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Il giudicato arbitrale quale motivo ostativo alla circolazione delle sentenze nel sistema di Bruxelles I: note a margine della sentenza London Steam-Ship

Michele Grassi (Università degli Studi di Milano – La Statale)

1. Con la recente sentenza resa nella causa C-700/20, London Steam-Ship, la Corte di giustizia dell’Unione europea torna a occuparsi del difficile rapporto tra giurisdizione civile e arbitrato nello spazio giudiziario dell’Unione. Il tema, già ampiamente esplorato dalla giurisprudenza della Corte (v. sentenze March RichVan Uden, West Tankers e Gazprom) e oggetto di grande attenzione in dottrina (v., ex multis, SalernoCarducciBenedettelli e Leandro 2015), trova, come noto, una scarna disciplina nel regolamento (UE) n. 1215/2012 o «Bruxelles I-bis». In particolare, ai sensi dell’art. 1 par. 2 lett. d, l’arbitrato è escluso dall’ambito di applicazione del regolamento; la portata di tale esclusione è meglio specificata al considerando n. 12 del regolamento (introdotto in occasione della rifusione nel regolamento (UE) n. 1215/2012 del previgente regolamento (CE) n. 44/2001 o «Bruxelles I»), considerando che in parte riprende i principi affermati dalla Corte di giustizia nel vigore della precedente disciplina. L’art. 73 par. 2 del reg. Bruxelles I-bis, infine, stabilisce che il regolamento non pregiudica l’applicazione della Convenzione di New York del 1958. A seguito di uno degli ultimi rinvii pregiudiziali provenienti dal Regno Unito, all’origine della sentenza in commento, la Corte è stata chiamata a decidere se e in che misura un lodo arbitrale e una sentenza nazionale che ne recepisce il contenuto possano ostacolare il riconoscimento e l’esecuzione, ai sensi del regolamento (CE) n. 44/2001, di una decisione resa tra le medesime parti in un diverso Stato membro. La soluzione fornita dalla Corte è sicuramente molto originale – se non, come si vedrà, a tratti anche «creativa» – e in poco tempo ha suscitato un vivace dibattito circa le sue possibili implicazioni sul sistema di circolazione delle decisioni nel sistema di diritto uniforme europeo (v. i primi commenti di BriggsCuniberti e Leandro 2022).

2. La pronuncia in commento rappresenta solo l’ultimo capitolo della saga giudiziaria originata dal naufragio della petroliera Prestige a largo delle coste della Galizia nel novembre 2002. Pochi giorni dopo il disastro navale, a fronte dei gravi danni ambientali causati dalle ingenti quantità di petrolio riversate in mare, le autorità spagnole avviavano un procedimento penale contro il comandante e altri ufficiali della Prestige. Nel 2010, a conclusione della complessa fase istruttoria, lo Stato spagnolo si costituiva parte civile, agendo contro diversi convenuti, tra cui anche gli armatori della nave e il loro assicuratore, la società inglese The London Steam-Ship Owners’ Mutual Insurance Association Ltd («assicuratore» o «London Steam-Ship»), allo scopo di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al naufragio. L’assicuratore rimaneva contumace nel procedimento spagnolo.

Nel 2012, in pendenza del procedimento spagnolo, la London Steam-Ship avviava contro lo Stato spagnolo un arbitrato con sede a Londra, chiedendo l’accertamento negativo della propria responsabilità risarcitoria per i danni conseguenti al naufragio, in ragione di una clausola solve et repete inclusa nel contratto di assicurazione stipulato con gli armatori della Prestige. A fondamento della competenza del tribunale arbitrale, la London Steam-Ship invocava una clausola compromissoria contenuta nello stesso contratto di assicurazione, sostenendo che tale clausola si estendesse anche allo Stato spagnolo. Lo Stato spagnolo non si costituiva nel procedimento arbitrale. Nel 2013, il tribunale arbitrale emetteva il lodo, con cui, nella sostanza, accoglieva integralmente le domande proposte dalla London Steam-Ship, accertando che nulla era dovuto dall’assicuratore allo Stato spagnolo a titolo di risarcimento dei danni. L’assicuratore chiedeva, quindi, al giudice inglese l’autorizzazione a dare esecuzione alla decisione arbitrale nonché la pronuncia di una sentenza che ne recepisse il contenuto ai sensi dell’art. 66(2) dell’Arbitration Act 1996 («Arb. Act 1996» – in base a tale disposizione, su cui torneremo meglio nel prosieguo, «where leave [for enforcement] is given, judgment may be entered in terms of the award»). Lo Stato spagnolo si opponeva a tale richiesta e insisteva per l’annullamento del lodo, sostenendo, tra le altre cose, che la clausola compromissoria vincolasse unicamente i soggetti che l’avevano sottoscritta (i.e. gli armatori e l’assicuratore), ma non anche la parte danneggiata, che rimaneva terza rispetto a tale accordo arbitrale. Nel marzo 2013 il giudice inglese concedeva l’autorizzazione a dare esecuzione alla decisione arbitrale e pronunciava una sentenza ai sensi dell’art. 66(2) dell’Arb. Act 1996. 

Nel gennaio 2016, il giudice spagnolo accertava la responsabilità del comandante della nave e degli armatori per i danni ambientali provocati dal naufragio della Prestige e, per l’effetto, li condannava al risarcimento degli stessi, in solido con l’assicuratore (quest’ultimo entro i limiti del massimale di polizza, pari a USD 1 miliardo). La sentenza era confermata in appello dal Tribunal Supremo e dichiarata esecutiva nel marzo 2019. Poco tempo dopo, lo Stato spagnolo agiva in Inghilterra chiedendo la registrazione della sentenza esecutiva spagnola al fine di avviare l’esecuzione, ai sensi dell’art. 38 par. 2 del reg. Bruxelles I (applicabile ratione temporis, in base all’art. 66 par. 2 del regolamento Bruxelles I-bis). L’assicuratore proponeva opposizione avverso l’ordinanza di registrazione, deducendo in via principale l’incompatibilità della decisione straniera con la sentenza resa dal giudice inglese ai sensi dell’art. 66(2) dell’Arb. Act 1996. L’art. 34 n. 3 del reg. Bruxelles I prevede, infatti, che le decisioni straniere non possano essere riconosciute se «in contrasto con una decisione emessa tra le medesime parti nello Stato membro richiesto». In subordine, la London Steam-Ship deduceva la violazione dell’ordine pubblico inglese in ragione del contrasto tra la decisione spagnola e gli effetti di giudicato prodotti dal lodo arbitrale e dalla sentenza inglese che ne aveva recepito il contenuto, insistendo per l’annullamento dell’ordinanza di registrazione.

A fronte di tali doglianze, il giudice inglese decideva di sollevare un rinvio pregiudiziale, in cui, nella sostanza, domandava se, alla luce dell’esclusione della materia arbitrale dal campo di applicazione del regolamento Bruxelles I nonché della natura delle questioni che il giudice è chiamato a prendere in considerazione ai fini dell’emanazione di una decisione interna che recepisce il contenuto del lodo, la sentenza emanata ai sensi dell’art. 66(2) dell’Arb. Act 1996 potesse qualificarsi come «decisione emessa (…) nello Stato membro richiesto» per gli scopi dell’art. 34 n. 3 del reg. Bruxelles I. In caso di risposta negativa, il giudice si chiedeva se il riconoscimento della sentenza straniera potesse essere rifiutato per violazione dell’ordine pubblico dello Stato membro richiesto, ai sensi dell’art. 34 n. 1 del reg. Bruxelles I, in ragione del contrasto con gli effetti di giudicato prodotti da un lodo arbitrale e/o da una sentenza nazionale resa nei termini dello stesso. 

3. La risposta della Corte prende le mosse dalla constatazione che la decisione inglese emanata ai sensi dell’art. 66(2) dell’Arb. Act 1996 – essendo stata resa nel contesto di un procedimento di «riconoscimento ed esecuzione di un lodo» – rientra nell’ambito dell’esclusione della materia arbitrale di cui all’art. 1 par. 2 lett. ddel reg. Bruxelles I (in questo senso, già la relazione Schlosser) e, dunque, non può beneficiare del regime di riconoscimento automatico tra Stati membri previsto dal diritto uniforme dell’Unione. Ciò, tuttavia, non significa che essa non possa assumere rilievo per gli scopi dell’art. 34 n. 3 del reg. Bruxelles I. Il motivo ostativo al riconoscimento previsto dalla disposizione in parola mira, infatti, a tutelare l’armonia e la coerenza dell’ordinamento giuridico dello Stato richiesto, impedendo l’ingresso di decisioni inconciliabili con il giudicato interno. In linea di principio, quindi, la nozione di «decisione emessa (…) nello Stato membro richiesto» ricomprende ogni sentenza resa in tale Stato, anche qualora essa non riguardi una materia inclusa nell’ambito di applicazione del regolamento (v. in questo senso già la sentenza Hoffmann/Krieg).

Al riguardo, mette conto fornire alcuni chiarimenti in merito alla natura delle sentenze emanate ai sensi dell’art. 66(2) dell’Arb. Act 1996 e al loro rapporto con i lodi arbitrali di cui esse recepiscono il contenuto. Secondo il diritto inglese, le decisioni arbitrali sono vincolanti sin dal momento in cui sono rese e producono i medesimi effetti di giudicato delle sentenze emanate dai giudici nazionali, i.e. gli effetti di cause of action estoppel issue estoppel (v. art. 58 dell’Arb. Act 1996 e Fidelitas Shipping Co Ltd v V/O Exportchleb [1966] 1 QB 630). L’art. 66 dell’Arb. Act 1996 disciplina la dichiarazione di esecutività dei lodi. La sentenza emanata ai sensi dell’art. 66(2) dell’Arb. Act. 1996, pertanto, non è diretta ad attribuire forza di res judicata al lodo, ma semplicemente a favorirne l’esecuzione (laddove, secondo l’ordinamento processuale inglese, l’attivazione degli strumenti coercitivi propri del potere statuale richieda una «sentenza»). Di norma, quindi, se la decisione arbitrale non contiene una pronuncia di condanna, l’art. 66 dell’Arb. Act 1996 non dovrebbe trovare applicazione, giacché non vi sarebbe alcun precetto a cui dare esecuzione (v. sul punto Margulies Brothers Limited v Dafnis Thomiades and Co (UK) Limited [1958] 1 Lloyd’s Rep 205). Cionondimeno, la giurisprudenza inglese ha ritenuto che, anche a fronte di una decisione di mero accertamento, la parte vittoriosa potrebbe avere interesse a ottenere una sentenza che recepisca il contenuto del lodo. Ciò può avvenire, in particolare, laddove – come nella vicenda processuale in commento – la sentenza del giudice inglese possa utilmente impedire il riconoscimento di una decisione straniera resa in un diverso Stato membro, ai sensi dell’art. 34 n. 3 del regolamento Bruxelles I (v. West Tankers Inc v Allianz Spa, Generali Assicurazione Generali Spa [2012] EWCA Civ 27; parte della dottrina si è interrogata sulla compatibilità di tale soluzione con il sistema del regolamento Bruxelles I-bis, v. Fitchen, “The Refusal of Recognition and Enforcement” in Dickinson and Lein, p. 467 e, seppur più possibilista, Hartley, p. 68). Questo evidentemente sull’assunto, su cui torneremo, che i lodi arbitrali non costituiscano «decisioni interne» ai sensi del regolamento Bruxelles I.

Come riconosciuto dalla stessa Corte di giustizia, quindi, una sentenza resa nei termini di un lodo può, in linea di principio, precludere il riconoscimento di una decisione straniera incompatibile ai sensi dell’art. 34 n. 3 del regolamento Bruxelles I. Tuttavia – ed è questo uno dei passaggi più interessanti della sentenza – ciò non può avvenire laddove il lodo arbitrale sia stato reso «in circostanze che non avrebbero consentito l’adozione di una decisione giudiziaria nel rispetto delle disposizioni e degli obiettivi fondamentali» del regolamento Bruxelles I. In particolare, nel ragionamento della Corte, un’interpretazione in chiave teleologica dell’art. 34 del reg. Bruxelles I (in cui assumono rilievo centrale gli obiettivi fondamentali del regolamento, tra cui la libera circolazione delle decisioni, la prevedibilità e certezza del diritto, la minimizzazione del rischio di giudicati contrastanti, nonché il principio di fiducia reciproca tra i giudici degli Stati membri e il diritto al ricorso effettivo a un giudice imparziale) impedisce che una sentenza resa nei termini di un lodo possa assumere rilievo quale motivo ostativo al riconoscimento, laddove quest’ultimo non sia stato pronunciato «in condizioni almeno altrettanto favorevoli di quelle risultanti dall’applicazione» del regolamento Bruxelles I. Nel caso di specie, la decisione arbitrale sarebbe stata emessa in violazione (a) del precetto secondo cui una clausola di proroga del foro stipulata tra il contraente dell’assicurazione e l’assicuratore non può essere invocata nei confronti della parte danneggiata (punto 60 della sentenza); (b) delle regole sulla litispendenza e, in particolare, dell’art. 27 del reg. Bruxelles I, secondo cui il giudice successivamente adito è tenuto a sospendere d’ufficio il procedimento, finché non sia stata accertata la competenza del giudice adito per primo (punto 69 della sentenza). Il giudice inglese, poi, avrebbe omesso ogni verifica circa il rispetto di tali «obiettivi fondamentali del regolamento». Di conseguenza, la sentenza che riproduce il contenuto di una simile decisione arbitrale non può precludere il riconoscimento di una sentenza emessa in un altro Stato membro, ai sensi dell’articolo 34 n. 3 del reg. Bruxelles I.

Infine, con riguardo al possibile ricorso alla clausola dell’ordine pubblico per rifiutare il riconoscimento della sentenza straniera incompatibile con gli effetti di giudicato prodotti da un lodo arbitrale domestico ovvero da una sentenza nazionale che ne recepisca il contenuto, la Corte ricorda come l’eccezione in questione debba essere interpretata restrittivamente. In linea con le conclusioni dell’Avvocato generale Collins, i giudici di Lussemburgo ritengono che il rispetto del principio del giudicato e, quindi, le limitazioni al riconoscimento che derivano dal possibile contrasto con una decisione interna o straniera trovino una disciplina completa ed esaustiva nell’art. 34 nn. 3 e 4 del reg. Bruxelles I (e, oggi, nell’art. 45 par. 1 lett. c e del reg. Bruxelles I-bis). Ciò, dunque, esclude la possibilità di ricorrere all’eccezione di ordine pubblico di cui all’art. 34 n. 1 del medesimo regolamento per far valere il contrasto con gli effetti di giudicato prodotti da un lodo o dalla sentenza nazionale che ne recepisce il contenuto.

4. Il ragionamento della Corte solleva molti interrogativi e presta il fianco ad alcuni rilievi critici. In questa sede, pare utile soffermarci su tre distinte questioni, relative (i) allo sconfinamento della disciplina di diritto uniforme europeo nell’ambito della materia arbitrale, (ii) all’(in)opportunità di un ricorso alle regole sulla litispendenza per valutare l’idoneità del giudicato interno a precludere il riconoscimento della decisione straniera, (iii) all’interpretazione restrittiva della nozione di ordine pubblico processuale fornita dalla Corte, che, nei fatti, esclude ogni rilevanza degli effetti di res judicata dei lodi arbitrali domestici. 

(i) Con riguardo alla prima questione, come abbiamo visto, la Corte afferma che il «lodo arbitrale può produrre effetti nel contesto dell’art. 34 n. 3 del reg. Bruxelles I, attraverso una sentenza che ne recepisca il contenuto, quando questo […] permetta il raggiungimento degli obiettivi fondamentali [del diritto uniforme europeo] a condizioni almeno altrettanto favorevoli di quelle previste dal regolamento n. 44/2001», per poi sostenere che, nel caso di specie, la decisione degli arbitri non avrebbe potuto formare oggetto di una sentenza nazionale «senza violare due norme fondamentali di tale regolamento riguardanti, da un lato, l’effetto relativo di una clausola compromissoria inserita in un contratto di assicurazione e, dall’altro, la litispendenza» (punti 58 e 59 della sentenza). Tralasciando ogni considerazione in merito al fatto che, aggiungendo in via interpretativa una condizione non prevista dalla lettera della legge per l’operatività dell’art. 34 n. 3, si sacrificano in misura non trascurabile gli interessi di armonia e coerenza interna dell’ordinamento dello Stato richiesto, è evidente che una simile impostazione comporta, seppur indirettamente, uno «sconfinamento» della disciplina di diritto uniforme europeo nell’ambito della materia arbitrale. Nell’interpretare la portata dei limiti al riconoscimento delle decisioni straniere, infatti, i giudici di Lussemburgo individuano i principi e gli obiettivi fondamentali del regolamento, il cui rispetto è considerato quale condizione essenziale perché la decisione interna possa assumere rilevanza ai fini dell’art. 34 n. 3. Ciò porta la Corte a utilizzare le regole sviluppate all’interno del sistema di Bruxelles in chiave estroversa per determinare l’idoneità del giudicato interno a costituire un ostacolo alla circolazione delle sentenze straniere, così finendo per valutare l’operato del tribunale arbitrale e del giudice inglese alla luce di una disciplina che, dichiaratamente, non dovrebbe applicarsi al procedimento arbitrale e al riconoscimento ed esecuzione dei lodi.

Che si realizzi una certa sovrapposizione tra la disciplina di diritto uniforme dell’Unione e l’arbitrato non sorprende. L’esclusione della materia arbitrale dal campo di applicazione del regolamento non dipende, infatti, dalle caratteristiche proprie del bene della vita oggetto di contesa, quanto piuttosto dalla scelta delle parti di sottrarre la controversia alla cognizione del giudice civile. Di conseguenza, fintanto che non si sia accertata la validità o l’operatività dell’accordo arbitrale la disciplina di diritto uniforme europea rimane «virtualmente» applicabile (v. Salerno, p. 1152). E tuttavia, talune osservazioni della Corte vanno ben al di là di una considerazione delle regole che sarebbero applicabili in assenza di un accordo compromissorio e interessano direttamente aspetti che, anche in base a quanto stabilito dal considerando n. 12 del regolamento Bruxelles I-bis, esulano dall’ambito della disciplina uniforme dell’Unione. 

In particolare, sulla scorta di un parallelismo tra clausola arbitrale e accordi di proroga del foro, la Corte arriva a pronunciarsi sull’estensione dell’ambito di operatività dell’accordo compromissorio, stabilendo che una clausola inclusa in un contratto di assicurazione non possa estendersi anche alla parte danneggiata. Questo nonostante la disciplina della validità ed estensione delle clausole compromissorie sia pacificamente esclusa dal campo di applicazione del regolamento. Allo stesso modo, per quanto l’ultimo paragrafo del considerando n. 12 stabilisca che il regolamento non si applica alle cause riguardanti il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi, con la conseguenza che il relativo procedimento è disciplinato in via esclusiva dal diritto processuale comune dello Stato richiesto, la Corte sostiene che «spetta all’organo giurisdizionale adito allo scopo di emettere una sentenza che recepisce il contenuto di un lodo arbitrale verificare che le disposizioni e gli obiettivi fondamentali del regolamento n. 44/2001 siano stati rispettati, al fine di evitare un’elusione di tali disposizioni e obiettivi» (punto 71 della sentenza, enfasi aggiunta) e contesta al giudice inglese di aver omesso ogni verifica circa il rispetto di tali «obiettivi fondamentali del regolamento» in sede di emanazione della sentenza ex art. 66(2) dell’Arb. Act 1996.

Ciò che desta le maggiori perplessità, tuttavia, è l’estensione ai procedimenti arbitrali delle regole sulla litispendenza elaborate nell’ambito del sistema di Bruxelles e, in particolare, dell’art. 27 par. 1 del reg. Bruxelles I, ai sensi del quale, in caso di litispendenza, il giudice successivamente adito deve sospendere il procedimento nell’attesa che il giudice adito per primo si pronunci sulla propria competenza. Come noto, tale disciplina si fonda sul principio di fiducia reciproca tra i giudici degli Stati membri e, pacificamente, non si applica nel caso in cui il medesimo procedimento penda contemporaneamente davanti a un giudice di uno Stato membro e a un tribunale arbitrale. In sede di revisione del regolamento Bruxelles I, in realtà, la Commissione aveva avanzato una proposta volta a disciplinare le ipotesi di litispendenza in questione. In particolare, si suggeriva l’adozione di una regola secondo cui: «Qualora la sede dell’arbitrato concordata o designata si trovi in uno Stato membro, il giudice di un altro Stato Membro la cui incompetenza sia eccepita in base a una convenzione arbitrale sospende il procedimento non appena il giudice dello Stato membro in cui si trova la sede dell’arbitrato o il tribunale arbitrale sia stato investito di un procedimento diretto ad accertare, in via principale o incidentale, l’esistenza, la validità o l’efficacia della convenzione arbitrale». Sebbene il testo della proposta presentasse taluni difetti di formulazione che avrebbero potuto dar adito a fraintendimenti (v. sul punto Benedettelli), l’introduzione di una simile regola avrebbe certamente contribuito a chiarire un aspetto importante nei rapporti tra giurisdizione civile e arbitrato (v. più ampiamente sulle conseguenze che avrebbe portato l’approvazione della proposta, Radicati di Brozolo e Illmer). Tuttavia, essa ha incontrato le resistenze della comunità arbitrale e di diversi Stati membri ed è stata, quindi, accantonata dal Parlamento europeo (v. De Santis). Di conseguenza, ad oggi, la materia è lasciata alla disciplina di diritto comune dei singoli Stati membri. A fronte di un simile quadro, desta perplessità un’assunzione delle regole sulla litispendenza previste dal regolamento di Bruxelles I quale parametro per valutare l’idoneità del giudicato arbitrale a costituire un ostacolo alla circolazione delle sentenze straniere, facendo leva sui principi e gli obiettivi fondamentali della disciplina uniforme. Tanto più che tali regole sono oggi superate dalle nuove disposizioni introdotte dal regolamento Bruxelles I-bis che, in deroga alla regola della prevenzione, attribuiscono al solo foro prorogato la competenza a giudicare della validità della proroga (art. 31). Ulteriore motivo di perplessità è rappresentato dal fatto che, nel ragionamento della Corte, tali regole dovrebbero applicarsi in via unilaterale, cioè solo per impedire la prosecuzione dell’arbitrato iniziato dopo il procedimento civile e non viceversa. Infatti, se l’art. 27 par. 1 del reg. Bruxelles I è utilizzato in chiave estroversa per determinare se e quando il lodo arbitrale può precludere la circolazione delle sentenze straniere, è da escludere che, a parti invertite, tale disposizione possa imporre al giudice di uno Stato membro di sospendere il procedimento nell’attesa che il tribunale arbitrale si pronunci sulla validità ed efficacia dell’accordo compromissorio (né, a maggior ragione, pare possibile estendere alle ipotesi di litispendenza tra giudizio civile e arbitrato la previsione del regolamento Bruxelles I-bis, che attribuisce al giudice del foro prorogato la competenza a pronunciarsi sulla validità ed efficacia dell’accordo, come invece sembra suggerire Cuniberti). 

(ii)  Con riguardo alla seconda questione, anche laddove si dovesse ritenere opportuna un’estensione unilaterale della disciplina della litispendenza ai procedimenti arbitrali, l’assunzione della stessa quale parametro per valutare l’idoneità del giudicato interno a precludere il riconoscimento delle decisioni straniere, sul presupposto che la riduzione del rischio di procedimenti paralleli sia uno degli obiettivi e dei principi alla base del sistema Bruxelles, non pare coerente con il sistema delineato dalla disciplina di diritto uniforme in tema di circolazione delle decisioni all’interno dell’Unione. 

Come già ricordato, il motivo ostativo al riconoscimento previsto dall’art. 34 n. 3 del reg. Bruxelles I mira a tutelare l’armonia e la coerenza dell’ordinamento giuridico dello Stato richiesto. A questo scopo, la disposizione in parola impedisce l’ingresso di decisioni inconciliabili con il giudicato interno, assumendo una nozione di incompatibilità alquanto ampia (v. sentenza Hoffmann/Krieg) e senza prevedere (quantomeno esplicitamente) alcun requisito di priorità temporale (v. D’Alessandro, p. 243 ss.). L’art. 34 n. 4, al contrario, dispone che il riconoscimento della sentenza straniera possa essere rifiutato in caso di contrasto «con una decisione emessa precedentemente tra le medesime parti in un altro Stato membro o in un paese terzo, in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo, sempre che tale decisione soddisfi le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello Stato membro richiesto» (enfasi aggiunta). La previsione, evidentemente più restrittiva (giacché presuppone non già una generica incompatibilità tra pronunce, ma un vero e proprio contrasto tra giudicati), assume quale criterio di preferenza la data di emissione delle decisioni: a fronte di due sentenze straniere contrastanti, sarà riconosciuta la decisione emessa per prima. Laddove le decisioni incompatibili provengano da due Stati membri differenti, ciò significa, con tutta evidenza, che il meccanismo della litispendenza previsto dai regolamenti non ha funzionato, vuoi perché non è stata sollevata l’eccezione di litispendenza, vuoi perché uno dei due giudici ha applicato in modo errato le relative disposizioni. Tuttavia, ai fini del riconoscimento a nulla rileva quale tra i due giudici sia stato adito per primo, né se siano state violate le regole sulla litispendenza (anzi, in virtù del principio di reciproca fiducia, al giudice del riconoscimento è di regola preclusa ogni valutazione in merito alla competenza giurisdizionale del giudice che ha reso la decisione, v. in questo senso la sentenza Liberato). 

In questo contesto, appare allora chiaro che fintantoché i due procedimenti siano entrambi pendenti, l’obiettivo di minimizzazione dei rischi di contrasto tra giudicati è perseguito attraverso l’impiego delle regole in materia di litispendenza. Non appena uno dei due procedimenti arrivi a conclusione, tali regole “escono di scena”, lasciando il posto alla disciplina sul riconoscimento delle decisioni. È, allora, evidente l’incoerenza di una regola, ricavata in via interpretativa, in forza della quale la violazione della disciplina sulla litispendenza da parte del tribunale arbitrale – o, meglio, l’ipotizzata elusione indiretta di regole che di per sé non dovrebbero nemmeno trovare applicazione – possa assumere rilievo ai fini dell’art. 34 n. 3 del reg. Bruxelles I, quando questo non accadrebbe in caso di contrasto tra sentenze straniere.

(iii) Infine, come abbiamo visto, la Corte esclude che il giudice inglese possa ricorrere all’eccezione di ordine pubblico per opporsi al riconoscimento della sentenza spagnola in ragione del contrasto con gli effetti di giudicato prodotti dal lodo e dalla sentenza nazionale che ne recepisce il contenuto, ritenendo che le limitazioni alla circolazione delle sentenze per contrasto con il giudicato interno trovino una disciplina completa ed esaustiva nell’art. 34 n. 3 del reg. Bruxelles I (e, oggi, nell’art. 45 par. 1 lett. c del reg. Bruxelles I-bis). Senonché, tale ragionamento pare non considerare che la disposizione in parola non copre tutto lo spettro delle decisioni interne che, secondo il diritto nazionale, producono effetto di res judicata. In particolare, secondo quanto sostenuto dalla più parte della dottrina (v. ex multis Tonolo p. 1292), essa non si applica ai lodi domestici. 

E in effetti, come abbiamo visto, nel valutare l’idoneità del giudicato interno a precludere il riconoscimento della decisione spagnola ai sensi dell’art. 34 n. 3, la Corte (come d’altronde anche il giudice del rinvio) prende in considerazione unicamente la sentenza inglese resa nei termini del lodo arbitrale. I giudici non si interrogano, invece, sulla possibilità di qualificare il lodo in quanto tale come «decisione emessa […] nello Stato membro richiesto». Le ragioni di una simile esclusione sono dibattute in dottrina (per una sintesi delle diverse posizioni, v. D’Alessandro, spec. p. 243 n. 9). Secondo noi, tale scelta non pare potersi giustificare in ragione dell’esclusione della materia arbitrale dal campo di applicazione del regolamento, giacché, altrimenti, lo stesso ragionamento dovrebbe impedire anche alla sentenza resa ai sensi dell’art. 66(2) dell’Arb. Act 1996 di operare come potenziale ostacolo al riconoscimento di una sentenza resa in un altro Stato membro ai sensi dell’art. 34 n. 3 del reg. Bruxelles I (e invece come abbiamo appena visto, la Corte ritiene che il fatto che la decisione riguardi o meno una materia inclusa nell’ambito di applicazione del regolamento non esclude in linea di principio che essa rilevi ai fini dell’art. 34 n. 3, ma vedi sul punto anche quanto sostenuto da Menétrey e Racine, p. 35). La mancata considerazione del lodo arbitrale nel contesto della disposizione in parola potrebbe, invece, dipendere dalla definizione di «decisione» fornita dal regolamento, quale «decisione emessa da un giudice di uno Stato membro» (art. 32 reg. Bruxelles I e, ora, art. 2 lett. a reg. Bruxelles I-bis, enfasi aggiunta). 

Ad ogni modo, quale che sia la ragione di una simile esclusione, essa lascia impregiudicata la problematica relativa alla possibile incompatibilità della decisione straniera con la decisione arbitrale. A ben vedere, infatti, anche in questo caso sussiste l’esigenza di garantire l’armonia e la coerenza interna dell’ordinamento, quantomeno laddove gli Stati equiparino gli effetti di giudicato del lodo a quelli prodotti dalla sentenza nazionale (sul punto ci sia consentito fare riferimento a Grassi, p. 101 ss.). Appare quindi riduttivo sostenere che le limitazioni al riconoscimento per contrasto o incompatibilità con il giudicato interno trovino una disciplina esaustiva nell’art. 34 n. 3 del reg. Bruxelles I (o nell’art. 45 par. 1 lett. c del reg. Bruxelles I-bis). Al contrario, sembra preferibile la lettura di quella parte di dottrina secondo cui il rispetto del principio del giudicato può assumere rilievo quale contenuto dell’ordine pubblico processuale dello Stato richiesto, ai sensi dell’art. 34 n. 1 del reg. Bruxelles I (o 45 par. 1 lett. a del reg. Bruxelles I-bis, v. Leandro, “Arbitrato e giurisdizione statale: coabitazione (dis)armonica nello spazio giudiziario europeo anche con l’avvento del regolamento UE n, 1213/2012” , in Biagioni, p. 134, Pintaldi). In caso contrario, d’altronde, non sarebbe mai possibile rifiutare il riconoscimento di una sentenza straniera emessa in un altro Stato membro, per incompatibilità con il dictum della decisione arbitrale.

5. Secondo la Corte di giustizia, dunque, l’emanazione di una sentenza nei termini di un lodo non può precludere il riconoscimento di una decisione resa in un diverso Stato membro, laddove il lodo sia stato reso secondo modalità che contrastano con i principi fondamentali del regolamento Bruxelles I (o I-bis). Con tutta evidenza, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea diminuisce la portata pratica di una tale decisione per l’ordinamento inglese: al di fuori della vicenda processuale in esame, i giudici inglesi potranno continuare a rifiutare il riconoscimento delle sentenze straniere in ragione del contrasto con il giudicato arbitrale, indipendentemente da ogni considerazione in merito al rispetto dei principi fondamentali del c.d. sistema Bruxelles (sulle conseguenze della c.d. Brexit in materia di riconoscimento delle sentenze straniere e arbitrato, v. ex multis HartleyBriggs). All’interno dello spazio giudiziario europeo, invece, la decisione in commento potrebbe assumere una portata ben più significativa. 

Al riguardo occorre distinguere a seconda che il contrasto della sentenza straniera oggetto di riconoscimento si prospetti con una sentenza che dia attuazione a un lodo domestico (cioè reso da un tribunale avente sede nello Stato membro richiesto) o, invece, con un lodo straniero. Nel primo caso, sembrano dover trovare applicazione – mutatis mutandis, a seconda dei diversi procedimenti attraverso cui viene data esecuzione ai lodi – i medesimi principi enunciati dalla Corte nella sentenza in commento. L’incompatibilità con la decisione arbitrale o con l’eventuale sentenza nazionale che ne recepisca il contenuto non potrà costituire motivo di diniego del riconoscimento di una decisione proveniente da un diverso Stato membro, ogniqualvolta il lodo sia stato reso in circostanze che non avrebbero consentito l’adozione di una decisione giudiziaria nel rispetto delle disposizioni e degli obiettivi fondamentali del regolamento Bruxelles I-bis, come individuati dalla Corte.Nel secondo caso, invece, laddove si tratti di valutare la compatibilità della decisione resa dal giudice di uno Stato membro con il lodo straniero, il discorso è parzialmente diverso, giacché viene in rilievo la clausola di non pregiudizio della Convenzione di New York del 1958, di cui all’art. 73 par. 2 del reg. Bruxelles I-bis. Come correttamente indicato dalla dottrina, peraltro, la disposizione in parola non significa che il lodo arbitrale straniero prevalga sempre e comunque sulla decisione resa in un diverso Stato membro (v. per tutti Leandro, op. ult. cit., p. 133 e Zarra). Al contrario, sull’assunto che il principio della res judicata assuma rilievo quale contenuto dell’ordine pubblico processuale dello Stato richiesto, il conflitto tra giudicati in questione dovrà essere risolto secondo un criterio di priorità temporale (avendo riguardo alla data in cui sono state emesse o riconosciute le rispettive decisioni). Tanto la Convenzione di New York del 1958 quanto il regolamento Bruxelles I-bis permettono, infatti, di rifiutare il riconoscimento del lodo o della decisione straniera per contrasto con l’ordine pubblico. Se, dunque, si chiede il riconoscimento di un lodo arbitrale dopo che la sentenza straniera abbia acquisito efficacia di giudicato (per effetto del suo riconoscimento automatico di cui al regolamento Bruxelles I-bis), questo andrà rifiutato ai sensi dell’art. V par. 2 let. b della Convenzione di New York. Viceversa, laddove la pronuncia straniera sia stata pronunciata dopo che nello Stato richiesto sia già stato riconosciuto un lodo straniero, il riconoscimento o l’esecuzione della sentenza dovrà essere rifiutato in base all’art. 45 par. 1 lett. a. Né si potrebbe obiettare, in una simile ipotesi, che il giudice dello Stato richiesto non abbia considerato i principi e gli obiettivi fondamentali della disciplina uniforme europea in sede di riconoscimento del lodo straniero, giacché tale procedimento è regolato dalla Convenzione di New York del 1958, che, come detto, prevale sul regolamento, giusto il disposto dell’art. 73 par. 2. Certo, tali conclusioni rendono ancora più evidenti le incongruenze insite nella decisione in commento, giacché, nei fatti, sarà più facile rifiutare il riconoscimento di una sentenza straniera resa da un giudice di uno Stato membro per il suo contrasto con un lodo straniero, piuttosto che in ragione dell’incompatibilità con il lodo domestico.

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Michele Grassi

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