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La Cina deve risarcire i danni transnazionali da Covid-19? Orizzonti ad oriente

Fabrizio Marrella, Università Ca’ Foscari, Venezia

Introduzione

La pandemia causata dal Covid-19 ha creato danni incalcolabili alla vita ed all’economia di molti Paesi nel mondo. Gli Stati Uniti tornano ciclicamente ad accusare unilateralmente la Cina di essere all’origine del virus e responsabile della sua diffusione. E la reazione di altri Governi e di altrettanti giuristi appare, in questo momento, di grande interesse per gli internazionalisti giacché in tale dibattito emergono, in mezzo alle proposte più stravaganti, diversi profili interessanti. Nei giorni scorsi di quarantena, col Prof. Carrascosa Gonzalez (v. il suo blog Accursio) abbiamo dialogato su questo tema, sicché sono lieto di offrire ai lettori del blog SIDI alcune note e pensieri del mio taccuino. Desidero articolarli secondo due orizzonti di riflessione strettamente collegati giacché toccano, sia dei profili di diritto internazionale “pubblico” (I), che di diritto internazionale privato e processuale (d.i.pr.) (II).

I) Orizzonti di diritto internazionale “pubblico”

Tra i vari problemi di diritto internazionale “pubblico” che la pandemia da Covid-19 evidenzia, possiamo indicare, tra gli altri, quello circa l’origine (civile o militare, naturale o artificiale) del virus (1) e quello circa l’eventuale responsabilità della Cina per violazione di obblighi procedurali internazionali (2).

1. – Il problema dell’origine cinese del virus

Allo stato dei fatti, posto che ai proclami dei Governi non sono seguite prove concrete, tutti si accordano solo nel dire che la provenienza del Covid-19 è la Cina ma non vi è alcuna certezza, per ora, circa la vera origine di esso. Resta dunque solo “possibile” ma non “certo” che il Covid-19, invece che nel Mercato di Wuhan, come affermato dalla Cina, si sia originato in realtà, poco più in là, nell’Istituto di virologia di Wuhan.

Tale questione non è sfuggita al mondo dell’intelligence militare da quando, all’inizio dell’anno, emerse che il Coronavirus non risultava nei database scientifici ingenerando, per tale ragione, il sospetto di una sua manipolazione artificiale. La comunità scientifica a larghissima maggioranza nega che ciò sia avvenuto, ma non manca qualche voce contraria. Il Laboratorio P4 di Wuhan era stato costruito in partnership tra la Francia e la Cina e la Francia aveva formato diversi medici cinesi, non senza difficoltà e critiche. Perciò, in tale contesto, non va affatto sottovalutato il commento del Premio Nobel francese Luc Montagnier che ha definito il Covid 19 un lavoro minuzioso di professionisti .  

Ed infatti, se fosse confermata la tesi dell’origine artificiale del virus ne seguirebbe un ulteriore ed inquietante interrogativo su cui, ufficialmente, per ora si tace: il Covid 19 è sfuggito accidentalmente nel quadro di un programma di ricerca militare? La domanda sembra banale, eppure in caso di risposta positiva la conseguenza sarebbe pesante: ne seguirebbe che la Cina sta sviluppando delle armi di distruzione di massa in violazione della Convenzione sulla Proibizione delle Armi Biologiche del 10 aprile 1972 (su cui v. per tutti Ronzitti, p. 397 ss.). Se tale ipotesi fosse verificata, la combinazione tra fatto e attribuzione della condotta secondo gli Articoli sulla responsabilità dello Stato della CDI del 2001 lascerebbe pochi dubbi circa la responsabilità internazionale della Cina comportando, inter alia, delle richieste risarcitorie siderali.

Eppure, anche considerando la mera origine naturale del virus, si può profilare una responsabilità internazionale della Cina per mancata due diligence (Crawford, p.226 ss.) nella prevenzione, contenimento della pandemia ed informazione alla Comunità internazionale. Le ragioni della “copertura” cinese sono facili da intuire alla luce della carneficina e del disastro economico che il Covid-19 ha provocato ovunque e, molto probabilmente, contro ogni previsione dello stesso Governo cinese. Se così è, al confronto, l’arbitrato dell’Alabama (e gli indennizzi siderali che ne sono derivati) diverrebbe un precedente lontano solo nella storia.

Insomma, data la delicatezza e le implicazioni della questione dell’origine del virus, pare evidente che la strada maestra resti quella, classica in diritto internazionale, di una Commissione internazionale d’inchiesta composta da esperti indipendenti. Potrebbe operare sotto l’egida del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ove la Cina ha diritto di veto ma sarebbe altrettanto singolare che lo esercitasse se ritiene di essere nel giusto), oppure sotto quella del Consiglio dei diritti umani o di altro organismo internazionale, ad esempio l’OMS, sebbene come si vedrà tra breve, vi può essere persino una specifica responsabilità dell’OMS in questa vicenda.

2. La diversa questione della responsabilità della Cina legata ad una scorretta e intempestiva informazione circa il virus.

Se ora lasciamo da parte il dibattito sulla possibile origine artificiale del virus e muoviamo dal presupposto che si tratti di un mero evento naturale, un secondo e diverso profilo di responsabilità internazionale potrebbe emergere dal fatto per cui la Cina avrebbe potuto e dovuto gestire con maggiore anticipo tutta la comunicazione all’OMS (che esiste proprio per gestire questi problemi e per questo va finanziata!). Qui, si tratta della violazione di un obbligo procedurale di notifica internazionalmente dovuto che prescinde dall’accertamento dell’origine artificiale, civile o militare del virus. A tale proposito, infatti, vale il Regolamento sanitario internazionale OMS del 2005 (v. spec. art.6 ss.).

Il ritardo di circa due settimane nel notificare all’OMS e quindi ai Governi di tutto il mondo la notizia della diffusione di un virus letale ha senz’altro contribuito a causare una maggiore diffusione di una gravissima malattia, insieme ad una ritardata conoscenza e consapevolezza della stessa, con danni alla vita di migliaia di cittadini ed all’economia di molti Paesi. Perciò, la strada della mera responsabilità procedurale per mancata notifica all’OMS e al mondo, alla fine, conviene, diplomaticamente, a tutti. Del resto, ciò spiegherebbe, al di là del sentimento “morale”, perché la Cina si sia prodigata, sua sponte, in aiuti di carattere medico e di materiali a tutti gli altri Paesi, compreso fortunatamente, il nostro.

In tale prospettiva, si potrebbe profilare anche una responsabilità dell’OMS. Tale organizzazione potrebbe avere una responsabilità specifica in materia di omessa ispezione in Cina all’inizio dell’epidemia e di tempestiva notifica urbi et orbi della pandemia, responsabilità che risulterebbe aggravata se fosse provata l’intenzione di “coprire” la condotta del Governo cinese. Ed ecco che anche qui si apre un altro interessante capitolo per l’internazionalista: in caso di complicità dell’OMS con la Cina assumerebbe rilievo, inter alia, il Progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali del 2011 (v. ad es. l’art.58).

II. – Orizzonti di diritto internazionale privato

Mentre si svolge il dibattito di cui sopra, in alcuni Stati, inclusa l’Italia, alcuni avvocati stanno patrocinando delle azioni individuali o delle class actions di soggetti privati al fine di ottenere da un giudice nazionale una pronuncia di condanna al risarcimento dei danni avverso la Cina. Ma questi danni si possono risarcire tramite un’azione civile?

1. Giurisdizione italiana.

Per potere agire contro la Cina (nella persona dell’Ambasciatore accreditato pro-tempore in Italia) dinanzi ad un giudice italiano occorre, innanzitutto, che sussista la giurisdizione di quest’ultimo. In passato, non sempre è stata riconosciuta l’immunità dalla giurisdizione civile della Cina (cfr. ad es. Cass. civ., SS.UU., 17 luglio 2008, n.19600, nonché Mosconi, p.142 ss.).

Poiché la Cina è un soggetto extra-UE, risorgono i criteri giurisdizionali previsti, in primis, dalla L. 31 maggio 1995, n.218 ed in particolare gli artt. 3 e 4concernenti rispettivamente l’ambito della giurisdizione italiana e la sua accettazione o deroga ad opera delle parti (cfr. il commento di Luzzatto, p. 19 ss. e cfr. Barel-Armellini, p. 356 ss.). In particolare, tramite l’art.3 della L.n.218/95, il legislatore italiano dispone, in via unilaterale, che la giurisdizione italiana sussiste in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 e successive modificazioni in vigore. E i Reg. Bruxelles I e Bruxelles I bis si sono sostituiti alla Convenzione di Bruxelles limitatamente ai rapporti tra gli Stati membri ma non, dal punto di vista del legislatore italiano, rispetto agli Stati terzi. Orbene, l’art.5, par.3, della Convenzione di Bruxelles del 1968 (con soluzione analoga a quella dell’art.7, par.2, del Reg. Bruxelles I bis) esprime un più generale principio di d.i.pr. (v. da ultimo Trib. Roma, 10 gennaio 2019, in Riv.dipp., 2019, p. 625) secondo il quale in materia di illeciti civili dolosi o colposi, il convenuto può essere citato davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire. Perciò, in sintonia con quanto ha esattamente osservato il prof. Carrascosa Gonzalez con riferimento alla Spagna, qualificando i danni da Covid-19 alla stregua di “illeciti a distanza” (Distanzdelikte) si avrebbe che il convenuto – qui, la Cina – può essere citato, a scelta dell’attore – ossia le vittime italiane di Covid-19, persone fisiche e giuridiche -, sia dinanzi al giudice del luogo dove l’evento dannoso si è originato (Cina), sia dinanzi a quello del luogo ove si è concretamente verificato il danno, e dunque in Italia.

Ed è altrettanto probabile che qui il contenzioso si farà aspro. Se, infatti, si accoglie la tesi degli acta iure imperii all’origine del virus (v. sopra), la Cina potrebbe eccepire che l’art.3, 2° comma, della L.n°218/95, non è sufficiente a radicare la giurisdizione in quanto la materia non è compresa nella Convenzione di Bruxelles del 1968 (l’art.1 del Reg. Bruxelles I-bis consolida, infatti, la precedente giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia indicando, appunto, che tale norma non si applica “alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri”). Ma qui si tratta di una norma italiana di d.i.pr. emanata in via unilaterale dal legislatore italiano e meramente riproduttiva di una convenzione internazionale. Ne segue che sarà solo il giudice italiano, alla luce del suo sistema di d.i.pr., a stabilire se qualsiasi atto ed “omissioni nell’esercizio di pubblici poteri” di uno Stato estero determini una carenza di giurisdizione restando “insindacabile” in Italia.

2. I limiti alla giurisdizione italiana: l’immunità dalla giurisdizione della Cina…Ferrini reloaded?

Posto che l’accertamento della giurisdizione italiana è pregiudiziale rispetto a quello della competenza, si giungerà ben presto dinanzi allo scoglio dell’immunità dalla giurisdizione civile della Cina, un privilegio che, com’è noto (v. teoria e prassi in materia in Marrella-Carreau p.408 ss. e Crawford-Brownlie, p.470 ss.), deriva da una norma consuetudinaria di diritto internazionale che porta i tribunali interni a dichiararsi incompetenti a giudicare tali controversie, comprese quelle a contenuto patrimoniale. Si tratta di norme internazionali immediatamente operative nel nostro ordinamento in base al meccanismo di adattamento automatico ex art.10 Cost. (v. fra le tante: Cass. 3 agosto 2000, n.530 a proposito dell’incidente della funivia del Cermis), a prescindere dagli effetti della celebre sentenza della Corte cost., 22 ottobre 2014, n.238, pronunciata in esito alla ben nota saga Ferrini e dalle vicende della stessa Convenzione di New York del 2 dicembre 2004.

Par in parem non habet iurisdictionem per attività pubblicistiche connesse alla sovranità dello Stato (acta iure imperii): in primis, le attività militari (se il virus fosse stato prodotto tramite ricerche militari). Ma se così fosse, dinanzi ai giudici italiani si potrebbe superare l’immunità della Cina invocando proprio la giurisprudenza Ferrini ed argomentando che lo sviluppo illecito e segreto di armi di distruzioni di massa è una violazione dello jus cogens. E mi pare un argomento forte, se è vero che il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana, tra cui il diritto alla vita come proclamato nella Costituzione dell’OMS (v. altresì: SIDI, La tutela della salute nel diritto internazionale…, 2017), ha assunto il valore di principio fondamentale dell’ordinamento internazionale riducendo, ipso iure, la portata e l’ambito di altri principi ai quali tale ordinamento si è tradizionalmente ispirato, quale quello sulla «sovrana uguaglianza» degli Stati, cui si collega il riconoscimento della immunità statale dalla giurisdizione civile straniera.

In via subordinata, muovendo dalla tesi della mera origine naturale del Covid-19 nel mercato di Wuhan, ci si deve chiedere se la responsabilità internazionale della Cina per avere omesso la notifica tempestiva del Covid-19 all’OMS ed alla Comunità internazionale, non attivando tutte le procedure del caso sia di una tale gravità da configurare, per sé, una violazione dello ius cogens. Accogliendo tale ultima prospettiva, il giudice italiano potrebbe superare l’eccezione di immunità della Cina e ritenere, di conseguenza, che possa essere convenuta in Italia per il risarcimento dei danni derivanti da tale omessa notifica che ha prodotto l’aggravamento di una pandemia mondiale con effetti devastanti sulla vita di decine di migliaia di persone e sull’intera economia dello Stato italiano. A ben vedere, tale notifica non è discrezionale bensì costituisce attività internazionalmente dovuta, ed il suo accertamento non postula alcuna interferenza con l’esercizio dei poteri pubblici del Governo cinese (argomentando ex Cass. 21 aprile 1993, n.3996; su tali aspetti cfr. Marrella-Carreau p.750 ss.). Siffatta limitazione dell’immunità dalla giurisdizione di uno Stato straniero non elimina affatto il principio di immunità dalla giurisdizione degli Stati esteri: semmai ne rafforzerebbe la legalità internazionale impedendone i possibili abusi (cfr. Cassese, p.261 ss.). Pertanto, quest’ultima impostazione mi pare decisiva.

3. Legge applicabile ed eseguibilità ultranazionale della sentenza di condanna

Nell’ipotesi in cui si riuscisse a superare l’eccezione di immunità e quindi a radicare la giurisdizione italiana, resta da individuare la legge applicabile. Concordo col Prof. Carrascosa Gonzalez nel ritenere che il Reg. Roma II sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (su cui cfr. Marrella, p. 708 ss.) offra i criteri di collegamento più rilevanti. Qui, infatti, l’art.4, par.1, designa la legge “del paese in cui il danno si verifica, indipendentemente dal paese nel quale è avvenuto il fatto che ha dato origine al danno e a prescindere dal paese o dai paesi in cui si verificano le conseguenze indirette di tale fatto”. Per questa via, e considerando in via residuale l’art.62 L. n.218/95, si arriva senz’altro all’applicazione della legge italiana a titolo di lex loci damni: a partire dall’art.2043 cod. civ. e dalla clausola generale dell’ingiustizia del danno. Di qui, il risarcimento dei danni-conseguenza a carattere patrimoniale e non patrimoniale, i danni da perdita di chance, i danni riflessi (sui parenti delle vittime di Covid-19) conseguenza immediata e diretta del fatto illecito (art.2056 cod.civ.) e persino i danni imprevedibili (Cass. 16 ottobre 2015, n.20932: “Danno risarcibile’ è qualunque pregiudizio che, senza il fatto illecito non si sarebbe verificato a prescindere dalla sua prevedibilità”). La battaglia legale diverrebbe, a questo punto, civilistica.

Conclusione

Navigando come Ulisse tra Scilla e Cariddi, resta il fatto che una sentenza di condanna della Cina pronunciata in sede civile da un giudice italiano (e si può immaginare un lungo contenzioso) incontrerebbe alla fine lo scoglio dell’eccezione dell’immunità della Cina dalla giurisdizione esecutiva. Immunità che, se fatta valere dinanzi ad un giudice straniero, andrà valutata alla luce della mutevole giurisprudenza nazionale della lex fori executionis. Esclusa per ipotesi l’esecuzione in Cina, al pari di quanto accaduto con l’arbitrato Yukos c. Russia, la parte vincitrice cercherà un exequatur multistatuale. E questo sarà un bel banco di prova – se e quando entreranno in vigore – sia per la Convenzione dell’Aja del 2 giugno 2019 sul riconoscimento delle sentenze straniere (sollecitando l’art. 2, par.5), sia per la precitata Convenzione di New York del 2 dicembre 2004.

Insomma, una vera Odissea di diritto internazionale che, tuttavia, come quella di Omero, potrebbe avere un lieto fine. Almeno per chi è rimasto in questo mondo.

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Fabrizio Marrella

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