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Non c’è TRIPs per gatti: il G20 non trova una posizione condivisa sull’allentamento delle regole relative alla proprietà intellettuale dei vaccini per il COVID-19

Alessio Azzariti (Università di Palermo)

1. Nei giorni del 30 e 31 ottobre 2021 si è tenuto a Roma il vertice del G20 con lo scopo di affrontare a livello multilaterale una serie di questioni. Tra le sue priorità vi sono state la pandemia e il cambiamento climatico, oltre che la questione delle diseguaglianze e le sfide dell’economia globale. Infatti, come appare scritto sulla pagina web predisposta dalla presidenza italiana, «[l]a pandemia ha causato danni profondi, incidendo negativamente sui sistemi sanitari, sugli indici di povertà e sull’andamento dell’economia globale, venendosi a sommare alle altre grandi sfide dei nostri tempi, dai cambiamenti climatici alla lotta contro le disuguaglianze».

La centralità della questione sanitaria è stata sancita simbolicamente dalla foto di gruppo all’inizio del Summit; la presidenza italiana ha deciso di affiancare ai Capi di Stato e di Governo del G20 degli operatori sanitari. Se tuttavia queste erano le premesse del Summit, è lecito chiedersi se alla conclusione del medesimo siano stati compiuti passi in avanti sulle questioni calde inerenti la pandemia, prima tra tutte quella della produzione e distribuzione dei vaccini a livello globale. La questione dell’allentamento delle norme sulla proprietà intellettuale, infatti, si trova attualmente anche al centro di un dibattito in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (di seguito, OMC), ove gli Stati si ritroveranno ancora a discutere della questione tra fine novembre ed inizio dicembre.

Proprio con riferimento a tale specifico tema, l’incontro tra i maggiori leader mondiali si è aperto con diverse critiche da parte di esperti ed attivisti, concernenti il mancato supporto dei Governi più ricchi alle Nazioni più povere al fine di superare la pandemia in atto. Si ricordi, inoltre, che, soltanto due settimane prima rispetto all’apertura del Summit, Papa Francesco aveva sollecitato le compagnie farmaceutiche a liberalizzare i brevetti sui vaccini.

Lo stesso Parlamento europeo, infine, il 10 giugno 2021 aveva approvato una risoluzione per chiedere alla Commissione europea la sospensione temporanea delle norme sulla proprietà intellettuale. Inoltre, un’iniziativa dei cittadini europei (ICE) è tutt’ora in corso per chiedere alla Commissione europea che i diritti di proprietà intellettuale non ostacolino l’accessibilità o la disponibilità di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro il COVID-19 (vedi qui).

Proprio in ragione dell’estrema attualità e importanza del tema, come dimostrata dai fatti sopra riferiti, questo post intende approfondire la questione inerente i diritti sui vaccini e sui medicinali per il COVID-19 (sul punto anche De Pascale). Dopo aver esaminato quali siano le norme che regolano i diritti su quest’ultimi, ci si soffermerà sulle attuali proposte di modifica in discussione. Infine, tali proposte di revisione verranno poste a confronto con la dichiarazione finale del G20 onde comprendere lo stato dell’arte.

2. Le norme di riferimento in tema di brevetti sono contenute nella Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale del 1883, nonché nell’Accordo TRIPs (Trade-Related aspects of Intellectual Property rights) che attraverso l’art. 1, par. 1, stabilisce che gli Stati devono mettere in atto – quanto meno – gli standard minimi di protezione della proprietà intellettuale contenuti nell’Accordo. Il brevetto è concesso, di regola, su base nazionale o regionale (per un approfondimento, si vedano A. Von Bogdandy & P. Villareal).

Nello specifico i brevetti sono disciplinati all’art. 27, par. 1, dell’Accordo, che obbliga gli Stati, secondo i criteri ivi indicati, a prevedere i brevetti per ogni invenzione in campo tecnologico. Tuttavia, il par. 2 della medesima disposizione afferma che gli Stati «possono escludere dalla brevettabilità le invenzioni di cui è necessario impedire lo sfruttamento commerciale sul loro territorio per proteggere l’ordine pubblico o la moralità pubblica, in particolare per proteggere la vita o la salute dell’uomo, degli animali o dei vegetali o per evitare gravi danni all’ambiente». In questo caso ci si potrebbe chiedere se vi sia spazio per affermare che ogni Stato possa sospendere il brevetto di un vaccino sul proprio territorio, in ossequio alla necessità di rispondere alla pandemia. Sul punto la giurisprudenza degli organi dell’OMC è piuttosto restrittiva; infatti, spesso, ai sensi dell’articolo 20 del GATT, che contiene eccezioni similari – anche se non totalmente sovrapponibili – a quelle contenute all’art. 27 del TRIPs, viene condotto  un giudizio di proporzionalità che esclude la liceità di tali limitazioni quando uno Stato può ragionevolmente impiegare una misura alternativa per raggiungere il proprio scopo (H. Hestermeyer, p. 56). Allo stesso modo il par. 3, lett. a, lascia ai singoli Stati la possibilità di escludere la brevettabilità dei «metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici per il trattamento di esseri umani o animali».

La previsione dei brevetti permette di garantire una posizione di monopolio all’inventore. Infatti, l’art. 28 del TRIPs prevede che i diritti derivanti dal brevetto consistono nell’«impedire a terzi che non hanno il consenso del proprietario di: produrre, usare, offrire in vendita, vendere o importare a questi fini quel prodotto». Pertanto, il brevetto dà un diritto negativo al suo titolare, il diritto di escludere gli altri dalla competizione e permettergli di sfruttare a pieno il prodotto (ivi, p. 68). Al riguardo sono state elaborate diverse teorie che giustificherebbero tale posizione di privilegio, ma che in questa sede non si analizzeranno (ivi, pp. 29-32).

Relativamente ai prodotti farmaceutici, il TRIPs ha raggiunto l’obiettivo di far adottare, da parte degli Stati, una disciplina dei brevetti che abbia una durata minima di 20 anni dalla data della domanda, e ha ottenuto altresì che gli stessi Stati prevedano al loro interno meccanismi per garantire l’esecuzione di tali diritti. In particolare, l’inclusione dell’Accordo TRIPs nel quadro dell’Intesa sulla soluzione delle controversie dell’OMC ha significato che la mancata osservanza  delle norme sui brevetti da parte dei Paesi in via di sviluppo potesse legittimare misure di cross-retaliation da parte di altri Stati, ad esempio vietando l’accesso al mercato dei prodotti agricoli esportati da quest’ultimi (F. Abbott, p. 153; si veda anche qui).

3. L’Accordo TRIPs prevede – tuttavia – la possibilità di utilizzo dei brevetti senza il consenso del titolare, facendo ricorso al sistema delle licenze obbligatorie. A tal fine, l’art. 31 prevede una serie di condizioni che devono essere rispettate dalla normativa nazionale volta a permettere l’uso di una invenzione sottoposta a brevetto al Governo o ad una terza parte.

In particolare, esso prevede che tale autorizzazione sia concessa su base individuale (art. 31, lett. a); che vi sia stato un previo sforzo dall’utilizzatore di ottenere un’autorizzazione dal titolare del brevetto sulla base di congrui termini e condizioni commerciali, e che tali sforzi non abbiano ottenuto successo in un ragionevole periodo di tempo. Siffatto requisito può non essere rispettato in caso di emergenza nazionale, altri casi di estrema urgenza o in caso di uso non commerciale (lett. b). Tra gli altri requisiti vi sono quelli di seguito indicati: lo scopo e la durata dell’uso devono essere limitati all’obiettivo che ne giustifica l’autorizzazione (lett. c); l’uso dell’invenzione deve essere autorizzato prevalentemente per la fornitura del mercato nazionale (lett. f); al titolare del brevetto deve comunque essere corrisposta un’adeguata remunerazione (lett. h).

Lo Stato che concede una licenza obbligatoria, quindi, difficilmente potrà esportare il prodotto, in considerazione della previsione di cui all’art. 31, lett. f, il quale richiede che il prodotto sia destinato prevalentemente al mercato interno. Nel 2017, tuttavia, il Protocollo n. 6 al TRIPs, che, datato 6 dicembre 2005, aveva lo scopo di dare esecuzione a quanto era stato deciso alla Conferenza ministeriale di Doha del 2001, è entrato in vigore e con quest’ultimo anche l’art. 31 bis, che ha lo scopo di superare la problematica appena esaminata. Quest’ultimo, infatti, al par. 1, stabilisce che la disposizione di cui all’art. 31, lett. f, non si applica nei limiti in cui si tratti di uno Stato importatore ai sensi dell’Annesso all’Accordo, ossia quando si tratti di uno Stato membro che appartenga alla categoria dei  Paesi meno sviluppati, nonché di qualsiasi altro Stato membro che abbia notificato l’intenzione di far uso dell’art. 31 bis del TRIPs. Inoltre l’art. 31 bis, al par. 2, prevede che comunque debba essere corrisposta un’adeguata remunerazione al titolare del brevetto, da parte dello Stato esportatore, tenendo in considerazione il valore economico dell’uso autorizzato nei confronti dello Stato importatore. Tuttavia, qualora il Paese importatore abbia previsto il brevetto per tale prodotto, quest’ultimo non sarà tenuto al versamento dell’adeguata remunerazione, ove questa sia già stata versata da parte del produttore che lo esporta.

La procedura ora descritta – bisogna sottolinearlo – è stata criticata, in quanto macchinosa, in ragione delle barriere che impone ai Paesi in via di sviluppo nel trovare soluzioni semplici ai bisogni sanitari; essa, infatti, al par. 2 dell’Annesso al TRIPs, alle lettere a, b, e c, prevede una serie di prerequisiti e condizioni da rispettare prima che un prodotto possa essere importato da un Paese che non ha una capacità manifatturiera sufficiente. Tali criteri mal si conciliano con la speditezza richiesta da una pandemia quale quella in atto.

4. A fronte dell’inadeguatezza della disciplina sopra descritta, al fine di fronteggiare la pandemia oggi in atto, India e Sudafrica hanno proposto una rinuncia temporanea ai brevetti per i vaccini per la prevenzione del COVID-19. Con la comunicazione del 2 ottobre 2020, tali Paesi proponevano infatti una deroga, per un numero di anni da determinarsi, dell’esecuzione alle sezioni 1, 4, 5 e 7 della Parte II del TRIPs nonché ai corrispondenti obblighi contenuti nella Parte III, in relazione alla prevenzione, al trattamento ed al contenimento del COVID-19. L’accoglimento di tale proposta, tutt’ora in discussione, determinerebbe una sospensione delle norme del TRIPs relative a diritto d’autore e diritti correlati, disegni industriali, brevetti e protezione delle informazioni segrete. La proposta, oltre a fare salva la disposizione di cui all’art. 66, par. 1, del TRIPs, prevede il riesame della deroga dopo un anno dalla sua concessione, nonché, il divieto di sottoporre le misure prese dagli Stati per concretizzarla, sia alle Parti contraenti ai sensi dell’art. 23 del GATT, sia al meccanismo di risoluzione delle controversie dell’OMC.

Tale proposta, inizialmente osteggiata dal Presidente degli USA Trump, è stata invece appoggiata dalla presidenza Biden; risale infatti al 5 maggio 2021 una dichiarazione della rappresentante USA in seno all’OMC, che si è dichiarata favorevole ad una deroga dei brevetti sui vaccini per il COVID-19. Deve tuttavia sottolinearsi che, alla data attuale, è assente il nome degli Stati Uniti tra quelli che sponsorizzano formalmente la proposta di India e Sudafrica, la quale è infatti al momento supportata dai seguenti Stati: Bolivia, Egitto, Fiji, India, Indonesia, Giordania, Kenya, Maldive; Mongolia; Mozambico, Namibia, Pakistan, Sudafrica, Swaziland, Vanuatu, Venezuela, Zimbabwe.

5. Nel frattempo il 4 giugno 2021, circa un mese dopo l’annuncio da parte del Governo statunitense del proprio supporto alla proposta di sospensione dei brevetti, l’Unione europea ha depositato al Consiglio per il TRIPs la propria proposta (IP/C/W/680), che si basa su una «chiarificazione e facilitazione delle flessibilità previste dal TRIPs in tema di licenze obbligatorie». Insieme ad essa, ha depositato un’altra comunicazione (WT/GC/231) al Consiglio generale dell’OMC, che, oltre alla questione della proprietà intellettuale, tratta di «facilitazione del commercio e disciplina delle restrizioni all’esportazione» e di «espansione della produzione, anche attraverso impegni da parte di produttori e sviluppatori di vaccini».

In particolare, nella suddetta proposta, l’UE, riconoscendo il ruolo dei diritti di proprietà intellettuale nel favorire lo sviluppo dei vaccini contro il COVID-19, sottolinea che tali diritti devono avere un ruolo anche nel permettere un equo accesso ai vaccini e alle cure (IP/C/W/680, par. 6) e che la crisi sanitaria rende necessaria «un’equa distribuzione globale» degli stessi (ivi, par. 7). In particolare, si ricorda che la Dichiarazione di Doha permette agli Stati di adottare le licenze obbligatorie, nonché di stabilire su che basi concedere le medesime. Viene inoltre rammentato che gli Stati meno sviluppati sono esentati dagli obblighi del TRIPs (eccetto per gli articoli 3, 4, e 5) ai sensi dell’art. 66, par. 1, TRIPs, fino a luglio 2021 e che vi sono discussioni in corso al Consiglio per il TRIPs per estendere tale periodo, oltre al fatto che quest’ultimi, relativamente ai prodotti farmaceutici, hanno un’esenzione sulle norme relative ai brevetti e alla protezione delle informazioni segrete fino al 2033 (IP/C/W/680, par. 8).

Il cuore della proposta dell’UE è illustrato nel capoverso successivo a quello appena citato (ivi, par. 9). In quest’ultimo, l’UE chiede che i membri dell’OMC concordino su tre punti che permetterebbero di realizzare la flessibilità prevista dal sistema di licenze obbligatorie, cioè sul fatto che: 1) la pandemia è una circostanza che costituisce emergenza nazionale e, di conseguenza, si può derogare alla negoziazione col titolare del diritto; 2) per sostenere i produttori pronti a produrre vaccini e terapie a prezzi accessibili, specialmente per Paesi a basso e medio reddito, sulla base di licenze obbligatorie, la remunerazione per i titolari dei brevetti dovrebbe riflettere tali prezzi accessibili; 3) la licenza obbligatoria potrebbe coprire tutte le esportazioni verso Paesi a cui manca capacità produttiva, anche tramite il sistema COVAX.

Benché la proposta dell’UE cerchi di facilitare l’utilizzo delle licenze obbligatorie, persistono delle criticità nel realizzare un’equa distribuzione globale dei vaccini  Innanzitutto permarrebbe comunque la previsione di una remunerazione nei confronti dei titolari dei brevetti. Quest’ultima, per quanto sia previsto che essa debba riflettere il prezzo accessibile praticato dal produttore, potrebbe essere un freno all’adozione di licenze obbligatorie. Ciò anche in considerazione del possibile insorgere di contenziosi su quale sia il ‘giusto’ corrispettivo da versare. Si pensi – per un caso su tutti – alla controversia del 1997 tra il Sudafrica di Mandela e 39 case farmaceutiche. Tramite il Medical Act il Sudafrica consentì licenze obbligatorie e importazioni parallele per ottenere medicinali a basso costo per far fronte alla epidemia di HIV/AIDS. Le case farmaceutiche, con un ricorso al tribunale di Pretoria in cui lamentavano una violazione delle norme internazionali dei brevetti, riuscirono a bloccare per tre anni la legge (si vedano: A. Bagchi, p. 1529 ss.; G. De Salvo p. 76; si veda anche qui).

In secondo luogo, e perlomeno in principio, permarrebbero dei limiti alle esportazioni  di vaccini; ciò, perché di tali esportazioni potrebbero beneficiare, allo stato attuale, in caso di applicazione dell’art. 31 bis TRIPs, soltanto i Least-developed countries (LDCs), ossia circa 46 Stati (di cui 35 parti dell’OMC), salva la possibilità di notifica da parte di altri Stati che volessero avvalersi del sistema (si veda la definizione di ‘eligible importing Member’).

Infine, dovrebbero comunque essere rispettati tutti gli altri requisiti previsti nell’ambito degli artt. 31 e 31 bis del TRIPs – nonostante l’UE proponga che con una sola notifica possano essere indicati tutti gli Stati verso cui il bene verrà esportato (IP/C/W/680, par. 12) – ad eccezione della necessità di negoziare con il titolare del brevetti.

6. Con la Dichiarazione finale del G20, la c.d. G20 Rome Leaders’ Declaration, gli Stati hanno riconosciuto come i vaccini siano inclusi tra i più importanti strumenti per affrontare la pandemia ed hanno definito l’estesa immunizzazione da COVID-19 come «bene pubblico globale». Su questa base si sono poi impegnati ad assicurare che l’accesso ai vaccini, alle terapie ed agli strumenti diagnostici sia tempestivo, equo ed universale, soprattutto con riguardo ai bisogni dei Paesi a basso e medio reddito. Essi, infine si sono dati l’obiettivo di vaccinare almeno il 40% della popolazione mondiale entro il 2021 ed il 70% entro la metà del 2022, come raccomandato dall’OMS (G20 Rome Leaders’ Declaration, par. 4).

Fatta questa premessa, nel capoverso successivo della Dichiarazione sono state indicate le modalità attraverso le quali si intende procedere nel raggiungimento di tale obiettivo.

Analizzando il testo della dichiarazione, del dibattito in seno all’OMC non sembra esserci traccia, e si deduce pertanto che un accordo sulle modalità di allentamento delle norme sui brevetti non sia stato trovato. Infatti, viene affermato l’impegno ad astenersi «da restrizioni alle esportazioni incoerenti con l’OMC e ad aumentare la trasparenza e la prevedibilità nella consegna dei vaccini», nonché ribadito il sostegno a tutti i pilastri di ACT-Accelerator, incluso COVAX. Si aggiunge, poi, in particolare, che verrà sostenuto «l’aumento della distribuzione del vaccino, la somministrazione e la capacità di produzione locale nei paesi meno sviluppati, anche attraverso hub di trasferimento tecnologico in varie regioni, come gli hub mRNA recentemente istituiti in Sudafrica, Brasile e Argentina, e attraverso accordi congiunti di produzione e lavorazione. Lavoreremo insieme per il riconoscimento dei vaccini COVID-19 ritenuti sicuri ed efficaci dall’OMS». Infine, in modo forse ridondante e senza un effetto concreto, viene affermato quanto segue: «Come sforzo collettivo del G20, e alla luce delle persistenti lacune nella vaccinazione, ci impegniamo ad aumentare sostanzialmente la fornitura e l’accesso ai vaccini, così come alle terapie e alla diagnostica […] Chiediamo al settore privato e alle istituzioni finanziarie multilaterali di contribuire a questo sforzo» (ivi, par. 5).

Per quanto riguarda le future pandemie vengono infine richiamati gli impegni in tema di prevenzione, preparazione e risposta (PPR) contenuti nella Dichiarazione di Roma (ivi, par. 6).

7. Per un’equa distribuzione dei vaccini ed eventualmente di nuove cure, oltre alla questione dei brevetti e delle licenze obbligatorie, condizione rilevante è sicuramente il trasferimento delle tecnologie e delle conoscenze per produrre, e che vi siano inoltre Paesi già dotati della capacità produttiva necessaria; capacità, quest’ultima, che è, però, attualmente lacunosa nei Paesi a basso e medio reddito. Con riguardo a tale aspetto la dichiarazione finale del G20 ha fatto riferimento all’iniziativa dell’OMS per creare siti produttivi capaci di trasferire la tecnologia mRNA; sono stati selezionati alcuni poli in Argentina, Brasile e Sudafrica. Tuttavia, non è ancora dato sapere che esito avrà tale iniziativa, soprattutto nel breve periodo. Nella stessa pagina web dell’iniziativa in Sudafrica, a settembre 2021 veniva affermato che tutto dipenderà «dalla raccolta di finanziamenti, dalla volontà poi effettiva di trasferire le tecnologie, dalla capacità delle istituzioni locali di assorbire le conoscenze» e che comunque, una volta che tutti questi elementi saranno ottenuti, saranno necessari almeno altri sei mesi per la formazione degli operatori. È lecito quindi chiedersi se davvero ciò sia sufficiente a rispettare l’obiettivo di 70% di persone vaccinate entro la metà del 2022.

In ogni caso, a parere di chi scrive, risolvere la questione oggetto di questo post è anzitutto rilevante e preliminare, al fine di accelerare quanto più possibile, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, la possibilità di produrre e distribuire vaccini e medicinali in tutti gli Stati, in modo che il maggior numero delle persone, a livello mondiale, siano coperte contemporaneamente. Una deroga temporanea delle regole di proprietà intellettuale faciliterebbe una maggiore diffusione dei vaccini e delle cure. Ciò sarebbe funzionale anche a superare – almeno parzialmente – le incertezze scientifiche relative alla durata della copertura anticorpale degli attuali vaccini (si veda qui, qui e qui), che richiedono che ampie fasce di popolazione siano coperte in poco tempo per evitare un decorso grave della malattia di un numero cospicuo di individui. È opportuno quindi rimarcare che il G20 non ha trovato il coraggio di prendere una posizione. Permane, quindi, un conflitto tra la proposta dell’UE e quella di Sudafrica ed India, supportata dagli Stati Uniti, per quanto quest’ultimi preferiscano ancora non esporsi apertamente con un appoggio formale della richiesta in seno all’OMC. Non resta allora che augurarsi che alla prossima conferenza ministeriale dell’OMC – che si terrà tra il 30 novembre ed il 3 dicembre 2021 – possano essere adottate le decisioni necessarie a muovere verso una maggiore solidarietà internazionale.

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