diritto internazionale pubblico

Caso Marò: l’Italia chiede misure provvisorie ai giudici internazionali (per quel che se ne sa)

Irini Papanicolopulu, Università degli studi di Milano-Bicocca

Dopo anni di negoziati, la vicenda Marò (sulla quale si veda il post di Enrico Milano) ha preso una nuova svolta, con il recente ricorso dell’Italia ai giudici internazionali. Il 26 giugno, l’Italia ha dato inizio al procedimento per la nomina di un tribunale arbitrale, ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS). Poche settimane dopo, il 21 luglio, l’Italia ha chiesto al Tribunale internazionale per il diritto del mare (ITLOS) misure provvisorie ai sensi della UNCLOS. Come si legge nel comunicato stampa del Tribunale, l’Italia chiede le seguenti misure provvisorie:

(a) India shall refrain from taking or enforcing any judicial or administrative measures against Sergeant Massimiliano Latorre and Sergeant Salvatore Girone in connection with the Enrica Lexie Incident, and from exercising any other form of jurisdiction over the Enrica Lexie Incident; and

(b) India shall take all measures necessary to ensure that restrictions on the liberty, security and movement of the Marines be immediately lifted to enable Sergeant Girone to travel to and remain in Italy and Sergeant Latorre to remain in Italy throughout the duration of the proceedings before the Annex VII Tribunal.”

Si tratta del secondo caso in cui uno Stato chiede misure provvisorie all’ITLOS in seguito (anche) all’arresto di persone a bordo di una imbarcazione che batte la sua bandiera. Nel caso Arctic Sunrise, l’Olanda aveva chiesto (ed ottenuto) che la Russia liberasse i membri dell’equipaggio di una nave dell’organizzazione Greenpeace, arrestati in seguito ad azioni rivolte contro una piattaforma petrolifera nella zona economica esclusiva della Russia (ordinanza Arctic Sunrise, primo par. del dispositivo).

Gli atti dei due processi che coinvolgono Italia ed India, incluse le domande iniziali (applications), non sono ancora pubblici, mentre solo informazioni di fonte giornalistica sono disponibili. Non è dato quindi sapere né le esatte richieste dell’Italia nel merito né eventuali obiezioni dell’India.

In attesa di informazioni che permettano di commentare il caso, è tuttavia possibile svolgere qualche considerazione preliminare circa la richiesta di misure provvisorie. Questo post intende soffermarsi brevemente su alcuni punti che emergono dall’ultima richiesta dell’Italia, quella relativa all’indicazione di misure provvisorie nelle more della costituzione del tribunale arbitrale.

La competenza del Tribunale

Come evidenziano dichiarazioni diffuse dall’ANSA, l’India sembra determinata a contestare la competenza del Tribunale. Può farlo? Certamente sì, dato che qualunque Stato compaia davanti ad un giudice internazionale può contestare la giurisdizione di quest’ultimo. Questo è avvenuto fin dal primo caso di richiesta di misure provvisorie. Nel caso Saiga no. 2, nel quale l’ITLOS era stato chiamato a pronunciarsi anche sul merito della controversia, la Guinea contestò la competenza del Tribunale ad adottare misure provvisorie. Ha possibilità di successo? Questo è più dubbio.

Per affrontare la questione della competenza del Tribunale, è bene ricordare le caratteristiche principali dello strumento su cu si fonda. La UNCLOS, adottata nel 1982 in seno ad una apposita conferenza convocata dalle Nazioni Unite, ha come ultimo obiettivo quello di regolare tutte le attività che hanno luogo in mare. A tal fine, la Convenzione non solo contiene numerosi principi e norme di dettaglio che disciplinano nella sostanza queste attività, ma crea anche un complesso istituzionale preposto alla loro effettiva applicazione.

Parte integrante di questo complesso è la Parte XV, dedicata alla soluzione delle controversie. In maniera innovativa per l’epoca in cui fu adottata, la UNCLOS infatti prevede la giurisdizione obbligatoria dei giudici da essa individuati (Art. 286). Ciò comporta che tali giudici – a seconda dei casi, la Corte internazionale di giustizia, il Tribunale internazionale per il diritto del mare o un tribunale arbitrale appositamente costituito – possono decidere una questione su richiesta di una sola parte. Tale competenza è stata vista fin da principio come parte integrante e necessaria della Convenzione, in quanto era evidente che le norme in essa contenute sarebbero state di difficile applicazione in assenza di un giudice competente.

Come ogni innovazione basata su nobili aspirazioni, anche questa dovette scontrarsi con problemi pratici e con la diffidenza degli stati nei confronti di un sistema di soluzione delle controversie diverso da quello allora operante e basato sulla soluzione displomatica. Da ciò naquero una serie di eccezioni elencate agli articoli 297 e 298 UNCLOS. Tuttavia, il desiderio di favorire la soluzione giudiziale delle controversie, ed in particolare di rafforzare il ruolo del nascituro ITLOS, si espresse nell’adozione di alcune procedure che rendono obbligatoria la competenza di quest’ultimo: la procedura di pronto rilascio di navi arrestate (Art. 292), e la procedura per l’indicazione di misure provvisorie (Art. 290), specialmente dell’ITLOS, nelle more della costituzione di un tribunale arbitrale (Art. 290, par. 5). Quest’ultimo è il nostro caso.

Da questa brevissima sintesi si ricavano due elementi importanti. Primo, la soluzione giudiziale era, già nelle intenzioni di coloro che adottarono la Convenzione, il mezzo preferibile per la soluzione delle controversie tra Stati. Secondo, la competenza del Tribunale in materia di misure provvisorie è uno dei pochi casi di competenza obbligatoria del Tribunale stesso. È quindi difficile che il Tribunale – la cui composizione, non si dimentichi, comprende a tutt’oggi alcuni dei negoziatori della UNCLOS – rinunci facilmente all’esercizio della sua giurisidizone. Tant’è che il Tribunale ha sempre deciso a favore della sua competenza, anche nei casi in cui questa era contestata (si veda, da ultimo l’ordinanza nel caso Arctic Sunrise) e anche quando decise che non vi fosse necessità di misure provvisorie, come nel caso M/V Louisa.

I requisiti per l’adozione di misure provvisorie

Come il caso M/V Louisa insegna, un conto è stabilire che il Tribunale abbia competenza a considerare richieste di misure provvisorie, un altro è argomentare a favore dell’adozione delle misure stesse. Occorre quindi valutrare quali sono i requisiti per l’adozione di queste misure. Solo così è possibile avanzare qualche considerazione sul merito di questa richiesta.

Le misure provvisorie ex Art. 290, par. 5 UNCLOS sono peculiari, in quanto sono doppiamente provvisorie. In primis, perchè esse si applicano provvisoriamente, prima della decisione della controversia. Poi, perchè esse vincolano le parti solo fino a quando il tribunale arbitrale, cui compete la decisione del merito, non sia stato costituito. A quel punto, il tribunale arbitrale può confermare, modificare o terminare tali misure (v. per esempio la decisione del tribunale arbitrale nel caso MOX).

Il testo dell’Art. 290 e la giurisprudenza internazionale richiedono univocamente alcuni requisiti per l’adozione delle misure provvisorie. In particolare:

  1. Le misure provvisorie sono facoltative, implicando, dunque, una certa discrezionalità da parte del giudice. L’uso del verbo “may” nell’Art. 290 lo conferma.
  1. Il Tribunale deve essere soddisfatto che il giudice del merito abbia almeno prima facie giurisdizione (v. da ultimo ordinanza nel caso Arctic Sunrise, par. 58). In pratica, il livello di convincimento richiesto è particolarmente basso. Questo non pregiudica una diversa conclusione del tribunale arbitrale, come è effettivamente successo nel caso Southern Bluefin Tuna (v., rispettivamente, ordinanza ITLOS e ordinanza del tribunale arbitrale, para 66).
  1. Vi deve essere urgenza. Come il primo paragrafo dell’Art. 290 specifica, l’urgenza deve riguardare la salvaguardia dei rispettivi diritti rivendicati dalle parti. Questo requisito, nel caso di misure ex Art. 290, par. 5, va letto nel senso che l’urgenza deve riguardare non l’intero periodo del processo, che spesso dura anni, ma quel periodo più breve che è richiesto per la costituzione del tribunale arbitrale. L’urgenza va valutata alla luce degli elementi di ogni singolo caso (ordinanza del Tribunale nel caso Ghana/Costa d’Avorio, par. 42).
  1. Infine, il rischio paventato deve essere reale ed imminente e deve poter creare pregiudizio irreparabile agli interessi di una o di entrambe le parti (ibidem). Anche questi ultimi elementi vanno valutati alla luce del caso concreto.

Come si applicano questi requisiti al caso della Enrica Lexie? Non è facile dare risposta, non essendo possibile valutare la richiesta nel merito dell’Italia, dato che essa non è pubblica. Supponendo tuttavia che l’Italia, nella fase di merito, intenda contestare la legittimità dell’esercizio di poteri giurisdizionali da parte dell’India (che, immagino, includerebbero sia l’arresto, in quanto attività di enforcement, sia l’esercizio di attività giudiziaria da parte dei tribunali indiani) è possibile svolgere alcune considerazioni.

Partendo dal rischio di danno irreparabile, questo sembrerebbe piuttosto chiaro. Se la tesi dell’Italia è che essa, e non l’India, può giudicare i due marò, un eventuale giudizio in India non solo violerebbe i poteri spettanti all’Italia in base al diritto internazionale, ma potrebbe addirittura precludere l’esercizio di tali poteri in futuro, in virtù del principio ne bis in idem. In più, la continua detenzione (o comunque limitazione alla liberta personale) preventiva imposta ai due potrebbe costituire una violazione dei diritti umani, argomento cui il Tribunale sembra prestare particolare attenzione nei casi più recenti (ordinanza Arctic Sunrise, par. 87).

Considerazioni simili si applicano per quel che riguarda l’urgenza delle misure. È chiaro che solo la sospensione dei processi attualmente in corso in India permetterebbe di evitare una decisione pregiudizievole per i motivi sopra ricordati. Tale esigenza sembrerebbe sentita anche dalla Corte Suprema dell’India, che avrebbe accettato la sospensione, in attesa della decisione dei giudici internazionali.

Il punto più complesso, ed anche quello più difficile da valutare in assenza di atti del processo, riguarda l’esistenza di giurisdizione prima facie. Una domanda da parte dell’Italia che tenda all’interpretazione delle norme del diritto del mare circa l’esercizio della giurisdizione penale per atti compiuti da persone a bordo di imbarcazione sembra indubbiamente rientrare tra le questioni relative alla “interpretazione e applicazione” dell’UNCLOS, e come tale rientrerebbe nella competenza dei giudici identificati nella Parte XV UNCLOS a pieno diritto, in base all’Art. 288, par. 1. Si tratterebbe quindi di valutare se vi siano eccezioni (ex Art. 297 e 298) che non permettano, nemmeno prima facie, di stabilire la competenza del tribunale arbitrale.

Quali misure?

Dall’analisi precedente, sembrerebbe quasi certo che il Tribunale si dichiari competente e potrebbe considerarsi probabile che esso decida di indicare alle parti delle misure provvisorie. Come anticipato all’inizio di questo post, l’Italia ha chiesto due tipi di misure: l’interruzione di tutti i procedimenti, giudiziari e amministrativi, e la piena liberazione dei due marò.

Sembrerebbe non esserci dubbio circa la validità della prima richiesta. Tale misura sembra invero già adombrata dalla Corte Suprema dell’India e sarebbe in linea con quelle che sono norme generalmente condivise da più sistemi giuridici in materia di litispendenza.

La seconda richiesta invece potrebbe riservare qualche sopresa. La discrezionalità in materia di misure provvisorie si traduce nella possibilità del giudice di prescrivere misure provvisorie diverse e/o aggiuntive rispetto a quelle richieste. Invero, i giudici internazionali, incluso il Tribunale, hanno spesso usato di questa discrezione. Nel caso Arctic Sunrise, che presenta maggiori punti di contatto con il caso di specie, il Tribunale infatti decise di sottoporre il rilascio delle persone detenute dalla Russia al versamento di una somma di cauzione (ordinanza Arctic Sunrise, par. 94-96). È verosimile che, qualora il Tribunale decida di concedere misure provvisorie, esso opti per una soluzione simile.

I giudici internazionali hanno inoltre spesso attribuito peso alle dichiarazioni unilaterali degli Stati. Se l’Italia dovesse dichiarare che, qualora il tribunale arbitrale dovesse decidere a favore della giurisidizione indiana, essa farebbe rientrare i due marò in India perchè siano processati, questa potrebbe essere considerata dal Tribunale come una promessa, complementare rispetto ad eventuali misure provvisorie decise.

Viceversa, una analoga dichiarazione da parte dell’India potrebbe non ricevere lo stesso trattamento, in quanto essa sarebbe idonea a recare pregiudizio sia all’Italia, che ai due individui coinvolti, limitando loro il godimento di diritti fondamentali. Sarà interessante vedere fino a che punto l’ITLOS seguirà il trend recente che lo vede sempre più impegnato non solo nell’applicazione di norme internazionali interstatali, ma anche nella salvaguardia, seppur indiretta, di diritti individuali. Questa, però, è materia per un altro post…

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