Stickydiritto internazionale pubblico

Prime considerazioni sul tentativo della Russia di giustificare l’intervento armato in Ucraina

Andrea Spagnolo (Università di Torino – Membro della Redazione)

Il 24 febbraio la Russia ha attaccato militarmente l’Ucraina, conducendo operazioni militari aeree, navali e terrestri nei confronti di diverse località strategiche dal punto di vista politico e militare del Paese. L’intervento, ancora in corso, posto in essere dalla Russia costituisce un ricorso alla forza armata nei confronti di uno Stato sovrano (Marko Milanovic) in violazione del divieto sancito dall’art. 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite (v. i comunicati dei Consigli direttivi della SIDI, dell’ESIL e della Società tedesca di diritto internazionale). Secondo Anne Peters, la violazione di tale divieto si sarebbe già configurata nei giorni precedenti l’attacco, attraverso la minaccia consistente nelle massicce operazioni militari condotte sul confine russo-ucraino. Appare altresì pacifico che le mosse politiche che hanno preceduto l’operazione militare del 24 febbraio, e in particolare il riconoscimento prematuro delle Repubbliche del Lugansk e del Donetsk, abbiano costituito un’illecita ingerenza negli affari interni del Governo ucraino.

L’obiettivo del presente post è di tentare di riassumere e ordinare i diversi argomenti giuridici addotti dalla Russia e dai propri alleati per giustificare l’attacco armato. In un post successivo, si riassumeranno le posizioni assunte da Stati e organizzazioni internazionali che abbiano condannato l’attacco e/o abbiano già a vario titolo reagito.

Il 24 febbraio alle ore 6.00 del mattino Presidente russo Vladimir Putin ha pubblicato sui propri canali ufficiali di comunicazione il discorso con cui ha confermato di aver dato il via all’attacco armato contro l’Ucraina (sul sito della Presidenza si trova una traduzione, immagino ufficiale, in inglese del discorso, perciò da qui in poi verranno utilizzate le espressioni contenute nella traduzione). Il Presidente ha definito l’attacco nei termini di una «special military operation», giustificandola, nell’immediato, come una misura conforme al testo dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite e di esecuzione del Trattato di amicizia e reciproca assistenza firmato con le autoproclamate repubbliche del Lugansk e del Donetsk il 22 febbraio:

«in accordance with Article 51 (Chapter VII) of the UN Charter, with permission of Russia’s Federation Council, and in execution of the treaties of friendship and mutual assistance with the Donetsk People’s Republic and the Lugansk People’s Republic, ratified by the Federal Assembly on February 22, I made a decision to carry out a special military operation».

Sebbene non siano ancora disponibili i testi dei due trattati firmati dalla Russia con le due repubbliche separatiste e permanendo seri dubbi sulla loro liceità sul piano internazionale, dal testo della legge federale approvata dalla Duma che ne ha data esecuzione immediata, emerge quanto segue (il riferimento al singolare è dovuto dalla circostanza che sono state approvate due diverse leggi per i due diversi trattati):

«The Treaty reaffirms the policy of the Russian Federation to develop comprehensive, forward-looking cooperation with the Donetsk People’s Republic. The Treaty provides for broad cooperation in the political, economic, social, military and humanitarian areas».

Da quanto sopra sembra potersi desumere che la Russia intenda giustificare il proprio intervento sul piano della legittima difesa sia individuale, sia collettiva. Una parte del discorso del Presidente, infatti, pone l’accento sulla necessità di difendere il proprio Paese dalla crescente minaccia di una presenza della NATO in Ucraina:

«Even now, with NATO’s eastward expansion the situation for Russia has been becoming worse and more dangerous by the year. Moreover, these past days NATO leadership has been blunt in its statements that they need to accelerate and step up efforts to bring the alliance’s infrastructure closer to Russia’s borders. In other words, they have been toughening their position. We cannot stay idle and passively observe these developments. This would be an absolutely irresponsible thing to do for us».

Una simile giustificazione, come confermato anche – e di nuovo – da Marko Milanovic, riecheggia la teoria della legittima difesa preventiva, già condannata, peraltro proprio dalla Russia, e proprio dal Presidente Putin, quando fu evocata dagli Stati Uniti per giustificare l’intervento in Iraq del 2003:

«If we allow international law to be replaced by “the law of the fist” whereby the strong is always right and has the right to do anything and in choosing methods to achieve his goals is not constrained by anything, then one of the basic principles of international law will be put into question, and that is the principle of immutable sovereignty of a state» (v. Statement by President Putin on Iraq at a Kremlin meeting).

La seconda parte della giustificazione, quella che fa riferimento all’esecuzione dei due trattati di amicizia conclusi con le regioni separatiste, appare richiamare la natura collettiva dell’intervento in legittima difesa. Naturalmente, l’impossibilità di configurare tali repubbliche come soggetti di diritto internazionale rende difficile immaginare che esse potessero validamente concludere un accordo internazionale tale da istituire un sistema di difesa collettiva a base regionale, se non proprio locale; allo stesso modo, non sembra che le due regioni avessero titolo a invocare esse stesse il diritto alla legittima difesa, non potendo qualificarsi, ad ora, come Stati ai sensi del diritto internazionale.

A una lettura più attenta, è possibile intravedere una terza e anche una quarta giustificazione dell’attacco sul piano del diritto internazionale generale.

La terza giustificazione appare nel passaggio in cui il Presidente Putin evoca una sorta di intervento umanitario (o di protezione dei civili): «The purpose of this operation is to protect people who, for eight years now, have been facing humiliation and genocide perpetrated by the Kiev regime». Un passaggio, questo, che ricorda la giustificazione addotta dalla stessa Russia per giustificare l’intervento armato contro la Georgia dell’agosto del 2008, finalizzato a fermare il presunto genocidio dei sud-osseti (v. il rapporto della commissione d’inchiesta sul conflitto russo-georgiano del 2008, p. 21, par. 17). Il Ministro degli Esteri russo, a seguito di un incontro con gli autoproclamati Ministri degli Esteri del Donetsk e di Lugansk ha affermato l’intenzione del Governo russo di portare all’attenzione del Consiglio dei diritti umani prove della commissione da parte dell’Ucraina di atti di genocidio nei confronti dei civili nel sud-est dell’Ucraina. Il Consiglio si riunirà a partire dal prossimo 28 febbraio.

La quarta giustificazione opera sempre sul piano del diritto internazionale generale e attiene al preteso riconoscimento di un diritto all’autodeterminazione esterna in capo alle repubbliche del Donetsk e di Lugansk e alla pretesa titolarità della Russia di intervenire per assicurare il rispetto da parte dell’Ucraina di tale diritto nei confronti dei popoli (sic!) delle due repubbliche.

«The outcomes of World War II and the sacrifices our people had to make to defeat Nazism are sacred. This does not contradict the high values of human rights and freedoms in the reality that emerged over the post-war decades. This does not mean that nations cannot enjoy the right to self-determination, which is enshrined in Article 1 of the UN Charter. Let me remind you that the people living in territories which are part of today’s Ukraine were not asked how they want to build their lives when the USSR was created or after World War II. Freedom guides our policy, the freedom to choose independently our future and the future of our children. We believe that all the peoples living in today’s Ukraine, anyone who want to do this, must be able to enjoy this right to make a free choice».

In un passaggio successivo, peraltro, il Presidente Putin associa, sotto il profilo della necessità di proteggere le popolazioni locali e in particolare il loro diritto all’autodeterminazione, l’attacco armato odierno all’intervento in Crimea del 2014 (i documenti relativi a quella vicenda si trovano qui; per una lettura critica v. De Sena e Gradoni e Milano su SIDIBlog), sebbene, occorre precisarlo, in questo secondo caso la regione era stata chiamata ad esprimersi nel corso di un referendum la cui liceità sul piano internazionale era da escludersi (Tancredi e anche De Sena e Gradoni).

Venendo ad altre dichiarazioni ufficiali rese da organi statali, è utile richiamare l’intervento dell’Ambasciatore russo presso le Nazioni Unite nel corso della seduta d’urgenza del Consiglio di sicurezza, convocata nelle ore immediatamente successivo. Nebenzya afferma che «our plan is to protect the people [in the Donbas] from the genocide perpetrated by the regime in Kyiv» e aggiunge che tra le ragioni dell’intervento armato del 24 febbraio vi sarebbe la violazione da parte dell’Ucraina degli accordi di Minsk («the root of today’s crisis around Ukraine is Ukraine itself, which has for years been undermining the Minsk Agreements») che, com’è noto, proponevano una soluzione pacifica al conflitto tra Ucraina e repubbliche separatiste del Donbass. La violazione degli accordi di Minsk, ancorché non invocata dal Presidente Putin nel discorso  del 24 febbraio, è ripresa dallo stesso in una conferenza stampa tenutasi il giorno del riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, nel corso della quale, sollecitato dai giornalisti dichiarava sostanzialmente che tali accordi non fossero più in vigore da tempo a causa della condotta repressiva del Governo di Kiev nei confronti della popolazione del Donbass. La suddetta posizione è stata reiterata da Putin in una telefonata col suo omologo turco, Erdogan, il 23 febbraio. È lecito immaginare che tanto il Presidente russo, quando l’Ambasciatore presso le Nazioni Unite, abbiano voluto sottintendere che la misura n. 10 del pacchetto, relativa al ritiro di tutte le forze straniere dal territorio ucraino, non fosse più applicabile. Premessi tutti i dubbi circa la natura giuridica del pacchetto degli accordi di Minsk e sull’esistenza di obblighi internazionali che vincolerebbero Russia e Ucraina al rispetto delle determinazioni in esso contenute (su cui v. Starita, su SIDIBlog) anche tale giustificazione appare debole, sia perché non vi sono indizi circa la denuncia degli accordi in questione, sia perché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva invitato gli Stati membri ad attuare le disposizioni in essi contenute con la risoluzione n. 2202 del 2015.

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