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Cinque temi di diritto internazionale al summit NATO di Vilnius

Mirko Sossai (Università di Roma Tre)

Martedì 11 luglio 2023, al termine della prima giornata del summit dei Capi di Stato e di governo dei Paesi membri della NATO, tenutosi nella capitale della Lituania, Vilnius, è stata resa pubblica una dichiarazione finale che delinea le priorità e i principali impegni dell’organizzazione. L’attenzione degli analisti e dell’opinione pubblica era tutta rivolta al tema della possibile adesione dell’Ucraina alla NATO.  Ma il Communiqué, adottato un anno dopo il nuovo concetto strategico, è in realtà un testo assai più articolato che riflette certo la “rivitalizzazione” dell’organizzazione nonché i nuovi scenari a cui in misura crescente gli Stati membri rivolgono la loro attenzione, ben oltre l’ambito geografico euroatlantico; un approccio “a 360 gradi”, per adempiere ai tre compiti fondamentali che sono stati affidati alla NATO: “deterrenza e difesa, prevenzione e gestione delle crisi e sicurezza cooperativa”.

Il comunicato finale di Vilnius è anche un documento che si presta a una lettura secondo una prospettiva giuridica, se non altro perché appare un tratto qualificante la NATO quello dell’adesione al diritto internazionale e ai fini e principi della Carta delle Nazioni Unite, accompagnato dall’impegno a sostenere “the rules-based international order”. Rimane pertanto un esercizio interessante quello di individuare in qual modo le regole del diritto internazionale siano invocate, interpretate e applicate dal Communiqué, a cominciare dalla reiterata condanna della “guerra di aggressione” della Federazione russa contro l’Ucraina, a cui si accompagnano i riferimenti alle responsabilità degli Stati “complici” (Bielorussia e Iran) che a diverso titolo prestano aiuto o assistenza all’aggressore, nonché alle responsabilità individuali sul piano della giustizia penale internazionale, per crimini di guerra, come “gli attacchi contro i civili e la distruzione delle infrastrutture civili che privano milioni di ucraini dei servizi di base”.

1. L’adesione alla NATO di nuovi membri: Svezia ma non Ucraina, almeno non subito

L’allargamento della NATO a nuovi membri è inevitabilmente il primo tema in esame. Per la prima volta la Finlandia ha partecipato in questa veste al summit ma l’incontro si è aperto con la notizia dell’accordo raggiunto rispetto all’ingresso della Svezia, superando dunque l’opposizione in precedenza espressa dal governo turco del Presidente Erdogan. L’opposizione di uno membri funziona, di fatto, come una sorta di diritto di veto, dal momento che l’art. 10 del Trattato del Nord Atlantico del 1949 stabilisce che per l’ammissione di nuovi membri sia necessario l’ “accordo unanime” dei membri.

Ciò che non si trova nel Communiqué è una tabella di marcia o un calendario per l’adesione dell’Ucraina: vi si riafferma invece l’impegno a far sì che il Paese divenga in futuro membro NATO, un impegno che gli Stati dell’Alleanza atlantica si erano assunti sin dal Summit di Bucarest del 2008, nel corso del quale aveva preso forma la politica della porta aperta. Secondo la open-door policy, le condizioni sono unicamente quelle di natura procedurale e sostanziale stabilite nell’art. 10 del Trattato di Washington (l’apertura a ogni “Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”): ne consegue che in tema di ammissione di nuovi membri nessun Paese terzo ha voce in capitolo.

Il Communiqué riconosce all’Ucraina una sorta di percorso agevolato, dal momento che non dovrà partecipare alla procedura stabilita nel c.d. Membership Action Plan (MAP), a cui si erano in precedenza sottoposti gli altri Paesi dell’Europa orientale, ma giunge alla chiara conclusione che l’ingresso di Kiev avverrà “quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte”. Si tratta di una formula capace di fare sintesi di posizioni diverse tra i membri della NATO, che esprime però la constatazione, espressa anche dal Segretario generale della NATO, che l’adesione dell’Ucraina alla NATO avverrà alla cessazione del conflitto in corso. Sarà interessante verificare se vi sarà accordo tra i membri sui tempi, soprattutto rispetto a quale situazione sia da considerarsi come “fine della guerra”: il cessate il fuoco, una soluzione di compromesso, oppure se sia necessario, ad esempio, il completo ritiro russo dal territorio oppure solo da una parte di esso.

In questa situazione di transizione, lo strumento istituzionale di dialogo politico e collaborazione è rappresentato dal nuovo Consiglio NATO-Ucraina, che sostituisce la precedente Commissione con il medesimo nome che aveva operato sin dal 1997 e la cui prima sessione si è tenuta alla presenza del Presidente ucraino Zelenskyj. Si tratta di un meccanismo di consultazione permanente che, a parere degli analisti, segue il modello del Consiglio NATO-Russia, che era stato creato nel 2002 in occasione del vertice NATO di Roma.

2. Che cosa sono le “garanzie di sicurezza” all’Ucraina?

Resta il fatto che il Summit di Vilnius segna una tappa significativa nel processo di progressiva integrazione dell’Ucraina: l’obiettivo dichiarato dell’interoperabilità tra le forze armate ucraine e quelle della NATO comporterà un ulteriore impegno in attività di addestramento e ammodernamento, con la fornitura a Kiev di mezzi e apparecchiature militari.

La questione se l’adesione dell’Ucraina alla NATO sia preferibile rispetto ad altre forme ad hoc di “garanzie di sicurezza” di tipo bilaterale si presta anche ad un apprezzamento sul piano politico: la membership, secondo alcuni, sarebbe da preferire come ancoraggio di lungo periodo del Paese al sistema democratico e farebbe gioco agli alleati europei, rispetto al rischio di una relazione bilaterale Ucraina-USA, sul modello di Israele. Si tratta di analisi che paiono presupporre nel futuro un’architettura (possibile?) di sicurezza comune in Europa senza la Russia.

Occorre tuttavia capire meglio che cosa si intende con l’espressione “garanzie di sicurezza”. In effetti, un tema che aveva segnato il dibattito politico nelle settimane precedenti il vertice NATO aveva riguardato le c.d. “garanzie di sicurezza” che gli Alleati avrebbero dovuto offrire all’Ucraina, fintantoché non sarebbe divenuta membro della NATO. Ciò aveva creato una certa confusione terminologica tra “security guarantees” e “security assurances”.

In effetti, con l’espressione “garanzie di sicurezza” (security assurances) si è soliti fare riferimento agli impegni che gli Stati militarmente nucleari si sono assunti dopo la conclusione del Trattato di non-proliferazione nucleare  (TNP) del 1968: si tratta di garanzie accordate agli Stati non dotati di armi nucleari aderenti al TNP a non usare contro di essi l’arma atomica (garanzie di sicurezza negative), oppure dell’impegno ad assistere quegli stessi Stati se vittime di un aggressione con l’impiego di armi nucleari (garanzie di sicurezza positive). Il problema giuridico è quello della natura giuridica delle c.d. garanzie di sicurezza, in quanto atti unilaterali, ossia se esse contengano un impegno giuridicamente vincolante per gli Stati che le hanno effettuate o se siano delle semplici dichiarazioni di natura politica (N. Ronzitti, Diritto internazionale dei conflitti armati, 7^ ed., Torino, 2021, p. 422).

Gli organi di stampa internazionali hanno utilizzato l’espressione “security guarantees”, riferendosi ad una serie di iniziative annunciate dai Paesi aderenti al G7 al termine di un incontro tenutosi a lato del vertice NATO di Vilnius il 12 luglio. È utile, allora, soffermarsi, sulla dichiarazione congiunta di sostegno all’Ucraina, nella quale si prevede l’avvio di negoziati con Kiev per la definizione di “impegni e accordi di sicurezza specifici, bilaterali e a lungo termine” in tre diversi ambiti: a) la fornitura di armamenti e il sostegno allo sviluppo industriale ucraino nel settore della difesa; b) il rafforzamento della stabilità e della resilienza economica dell’Ucraina, anche attraverso sforzi di ricostruzione e recupero; c) il sostegno tecnico e finanziario per le necessità immediate dell’Ucraina derivanti dalla guerra contro la Russia.

Quanto all’eventualità di futuri attacchi armati da parte russa, l’impegno dei Paesi del G7 è a lavorare con l’Ucraina “su un pacchetto rafforzato di impegni e accordi di sicurezza, per consentire all’Ucraina di difendere il suo territorio e la sua sovranità”. Non è chiaro se l’espressione “impegni e accordi” si riferisca a atti unilaterali oppure a intese di natura meramente politica o ad accordi disciplinati dal diritto internazionale. Sarà poi interessante capire in quale direzione si muoveranno i negoziati su questo terreno e in qual modo le soluzioni raggiunte si armonizzeranno rispetto al modello delle clausole di mutua difesa in caso di aggressione.

Meritevole di attenzione è en passant il passaggio della dichiarazione congiunta dei Paesi del G7, che crea un legame tra il regime di misure sanzionatorie contro la Russia e la ricostruzione ucraina, laddove si ribadisce che “gli asset sovrani della Russia nelle nostre giurisdizioni rimarranno immobilizzati fino a quando la Russia non pagherà per i danni causati all’Ucraina”, riconoscendo inoltre “la necessità di istituire un meccanismo internazionale per la riparazione dei danni”. Si impone nuovamente il tema, assai delicato, dell’impiego di risorse congelate – una misura, dunque, di carattere transitorio e reversibile – per le finalità di riparazione e ricostruzione.

3. Il futuro del controllo degli armamenti, della non-proliferazione e del disarmo

La minaccia nucleare rimane sullo sfondo della complessa crisi innescata dal conflitto in Ucraina. Sono numerosi i paragrafi che il Communiqué adottato a Vilnius dedica al tema della non-proliferazione e del disarmo. Non cambia l’approccio sulla deterrenza nucleare: fintantoché vi sono armi atomiche, la NATO rimane una alleanza nucleare. Pertanto, il TNP rimane “il baluardo essenziale contro la diffusione delle armi nucleari”, nonché “la pietra angolare del regime globale di non proliferazione”, mentre si denuncia la responsabilità russa per il fallimento della decima Conferenza di riesame nel raggiungere un accordo sulla dichiarazione finale. Ferma rimane la contrarietà della NATO al Trattato sulla proibizione di armi nucleari (TPNW) in quanto incompatibile “con la politica di deterrenza nucleare dell’Alleanza” e perché rischierebbe di mettere a repentaglio il TNP.  Pertanto, il TPNW né modifica “gli obblighi giuridici dei nostri Paesi in materia di armi nucleari”, né contribuisce in qualche modo allo sviluppo del diritto internazionale consuetudinario. È una posizione che non sorprende ma che sancisce ulteriormente la spaccatura esistente con alcuni Paesi membri dell’UE, grandi sostenitori del Trattato, e con diversi altri Stati riconducibili al c.d. Global South.

I Paesi della NATO insistono, invece, sulla necessità di un “immediato avvio e la rapida conclusione dei negoziati per un trattato che vieti la produzione di materiale fissile da utilizzare per armi nucleari o altri ordigni esplosivi”. È questo un passaggio chiave in materia di non-proliferazione, che segnerebbe il superamento della prolungata crisi della Conferenza sul disarmo.

Una crisi in cui certo versa l’architettura normativa in materia di controllo degli armamenti, costituita da una rete di accordi internazionali di naturale bilaterale e multilaterale, conclusi all’epoca della fine della guerra fredda. Il Communiqué menziona la decisione russa sia di recedere dal trattato sulle forze armate convenzionali in Europa sia di sospendere il trattato new START del 2010, l’ultimo accordo bilaterale rimasto di controllo degli armamenti nucleari, invocando quali cause sia il principio rebus sic stantibus sia l’inadempimento per “violazione sostanziale” da parte degli Stati Uniti.

Sono sviluppi che destano preoccupazione per gli effetti che questo clima di sfiducia e totale incomunicabilità tra NATO e Russia potrebbe generare rispetto ad un nuovo dispiegamento di armi atomiche, in controtendenza rispetto agli auspici di un avvio di negoziati verso un completo disarmo nucleare, in base all’art. VI del TNP. Non si potrà non tener in debito conto la posizione assunta dalla Cina, la quale – osserva il Communiqué – “sta rapidamente espandendo e diversificando il suo arsenale nucleare con più testate e un maggior numero di sofisticati sistemi di lancio […] senza impegnarsi in una significativa trasparenza o in sforzi in buona fede per raggiungere il controllo degli armamenti nucleari o la riduzione dei rischi”.

4. Attacchi ibridi, cyber e da, verso o nello spazio extra-atmosferico

In linea con quanto già espresso nel Concetto strategico del 2022, il Communiqué si sofferma su quei teatri operativi dai quali derivano minacce crescenti alla sicurezza della NATO: lo spazio cibernetico e lo spazio extra-atmosferico. I Paesi dell’Alleanza atlantica riconoscono che quest’ultimo è “un’area di crescente rivalità, dove concorrenti strategici e potenziali avversari della NATO si comportano in modo irresponsabile, si impegnano in attività dannose e sviluppano capacità di superiorità spaziale”. Quanto al cyberspazio, esso è “un teatro di contesa costante”, che rende necessario “contrastare le minacce informatiche sostanziali, continue e crescenti ai nostri sistemi democratici e alle infrastrutture critiche, anche quando fanno parte di campagne ibride”.

È dalla prospettiva della legittima difesa, in base all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che si riconosce una posizione oramai consolidata dei Paesi della Alleanza atlantica circa il contenuto della nozione di “attacco armato” in questi contesti. Il Communiqué precisa quali condotte potrebbero raggiungere la soglia di un attacco armato e portare il Consiglio del Nord Atlantico a decidere, caso per caso, di invocare l’art. 5 del Trattato di Washington, contiene la clausola di mutua difesa collettiva: operazioni ibride contro uno dei membri, mediante la combinazione di mezzi militari e non- militari (disinformazione, attacchi informatici, pressioni economiche, dispiegamento di gruppi armati irregolari o uso di forze regolari); oppure “un atto isolato di cyber-malware o una serie di tali atti”, come anche “un’operazione ostile verso, da o nello spazio extra-atmosferico”.

Quanto a quest’ultimo scenario, è la conferma che gli Stati membri della NATO non escludono l’utilizzo dello spazio per operazioni militari, compreso l’uso della forza armata, fatti salvi i divieti contenuti nel Trattato sullo spazio del 1967 di stabilire basi, installazioni e fortificazioni militari, sperimentare qualsiasi tipo di arma e condurre manovre militari sui corpi celesti; nonché di mettere in orbita oggetti che trasportano armi nucleari o altre armi di distruzione di massa, installare tali armi su corpi celesti o collocare tali armi nello spazio extra-atmosferico in qualsiasi altro modo.

5. Un’organizzazione regionale Euro-Atlantica che guarda (sempre più) all’Indo-Pacifico

Sebbene il Communiqué rifletta chiaramente la priorità che la NATO ha accordato al conflitto in Ucraina e alla minaccia rappresentata dalla Federazione russa, colpisce la crescente attenzione alla Cina e alla più ampia regione dell’Indo-Pacifico: non a caso, vi si riconosce “il contributo dei nostri partner dell’Asia-Pacifico – Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Repubblica di Corea – alla sicurezza nell’area euro-atlantica, in particolare la loro determinazione a sostenere l’Ucraina”.

Per quanto riguarda le ambizioni cinesi, esse costituiscono una minaccia “agli interessi, alla sicurezza, ai valori” della NATO. Il documento richiama il concetto strategico del 2022 quando evidenzia l’ampia gamma di strumenti politici, economici e militari impiegati da Pechino per rafforzare la propria presenza nel mondo: le sue operazioni ibride o informatiche malevole, la retorica ostile e le attività di disinformazione; il controllo di settori tecnologici e industriali chiave, di infrastrutture critiche, dei materiali strategici e catene di approvvigionamento. L’atteggiamento dell’Alleanza atlantica, al momento, rimane quello di apertura ad un’interazione in senso costruttivo con la Cina, pur mantenendo una posizione netta rispetto al partenariato con la Russia: oltre a chiedere la condanna dell’aggressione all’Ucraina, il Communiqué fa appello affinché la Cina assuma un “ruolo costruttivo come membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.

E qui dunque sorge l’interrogativo, che rimane aperto, su quale sia la direzione che la NATO abbia intrapreso quale organizzazione regionale – anche nel senso di una espansione potenziale del suo raggio d’azione – in un contesto internazionale segnato dalla paralisi del sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite e, più in generale, dalla crisi del multilateralismo. È una domanda che si presenta ancor più delicata per i Paesi della NATO che sono al contempo membri dell’Unione europea. In termini forse formalistici, occorre chiedersi quali connotati abbia assunto in questo momento storico il criterio della regionalità, non soltanto come requisito per l’ammissione all’Alleanza, ma in funzione del suo ruolo nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, così come era stato disegnato per gli accordi e le organizzazioni regionali dal Capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite.

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