diritto dell'Unione europea

Ucraina e Unione europea: le ragioni di un avvicinamento graduale

Tanja Cerruti (Università degli Studi di Torino)

1. Da quando, il 24 febbraio scorso, la Russia ha attaccato militarmente l’Ucraina, l’attenzione della Comunità internazionale, in generale e quella dell’Unione europea, in particolare, sono rivolte verso quell’area del vecchio continente, nei confronti della quale i tentativi di far cessare le ostilità sul piano diplomatico s’intrecciano con azioni di sostegno non solo di carattere umanitario – con una serie di interventi rivolti alla popolazione civile, specialmente alle sue fasce più deboli – ma anche di carattere militare, a testimonianza di una grande solidarietà nei confronti della nazione colpita ma anche di una diffusa preoccupazione per un’eventuale diffusione del conflitto al di fuori dei confini ucraini.

Sulla scorta dell’ondata di partecipe sostegno allo Stato invaso e ai suoi abitanti, sin dai primi giorni dopo lo scoppio della guerra si è cominciato a discutere dell’opportunità di addivenire in tempi brevi all’adesione dell’Ucraina a quelle organizzazioni internazionali o sovranazionali in cui essa, come enunciato nella stessa Carta costituzionale, aspira a entrare. L’adesione, infatti, oltre a testimoniare l’appoggio degli altri Stati membri alla sua causa, offrirebbe una sorta di protezione contro le velleità espansionistiche della Russia. Ora, se per quanto riguarda la NATO queste proposte sono state ben presto scartate o forse mai neanche pienamente formulate, essendo proprio la prospettiva di un’eventuale apertura di questa organizzazione all’Ucraina una delle cause che ha contribuito a scatenare il conflitto, per quanto concerne l’Unione europea l’idea potrebbe essere presa in considerazione senza paventarne derive altrettanto rischiose sul piano della sicurezza internazionale, seppur anche questa tesi non sia così pacifica (sul punto v. amplius Casolari).

Inevitabile allora domandarsi se una soluzione del genere sarebbe risolutiva della tragica contingenza che il continente sta vivendo e altresì come una sorta di “adesione lampo” si inserirebbe nelle dinamiche e nei principi che hanno guidato fino ad ora gli allargamenti dell’Unione europea. A questo proposito si spenderanno alcune considerazioni a sostegno della tesi per cui, alla luce delle basi su cui si è sviluppato il processo d’integrazione europea, il – certamente auspicabile – rafforzamento delle relazioni fra l’Ucraina e l’Unione europea dovrebbe passare, almeno nell’immediato, per strade alternative a quella dell’adesione.

2. Nata ufficialmente con l’obiettivo di favorire una maggiore integrazione economica ma preoccupata in realtà anche di evitare la ripetizione nel vecchio Continente di scenari di tipo bellico, sin dai suoi albori l’esperienza comunitaria si è mostrata aperta verso l’ingresso di componenti ulteriori rispetto ai sei che ne erano stati i fondatori. Se uno dei principali atti prodromici al suo avvio, la Dichiarazione Schuman, parlava infatti di «unità di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi…», gli stessi Trattati istitutivi rendevano concreta tale prospettiva descrivendo la procedura per l’accesso di nuovi Stati membri, senza peraltro richiedere la necessità di requisiti ulteriori all’appartenenza geografica al continente europeo. Le vicende dei decenni successivi –che, com’è noto, hanno visto l’ingresso di altri ventidue Paesi in sei diverse ondate, nonché il recesso di uno di questi – hanno condotto alla graduale affermazione di veri e propri parametri di adesione, che inerendo inizialmente soprattutto al settore economico, hanno successivamente incluso con crescente insistenza aspetti legati all’ordinamento politico e costituzionale dei Paesi interessati.

All’ampliamento dei criteri è corrisposta l’attribuzione di una maggiore importanza agli stessi nel procedimento di adesione. In particolare, se nei primi allargamenti il rispetto di parametri, soprattutto di tipo politico, ha costituito solo l’oggetto di alcuni cenni nei documenti redatti dalle Istituzioni in vista delle adesioni, a partire dalle note Conclusioni del Consiglio europeo di Copenaghen del 1993 (con cui si è ribadito che potevano accedere all’Unione europea gli Stati che rispondessero a determinati requisiti di carattere politico, economico e giuridico, formulati peraltro in modo piuttosto generico) essi sono stati “istituzionalizzati”, per poi essere successivamente codificati con il Trattato di Amsterdam (nel combinato disposto degli artt. 49 e 6) e ulteriormente ampliati dal Trattato di Lisbona (art. 49 TUE). Quest’ultimo, infatti, ha affiancato ai criteri normativamente imposti, identificati con i valori fondanti dell’Unione di cui all’art. 2 TUE, la possibilità che il Consiglio europeo ne deliberi di ulteriori.

La progressiva formalizzazione di condizioni di adesione sempre più articolate è stata determinata sia dal graduale approfondimento delle relazioni interne all’organizzazione europea, sia dall’aumento del numero dei Paesi interessati a condividerne il progetto, sia, ancora, dalla disomogeneità che divideva gli aspiranti membri fra loro e rispetto ai sei fondatori dal punto di vista delle tradizioni politiche ed economiche.

La richiesta di criteri di adesione, la cui imposizione è stata supportata da parte dell’Unione da strumenti di accompagnamento che coadiuvassero gli aspiranti membri nell’adeguamento, pareva insomma l’escamotage che avrebbe consentito al c.d. widening vs deepening dilemma, profilatosi in particolare all’inizio del terzo millennio, di risolversi nella vittoria di entrambi gli elementi in gioco, permettendo all’Unione europea di espandere i suoi confini senza pregiudicare il conseguimento di legami interni più stretti (fra i molteplici contributi, in relazione al quinto allargamento v. Atripaldi, Miccù (a cura di), L’omogeneità costituzionale nell’Unione europea, Padova, 2003; Pinelli, “Conditionality and Enlargement in light of EU constitutional developments”, in European Law Journal, 2004; Pizzetti, The European constitutional process between the enlargement of the Union and the Treaty instituting a European Constitution, in U. Morelli(ed.), A Constitution for the European Union. Sovereignty, representation, competences, constituent process, Milano, 2005; Walker, “Constitutionalising enlargement, enlarging constitutionalism”, in European Law Journal, 2003).

La battuta d’arresto inflitta nel 2005 allo slancio dell’integrazione europea dalla bocciatura del Trattato costituzionale si è ripercossa inevitabilmente anche sul processo di ampliamento. Non si è tardato, infatti, a collegare tale fallimento anche alla difficoltà, per un’Unione di quindici membri, di “smaltire” l’ingresso di dieci, che presto sarebbero divenuti dodici, nuovi componenti. Pertanto, si è cominciato a trattare con maggiore cautela la prospettiva di nuovi ingressi e a riservare maggiore importanza al c.d. “quarto criterio di Copenaghen”. In tale sede, insieme ai tre parametri di tipo politico, economico e giuridico concernenti l’ordinamento dei Paesi candidati, il Consiglio europeo ne aveva formulato un altro rivolto alla stessa Unione, disponendo che gli allargamenti non avrebbero dovuto pregiudicarne la capacità di «assorbire nuovi membri, mantenendo nello stesso tempo inalterato il ritmo dell’integrazione europea».

Oltre alla maggiore enfasi attribuita, nelle valutazioni delle Istituzioni europee sugli allargamenti futuri, a questo parametro, che nelle fasi precedenti non aveva ricevuto grande considerazione, altri elementi denotano l’avvio di un nuovo approccio dell’Unione verso l’estensione dei suoi confini. Alcuni fra i più significativi si caratterizzano per il rilevante scostamento rispetto a quanto si era verificato in occasione del quinto allargamento. Si pensi al fatto che l’ammissibilità degli aspiranti membri viene vagliata con maggiore severità, stante anche il diverso rapporto numerico fra Stati membri-valutatori e Stati valutati, e già nelle fasi precedenti l’acquisizione ufficiale della candidatura o al fatto ogni candidato viene esaminato – ed eventualmente “promosso” – solo in base all’effettiva rispondenza ai parametri, senza che le valutazioni sul suo ordinamento siano condizionate dall’opportunità che il percorso di tutti i Paesi dell’area proceda di pari passo. Questa più rigorosa tendenza del processo si ripercuote anche sugli esiti, che, a partire dalla sua inaugurazione, hanno visto infatti l’Unione aprire le porte a un solo nuovo Stato, la Croazia.

Certo, il diverso modo di procedere dell’UE potrebbe giustificarsi alla luce del fatto che, eccettuata la Turchia, i Paesi candidati attualmente coinvolti s’identificano quasi tutti in ordinamenti istituiti di recente, apparentemente ancora lontani da quei parametri che, con sempre maggiore precisione, l’Unione europea impone, fra cui l’assenza di questioni bilaterali non risolte (si pensi alle dispute sui confini territoriali derivate dalla dissoluzione della ex Jugoslavia e alle problematiche legate al più recente distacco del Kosovo dalla Serbia). Probabilmente, però, la nuova tendenza è anche un sintomo di quell’enlargement fatigue prima paventata e poi diagnosticata in relazione al quinto allargamento. Questa porterebbe Bruxelles a considerare con molta prudenza l’ipotesi di futuri ampliamenti, benché a motivo non tanto del loro numero (sono sei, non considerando la Turchia) ma soprattutto delle loro dimensioni, i Paesi attualmente ospiti, pur a diverso titolo, nelle “sale d’attesa” dell’UE, imporrebbero con il loro ingresso uno sforzo di assorbimento ben inferiore a quello richiesto per far fronte al quinto allargamento.

Nello stesso tempo, è forse la prospettiva dell’adesione in sé a risultare oggi meno attraente, come suggeriscono, ad esempio, la richiesta di sospensione dei negoziati da parte di un Paese già dichiarato candidato, l’Islanda, i risultati dei sondaggi effettuati periodicamente fra i cittadini in alcuni dei Paesi aspiranti membri, il primo caso di recesso di uno Stato membro di vecchia data dalla compagine unionale e infine le frizioni fra la stessa Unione e due suoi Stati membri di più recente acquisizione, Polonia e Ungheria, che inducono a prospettare scenari non del tutto lineari per la loro futura convivenza.

3. In questo quadro dove si colloca l’Ucraina? Dopo la caduta del muro di Berlino e la ridefinizione dei confini politici della parte orientale del continente, la Comunità, poi Unione, ha rivolto la sua attenzione agli ordinamenti situati oltre quella che, fino a poco prima, era stata la c.d. cortina di ferro, instaurando legami di intensità differente ma destinati a evolversi ulteriormente nel tempo. Ciò ha portato all’adesione degli Stati dell’Europa centro-orientale, con il già citato quinto allargamento, all’instaurazione di rapporti sempre più proiettati verso quella stessa meta con i Paesi dei Balcani occidentali, da cui sono derivati l’ingresso della Croazia nel 2013 e la “promozione” a candidati o potenziali candidati degli altri ordinamenti dell’area, nonché alla progressiva intensificazione delle relazioni esterne con Stati limitrofi che, in adesione all’attuale art. 8 TUE, mirano alla creazione di uno spazio di «prosperità e buon vicinato fondato sui valori dell’Unione». In questa terza dimensione si sono sviluppati fino ad ora i rapporti con l’Ucraina che, al pari di Armenia, Azerbaigian, Bielorussia (attualmente sospesa), Georgia e Moldavia, è uno dei Paesi con cui l’Unione europea ha avviato, nel 2009, il Partenariato orientale, una delle forme di cooperazione su base regionale promosse nell’ambito della Politica europea di Vicinato. La volontà di coinvolgere più strettamente alcuni di questi Stati trova però una testimonianza già nel 2001, quando, a seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre, Russia, Ucraina e Moldavia erano state chiamate a partecipare alla Conferenza europea, strumento di coordinamento fra Stati membri e aspiranti tali istituito nel 1997 e che non ha proseguito la sua attività. Fra gli ambiti di cooperazione con l’Unione europea si può poi menzionare la coesione territoriale, con la partecipazione di alcune zone dell’Ucraina alla strategia della macroregione danubiana, avviata a partire dal 2010 e della quale il Paese detiene attualmente la presidenza.

Il rafforzamento delle relazioni viene da tempo perseguito anche sul fronte istituzionale. Sin dal 1994 il Paese è infatti legato all’Unione da un Accordo di partenariato e di cooperazione, poi sostituito da un Accordo di associazione il cui iter di adozione è stato condizionato dalla situazione di instabilità politica interna e dalle relazioni con la Russia. Avviati sin dal 2007, i negoziati hanno conosciuto infatti una serie di intricate vicende, che hanno consentito la firma dell’Accordo nel 2014, anno a partire dal quale se ne applicano alcune parti, sebbene la piena entrata in vigore risalga solo al 2017. Fra i suoi obiettivi, questo atto enuncia la creazione delle condizioni per «il rafforzamento delle relazioni economiche e commerciali» e per «una cooperazione sempre più stretta in altri settori di reciproco interesse», mentre nel Preambolo si allude espressamente all’«approfondimento dell’associazione politica» e si specifica che l’Accordo «non pregiudicherà e lascia aperti i futuri sviluppi delle relazioni» fra le due parti. Significativo della delicata situazione che caratterizza il Paese è però il fatto che sia fra i principi generali sia fra le finalità di uno degli strumenti disciplinati, cioè il dialogo politico fra le parti, viene annoverato l’impegno a promuovere i principi della «sovranità e integrità territoriale, inviolabilità delle frontiere e indipendenza». Fra gli ambiti di cooperazione fra le due parti è annoverata la politica di sicurezza e di difesa comune, nel cui ambito si prevedono impegni come quello verso il disarmo e la lotta alla proliferazione delle armi di distruzione di massa (artt. 7, 11, 12), che potrebbero nel prossimo futuro risultare di complessa attuazione.

L’avvicinamento dell’Ucraina, pur nella cornice dell’Accordo di associazione, non è tuttavia stato accolto in modo del tutto lineare neanche all’interno dell’Unione, che è intervenuta in via cautelativa sulla prospettiva di una maggiore integrazione. In particolare, in seguito alle preoccupazioni espresse nei Paesi Bassi in occasione del referendum sulla proposta di legge di ratifica dell’Accordo, nel 2016 il Consiglio europeo ha dichiarato che la conclusione di tale atto non impegnava l’Unione verso l’Ucraina su diversi fronti, che vanno dall’elargizione di aiuti finanziari complementari e dalla garanzia della libertà di risiedere e lavorare nel territorio europeo ai suoi cittadini, alla prestazione di assistenza militare, fino all’ammissione come Stato membro.

Una parziale apertura verso un approccio inclusivo sembra trapelare dalle più recenti parole del Parlamento europeo che, nel settembre 2021, ha prefigurato la prospettiva dell’adesione per i Paesi del Partenariato orientale legati da un Accordo di associazione, oltre a incentivare l’UE a rafforzare le proprie capacità difensive. La volontà di instaurare legami più stretti con il Paese in vista di un suo ingresso nell’Unione era peraltro stata affermata dal Parlamento già in passato (ad esempio in una risoluzione del 2005).

4. Come accennato in apertura, i tristi eventi delle ultime settimane hanno portato ad attribuire nuova enfasi alle proposte di un’adesione rapida dell’Ucraina all’Unione europea che, rispondendo a finalità di carattere anche umanitario, dovrebbe svilupparsi secondo schemi e ritmi diversi da quelli che caratterizzano il processo di allargamento. La richiesta, avanzata dallo stesso Presidente Zelensky pochissimi giorni dopo lo scoppio delle ostilità, non è rimasta inascoltata, avendo in breve tempo ottenuto l’appoggio, attraverso canali più o meno formali, di molti Stati dell’UE, soprattutto nella parte centro-orientale del Continente. Le Istituzioni europee non sono rimaste silenti sul punto.

Appena esploso il conflitto, ancor prima dell’avanzamento della domanda ucraina, il Consiglio europeo ne ha riconosciuto le aspirazioni europee, ribadendo il diritto del Paese di scegliere il proprio destino; nel più recente incontro del 24 e 25 marzo esso ha esortato la Commissione a emettere il parere sulla domanda di adesione. Il Parlamento europeo ha a sua volta espresso l’appoggio alla candidatura ucraina, mentre la Presidente della Commissione ha affermato che il percorso europeo del Paese ha avuto inizio.

Benché sia intuitivo che in questa fase la prospettiva dell’adesione avrebbe un valore di tipo soprattutto simbolico, e in tale chiave vanno lette probabilmente le parole di Ursula von der Leyen, non si è mancato di sottolineare che essa produrrebbe indubbi effetti benefici sia sul piano dell’ordinamento interno dell’Ucraina sia sul piano internazionale. Il primo sarebbe infatti avvantaggiato dall’attribuzione ai parametri della democrazia e dello stato di diritto di un peso maggiore di quello riconosciuto loro nel quadro dell’Accordo di associazione, nonché dal supporto finanziario europeo nella promozione delle riforme; il secondo vedrebbe invece palesarsi, soprattutto rispetto alla Russia, l’interessamento dell’UE nei confronti dell’Ucraina(Kirova).Quale futuro allora per le relazioni fra l’Unione europea e l’Ucraina? A parere di chi scrive, Kiev potrà certamente guardare a Bruxelles con occhi diversi da quelli con cui vi si rivolge oggi. Tuttavia, questo dovrà avvenire attraverso passaggi graduali che, muovendo innanzitutto da una rinnovata stabilità politica interna, vedano i legami fra le due rafforzarsi ulteriormente e passare, quando ne ricorreranno le circostanze, dalla cornice della politica di vicinato a quella della politica di allargamento, pur con alcune incognite di più ampio respiro. La “stanchezza” da cui la politica di allargamento pare oppressa negli ultimi lustri induce infatti talvolta a considerare come una valida alternativa all’adesione tout court le meno impegnative forme di collaborazione instaurate nell’ambito della politica di vicinato (Devrim Schulz) e non giustificherebbe in ogni caso un’entrata nell’UE che segua binari diversi dal percorso consueto.

Questa conclusione è supportata da molteplici ordini di considerazioni che concernono tutti i soggetti a vario titolo interessati. Volendo rammentarne i principali, a proposito dell’Unione europea non si può non richiamare quella capacità di assorbimento o di integrazione di cui essa deve dare prova ogni volta che apre i suoi confini. Il consolidamento dei legami interni, non ancora forse così cementati – come provano le divergenze con Polonia e Ungheria, significativamente emerse, nel caso della seconda, anche in relazione alle prese di posizione nei confronti della Russia – non deve essere pregiudicato da un’alterazione degli equilibri che ne mini la tenuta, danneggiando tutta l’organizzazione sovranazionale e, di conseguenza, i Paesi che aspirano a farvi ingresso.

A proposito di tali Paesi e, nel caso specifico, dell’Ucraina, se è stata prevista la rispondenza a parametri di adesione, è opportuno che il semaforo verde all’ingresso sia accordato solo dopo che ne sia stato verificato l’effettivo rispetto. Vero è, come prova l’esperienza di alcuni attuali Stati membri, che la “promozione” in un dato frangente storico e politico non rende immuni dal rischio di una successiva modifica delle condizioni sulle cui basi questa è stata accordata. La rispondenza ai criteri, che s’identifica nell’adesione ai valori fondamentali dell’UE, come la rule of law (di recente, A. Pin, Il rule of lawcome problema. Le sfide dell’Europa centro-orientale, della Brexite del Medio Oriente, Napoli, 2021; E. Cukani, Condizionalità europea e giustizia illiberale: from outside to inside? I casi di Ungheria, Polonia e Turchia, Napoli, 2021), dovrebbe infatti essere mantenuta anche dopo l’ingresso. Nonostante non sempre questo avvenga, il previo adeguamento a determinati parametri costituisce una garanzia più solida rispetto a una riduzione delle pretese confortata dalla promessa di successivi progressi.

Il terzo ordine di considerazioni si rivolge agli Stati esterni all’Unione, ponendo quasi una questione di “giustizia” fra un’Ucraina che dovesse “bruciare le tappe” e gli altri Stati coinvolti sia nella politica di allargamento sia in quella di vicinato.

Fra i primi, infatti, si annoverano Paesi che da molti anni attendono di vedersi riconosciuti dei progressi ai fini dell’acquisizione della candidatura o dell’avanzamento nel percorso verso l’adesione, riconoscimento cui osta talvolta la lontananza dai parametri imposti anche in riferimento alla stabilità interna e ai rapporti di buon vicinato. Emblematici in tal senso sono non solo il caso della Turchia, il cui lungo percorso di avvicinamento sembra essersi arenato, ma anche quelli della Bosnia Erzegovina, che non riesce a comporre i suoi dissidi interni o della Macedonia del Nord, che, benché promossa a Paese candidato già nel 2005, sta avanzando lentamente nelle relazioni con l’UE, dopo essere scesa a compromessi anche sul suo nome.

Un avvicinamento accelerato dell’Ucraina all’Unione avrebbe, però, delle ripercussioni anche sugli equilibri della politica europea di vicinato, inducendo alcuni degli altri Paesi coinvolti a pretendere un trattamento analogo. Questo scenario non è così irreale dal momento che due di essi, Georgia e Moldavia, segnati a propria volta da situazioni irrisolte con Mosca, hanno seguito nelle settimane scorse l’Ucraina nell’avanzare la domanda di adesione. Pur prescindendo dalla già menzionata importanza del rispetto dei parametri, l’adesione di questi ordinamenti metterebbe l’Unione nella condizione di “digerire” sul piano istituzionale, economico e giuridico un allargamento di dimensioni non indifferenti, considerando che la sola Ucraina conta, o meglio contava, prima dell’inizio delle ostilità, circa 44 milioni di abitanti, più del doppio quindi dei neanche venti milioni di nuovi cittadini che entrerebbero nell’Unione con l’ingresso contestuale di tutti gli Stati candidati o potenziali candidati dei Balcani occidentali, chiamando quindi di nuovo in causa la sopracitata capacità di assorbimento.

Un ultimo ordine di considerazioni si radica nella dimensione internazionale. Benché le scelte politiche e, in questo caso, anche quelle identitarie di un popolo dovrebbero sempre essere compiute con la massima libertà, non si possono trascurare le implicazioni che un’adesione a caldo, indotta dalla solidarietà verso la nazione ingiustamente attaccata, provocherebbe sui delicati equilibri che caratterizzeranno la fase successiva all’auspicata fine del conflitto. Se è vero infatti che lo scenario più inviso alla Russia sarebbe quello di un’Ucraina membro della NATO, non si è mancato di rilevare, anche alla luce della triste convergenza, nell’anno 2014, fra la firma dell’Accordi di associazione con l’UE e l’occupazione della Crimea, che anche un suo maggiore avvicinamento a Bruxelles verrebbe accolto in modo non favorevole da Mosca (Chiaruzzi). Tali riflessioni suscitano non pochi interrogativi, pur macchiati di velato egoismo, sulle conseguenze che deriverebbero all’Unione europea da un eventuale attacco russo contro un’Ucraina Stato membro. Se è vero infatti che lo sviluppo di una politica di difesa comune, disciplinata dai Trattati istitutivi (v. titolo V, capo II, sez. II TUE), non ha ancora raggiunto livelli significativi, non si può ignorare che l’art. 42 par. 7 TUE dispone che in caso di aggressione armata al territorio di uno Stato membro, gli altri «sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite», senza dimenticare la clausola di solidarietà di cui all’art. 222 TFUE, il cui ambito di applicazione sembra riservato però a scenari parzialmente diversi da quelli di una vera e propria guerra d’invasione.

In conclusione, prima di pensare a nuovi allargamenti, quand’anche giustificati da nobili fini, l’Unione europea dovrebbe innanzitutto “guardarsi allo specchio” e sciogliere i suoi nodi interni. Invero, solo una realtà sana e possibilmente coesa può costituire una sede di crescita e sviluppo per i soggetti che ne sono parte e per quelli che aspirano ad esserlo. Quanto all’Ucraina, posta la legittimità delle sue aspirazioni europee e il supporto morale della maggior parte dei cittadini dell’Unione alle stesse, la prospettiva ideale potrebbe essere quella di un percorso di avvicinamento all’UE che, pur accelerato, si snodi attraverso le tappe istituzionali, in un quadro pacificato e nel rispetto delle regole che guidano, seppur a volte a fatica, il processo di allargamento.

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Tanja Cerruti

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