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Le modifiche all’art. 9 della Costituzione e la tutela dell’ambiente nel diritto internazionale umanitario: primi spunti di riflessione

Adriano Iaria (Croce Rossa Italiana)

Con la recente approvazione in doppia lettura del disegno di legge costituzionale volto a modificare gli artt. 9 e 41 della nostra Costituzione, l’Italia fa un passo importante verso la tutela dell’ambiente. In particolare, il testo introduce un nuovo comma all’art. 9 al fine di riconoscere – nell’ambito dei principi costituzionali – la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, e modifica l’art. 41 allo scopo di sancire che l’iniziativa economica non possa svolgersi in maniera tale da cagionare danno alla salute e/o all’ambiente.

La modifica dell’art. 9 della Costituzione in particolare sembra avere un impatto anche sugli obblighi di diritto internazionale umanitario (DIU) gravanti sull’Italia. In particolare, il DIU, nel definire quali mezzi e metodi di combattimento siano leciti e nel proteggere dalle ostilità i beni e le persone che non prendono (più) parte al conflitto, offre una protezione all’ambiente naturale, stante il carattere civile dell’ambiente, come tale degno di una protezione speciale. Infatti, oltre alla più generica applicazione della clausola Martens, il I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra adottato nel 1977 sancisce all’art. 35 il divieto di impiegare mezzi e metodi di combattimento in grado di causare o da cui ci si possa aspettare danni gravi, estesi e durevoli all’ambiente naturale. L’art. 55 del medesimo Protocollo si spinge anche a delineare i confini della protezione dell’ambiente naturale stabilendo un chiaro nesso di causalità tra i danni gravi, estesi e durevoli e la loro capacità di pregiudicare la salute o la sopravvivenza della popolazione, oltre che prescrivere il divieto di attacchi contro l’ambiente naturale a titolo di rappresaglia. Nello stesso anno è stata inoltre adottata la Convenzione ad hoc sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o ad ogni altro scopo ostile.

L’obbligo di proteggere l’ambiente naturale in tempo di conflitto armato è stato ribadito dal principio 24 della Dichiarazione di Rio del 1992 su ambiente e sviluppo sostenibile e dalla Corte internazionale di giustizia nel parere consultivo del 1996 relativo alla Legalità della minaccia o dell’uso di armi nucleari. Sebbene secondo la Corte non esista un divieto assoluto dell’uso dell’arma nucleare, essa ha ribadito come le questioni ambientali costituiscano uno degli elementi da considerare nell’attuazione del diritto internazionale umanitario, richiamando la risoluzione dell’Assemblea generale 47/37 del 25 novembre 1992 sulla tutela dell’ambiente in tempo di conflitto armato, che afferma come la «destruction of the environment, not justified by military necessity and carried out wantonly, is clearly contrary to existing international law».

Sulla scorta di tali posizioni e dell’evoluzione del diritto in materia, la protezione dell’ambiente nei conflitti armati è stata espressamente menzionata nello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale del 1998, quale fattispecie afferente ai crimini di guerra su cui la Corte può esercitare la propria giurisdizione. In particolare, all’art. 8, par. 2, lett. b), punto iv), viene definito crimine di guerra l’atto di «[i]ntentionally launching an attack in the knowledge that such attack will cause incidental loss of life or injury to civilians or damage to civilian objects or widespread, long-term and severe damage to the natural environment which would be clearly excessive in relation to the concrete and direct overall military advantage anticipated». Ciononostante, finora non è stato possibile trovare un consenso, all’interno della Comunità internazionale sulla sussistenza di un vero e proprio crimine di ecocidio, sebbene, nel giugno 2021, un Panel di esperti indipendenti abbia fornito una definizione giuridica di ecocidio proponendo alcuni emendamenti allo Statuto della Corte penale internazionale. Gli esperti hanno definito l’ecocidio come «unlawful or wanton acts committed with knowledge that there is a substantial likelihood of severe and either widespread or long-term damage to the environment being caused by those acts».

Sebbene la protezione dell’ambiente durante i conflitti armati si sia via via consolidata, questa è avvenuta attraverso azioni – Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e parere della CIG – non giuridicamente vincolanti che non hanno sostanzialmente modificato gli obllighi internazionali in capo all’Italia. La recente modifica dell’art. 9 della Costituzione, nello stabilire che la Repubblica «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni» introduce un principio generale che impone una riflessione anche su quanto discusso fin ora. Nel 1986, l’Italia ha ratificato il I Protocollo e contestualmente formulato alcune dichiarazioni, limitando le disposizioni dell’art. 35 alle sole armi convenzionali, escludendo de facto le armi nucleari. Come osservato in dottrina, «[i] Paesi membri della NATO al momento della stipulazione del I Protocollo o dell’adesione ad esso hanno concordato una serie di dichiarazioni interpretative di tenore identico o analogo. In relazione ai mezzi di guerra, tali paesi affermano che le norme introdotte dal I Protocollo sono concepite per applicarsi esclusivamente alle armi convenzionali. In particolare, esse non hanno alcun effetto sul ricorso alle armi nucleari, che non disciplinano né vietano». Secondo la Guida pratica sulle riserve ai trattati, adottata dalla Commissione del diritto internazionale nel 2011, il carattere della dichiarazione unilaterale (unilateral statement) come riserva o come dichiarazione interpretativa (interpretative declaration) è determinata dagli effetti giuridici che lo Stato che ne è l’autore intende produrre. Come ribadito nella Guida, la formulazione o il nome di una dichiarazione unilaterale fornisce un’indicazione del presunto effetto giuridico.

La formulazione della dichiarazione italiana è la seguente: «It is the understanding of the Government of Italy that the rules relating to the use of weapons introduced by Additional Protocol I were intended to apply exclusively to conventional weapons. They do not prejudice any other rule of international law applicable to other types of weapons». Sembra dunque che la dichiarazione italiana voglia produrre effetti giuridici circoscrivendo le disposizioni contenute all’interno del testo pattizio relative a mezzi e metodi di combattimento alle sole armi convenzionali. Alla luce della recente modifica costituzionale dell’art. 9, le dichiarazioni formulate dall’Italia nel 1986 risultano, per la parte relativa al divieto di utilizzare mezzi e metodi di combattimento in grado di causare, o da cui ci si possano aspettare, danni gravi, estesi e durevoli all’ambiente naturale, non coerenti con il principio generale stabilito nel nuovo art. 9 della Costituzione. Il rango costituzionale della norma e il carattere generale di tale principio estendono de facto gli obblighi di tutela dell’ambiente anche nell’utilizzo di armi non convenzionali.

In tale quadro, sarà interessante notare se l’atteggiamento italiano sull’utilizzo di armi non convenzionali – in primis quelle nucleari – muterà in quanto l’eventuale utilizzo di queste armi si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, o se tale modifica costituzionale non sortirà effetti sulla postura internazionale del nostro Paese.

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