diritto internazionale pubblico

LE VICENDE DEGLI ACCORDI DI ISTANBUL SUL TRAFFICO INTERNAZIONALE DI GRANO DAI PORTI UCRAINI E IL LORO IMPATTO SULLA SICUREZZA ALIMENTARE INTERNAZIONALE

Claudio Di Turi (Università della Calabria)

Tra gli effetti più devastanti del conflitto armato internazionale scoppiato nel febbraio 2022 a seguito dell’aggressione all’Ucraina (tra i maggiori esportatori mondiali di prodotti cerealicoli) da parte della Federazione russa, condannata con una risoluzione adottata a larghissima maggioranza dall’Assemblea generale dell’ONU, vi sono le ripercussioni sulla sicurezza alimentare internazionale: sin dalle prime fasi delle operazioni militari, essa è apparsa minacciata da specifici metodi di condotta delle ostilità attuati dalla Marina militare di Mosca, quali la posa di mine nelle acque antistanti i porti dell’Ucraina e il blocco delle sue coste. Ne derivava una drastica riduzione della quantità di grano disponibile per la popolazione ucraina, il crollo delle esportazioni di beni cerealicoli, l’aumento del prezzo sui mercati internazionali e continue interruzioni delle catene di approvvigionamento.

Al fine di scongiurare una crisi alimentare mondiale, su iniziativa delle Nazioni Unite il 22 luglio 2022 a Istanbul veniva firmata la c.d. Initiative on the Safe Transportation of Grain and Foodstuffs from Ukrainian ports (l’Initiative) di cui sono parti contraenti la Turchia, la Federazione russa e l’Ucraina (art. 1) e che si basa (art. 2) sugli obblighi esistenti per i firmatari in materia di tutela della navigazione del naviglio mercantile: la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare del 1974 e il Codice internazionale per la sicurezza delle navi e degli impianti portuali, che ne costituisce emendamento (entrambi adottati dall’Organizzazione marittima internazionale).

L’Initiative consta di due strumenti giuridici distinti ancorché funzionalmente connessi e che, in quanto tali, possono considerarsi un single package: il primo, firmato dal Segretario generale dell’ONU, dal Ministro della Difesa russo e dal Ministro della Difesa turco; il secondo, dal Segretario Guterres, dal Ministro della Difesa turco e dal Ministro delle Infrastrutture ucraino. Per agevolare la ripresa della navigazione sicura dai porti ucraini sul Mar Nero di grano, prodotti cerealicoli e fertilizzanti (art. 3), le Parti contraenti hanno istituito un Joint Coordination Centre composto da loro rappresentanti, cui è affidato il compito di coordinare l’Initiative, condurre ispezioni sul naviglio e autorizzarne il percorso lungo corridoi marittimi concordati tra le Parti: queste dovranno astenersi da attività militari  al fine di evitare pericolosi incidenti (artt. A-G). Di centrale importanza è l’art. H del documento che, nel prevedere un termine di efficacia di 120 giorni dalla data della firma, ammette che esso possa essere prorogato «unless one of the Parties notifies the other of the intent to terminate the initiative, or to modify it».

Contemporaneamente all’Initiative, la Federazione russa firmava un Memorandum of Understanding (MoU) con il Segretariato ONU che impegnava le Nazioni Unite a facilitare l’accesso ai mercati internazionali di cibo e fertilizzanti provenienti dalla Russia (art. 2) esentando tali beni dal regime sanzionatorio imposto a Mosca in conseguenza dell’invasione; per parte sua, Mosca prometteva di non ostacolare l’esportazione di cibo e fertilizzanti dai porti ucraini (art. 1).

Nonostante le forti aspettative riposte dalla Comunità internazionale sull’Initiative e sul MoU quali strumenti fondamentali per il mantenimento della sicurezza alimentare, le vicende che ne hanno caratterizzato la fase operativa hanno rivelato l’intrinseca fragilità dei meccanismi in essi predisposti a causa della mancata previsione di procedimenti formali di soluzione delle controversie derivanti dall’ interpretazione e attuazione dei due accordi. Né, a riguardo, può riporsi eccessivo affidamento sull’attività di assistenza nell’attuazione dell’Initiative svolta dal Segretario generale ONU (art. 4 del documento), come pure sulle consultazioni tra ONU e Russia previste dall’art. 5 del MoU in caso di divergenze tra le Parti sulla sua interpretazione ed esecuzione. Come vedremo, (anche) la debolezza di tali procedure è stata all’origine di interpretazioni unilaterali da parte della Federazione russa che hanno condizionato fortemente la fase operativa dei due accordi.

Prima di affrontare queste problematiche, sembra tuttavia opportuno soffermarsi sulla natura giuridica degli strumenti sottoscritti a Istanbul. Con particolare riferimento all’Initiative, essacostituisce a mio avviso un vero e proprio trattato internazionale ex art. 2, par. 1, a della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (CVDT) e come tale è dotato di efficacia giuridica tra le Parti qualunque ne sia la denominazione poiché, come ha  chiaramente affermato la Corte internazionale di giustizia nei casi South West Africa  « Terminology is not a determinant factor as to the character of an international agreement or undertaking» (p. 331).Non osta all’assimilabilità a un vero e proprio accordo internazionale la sua mancata registrazione ex art. 102, par. 1 della Carta ONU e 80 CVDT presso il Segretariato delle Nazioni Unite poiché, secondo la Corte de l’Aja nell’affare Maritime Delimitation and Territorial Questions between Qatar and Bahrain, Jurisdiction and Admissibility (par. 29) a proposito di accordi internazionali non registrati, tale mancato adempimento «[…] does not have any consequence for the actual validity of the agreement, which remains no less binding upon the parties». Peraltro vi sono ulteriori elementi, di carattere testuale, che depongono nel senso dell’obbligatorietà giuridica dell’Initiative. Richiamando la sentenza Aegean Sea Continental Shelf (Greece v. Turkey), in cui la Corte internazionale di giustizia ha affermato che per determinare la natura giuridica di un atto è necessario avere riguardo «[…] above all to its actual terms and to the particular circumstances in which it was drawn up» (par. 96, corsivo mio), si può presumere che l’impiego nell’art. 5 dell’Initative della locuzione «[…] the Parties agree as follows» manifesti chiaramente la loro volontà di vincolarsi reciprocamente. Inoltre, al reiterato riferimento alle “Parti” (in luogo di “participanti”) contenuto nel documento, fa da contraltare la precisazione contenuta nell’art. 4 del MoU che esso «[…] is not an international treaty and does not establish any rights or obligations under the international law»: l’assenza di analoga disposizione nell’Initiative è un chiaro indice della sua natura giuridica obbligatoria.

La qualificazione giuridica dell’Initiative come accordo internazionale vincolante per le Parti ci consente di valutarne le vicende non solo alla luce del già cit. art. H, ma anche delle pertinenti disposizioni della CVDT: viene così in rilievo, anzitutto, la sospensione unilaterale effettuata dal Presidente Putin nell’ottobre 2022 giustificata alla luce di un presunto danneggiamento da parte dell’esercito di Kiev di infrastrutture civili russe, cui fece seguito una ripresa di efficacia dell’accordo nelle settimane successive. Se la condotta russa non appare giustificata dall’art. H dell’Initiative, che non disciplina ipotesi di sospensione, resta da verificare se essa possa eventualmente  ammettersi alla luce degli articoli 57, b della CVDT (che prevede la sospensione nei confronti di tutte le parti o di una determinata parte in ogni momento con il consenso di tutte e previa loro consultazione) e 60, par. 2, b dello stesso strumento che disciplina la sospensione dell’accordo da parte del contraente specialmente danneggiato dalla violazione solo nelle relazioni fra esso e lo Stato autore dell’infrazione: norma che la Corte internazionale di giustizia nel parere consultivo relativo all’affare Namibia ha ritenuto « in many respects » codificativa del diritto internazionale generale in materia.  Anche se fosse stata provata la violazione di una disposizione essenziale da parte dell’Ucraina dell’Initiative, la sospensione unilaterale operata da Mosca quale Parte avente un interesse  particolare all’esecuzione dell’obbligo non è conforme agli adempimenti procedurali di cui agli art. 57 lett. b e 65, par. 1 della CVDT. In particolare quest’ultima disposizione, frutto dell’esigenza di assicurare adattabilità e stabilità nelle relazioni contrattuali tra Stati (A. Ciampi, Invalidity and Termination of Treaties and Rules of Procedure, in E. Cannizzaro (ed.), The Law of Treaties Beyond the Vienna Convention, Oxford, 2011, p. 360) obbliga la parte contraente a notificare alle altre la propria decisione di sospendere l’applicazione del trattato indicando il provvedimento previsto e le ragioni che l’hanno determinato: ma tale obbligo non risulta essere stato osservato dalla Federazione russa nei confronti delle altre parti contraenti. Se pure Ankara non ha ratificato la CVDT, in un noto passaggio della sentenza resa nell’affare relativo al progetto Gabčίkovo-Nagymaros (Ungheria c. Slovacchia), la Corte internazionale di giustizia ha affermato (par. 109) che l’articolo 65 della CVDT «[…] if not codifying customary law, at least generally reflect customary international law and contain certain procedural principles which are based on an obligation to act in good faith»: è possibile, pertanto, sostenere che l’obbligo ex art. 65, par. 1 ha natura consuetudinaria  e in quanto tale s’impone alla Russia che lo violato.

Il contesto fattuale appena descritto è mutato radicalmente il 17 luglio 2023 giorno in cui l’Initiative, in mancanza di un rinnovo del termine di 120 giorni ivi previsto, ha cessato di produrre i propri effetti giuridici. Invocando genericamente il mancato rispetto del package negoziale, la portavoce del Ministero degli Esteri russo Zakharova comunicava che il proprio Governo aveva « notified » alle altre Parti contraenti, così come al Segretariato ONU, «its objections to the agreement extension»; per parte sua, il portavoce del Presidente Putin, Peskov, affermava che «the Black Sea agreements have ceased to be in force today», ma che «as soon as the Russian part of the agreements is fulfilled, the Russian side will return to the implementation of this agreement, immediately». Si tratta, evidentemente, di due prese di posizione contraddittorie che mescolano argomenti volti a giustificare sia l’estinzione dell’accordo, che la sua sospensione. Non meno incerte circa l’esatta qualificazione giuridica del punto di vista ufficiale russo risultavano le dichiarazioni diffuse lo stesso giorno da parte del Segretario generale ONU Guterres, che lo condannava come manifestazione della volontà di estinguere l’accordo, e del portavoce del Presidente dell’Assemblea generale, secondo cui esso evidenziava la determinazione di  recedere dall’Initiative. L’ambiguità della nota ufficiale russa non veniva dissipata neanche da un successivo comunicato ufficiale del Ministero degli Esteri di Mosca. In esso, si contesta la presunta violazione da parte ucraina e dei Paesi occidentali della lettera e dello spirito esclusivamente umanitari dell’Initiative, strumento che sarebbe stato finora utilizzato da tali soggetti per il commercio del grano a scopi puramente lucrativi, nonostante statistiche UNCTAD evidenzino come a trarre i maggiori benefici dalle esportazioni di cibo e grano siano stati i Paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda il MoU, nel criticarne l’idoneità a conseguire gli obiettivi preposti, Mosca lamenta il mantenimento del sistema sanzionatorio riguardo a prodotti alimentari e fertilizzanti russi a dispetto degli impegni assunti dai Paesi occidentali e la mancata riconnessione della Russian Agricultural Bank al sistema SWIFT per i pagamenti internazionali. In conseguenza di ciò il Ministero degli Esteri della Federazione russa, richiamando l’articolo H dell’Initiative, informava di avere notificato al Segretariato ONU, all’Ucraina e alla Turchia la volontà di revocare le garanzie di navigazione nel Mar Nero interrompendo contestualmente la propria partecipazione al Joint Coordination Center, sì che l’Initiative «will cease to operate as of July 18». Si tratta, prima facie, di una dichiarazione con cui la Federazione russa considera estinto l’accordo in virtù di una violazione di più disposizioni di esso sia da parte ucraina che dei Paesi occidentali.

Lo Statement del Ministero degli Esteri russo si presta a più di un’osservazione critica. Anzitutto, esso imputa violazioni dell’intero pacchetto negoziale di Istanbul (anche) a soggetti (i Paesi occidentali) che non ne sono formalmente parti: è vero che secondo l’art. 2, par. del MoU il Segretariato ONU s’impegna «to engage relevant authorities» ad esentare cibo e fertilizzanti russi dalle sanzioni imposte a Mosca, ma ciò non vale a elevare i Paesi che sostengono l’Ucraina a rango di Parte contraente di tale impegno. La nota ufficiale della diplomazia russa, inoltre, non specifica se la notifica sia stata effettuata alle controparti in forma scritta come richiesto dall’art 67 della CVDT (il rispetto della forma scritta è da considerarsi obbligo di natura consuetudinaria secondo M. Buscemi, L. Marotti, Obblighi procedurali e conseguenze del recesso dai trattati: quale rilevanza della Convenzione di Vienna nella prassi recente? in Rivista di diritto internazionale, 2019, p. 943 ss., p. 946). Vero è che il documento indica la misura proposta e le ragioni di essa: ciò può lasciare presumere che la notifica sia stata effettivamente redatta nel rispetto della prescritta formalità. V’è però da domandarsi se le dichiarazioni contenute nello Statement non possano essere interpretate anche in senso diverso, ossia volte a sospendere temporaneamente l’efficacia dell’Initiative. Ciò perché nel documento si legge che «Russia will be ready to consider resuming the deal», se i Paesi occidentali eseguiranno in buona fede gli impegni assunti in tema di sanzioni sui prodotti alimentari e i fertilizzanti russi destinati all’esportazione. Anche in questo caso viene implicitamente attribuita in modo indebito la qualità di parte a soggetti estranei al pacchetto negoziale di Istanbul, laddove sarebbe stato giuridicamente più corretto imputare alla sola Ucraina la violazione di disposizioni essenziali dell’Initiative al fine d’invocare quale parte specialmente colpita la sospensione dell’applicazione dell’accordo ex art. 60, par. 2, b della CVDT nelle relazioni tra i due Stati.

Andando oltre la lettera dello Statement ciò che merita di essere evidenziata è, paradossalmente, la condotta delle altre Parti contraenti che – formulate le rituali critiche alla condotta russa manifestate dall’Ucraina – hanno rinunciato a esprimere obiezioni ex art. 65 par. 3 della CVDT attraverso cui pervenire alla ricerca di una soluzione ex art. 33 della Carta ONU (sui caratteri di tale procedura v., in generale, P. De Sena, M. Starita, Corso di diritto internazionale, Bologna, 2023 p. 84): la loro mancata formulazione è a mio avviso indice che esse ritengono l’Initiative sospesa nella speranza di un ritorno immediato di Mosca al tavolo negoziale. Tale aspettativa potrebbe risultare subito frustrata, ove si consideri che la Russia non ha comunque atteso i tre mesi stabiliti nell’art. 65 par. 2 per redigere con le forme prescritte dall’art. 67 CVDT lo strumento sospensivo, il cui testo non è stato diffuso. In questo contesto di forte incertezza, il banco di prova per saggiare la disponibilità della Federazione russa a rispettare il principio della buona fede può essere costituito dall’ art. 72, par. 2, della CVDT, secondo cui durante il periodo di sospensione dell’accordo le Parti devono astenersi da qualsiasi azione che tenda ad ostacolare la ripresa dell’applicazione del trattato. Di certo, la proclamata intenzione del Presidente Putin di fornire grano gratuitamente ai Paesi africani, durante il vertice tenutosi a San Pietroburgo del 27-29 luglio con i Capi di Stato e di governo di numerosi Paesi africani, non va in questa direzione

In conclusione, se non è agevole fornire un’interpretazione corretta della reale volontà della Federazione russa in ordine alla prosecuzione dell’impegno pattizio concordato a Istanbul, è da sperare in ogni caso in una sua ripresa di efficacia: tale auspicabile eventualità non attenua comunque la critica alla scelta di Mosca di ottenere quanto previsto negli accordi sul grano con scelte politico-diplomatiche fortemente unilateralistiche che rischiano di compromettere definitivamente la sicurezza alimentare della comunità internazionale, allontanando ulteriormente la prospettiva della cessazione delle ostilità con l’Ucraina.

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