diritto dell'Unione europea

La portata e i limiti delle misure restrittive dell’Unione europea nel conflitto tra Russia e Ucraina

Sara Poli (Università di Pisa)

1. Il conflitto tra Russia e Ucraina porta gli studiosi del diritto dell’Unione europea e del diritto internazionale a riflettere sull’uso delle misure restrittive (comunemente dette sanzioni) come strumento di coercizione economica nei confronti di un Paese terzo che ha compiuto un atto di aggressione. L’UE ha fatto ampio ricorso ai poteri previsti dall’art. 215 del TFUE in situazioni di crisi internazionali (v. Poli, Le misure restrittive autonome dell’Unione europea, Napoli, 2019). Ciò in particolare quando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni non è in grado di adottare risoluzioni che stabiliscono misure coercitive non implicanti l’uso della forza, ex art. 41 della Carta delle Nazioni Unite.  

A otto anni dal conflitto del 2014, che aveva portato l’UE ad adottare misure restrittive individuali oltre a sanzioni economiche e settoriali per le violazioni dell’integrità territoriale ucraina, Putin ha compiuto un’aggressione armata su larga scala nei confronti del Paese.

Gli Stati membri dell’UE hanno reagito adottando tutti i tipi di misure restrittive a disposizione dell’UE: sanzioni economiche, finanziarie, settoriali e individuali. Con l’intensificarsi del conflitto, il 1 marzo sono state autorizzate restrizioni di nuova generazione, consistenti nel divieto sospensione delle attività del quotidiano online Sputnik e dell’emittente televisiva statale Russia Today (v. Decisione 2022/351 del Consiglio), al fine  di contrastare le attività di disinformazione nei confronti della società civile degli Stati membri e dei Paesi limitrofi. Tale nuova categoria di misure restrittive si è resa necessaria in quanto «gli organi di informazione in questione svolgono un ruolo essenziale, strumentale ai fini della promozione e del sostegno dell’aggressione nei confronti dell’Ucraina e della destabilizzazione dei paesi ad essa limitrofi», in tal modo determinando una minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza dell’Unione. Si deve ritenere che questo tipo del tutto particolare di sanzione, che a giudizio del Consiglio è compatibile con la Carta dei diritti fondamentali (art. 11, 16 e 17), sia specificamente collegato al contesto russo e difficilmente potrà essere utilizzato dall’UE in altre situazioni di crisi.

Ad oggi, le misure adottate colpiscono per l’incisività e la tempestività (nonostante l’operare della procedura decisionale dell’unanimità all’interno del Consiglio dell’UE) e per il livello di coesione mantenuto dagli Stati membri dell’Unione, sebbene non sia mancata qualche esitazione da parte di alcuni Paesi, tra cui il nostro. Guardando oltre i confini dell’Unione, tutta la componente occidentale della comunità internazionale è stata compatta nell’adozione di misure simili a quelle dell’Unione. Gli Stati Uniti hanno stabilito un quadro di sanzioni ancora più ampio: l’8 marzo hanno vietato le importazioni di petrolio, prodotti derivati, gas naturale liquefatto e carbone dalla Russia (v. anche la decisione del governo australiano di imporre misure simili e l’annuncio del Regno Unito riguardo alle importazioni di petrolio) mentre c’è reticenza da parte di taluni Paesi europei ad adottare gli stessi provvedimenti (v. infra n. 2). Ricorrenti sono state le prese di posizioni comuni adottate dai membri del G7 sia nell’imminenza del conflitto che nel corso dello stesso. L’annuncio più recente è dell’11 marzo e riguarda, inter alia, la decisione di ritirare il trattamento della nazione più favorita nei confronti della Russia con riguardo all’importazione di merci; ciò implica un aumento dei dazi sui prodotti russi.

Vale la pena esaminare più in dettaglio il ventaglio di restrizioni adottate dall’UE al fine apprezzarne le qualità e allo stesso tempo i limiti.

2. Il Consiglio UE ha approvato misure restrittive sia nei giorni precedenti all’attacco armato che subito dopo, in un crescendo serrato. L’UE ha tenuto così fede all’impegno, formulato dal Consiglio europeo nelle sue conclusioni del 16 dicembre 2021, di reagire ad un’aggressione militare contro l’Ucraina con l’attuazione di «misure restrittive coordinate con i partners» (punto 23). Anche l’Alto Rappresentante dell’Unione, Borrell, aveva sostenuto la medesima posizione in una dichiarazione del 19 febbraio, di fronte alla minaccia alla sicurezza dell’Ucraina causata dal massiccio incremento delle forze armate russe ai confini di tale Paese.

La prima violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina risale al 21 febbraio 2022 quando il Presidente russo Putin ha riconosciuto l’indipendenza e la sovranità delle zone delle oblast di Donetsk e Luhansk non controllate dall’esercito ucraino e ha impartito l’ordine alle sue forze armate di entrare in tali aree. Così agendo ha violato la Carta delle Nazioni Unite, l’Atto finale di Helsinki, la Carta di Parigi e il memorandum di Budapest, ma anche gli accordi di Minsk al cui rispetto le parti erano state esortate anche dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione 2202 (2015). L’UE ha reagito in tempi rapidissimi. Il 22 febbraio l’Alto Rappresentante dell’Unione ha condannato, con una dichiarazione resa a nome dell’Unione, la decisione russa sul riconoscimento e la decisione di fare ingresso nelle aree sopra menzionate. Fermo restando che la reazione è stata immediata, occorre sottolineare che, come emerge dalle parole del Presidente ucraino Zelenski in un’intervista del 10 marzo, l’UE avrebbe potuto agire ancora prima, nell’imminenza dell’attacco armato, a partire dal momento in cui Putin aveva fatto ammassare le sue truppe ai confini ucraini. L’UE, come altri soggetti di diritto interazionale, può adottare misure restrittive a fini preventivi (v. linee guida del Consiglio p. 46). Tuttavia, né l’Unione e neppure i membri del G7 hanno utilizzato le misure restrittive di fronte alla minaccia di un attacco armato. Si è invece ritenuto preferibile tentare di scongiurare l’inizio di un conflitto attraverso mezzi diplomatici fino all’ultimo minuto. Da parte sua, il governo tedesco ha in via unilaterale deciso di sospendere le attività di certificazione che avrebbero portato il gasdotto North Stream II ad operare. Tale misura è stata presa a titolo di ritorsione il 22 febbraio, ossia il giorno successivo al dispiegamento di forze armate nel territorio delle Repubbliche separatiste, dall’unico Paese membro dell’UE abilitato a fermare il funzionamento del gasdotto.

Quando poi la Russia, il 24 febbraio, ha invaso l’Ucraina, l’aggressione è stata condannata con la massima fermezza dalla Commissione, dal Consiglio europeo e dall’Alto Rappresentante dell’Unione e dalla presidente del Parlamento europeo in quanto, oltre a violare l’integrità territoriale di uno Stato sovrano, mette a repentaglio la stabilità europea e mondiale. La grave violazione del divieto di usare la forza ha determinato l’adozione di misure restrittive di vario tipo da parte dell’Unione a titolo di contromisura. Ciò per incentivare Putin a porre fine «all’operazione militare speciale» (secondo la definizione dello stesso Presidente russo) su tutto il territorio ucraino.

L’UE ha anche adottato misure di ritorsione, ad esempio la sospensione dell’accordo bilaterale sulla facilitazione del rilascio dei visti a talune categorie di cittadini russi quali membri dell’apparato statale (governo, parlamenti nazionali, Corte costituzionale, corte suprema) ma anche imprenditori. Un’ulteriore misura di ritorsione è stata annunciata in una dichiarazione congiunta della Commissione, Francia, Italia, Germania, Regno Unito Stati Uniti e Canada del 26 febbraio 2022: si tratta della decisione di vietare il rilascio dei cosiddetti «passaporti d’oro» a cittadini russi benestanti, connessi al governo russo, in cambio di investimenti. Alcuni Stati membri come Bulgaria, Malta e Cipro hanno attuato norme interne simili.

Lo stesso giorno dell’aggressione l’UE ha altresì approvato misure di natura finanziaria a favore del Paese aggredito, sulla base dell’art. 212 del TFUE. Non si tratta di una misura adottata sulla base delle disposizioni del TUE relative alla PESC ma di uno strumento di assistenza macrofinanziaria che offre un sostegno rapido all’Ucraina. Con la decisione (UE) 2022/313 del Parlamento e del Consiglio del 24 febbraio, l’Unione è intervenuta per coprire il fabbisogno di sostegno alla bilancia dei pagamenti dell’Ucraina, concedendo prestiti (per un importo di 1.2 miliardi di euro) a titolo di assistenza macrofinanziaria. Viene autorizzata la concessione di prestiti poiché, a seguito delle minacce alla sicurezza lungo la frontiera con la Russia, a partire da gennaio si è venuta a creare un’incertezza politica tale da provocare una perdita di fiducia nelle prospettive economiche del Paese; ciò ha causato una perdita di accesso ai mercati internazionali dei capitali e anche un deflusso di capitali dal Paese. Le misure di assistenza macrofinanziaria, come quella in esame, sono riservate ai Paesi terzi che si impegnano a rispettare i valori condivisi con l’UE.

Vale la pena sottolineare che Putin agli inizi di marzo ha considerato le sanzioni assimilabili ad un «atto di guerra». In realtà, le misure di coercizione economica sinora adottate, per quanto incisive, non sono qualificabili come atti che violano il divieto di usare la forza; al contrario, possono essere considerate come uno strumento che previene l’allargamento del conflitto. Al momento, il Presidente russo ha reagito alle misure restrittive adottate imponendo un divieto temporaneo di disinvestimento nei confronti di stranieri che hanno assets nel Paese; anche il progetto di cooperazione internazionale, su cui si fonda la stazione spaziale internazionale, potrebbe essere a rischio se Putin decidesse di reagire alla sospensione della cooperazione in materia di ricerca con la Russia (e la Bielorussia) decisa dalla Commissione europea il 4 marzo. Più importanti sono invece le contro sanzioni approvate del 15 marzo che consistono, tra le altre, in divieti di esportazioni di merci (tra cui apparecchiature elettroniche e mediche).

3. Venendo alle misure restrittive adottate dal Consiglio UE, ex art. 215 TFEU, l’Unione si è attivata da un lato, ampliando il numero di persone fisiche o altre entità non statali sottoposte a sanzioni (congelamento dei beni e i cosiddetti «divieti di viaggio») per aver violato l’integrità territoriale dell’Ucraina. Lo ha fatto modificando la decisione PESC approvata subito dopo l’organizzazione del referendum in Crimea (v. Decisione (PESC) 2014/145 del Consiglio). Dall’altro, l’organizzazione ha adottato una serie di restrizioni di natura economica e altre di tipo settoriale andando a modificare la Decisione (PESC) 2014/512 del Consiglio). Quest’ultima era stata adottata subito dopo l’abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines nelle zone controllate dai ribelli a Donetsk nel luglio 2014 in considerazione delle azioni della Russia che avevano destabilizzato la situazione dell’Ucraina.

Oltre alle misure restrittive «classiche» che si adottano in situazioni di crisi internazionali, quali divieti di esportazioni di armi e di tecnologia a doppio uso, e di tecnologie abilitanti (come nel caso dei semiconduttori) o necessarie per la raffinazione del petrolio, divieto di atterraggio e decollo dei voli aerei russi (su cui v. Decisione (UE) 2022/335 del Consiglio e regolamento (UE) 2022/334 del Consiglio), sono state approvate anche misure restrittive di carattere finanziario straordinarie.

Tra quelle che hanno avuto gli effetti più dirompenti per l’economia russa se ne segnalo due. In primo luogo, il Consiglio dell’UE ha vietato le operazioni relative alla gestione di riserve in valuta straniera nei confronti della Banca centrale di Russia, nonché quelle riguardanti le attività di tale ente (v. Decisione (UE) 2022/335, cit. e regolamento (UE) 2022/334, cit) così come deciso dagli Stati Uniti e dagli altri membri del G7. Il fine di tale misura è impedire che la Banca centrale russa possa usare le riserve menzionate per dare stabilità al rublo e sostenere le banche e le imprese colpite dalle sanzioni. In effetti, l’accesso alle riserve avrebbe permesso alla Russia di contenere gli effetti dell’isolamento provocato dalle misure restrittive finanziarie per un lungo periodo. L’UE è ricorsa a provvedimenti nei confronti della Banca centrale dell’Iran adottati per contrastare le attività di proliferazione nucleare e poi parzialmente sospesi nel 2015 ma è la prima volta che una misura simile viene adottata nei confronti di un Paese del G20. Si tratta di una sanzione inaspettata per la Russia.

In secondo luogo, misure restrittive finanziarie «a carattere chirurgico» sono state adottate il 2 marzo 2022. A partire dal 12 marzo 2022, l’UE vieta di prestare servizi specializzati di messaggistica finanziaria, utilizzati per scambiare dati finanziari, a determinati enti creditizi russi (Bank Otkritie, Novikombank, Promsvyazbank, Bank Rossiya, Sovcombank, VNESHECONOMBANK (VEB), VTB BANK). Si tratta di una misura che esclude selettivamente le banche citate dal sistema dei pagamenti SWIFT. Anche in questo caso, non è la prima volta che l’UE adotta una misura simile (v. le sanzioni SWIFT imposte a banche iraniane su cui v. Sossai, Sanzioni delle Nazioni Unite e organizzazioni regionali, Roma, 2020, p. 85). Non è stato invece possibile mettere d’accordo gli Stati membri sull’esclusione generalizzata di tutte le banche russe. Ciò non tanto per considerazioni legate alla carenza di proporzionalità della misura quanto perché un divieto di questo tipo avrebbe impedito il pagamento delle forniture di gas da parte di alcuni Paesi (tra cui il nostro e la Germania) fortemente dipendenti dalle importazioni di gas dalla Russia. È proibito anche esportare banconote denominate in euro in Russia e investire, partecipare o contribuire in altro modo a progetti cofinanziati dal Fondo russo per gli investimenti diretti (v. Decisione (PESC) 2022/346 del Consiglio). A tale decisione si sono associati vari Paesi candidati e la Norvegia.

Tra le misure finanziarie sono inclusi i divieti di acquisto o vendita dal governo russo o dalla Banca centrale russa (o da altre entità che agiscono sotto la direzione di quest’ultima) di valori mobiliari e strumenti del mercato monetario, emessi dopo il 9 marzo 2022. A partire dal 23 febbraio 2022 è proibito anche a qualsiasi persona giuridica, entità o organismo, che agisce per conto o sotto la direzione della Banca centrale russa, concludere o partecipare, direttamente o indirettamente, a qualsiasi accordo per l’erogazione di nuovi prestiti o crediti (v. Decisione (PESC) 2022/264 del Consiglio e il regolamento (UE) 2022/262 del Consiglio (successivamente rettificato)).

Tra le misure restrittive di natura economica vanno incluse anche quelle tese a vietare il commercio e la prestazione di servizi in un ampio numero di settori (energia, telecomunicazioni e trasporti) tra l’UE e le zone non controllate dal governo delle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk (v. Decisione (UE) 2022/266 del Consiglio e del regolamento (UE) 2022/263 del Consiglio). Ciò a seguito del riconoscimento dell’indipendenza e della sovranità delle due Repubbliche separatiste da parte del governo russo e del successivo ordine impartito alle forze armate russe di intervenire in quelle aree. Infine, le restrizioni più recenti riguardano le esportazioni di apparecchiature, tecnologie e servizi per l’industria dell’energia, ad eccezione dell’industria nucleare e del settore a valle del trasporto dell’energia, prodotti siderurgici e i beni di lusso.

Anche i membri del G7, oltre che l’Australia, hanno adottato misure simili. In alcuni casi, le sanzioni dei Paesi terzi citati sono andate oltre quelle dell’Unione (ad esempio il Regno Unito ha proibito l’accesso a porti alle navi battenti bandiera russa. V. per ulteriori dettagli il testo delle sanzioni inglesi). Abbiamo già detto che l’8 marzo gli Stati Uniti hanno stabilito «sanzioni energetiche». Una decisione simile è stata presa anche dal Canada per ciò che riguarda le importazioni di petrolio (non sono invece vietate le importazioni dalla Russia di prodotti derivati dal petrolio). Nel contesto europeo le misure restrittive sulle importazioni di fonti di energia sono difficili da adottare per alcuni Paesi dell’UE come il nostro e la Germania, considerato il livello di dipendenza dalle importazioni di gas russo. Verosimilmente, dunque, il Consiglio non riuscirà a raggiungere l’unanimità necessaria per l’approvazione della decisione PESC a livello dell’Unione. Tuttavia, non è neppure escluso che l’aggravarsi del conflitto potrà giustificare decisioni diverse, in particolare con riguardo alle importazioni di petrolio se non a quelle del gas.

Sebbene regimi di misure restrittive di ampia portata siano stati attuati in relazione alla situazione dell’Iran (per le attività di proliferazione nucleare), della Siria e della Corea del Nord, il livello di coercizione esercitata dalle misure restrittive sulla Russia è tuttavia molto significativo e probabilmente senza precedenti. L’impatto delle misure restrittive di natura finanziaria è stato dirompente sull’economia russa: il rublo ha perso il 30% del suo valore, la borsa russa è stata chiusa e la Russia è considerata Paese a rischio di default.  Ciò grazie ad una vera e propria mobilitazione collettiva della componente occidentale della comunità internazionale con riguardo all’adozione di sanzioni a carattere finanziario contro la Russia, unita alle iniziative intese ad isolare il Paese prese da privati (v. Fasciglione).

Poiché l’aggressione all’Ucraina è stata facilitata dalla Bielorussia, sono stati vietati gli scambi di vari tipi di merci (beni usati per la produzione o la fabbricazione di prodotti del tabacco, combustibili minerali, sostanze bituminose e idrocarburi gassosi, prodotti a base di cloruro di potassio («potassa»), prodotti in legno, prodotti di cemento, prodotti siderurgici e prodotti in gomma) con tale Paese. Il Consiglio dell’UE ha imposto restrizioni alle esportazioni di beni e tecnologie a duplice uso e sulla prestazione dei servizi connessi, ma anche limitazioni alle esportazioni di determinati beni e tecnologie in grado di contribuire allo sviluppo dei settori militare, tecnologico, della difesa e della sicurezza del Paese citato (v. Decisione (PESC) 2022/356 del Consiglio). Infine, le operazioni con la Banca centrale della Bielorussia sono state vietate e alcune banche del Paese sono state escluse dal sistema dei pagamenti SWIFT (v. Decisione (PESC) 2022/399 del Consiglio).    

4. L’UE ha poi adottato misure restrittive di natura «individuale», che designano persone fisiche o giuridiche o altre entità non statali, inclusi individui-organo per la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Queste si articolano in tre gruppi.

Il primo fa riferimento alla Decisione (PESC) 2022/265 del Consiglio e al regolamento di esecuzione (UE) 2022/260 del Consiglio e ha permesso di inserire nelle black lists 22 persone. Tra queste sono annoverati membri del governo, alti funzionari militari, dirigenti di media (Russia Today), e altre entità (quali banche statali), per una serie eterogenea di attività da essi condotte in Crimea a sostegno della politica governativa russa in tale territorio e in violazione dell’integrità territoriale ucraina. Anche attività di propaganda svolte attraverso i media (ad esempio da conduttori televisivi) rilevano per l’inclusione nella lista.

La seconda categoria di misure ha colpito esclusivamente membri di organi statali in quanto responsabili diretti della decisione assunta in violazione di obblighi internazionali: si tratta dei 336 membri della Duma che hanno approvato la decisione di riconoscere come Stati indipendenti la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Luhansk rivendicate dai separatisti (v. Decisione (UE) 2022/267 e il regolamento di esecuzione (UE) 2022/261 del Consiglio).Questo gruppo di sanzioni è stato integrato da altre misure a partire dal 24 febbraio, giorno al quale risale l’aggressione militare definita dal Consiglio europeo «non provocata e ingiustificata» della Federazione russa nei confronti dell’Ucraina. In questa occasione, il Consiglio ha approvato una modifica alla decisione (PESC) 2014/145 per permettere di aggiungere i membri del Consiglio di sicurezza nazionale che hanno sostenuto il riconoscimento da parte della Russia delle due repubbliche di Donetsk e Luhansk, nonché le persone che hanno facilitato l’aggressione militare russa dalla Bielorussia oltre che i membri della Duma di Stato (rimasti esclusi dalle misure restrittive iniziali) che hanno ratificato la decisione del governo relativa al «Trattato di amicizia, di cooperazione e di mutua assistenza tra la Federazione russa e la Repubblica popolare di Donetsk e tra la Federazione russa e la Repubblica popolare di Luhansk» (v. Decisione (PESC) 2022/331 del Consiglio). Qualche giorno più tardi sono stati invece inseriti negli elenchi dei sanzionati anche 22 persone tra cui alti militari bielorussi e funzionari del ministero della difesa per aver partecipato all’illecito internazionale, consentendo il passaggio a mezzi militari russi sul proprio territorio e prestando supporto logistico e militare alla Russia al fine di attaccare l’Ucraina (v. Decisione (PESC) 2022/354 del Consiglio).

Il 25 febbraio è stato annunciato dall’Alto Rappresentante dell’Unione il congelamento dei beni nei confronti del leader russo e del ministro degli esteri Lavrov.

Infine, va segnalata una terza categoria di misure restrittive: si tratta di atti PESC che allargano la cerchia dei soggetti sottoposti al congelamento delle risorse economiche e al divieto di rilascio di visto. Gli atti PESC in questione vanno a colpire non solo e non più persone responsabili politicamente o materialmente delle violazioni dell’integrità territoriale ma anche una cerchia di persone non direttamente coinvolte nelle violazioni di cui sopra: si tratta di coloro che traggono vantaggio dal governo o lo sostengono. Il Consiglio ha dunque ampliato i criteri di designazione delle persone iscritte nella lista dei sanzionati aggiungendo, inter alia, «imprenditori di spicco che operano in settori economici che costituiscono una notevole fonte di reddito per il governo» (v. Decisione (PESC) 2022/329 del Consiglio art. 1(1) e). Così la Decisione (PESC) 2022/337 del Consiglio aggiunge 26 persone e entità alla lista tra cui rientrano i cosiddetti oligarchi russi oltre che giornalisti. A queste persone vengono poi aggiunte anche militari del distretto militare meridionale entrati nelle Repubbliche separatiste dopo il 23 febbraio. Ulteriori nomi di oligarchi che hanno svolto attività in Crimea e partecipato ad una riunione con Putin il 24 febbraio per discutere dell’impatto delle sanzioni sono stati inseriti con la decisione (PESC) 2022/429.

In totale al 9 marzo 2022 l’UE aveva inserito nelle sue black lists delle sue misure restrittive circa 862 persone e 53 entità non statali.

Nella prassi delle sanzioni autonome approvate dall’UE il Consiglio giunge ad allargare la cerchia di soggetti colpiti dalle misure restrittive al di là dei responsabili diretti degli atti illeciti internazionali con una certa gradualità: tendenzialmente, se le prime misure restrittive adottate nei confronti degli autori materiali o responsabili politici di tali violazioni non producono effetti significativi, il Consiglio dell’UE amplia la portata soggettiva delle misure restrittive ai soggetti che forniscono sostegno al governo o traggono benefici da esso. Ciò in quanto spesso non è sufficiente adottare misure del primo tipo per determinare un cambio di comportamento da parte del governo che compie violazioni di norme internazionali. È necessario esercitare una pressione politica sulle persone vicine alla leadership governativa. Nel caso dell’Ucraina, l’aggravarsi del conflitto in tempi strettissimi ha reso impossibile graduare le sanzioni come di solito avviene; di fatto, sono passati solo alcuni giorni tra l’imposizione del secondo e del terzo tipo di sanzioni. Pertanto, le misure adottate contro i soggetti responsabili delle violazioni sono state seguite in modo pressoché immediato da quelle contro la cerchia dei sostenitori del governo russo. Tuttavia, se – per ipotesi – la Russia decidesse di ricorrere in annullamento ex art. 263 TFUE davanti alla Corte di Giustizia europea per impugnare le misure restrittive adottate, sarebbe difficile provare la violazione del principio di proporzionalità da parte del Consiglio, considerato il rapido aggravarsi della situazione e la gravità delle violazioni compiute, ivi comprese quelle di diritto umanitario.

5. Va sottolineato come altri Paesi europei, non membri dell’organizzazione, abbiano adottato sanzioni simili come nel caso della Norvegia e della Svizzera. Al contrario, la Turchia e la Serbia, Paesi candidati all’adesione all’Unione, non si sono allineati alle misure PESC dell’UE: il primo Paese è candidato all’adesione all’UE ma al momento la negoziazione dell’accordo di adesione è sospesa; nel contesto del conflitto tra Russia e Ucraina il governo turco cerca di mantenere una posizione di equilibrio tra le parti del conflitto al fine di farsi accreditare come Paese che può mediare tra le Parti. Il secondo Paese ha una posizione diversa poiché sta negoziando il Trattato di adesione con gli Stati membri europei e la sua posizione impone al Paese di allinearsi alle posizioni dell’UE in materia di politica estera. La decisione del governo serbo di non allinearsi, in questa come in altre occasioni, mi pare contraria all’art. 10 c. 2 lett. b, previsto dall’accordo di associazione e stabilizzazione tra la Comunità europea e la Serbia, in vigore dal 2013. La disposizione citata prevede che il dialogo politico le Parti promuova, inter alia, «una progressiva convergenza delle posizioni assunte dalle parti sulle questioni internazionali, compresa la PESC.» Si tratta di un obbligo di risultato che non la Serbia non ha rispettato. Pertanto, la decisione citata desta preoccupazione (sul tema dell’allineamento alle sanzioni dell’UE da parte di Paesi terzi si veda Szép, Van Elsuwege, EU sanctions policy and the alignment of third countries, in Wessel, Polack, The Routledge Handbook on the International dimension of Brexit, 2021,Londra/NewYork, 2021, p. 226-235).

6. Le misure coercitive unilaterali – tra cui rientrano le misure restrittive dell’UE – sono talvolta contestate da alcuni Paesi in via di sviluppo nonché dalla Russia, Bielorussia e Cina in quanto costituiscono un’ingerenza negli affari interni di uno Stato. Ciò avviene, ad esempio, laddove siano state adottate per reagire a violazioni dei diritti umani che seguono, talvolta, allo svolgimento di elezioni che non sono «free and fair». In realtà, in questo caso le critiche sono ingiustificate, trattandosi di misure proporzionate adottate in reazione a violazioni di norme erga omnes, in una situazione in cui il Consiglio di Sicurezza è paralizzato. Altre volte sono considerate strumenti che non hanno influito sulla condotta del soggetto di diritto internazionale che viola obblighi internazionali come nel caso della Siria o della Libia (v. Leenders). Anche la special rapporteur sull’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sul godimento dei diritti umani ha fortemente criticato tali misure (v. rapporto A/HCR45/7. In particolare, viene contestato all’UE di aver adottato alcune sanzioni contro la Russia in quanto non sono selettive (v. Rapporto, p. 4-5). Infine, altre rilievi critici sono rivolti da un’autrice al loro impatto umanitario negativo (v. Erica S. Moret (2014): Humanitarian impacts of economic sanctions on Iran and Syria, European Security, DOI: 10.1080/09662839.2014.893427).

Ammesso e non concesso che tutte le critiche siano fondate (si possono sollevare vari dubbi riguardo a tutte), ci limitiamo qui ad alcune considerazioni riguardanti la carenza di efficacia delle sanzioni. Per quanto le misure restrittive, prese isolatamente, difficilmente potrebbero determinare un cambiamento nel comportamento di un Paese che viola il diritto internazionale, nel caso del recente conflitto scoppiato tra Russia e Ucraina le sanzioni dell’UE hanno esercitato una certa influenza sull’andamento dello stesso. Ciò grazie alla loro incisività, nonché alla modalità di adozione rapida e all’unisono con altri Paesi della comunità internazionale (ad eccezione della Cina che non intende adottare alcuna sanzione nei confronti della Russia). Forse è presto per dirlo, ma al momento ci sembra che il conflitto in Ucraina offra l’occasione per rivisitare le valutazioni negative espresse con riguardo all’efficacia delle misure restrittive dell’UE e metta in luce le potenzialità di questo strumento come mezzo complementare rispetto all’invio di armi al Paese aggredito. Come è noto, l’organizzazione regionale, al fine di sostenere la capacità di difesa dell’Ucraina ha coordinato gli sforzi dei Paesi interessati ad inviare armi letali e non letali in Ucraina (v. decisione (PESC) 2022/338 del Consiglio). Quanto alla legittimità della misura adottata dall’Unione, occorre sottolineare che l’atto da ultimo citato non fa cenno alla sua base giuridica nel diritto internazionale. Tuttavia, si deve ritenere che l’invio di armi consenta al Paese aggredito di esercitare il suo diritto all’autodifesa, ex art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. La richiesta di assistenza per la fornitura di materiale militare era stata avanzata dal Presidente ucraino il 25 febbraio 2022 (per un commento v. Vellano). 

Nelle circostanze del conflitto in esame, e nell’impossibilità per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di svolgere un ruolo per favorire il ristabilimento della pace e sicurezza internazionale, ci pare che le misure restrittive autonome adottate dall’UE e dai membri del G7 stiano giocando un ruolo fondamentale nell’indebolire la leadership governativa del Paese aggressore. Come già ricordato, il 5 marzo 2020 Putin ha definito le sanzioni adottate dall’UE una «dichiarazione di guerra» da parte di chi le ha imposte nei confronti della Russia. Ciò implica che l’isolamento economico cui è stata sottoposta la Russia potrebbe avere un effetto determinante sulla decisione di porre fine alle operazioni militari in Ucraina. D’altra parte, in assenza della volontà di intervenire militarmente nel conflitto, sulla base dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite – opzione fino ad ora esclusa in modo esplicito da tutti i membri della comunità internazionale (in primis dagli Stati Uniti) e anche dalla NATO – le sanzioni costituiscono, insieme alle iniziative diplomatiche tese a far cessare il conflitto, misure non implicanti l’uso della forza su cui la comunità internazionale può fare affidamento per indurre la Russia a porre fine ai gravi illeciti che sta compiendo in Ucraina. 

In questo quadro, ci sembra che le misure restrittive assunte da un’organizzazione regionale come l’Unione europea costituiscano uno strumento coercitivo non implicante l’uso della forza senz’altro utile per reagire a violazioni gravi di norme di jus cogens come quelle venute in rilievo in Ucraina a partire dal 24 febbraio (sulla differenza tra utilità ed efficacia delle sanzioni si rimanda a Giumelli, From effective to useful sanctions: lessons learned from the experience of the European Union, in Ronzitti, Coercive diplomacy, sanctions and international law, 2016, p. 268-269).

Naturalmente, essendo il conflitto ancora in corso, è difficile giudicare in modo definitivo l’idoneità delle misure restrittive assunte a conseguire il loro fine, cioè la cessazione delle attività militari in Ucraina.

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