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Stickydiritto dell'Unione europea

Chiara Scissa (Scuola Superiore Sant’Anna) 1. Il 16 novembre scorso, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione) ha, nuovamente, «condannato» l’Ungheria per violazioni del diritto dell’Unione in materia di migrazione e asilo. Il caso (C‑821/19) muove da un ricorso proposto dalla Commissione europea in esito a una procedura di

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diritto dell'Unione europea

Con la recente sentenza nella causa Commissione c. Ungheria (C-78/18), la Corte di giustizia ha accolto il ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione europea contro la legge ungherese (LXXVI del 2017) «sulla trasparenza delle organizzazioni che ricevono sostegno dall’estero». Fulcro dell’intervento legislativo era l’obbligo di registrazione e pubblicazione imposto a tutte le organizzazioni della società civile che beneficiassero di «un apporto di denaro o di altri attivi patrimoniali proveniente direttamente o indirettamente dall’estero» superiore ad una certa soglia annuale (pari a circa 20.800 euro). Tale previsione risultava problematica già in sé, creando un significativo ostacolo alle organizzazioni della società civile per lo svolgimento delle loro funzioni, ma ancor più nel contesto delle ormai note riforme adottate dal governo ungherese di Viktor Orbán negli ultimi anni e volte all’annichilimento di ogni struttura ad argine del potere politico dell’esecutivo; un contesto in cui, tra l’altro, si inseriscono anche le recenti riforme adottate dal governo di Budapest per fronteggiare l’emergenza da Covid-19 (v. Benvenuti su questo blog).

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diritto dell'Unione europeaForum COVID-19

Il post di Simone Benvenuti illustra con grande lucidità le ricadute sulla tutela dello Stato di diritto derivanti dall’adozione della legge organica ungherese n. 12, del 30 marzo 2020, relativa alla protezione contro il Coronavirus. Si tratta di misure abnormi, che non possono certo esser fatte rientrare nel novero delle decisioni che gli Stati dell’Unione sono legittimati ad adottare, in situazioni di emergenza, per derogare all’applicazione del diritto sovranazionale. De Sena ne delinea poi le criticità alla luce della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

In effetti, tali misure, che vanno a sommarsi ad una serie di riforme introdotte nel Paese europeo a partire dal 2011 – l’ultima delle quali, sostanzialmente contestuale alla legge del 30 marzo, volta a proibire la registrazione sui documenti di identità del cambio di sesso –, sembrano dar corpo in via definitiva (o quanto meno per un periodo di tempo indefinito) a quel modello di democrazia illiberale promosso con forza da Viktor Orbán, ponendosi così in netto contrasto con l’impianto valoriale su cui si fonda l’Unione europea (art. 2 TUE).

È dunque opportuno compiere alcune considerazioni sulle conseguenze che rispetto ad esse dovrebbero determinarsi sul piano sovranazionale.

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diritto dell'Unione europeadiritto internazionale pubblicoForum COVID-19

L’esame delle misure di emergenza votate dal Parlamento ungherese accuratamente condotto nel post di Simone Benvenuti induce a svolgere qualche riflessione “a caldo”, anche sulla conformità di dette misure rispetto all’art. 15 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dico “a caldo”, non solo per l’impossibilità di condensare, in poche righe, ed in pochissimo tempo, un’analisi che richiederebbe maggiori approfondimenti; ma anche perché una valutazione precisa di tali misure esigerebbe, evidentemente, di poterne considerare la prassi di attuazione di cui, allo stato, non può ancora disporsi.

Due sono allora gli aspetti di carattere generale sui quali, sin da ora, è possibile articolare qualche riflessione, fermo restando che su ulteriori questioni di tipo più specifico, considerazioni più meditate senz’altro potranno seguire.

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diritto dell'Unione europeadiritto internazionale pubblicoForum COVID-19

Il 30 marzo, il Parlamento monocamerale ungherese (Országgyűlés, o Assemblea Nazionale) ha approvato con una maggioranza di 137 voti a favore e 53 contrari il disegno di legge organica, presentato dieci giorni prima dal Ministro della giustizia Judit Varga (qui il testo del Disegno di legge T/9790 del 20 marzo 2020, in ungherese, qui il testo in inglese), sulle «misure di emergenza necessarie per prevenire ed eliminare l’epidemia causata dall’infezione Covid-19». Per chiarire appieno la portata di questo testo, è opportuno esaminarne i contenuti e l’inquadramento costituzionale, ma anche collocarlo nel più ampio processo di riforma incrementale che l’ordinamento costituzionale ungherese ha conosciuto nell’ultima decade. Sono molti gli ordinamenti che, di fronte alla crisi sanitaria determinata dalla diffusione del Covid-19, hanno infatti subito torsioni, pur mantenendo o recuperando dopo la reazione iniziale un equilibrio istituzionale, ciò che proprio non appare realizzarsi nell’ordinamento ungherese. L’approvazione della legge dello scorso 30 marzo mostra infatti il persistente sbilanciamento in seno all’ordinamento ungherese. Questo, a seguito delle già numerose torsioni che nell’ultimo decennio ne hanno comportato lo sfibramento, sembra ormai aver perso la possibilità di recuperare l’equilibrio originario, e appare ormai oggetto facilmente plasmabile da parte di una volontà politica egemonica.

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diritto dell'Unione europea

Nell’ultimo anno, si sono registrate, da parte delle istituzioni dell’Unione europea (UE), due iniziative rilevanti quanto alla tutela dello Stato di diritto quale valore fondante dell’UE. Il 20 dicembre 2017, la Commissione europea ha attivato la procedura prevista dall’art. 7, par. 1, del Trattato sull’Unione europea (TUE) in relazione ai provvedimenti assunti dal governo e dalla maggioranza parlamentare polacchi, lesivi dell’indipendenza del potere giudiziario (sul punto, v. Kochenov et al. e, in generale, sulla situazione in Polonia, Sadurski e von Bogdandy et al.). Il 12 settembre 2018, il Parlamento europeo ha deciso di fare altrettanto con riferimento all’Ungheria a causa di una serie di problemi inerenti – inter alia – al funzionamento del sistema costituzionale e del sistema elettorale, all’indipendenza della magistratura, alla protezione dei dati personali, alla libertà accademica e di religione, alla tutela dei diritti delle minoranze e dei migranti (al riguardo, v. Bachmann e, per un’introduzione alla situazione dell’Ungheria, Halmai e Sonnevend) Tali scelte, ancorché lodevoli sul piano politico, pongono dei problemi quanto alla loro tempestività – almeno per quel che riguarda l’Ungheria, ove gli inizi della crisi dello Stato di diritto possono essere fatti risalire al 2010 – e alla loro efficacia, data la difficoltà di arrivare a sanzionare effettivamente i due Stati membri per le violazioni del sistema valoriale dell’Unione.

Scopo del presente contributo è individuare e valutare i meccanismi di risposta ai quali potrebbe farsi ricorso nell’ambito dell’UE al fine di assicurare la tutela dello Stato di diritto e, in generale, dei valori su cui si fonda l’UE. Partendo dall’art. 7 TUE, la riflessione intende allargarsi ad altre figure, identificandone i punti di forza e di debolezza. Nelle conclusioni, si sosterrà la tesi che nessuno degli strumenti individuati risulta, da solo, idoneo a proteggere adeguatamente l’assetto assiologico dell’Unione e che, tuttavia, una combinazione degli stessi potrebbe portare a dei risultati convincenti.

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