Larger Freedom del 2005 (Para. 105) (“…I am ready to use my power…to call the attention of the SC on any overwhelming outbreak of infectious diseases that threatens international peace and security”).

Il Para. 78 del Rapporto, tra l’altro, includeva le malattie infettive nell’elenco delle minacce non-convenzionali alla pace e alla sicurezza internazionali – insieme al degrado ambientale e alla povertà – quali fattori in grado di minare le fondamenta stesse degli Stati.

Nel richiedere un cessate il fuoco globale il 23 marzo 2020 (reiterato il 3 aprile 2020), Guterres aveva descritto il COVID-19 come una malattia che “attacks all, relentlessly”, con alcune popolazioni maggiormente a rischio di “devastating losses”. Nel corso del lancio del Global Humanitarian Response, Plan Guterres ha ammonito che “the pandemic threatened to divert international attention and resources from resolving ongoing conflicts and supporting peace processes” (v. intervento di Sossai in questo blog)

Ha poi lanciato un piano globale per la risposta umanitaria alla pandemia il 25 marzo 2020, che ha previsto una serie di interventi indirizzati ai Paesi meno sviluppati del mondo e alla categorie più vulnerabili (tra cui donne, bambini e rifugiati).

C’è un precedente relativo alla richiesta di un cessate il fuoco globale alla luce di un’emergenza sanitaria per evitare di disperdere risorse e vanificare i processi di pace in atto, rappresentato dalla Risoluzione 2439/2018. In quell caso, è stato il CS  stesso che ha espresso “serious concern regarding the security situation in the areas affected by the Ebola outbreak, which is severely hampering the response efforts and facilitating the spread of the virus in the DRC and the wider region”; richiedendo “the immediate cessation of hostilities by all armed groups, including the Allied Democratic Forces (ADF)”.

3.  Il Segretario generale ha esortato il Consiglio di sicurezza ad intervenire sulla base di una serie di fattori di rischio o ‘effetti collaterali’ del COVID-19 con serie ricadute sulla pace e sulla sicurezza.

In ambito politico, ha sottolineato l’erosione della fiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni pubbliche, qualora venisse percepito che i governi abbiano gestito male o con scarsa trasparenza la pandemia. A ciò si collega il pericolo che la decisione di posticipare elezioni o referendum generi tensioni politiche e mini ulteriormente la legittimità della politica. Inoltre, ha evidenziato il rischio di derive autocratiche (si pensi al caso dell’Ungheria, v. intervento di Benvenuti in questo blog) incluse limitazioni ai media e alla libertà di espressione.

Il collasso dell’economia potrebbe creare ulteriori tensioni in particolare in società fragili, Paesi meno sviluppati (‘least developed countries’) e quelli con economie in transizione. Il Segretario generale si è soffermato in questo punto sugli effetti devastanti per le donne della crisi economica, in quanto categoria che ha minori tutele in ambito lavorativo. Infatti, nei Paesi in via di sviluppo, la maggior parte dell’impiego femminile (intorno al 70%) è nell’economia informale, con pochissime tutele in caso di licenziamento.

Il Segretario generale ha poi rimarcato il problema relativo alle guerre civili o ai conflitti in atto, in quanto la situazione di incertezza generata dalla pandemia costituisce terreno fertile per l’aggravamento delle ostilità e dei fenomeni di violenza. Strettamente legato a questo tema è quello dell’impossibilità materiale di portare avanti gli sforzi di mediazione e buoni uffici svolti a livello universale, regionale e nazionale, proprio nel momento in cui sarebbero maggiormente necessari. Il 28 aprile 2020, Jean-Pierre Lacroix, sotto-segretario per le operazioni di Peacekeeping, ha sottolineato le difficoltà incontrare sul campo nel dispiegare forze di polizia dell’ UN Interim Security Force for Abyei (UNISFA) al confine tra Sudan e Sud Sudan a causa delle misure di contenimento del COVID-19 in atto.

Vi è poi la questione legata al terrorismo e al bioterrorismo, in quanto la situazione globale di caos e l’aumentata instabilità politica potrebbe rivelarsi un’occasione per gruppi terroristici dall’ISIS in Medio Oriente ai movimenti suprematisti di estrema destra in Europa o in USA per destabilizzare ulteriormente lo status-quo.

Vi è infine l’argomento legato alle violazioni dei diritti umani fondamentali, con particolare riferimento a casi di stigma, discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari e hate speech. In effetti, in Pakistan la minoranza sciita  è stata accusata di avere importato il virus dall’Iran, e così come in Cina vengono accusati i viaggiatori provenienti dall’Africa per alcuni contagi di ritorno. Nelle Filippine, inoltre, i pazienti affetti da COVID-19 vengono stigmatizzati al pari dei sieropositivi all’HIV.

Il Segretario generale ha poi individuato tre aree prioritarie di intervento: la creazione di corridoi umanitari per la distribuzione di aiuti, l’equipaggiamento medico e il passaggio di personale medico specializzato; l’aumento dei finanziamenti per il COVID-19 Response Plan; la tutela degli individui o dei gruppi che siano vulnerabili o meno capaci di proteggersi da soli. Al riguardo, il Segretario ha sottolineato che le norme sui diritti umani, sul diritto umanitario e sui diritti dei rifugiati continuano ad essere applicate, anche e specialmente in tempi di crisi.

Il Consiglio di sicurezza, assente (ingiustificato) sin dall’inizio della pandemia, ha adottato un breve comunicato stampa in risposta all’appello del Segretario generale, in cui ha espresso “support for all efforts of the secretary-general concerning the potential impact of the COVID-19 pandemic to conflict-affected countries and recalled the need for unity and solidarity with all those affected”. Non è seguita alcuna riunione o discussione sul tema del COVID-19, né tantomeno è stata calendarizzata.

Il Consiglio di sicurezza ha già stabilito in passato, con la nota Risoluzione 2177/2014 che una crisi sanitaria possa anche avere ricadute sulla la pace e sulla la sicurezza, in particolare attraverso i suoi impatti secondari.

4. Le epidemie e pandemie globali quali HIV/AIDS, influenza suina, SARS, Ebola, COVID-19, hanno indubbiamente una dimensione legata alla sicurezza (per una più ampia riflessione sul rapporto tra malattie trasmissibili e sicurezza, Negri; Pavone, “The Human Security Dimension of Ebola and the Role of the Security Council in Fighting Health Pandemics: Some Reflections on Resolution 2177/2014”, in: South African Yearbook of International Law, 2014, p. 56 ss.). Molti Stati ormai considerano la sempre più rapida diffusione di malattie trasmissibili alla stregua di una minaccia alla sicurezza nazionale, non solo nel contesto di Paesi in via di sviluppo. La stessa CIA già nel 2000 sollevava il problema della repentina propagazione di malattie infettive negli USA (con particolare riferimento, all’epoca, all’HIV/AIDS) a causa del processo di globalizzazione in atto, evidenziandone gli aspetti securitari.

Senza dubbio, il timore del bioterrorismo – tra l’altro richiamato dal Segretario generale tra i possibili effetti collaterali del COVID-19 – ha contribuito a legare strettamente i temi della salute e della sicurezza (v.  Negri, “Emergenze sanitarie e diritto internazionale: il paradigma salute-diritti umani e la strategia globale di lotta alle pandemie ed al bioterrorismo”, in Studi in onore di Vincenzo Starace, ESI, Napoli, 2008, p. 571 ss.). Nel 2000, poi il Consiglio di sicurezza con la nota Risoluzione 1308 ha evidenziato che “the HIV/AIDS pandemic, if unchecked, may pose a risk to stability and security”, anche se poi non è seguita una esplicita classificazione dell’HIV/AIDS come minaccia alla pace e alla sicurezza.

L’azione del CS nel 2014 – promossa dagli USA – venne richiesta per richiamare l’attenzione della comunità internazionale sull’Ebola e sul rischio di diffusione al di fuori dell’Africa Subahariana e pertanto, per attivare meccanismi di solidarietà e cooperazione. Infatti, la risoluzione 2177, dal momento che ha solo raccomandato misure e non ha previsto nuovi obblighi a carico degli Stati Membri, non aveva l’obiettivo di creare alcun precedente che avrebbe avuto implicazioni di lungo periodo sui ruoli e le funzioni del CS (v. Poli) Ciò spiega anche perché nelle emergenze sanitarie successive (Zika, Polio, Ebola nella Repubblica Democratica nel Congo nel 2019) il CS non sia intervenuto ai sensi del Capitolo VII. La questione di quali criteri possano qualificare un’emergenza sanitaria alla stregua di una minaccia alla pace da parte del Consiglio è ancora oggetto di dibattito (v. Burci, p. 67 ss.) È evidente che la determinazione di un’emergenza sanitaria come una questione di sicurezza dipende dal contesto, e soprattutto dalla volontà politica dei Paesi con potere di veto (in tale senso, von Bogdandy et al). Nel caso di specie, il Consiglio, potrebbe, in linea teorica, svolgere il ruolo di coordinamento che manca, tuttora, alla luce del fatto che una sua risoluzione rappresenterebbe un punto di incontro tra le diverse posizioni dei cinque membri permanenti (P5).

L’intervento del CS avrebbe due ambiti di applicazione. Sotto il profilo della crisi umanitaria, potrebbe richiamare gli Stati al rispetto dei diritti delle persone vulnerabili, ad una moratoria delle ostilità in corso, oltre a prevenire atti di terrorismo o di bioterrorismo. Per quanto riguarda l’ambito sanitario, potrebbe richiedere ai Paesi sia il rispetto del Regolamento Sanitario Internazionale che delle linee guida dell’OMS per la gestione della pandemia, rafforzando, in tal senso, i poteri normativi dell’OMS (in tal senso, Negri, p 165; per una posizione critica in merito al ricorso al CS in presenza di emergenze sanitarie, Acconci, p. 424).

Tuttavia, due sono gli ostacoli ad una risoluzione del CS: da un lato, la crisi nei rapporti tra Cina e USA e, dall’altro la posizione di alcuni Paesi (la stessa Cina, la Federazione Russa) per cui la gestione di una pandemia non rientra tra le funzioni del CS, ma debba bensì essere trattata con gli strumenti propri della cooperazione allo sviluppo. Inoltre, un intervento diretto del CS rischierebbe di minare seriamente la fiducia dei Paesi Membri nell’operato dell’OMS, già in crisi alla luce delle accuse di eccessivo appeasement verso la Cina mosse dagli USA (v.Kreuder-Sonnen). Vi è, pertanto, la seria eventualità che la nota Risoluzione 2177/2014 – considerata dalla dottrina come il culmine di un processo di ‘securitization of health’ (v. ad esempio, Arcari et al; Burci) – resti un esempio di una prassi che non si è poi consolidata nel tempo.

Vi è infine un discorso più ampio sulla ‘tenuta’ di organismi internazionali come l’ONU e l’OMS, messa a repentaglio da vari fattori, quali la risposta unilaterale degli Stati alla pandemia, l’assenza di una reale cooperazione internazionale, le violazioni gli obblighi di informazione e trasparenza previsto dal Regolamento Sanitario da parte della Cina, e l’incapacità dell’OMS di svolgere una funzione di ‘early warning’ agli inizi della pandemia. Infatti, la richiesta di convocazione del CS da parte del Segretario generale è rimasta lettera morta, a differenza del precedente caso dell’Ebola nel 2014, così come è venuto meno l’appoggio statunitense all’OMS (v. al riguardo, Fidler). Bisognerà valutare nel tempo l’impatto di tali avvenimenti sull’autorità pubblica internazionale di tali organismi internazionali.


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