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Immunità degli Stati e violazioni dei diritti umani. Riflessioni a margine della sentenza “Changri-la” del Supremo Tribunal Federal brasiliano

Eleonora Branca (Università di Roma Tre)

Il 24 settembre 2021 è stata pubblicata l’attesa sentenza del Supremo Tribunal Federal (STF) brasiliano nel caso “Changri-la”, dal nome del peschereccio affondato al largo delle coste di Rio de Janeiro da un sottomarino tedesco nel corso della Seconda guerra mondiale, nel 1943. Cinque eredi di una delle vittime hanno intentato nei confronti della Germania una causa di risarcimento del danno che, dopo un lungo iter giudiziario, ha trovato la sua conclusione nella sentenza in commento (ARE 954858/RJ consultabile in portoghese al sito del STF).

Con una risicata maggioranza di sei voti contro cinque, il STF ha affermato che i giudici brasiliani possono esercitare la propria giurisdizione di cognizione sulle condotte dello Stato tedesco, enunciando il principio di diritto per cui “gli atti illeciti commessi dagli Stati esteri in violazione dei diritti umani non godono dell’immunità dalla giurisdizione” (tema 944, ivi p. 30 – traduzione dell’autrice). I giudici di ultima istanza hanno radicato la propria argomentazione nella Costituzione brasiliana, il cui art. 4, II comma, prevede espressamente la prevalenza dei diritti umani come principio fondamentale sul quale si reggono le relazioni internazionali dello Stato brasiliano (si veda anche l’articolata press release del STF).

Si torna quindi a discutere del carattere assoluto e delle possibili eccezioni o limitazioni alla norma consuetudinaria sull’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione civile dello Stato del foro per illeciti internazionali commessi nel corso della Seconda guerra mondiale. E si torna a dibattere delle tensioni tra dualismo costituzionalista e monismo internazionalista (Peters; Salerno; Palombino).

Il presente contributo si propone di offrire un’analisi critica del contenuto della sentenza del STF (per precedenti commenti si veda qui e qui). Alcuni aspetti peculiari di questa decisione saranno messi in luce, con particolare riferimento alla qualificazione del fatto illecito attribuito alla Germania e al rapporto tra i diritti umani e la norma sull’immunità, alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata proposta dai giudici brasiliani. Da ultimo, si tenterà di collocare questo precedente giurisprudenziale nel dibattito sull’evoluzione dinamica della norma sull’immunità degli Stati, con particolare riguardo alle criticità e al potenziale innovativo della decisione in commento.

1. L’affondamento del peschereccio “Changri-la” e le relative vicende processuali

Nel giugno 1943, un peschereccio denominato “Changri-la” fu affondato nelle acque territoriali brasiliane, al largo di Rio de Janeiro, dal sottomarino tedesco U-199. Tutte le dieci persone a bordo morirono nell’attacco. Poco dopo, il sottomarino in questione fu identificato e silurato da una nave militare statunitense, che trasse poi in salvo come prigionieri di guerra i componenti dell’equipaggio tedesco.

Solo nel 2001, sulla base delle informazioni rese pubbliche dagli Stati Uniti, il Tribunal Marìtimo brasiliano fu in grado di condurre compiutamente un accertamento di fatto sull’accaduto, mentre un primo procedimento era stato archiviato nel 1944 per mancanza di prove (caso n. 812/1943, 31 giugno 2001).  Ai sensi dell’art. 16, lett. a, della legge n. 2.180/54, al Tribunal Marìtimo è riconosciuta la competenza ad accertare i fatti in merito ad incidenti di navigazione che riguardino imbarcazioni della marina mercantile, ivi inclusi i pescherecci. Inoltre, tale Tribunale può suggerire al governo l’adozione di riparazioni di carattere pecuniario o simbolico (art. 16, lett. g).  Nel caso di specie, il Tribunal Marìtimo decretò che l’affondamento del peschereccio fosse qualificabile come atto intenzionale di guerra da parte della Germania e propose al governo brasiliano di concedere “una ricompensa onorifica e pecuniaria” ai familiari delle vittime (ivi, p. 46). Facendo seguito a tale proposta, nel 2004, con una cerimonia pubblica, i nomi dei dieci membri dell’equipaggio del peschereccio “Changri-la” furono inseriti nel memoriale della Seconda guerra mondiale Panteão dos Heróis de Guerra a Rio de Janeiro (qui, p. 35-36).

Ciò nonostante, nel 2007, cinque eredi di una delle vittime dell’affondamento, Vieira de Aguiar, intentarono una causa risarcitoria nei confronti della Germania dinnanzi alla 28sima Corte federale di Rio de Janeiro (qui, para. F5).

Con una nota diplomatica del 23 marzo 2007, la Germania invocò la propria immunità giurisdizionale, specificando che le condotte in questione dovevano qualificarsi come acta iure imperii e che, inoltre, il tentativo di notificare la citazione in giudizio presso l’ambasciata tedesca costituiva una violazione dell’art. 22 della Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche da parte del Brasile (DJ/ CGPI/61/JUST/BRAS/RFA, qui).

Dopo una lunga serie di istanze, pronunce interlocutorie e rigetti, la posizione dei ricorrenti è stata infine accolta dal STF con la sentenza in commento. Il STF ha dunque cassato con rinvio la decisione di secondo grado che aveva riconosciuto l’immunità assoluta della Germania, rimettendo alla Corte d’appello la liquidazione del danno subito dalle vittime.

2. Il contenuto della sentenza della Tribunale Supremo Federale brasiliano

La sentenza, redatta dal giudice estensore Ministro Edson Fachin, si articola in quattro punti principali: 1) l’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri nel diritto brasiliano (pp. 1-4); 2) l’analisi del caso di specie: illiceità della condotta e violazione dei diritti umani (pp. 4-8); 3) immunità dalla giurisdizione degli Stati in virtù di atti illeciti implicanti la violazione dei diritti umani (pp. 9-24); 4) esclusione dell’immunità degli Stati per violazione dei diritti umani (pp. 24-30). Il testo della sentenza si accompagna alle tre opinioni separate/dissenzienti (voto-vogal) dei giudici Mendes, Marco Aurelio e De Moraes, che affermano la natura assoluta dell’immunità giurisdizionale degli Stati per atti iure imperii, tra i quali devono farsi rientrare gli atti di guerra (sulle modalità di stesura e di voto dei provvedimenti del STF si veda qui).

La sentenza non risulta di facile lettura poiché l’argomentazione del SFT procede in maniera erratica ed è sovente caratterizzata da forti affermazioni di principio, non sempre sostenute però da altrettanto solide argomentazioni. Inoltre, come emergerà più avanti, le categorie del diritto internazionale non sempre sono utilizzate in maniera rigorosa ed i precedenti giurisprudenziali citati talvolta non sono coerenti rispetto alle conclusioni alle quali infine giunge la Corte. Appare dunque utile seguire un approccio tematico rispetto alle principali questioni affrontate nella sentenza in commento.

Prima di procedere, è però necessario spendere qualche parola sul modo in cui il STF si confronta con la sentenza resa dalla Corte internazionale di giustizia (CIG) nel caso Germania c. Italia, poiché ciò costituisce il presupposto del ragionamento del STF.  Anzitutto, il STF richiama le argomentazioni del Procuratore generale (Procuradoria-Geral da Repùblica) che, a sua volta, aveva fatto ampio riferimento agli scritti di una parte della dottrina internazionalistica (Bornkamm, Conforti; Esposito; De Sena-De Vittor; Pavoni; Trapp-Mills – cfr. sentenza, pp. 21-22). Secondo il Procuratore generale, l’impostazione “conservatrice e formalista” seguita dalla CIG nella nota sentenza non aveva tenuto in debita considerazione le conseguenze della sua decisione sui diritti delle vittime e, soprattutto, aveva ignorato il “declino progressivo della [norma sulla] immunità che deriva dalla limitazione della sovranità statale a fronte dell’emergere della soggettività internazionale dell’individuo” (p. 22).

Peraltro, il problema della forza autoritativa del precedente CIG viene risolto proponendo un’interpretazione strettamente letterale dello Statuto della Corte, secondo cui, ai sensi dell’art. 59, le sentenze hanno efficacia vincolante solo tra gli Stati in giudizio e limitatamente alla questione sottoposta alla Corte (p. 22). Come è evidente, tale lettura non tiene conto dell’autorevolezza erga omnes delle decisioni della CIG (ad esempio qui). Ad ogni modo, per evidenziare la differenza tra la questione posta all’attenzione delle CIG nel caso Germania c. Italia e il caso di specie, il STF sottolinea che l’Italia aveva ricevuto dalla Germania un indennizzo “a titolo di soluzione globale”, derivante dall’Accordo bilaterale del 1963. Per contro, nessuna forma di riparazione è mai stata offerta dalla Germania per gli illeciti commessi nel mare territoriale del Brasile – sottolineano i giudici brasiliani (p. 23).

Infine, i giudici brasiliani, citando ampi passi dell’opinione dissenziente del giudice Cançado Trindade nel caso Germania c. Italia, formulano la seguente altisonante affermazione di principio: “un crimine è un crimine” (p. 30). Pertanto, secondo il STF, la distinzione tra acta iure imperii e iure gestionis non viene in rilievo nel caso in esame. In conclusione, il SFT stabilisce che l’affondamento del “Changri-la” è da qualificarsi come un crimine, commesso in violazione dei diritti umani. Poiché il diritto costituzionale brasiliano riconosce espressamente la prevalenza dei diritti umani come principio generale che regola le relazioni internazionali, l’immunità giurisdizionale deve cedere dinnanzi a ogni condotta dello Stato straniero che viola i diritti umani (p. 30).

3. La difficile qualificazione dell’illecito internazionale

Uno degli aspetti più controversi della sentenza in commento concerne la qualificazione come illecito internazionale dell’affondamento del peschereccio “Changri-la”. Per i giudici brasiliani, tale condotta integra una violazione di diversi obblighi internazionali, peraltro significativamente eterogenei tra loro.

Secondo il STF, l’attacco al peschereccio da parte delle forze armate tedesche costituisce una violazione del diritto dei conflitti armati e in particolare del principio di distinzione tra combattenti e civili (sentenza, pp. 7-8). In maniera piuttosto convoluta, i giudici brasiliani analizzano alcune fonti di diritto internazionale dei conflitti armati che codificherebbero tale principio. Questa selezione, tuttavia, non appare del tutto pertinente al caso di specie. Infatti, dapprima il SFT fa riferimento all’art. 46 del Regolamento dell’Aia del 1907, che impone il rispetto dell’onore e dei diritti della famiglia, della vita delle persone e della proprietà privata. Si deve ricordare che tale norma concerne però la regolamentazione della guerra terrestre in casi di occupazione militare ed è quindi contestabile che essa possa applicarsi all’episodio di guerra marittima oggetto del presente giudizio.


Appare invece maggiormente rilevante il riferimento all’XI Convenzione dell’Aia del 1907 relativa ad alcune restrizioni del diritto di cattura nella guerra navale. Sebbene non venga citato espressamente dal STF, è utile ricordare che l’art. 3 di detta Convenzione protegge effettivamente le imbarcazioni da pesca dalla cattura e comunque dall’utilizzo per fini militari (si veda Ronzitti, p. 315 ss.). A questo punto, il SFT avrebbe potuto approfondire il proprio ragionamento sull’esistenza di una più ampia norma di natura consuetudinaria sul divieto di uccisione di civili in mare, nonché sulla sua validità al tempo dei fatti (si veda ad esempio qui, par. 75 ss).

Invece, i giudici brasiliani si spostano nell’ambito del diritto internazionale penale e passano ad esaminare l’art. 6, lett. b, dello Statuto del Tribunale militare internazionale di Norimberga del 1945, che qualifica come crimini di guerra l’uccisione di persons at sea. Tuttavia, non appare trascurabile che la norma in questione sia entrata in vigore successivamente ai fatti contestati; ciò soprattutto in considerazione del fatto che i giudici brasiliani tralasciano del tutto di argomentare la validità intertemporale dei principi di Norimberga (cfr. risoluzione Assemblea Generale; v. inoltre Borgwardt qui).

Da ultimo, il STF qualifica la condotta tedesca anche come violazione dei diritti umani ed in particolare dell’art. 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Anche in questo caso, le questioni di diritto intertemporale sono evidentemente ritenute irrilevanti dal STF.

Emerge dunque come i giudici brasiliani operino una singolare commistione tra l’ambito delle violazioni del diritto dei conflitti armati, i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani. Tale sovrapposizione pervade in verità l’intera sentenza e rende particolarmente complesso comprenderne a pieno l’argomentazione logico-giuridica. Infatti, il SFT afferma ripetutamente che la condotta in questione è da qualificarsi come crimine (“un crimine è un crimine”, p. 30); tuttavia i giudici brasiliani statuiscono anche che gli atti dello Stato straniero costituiscono delle violazioni dei diritti umani, rispetto alle quali l’immunità della Germania deve cedere (p. 27).

4. L’esclusione dell’immunità in caso di violazioni dei diritti umani: una “zona di indifferenza”

Il quarto punto della sentenza si sofferma appunto sulla questione delle violazioni dei diritti umani e la sua lettura lascia ancora più perplessi su quale sia l’obbligo (o gli obblighi) la cui violazione viene in rilievo nel caso di specie. In questa sezione, infatti, il SFT si occupa del diritto delle vittime alla verità e all’accesso alla giustizia.

In particolare, il STF afferma che negare alle vittime il diritto alla verità o esigere che queste si rivolgano alle corti tedesche creerebbe un’anomia, un non-diritto, uno “stato di eccezione”, ossia una “zona di indifferenza del diritto dentro il proprio diritto” (pp. 24-25). L’origine di questo spunto argomentativo va identificata nel pensiero del filosofo Giorgio Agamben, ampiamente citato nella sentenza: “[i]n verità lo stato d’eccezione non è esterno né interno all’ordinamento giuridico e il problema della sua definizione concerne appunto una soglia, o una zona di indifferenza in cui dentro e fuori non si escludono, ma si indeterminano. La sospensione della norma non significa la sua abolizione e la zona di anomia che essa instaura non è (o, almeno non pretende di essere) senza relazione con l’ordine giuridico” (la citazione corrisponde a quella contenuta nella sentenza ma è tratta dal testo dell’autore in lingua originale: Stato di eccezione, Torino, 2003, pp. 33-34).

Questa “zona di indifferenza”, determinata dalla mancanza di giurisdizione a causa dell’immunità degli Stati, non sarebbe ammissibile nell’ordinamento brasiliano quando vengono in gioco violazioni dei diritti umani. E infatti, nel caso di specie – continua il STF – il diritto alla vita, il diritto alla verità e il diritto all’accesso alla giustizia devono prevalere sulla regola dell’immunità statale in forza dell’art. 4, II comma, della Costituzione brasiliana, come si illustrerà meglio nei paragrafi successivi.

Il STF fa quindi riferimento ad una serie di violazioni dei diritti umani, ma non è dato comprendere se tali violazioni si siano già prodotte a seguito della condotta tedesca o si produrrebbero nel caso in cui venisse riconosciuta alla Germania l’immunità dalla giurisdizione.

5. Il possibile contributo della sentenza brasiliana all’evoluzione dinamica della norma sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati

Evidenziati alcuni dei principali profili di criticità nelle argomentazioni dei giudici brasiliani, ci si concentrerà ora su come la sentenza in commento possa collocarsi nel più vasto panorama dell’evoluzione dinamica della norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati che, secondo alcune corti interne, sarebbe in atto, proprio per l’effetto di un’interpretazione costituzionalmente orientata della suddetta norma. Infatti, il STF afferma che la questione della natura e dei possibili limiti alla norma sull’immunità “si trova ancora all’ordine del giorno del diritto internazionale” (p. 17).

Una simile concezione si rinviene, ad esempio, nella sentenza del gennaio 2021 – citata dai giudici brasiliani – con cui la Corte Distrettuale di Seoul ha condannato il Giappone ad un cospicuo risarcimento in favore delle vittime di crimini di schiavitù sessuale perpetrati dall’esercito nipponico durante la Seconda guerra mondiale (per alcune riflessioni sulla sentenza, qui e qui). Secondo i giudici sudcoreani, “the doctrine of state immunity is not permanent nor static” (sezione 3, lett. C, n. 3.3). Anche in questo caso, il limite all’applicazione della regola sull’immunità degli Stati viene identificato in una previsione costituzionale, ossia il diritto di accesso alla giustizia previsto dall’art. 27 della Costituzione coreana.

Sebbene il SFT ometta di citarla, si deve poi ricordare la nota sentenza 238/2014 della Corte Costituzionale italiana che, applicando la discussa teoria dei contro-limiti, non ha dato ingresso nell’ordinamento italiano alla norma consuetudinaria sull’immunità dalla giurisdizione civile per acta iure imperii che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona. Come noto, secondo la Corte Costituzionale italiana, se non è prevista alcuna altra forma di riparazione giudiziaria dei diritti fondamentali violati, la norma consuetudinaria si pone in contrasto con il principio fondamentale della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali assicurata dalla Costituzione italiana agli artt. 2 e 24 (sulla sentenza e le sue implicazioni, v. ex pluribus Volpe-Peters-Battini; Cannizzaro; Pavoni; Tams, Scovazzi qui).

Si deve qui osservare, tuttavia, che il ragionamento svolto dal STF sembra voler spingere questa prassi, già isolata e da molti criticata, verso un approdo ancora più avanguardista. Infatti, i giudici supremi hanno affermato che, in forza del citato art. 4, II comma della Costituzione brasiliana, la norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione straniera trova un ampio limite in caso di violazioni dei diritti umani.

Inoltre, il STF non prende in considerazione la rilevanza né dell’esistenza di rimedi alternativi a disposizione delle vittime, né dell’accesso al giudice in altre giurisdizioni (sul tema, v. l’ampio studio a cura di Francioni). Infatti, i giudici brasiliani omettono di analizzare l’argomentazione proposta dai ricorrenti circa la loro impossibilità di proporre la medesima azione risarcitoria contro la Germania dinnanzi ai giudici tedeschi a causa della loro precaria situazione economica (cfr. qui, para. F5). Inoltre, il STF tratta solo incidenter tantum la questione dell’inesistenza di accordi post-bellici tra il Brasile e la Germania, privando così il proprio ragionamento di una maggiore forza argomentativa (per un approfondimento sul tema, v.  ad esempio qui).

In sostanza, il STF sembra voler trovare il fondamento delle proprie ragioni nelle tesi già espresse da altri tribunali nazionali (come ad esempio nei casi Ferrini, Distomo, Comfort Women), ma finisce per proporre una argomentazione sostanzialmente nuova per il diritto internazionale, per cui la norma consuetudinaria sull’immunità statale dovrebbe cedere in tutti i casi di violazioni dei diritti umani. Una simile ipotesi discende, in definitiva, solo dall’applicazione del diritto costituzionale brasiliano, e non invece da una (reale o presunta) evoluzione dinamica del diritto internazionale in materia. Anche in questo caso, infatti, il STF formula un’affermazione di principio quando sostiene che la Costituzione brasiliana codifica una “esplicita opzione normativa” a favore di un nuovo paradigma delle relazioni internazionali nel quale “sono predominanti, non più la sovranità degli Stati, ma gli esseri umani” (p. 28).

6. Conclusioni: un difficile bilanciamento tra ambizioni e rischi concreti

Secondo i giudici brasiliani, la regola sull’immunità giurisdizionale degli Stati troverebbe un’amplissima eccezione in caso di mancato rispetto dei diritti umani e non più solo in caso di gravi violazioni di tali diritti o di violazioni del diritto cogente. Come evidenziato, tale ricostruzione si pone all’avanguardia rispetto ai precedenti giurisprudenziali nazionali in materia di possibili limitazioni alla regola sull’immunità degli Stati.

Stante le criticità sin qui rilevate, non appare semplice operare una valutazione dell’impatto che questa sentenza potrà avere in termini di sviluppo progressivo del diritto internazionale in materia di immunità dello Stato straniero. Infatti, l’anelito dei giudici brasiliani verso l’affermazione di un nuovo paradigma normativo delle relazioni internazionali, fondato sul rispetto dei diritti umani, appare sprovvisto del sostegno che un uso maggiormente rigoroso delle categorie del diritto internazionale avrebbe potuto fornire.

Infine, i rischi di una simile “fuga in avanti” appaio alquanto evidenti. Si pensi alle potenziali conseguenze negative di questa sentenza, sia in termini di ricaduta diretta sulle relazioni diplomatiche tra Brasile e Germania sia per la tenuta dell’ordine internazionale. Inoltre, non appare improbabile che la Germania possa tentare di portare la questione dinnanzi alla CIG. Se il Brasile vi acconsentisse, un simile contenzioso potrebbe fornire alla Corte l’occasione di riproporre l’interpretazione della norma sull’immunità degli Stati già affermata nel caso Germania c. Italia.

Nell’operare questo difficile bilanciamento tra potenzialità e rischi di un ridimensionamento dell’immunità in una prospettiva di tutela dei diritti umani, molto dipenderà dalla reazione degli Stati e dall’apporto della dottrina che, a parere di chi scrive, non dovrebbe limitarsi a guardare con eccessivo formalismo e conservatorismo l’aspirazione dei giudici brasiliani verso l’affermazione di un nuovo paradigma normativo delle relazioni internazionali.

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