Stickydiritto dell'Unione europea

L’IMPATTO DEL DIRITTO “EUROPEO” SUL GIUDICATO INTERNO: UNA LETTURA EU-ORIENTED DI AUTONOMIA PROCEDURALE E ORDINE PUBBLICO PROCESSUALE

Gianpaolo M. Ruotolo (Università di Foggia)

1. Le sentenze della CGUE del 17 maggio 2022

Con quattro sentenze pronunciate in sede di rinvio pregiudiziale nel medesimo giorno del maggio 2022 (sentenza del 17 maggio 2022, causa C-600/19, Ibercaja Banco; sentenza del 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19, SPV Project 1503 e C-831/19 Banco di Desio e della Brianza e a.; sentenza del 17 maggio, causa C-725/19, Impuls Leasing România; sentenza del 17 maggio 2022, causa C-869/19, Unicaja Banco) relative alla tutela del consumatore/debitore esecutato in applicazione di clausole contrattuali da ritenersi abusive ai sensi della direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, la Corte di giustizia è tornata ad affrontare il delicato tema dell’influenza prodotta dal diritto dell’Unione europea sul diritto processuale nazionale e, in particolare, sia sul rapporto tra eccezioni sollevabili dalla parte ed eccezioni rilevabili d’ufficio, sia sul rapporto tra giudicato interno e diritto derivato qualora dal primo consegua una violazione del secondo o, comunque, qualora il primo non consenta (più) la rimozione di siffatta violazione.

Con le quattro sentenze, infatti, la Corte ha chiarito che la tutela approntata dal diritto UE in favore dei consumatori nei confronti di clausole abusive è incompatibile con norme nazionali che “a causa degli effetti dell’autorità di cosa giudicata” nonché dell’applicazione dell’istituto della decadenza impediscano, nel corso di un procedimento di esecuzione ipotecaria, tanto al debitore/consumatore di far valere il carattere abusivo di tali clausole dopo la scadenza del termine per proporre opposizione, quanto al giudice di esaminare d’ufficio tale carattere abusivo e che, parimenti, non consentano neppure di procedere a tale contestazione attraverso un successivo procedimento, e ciò anche qualora, sebbene dette clausole siano già state oggetto di un esame d’ufficio da parte del giudice quanto al loro eventuale carattere abusivo, la decisione che conclude il relativo procedimento giurisdizionale non contenga alcun passaggio che si occupi del punto né faccia espressa menzione del fatto che la questione non potrà essere rimessa in discussione in assenza di opposizione (così la sentenza nel caso Ibercaja).

Tali norme, parimenti, e con particolare riguardo al procedimento ingiuntivo previsto dal codice di rito italiano, sono incompatibili con una normativa nazionale che preveda che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione, per effetto del giudicato c.d. implicito non possa controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole (così la sentenza nel caso SPV/Banco di Desio).

Le medesime norme, infine, sono pure incompatibili con una normativa nazionale che vieti, sempre al giudice dell’esecuzione di un credito, investito di un’opposizione a tale esecuzione, di valutare, d’ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo delle clausole di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista” (Impuls Leasing),  nonché con tutti i principi del procedimento giurisdizionale interno in forza dei quali il giudice adito in appello avverso una sentenza che limita nel tempo la restituzione di somme indebitamente corrisposte dal consumatore in base a una clausola dichiarata abusiva, non possa sollevare d’ufficio un motivo relativo alla violazione della disposizione in parola e disporre la restituzione integrale di dette somme, a condizione che la mancata contestazione di tale limitazione nel tempo da parte del consumatore non possa essere imputata alla completa passività di quest’ultimo (Unicaja Banco).

In questo breve scritto, tralasciando le questioni di merito, peraltro già oggetto di analisi in dottrina, cercheremo di comprendere se e fino a che punto tali sentenze abbiano una portata del tutto innovativa e se  esse,  “relativizzando” il giudicato interno, rappresentino un pericolo per l’integrità degli ordinamenti nazionali, oppure se le stesse, che devono comunque essere inserite nel contesto della giurisprudenza e della prassi pregresse, siano, invece e più limitatamente, portatrici di una sorta di interpretazione orientata del concetto di giudicato.

2. L’influenza del diritto “europeo” sul concetto italiano di “giudicato”: alcuni cenni sulla CEDU

Il concetto di res judicata, già prima di queste ultime sentenze, non era rimasto indenne dall’influenza del diritto “europeo”, facendo riferimento con questa espressione (nella consapevolezza delle differenze che le distinguono) non solo alle norme UE ma anche alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Del tutto nota è la giurisprudenza con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha chiarito che grava sugli Stati membri l’obbligo di revisione del giudicato nel caso in cui la Corte stessa abbia accertato che nello svolgimento del processo che ha portato alla formazione della cosa giudicata si sia verificata la violazione di un diritto CEDU spettante alla parte che al giudicato è sottoposta (si vedano le decisioni relative ai casi Somogyi, Drassich, Scoppola, Dorigo; per un résumé reperibile online v. Masera; Calafiore; nonché, per  approcci anche comparativistici, Parlato e Mangiaracina e, per un inquadramento più ampio e generale, Procaccino) e che, in Italia, ha condotto la Corte costituzionale, con la sent. 7 aprile 2011, n. 113, a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un caso di revisione “europea” della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1 CEDU. La Cassazione con la sentenza delle SS.UU. 8544/2020 ha, peraltro, negato l’estensibilità d’ufficio degli effetti delle decisioni della CEDU. Da ultimo, la c.d. Riforma Cartabia (decreto legislativo del 28 settembre 2022 per l’attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) ha introdotto nel codice di procedura penale un nuovo Titolo III-bis, rubricato “Rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo”, il quale contiene un art. 628 bis che concerne proprio la “Richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali”.

Impatto altrettanto innovativo la CEDU non ha invece prodotto, almeno sulle prime, con riguardo al giudicato civile, dal momento che, in materie diverse da quella penale, appunto, la giurisprudenza della Corte europea non fa emergere un obbligo generale di adottare misure ripristinatorie della riapertura del processo.

Una sentenza della Cassazione, la n. 15102, depositata il 12 maggio 2022, appena cinque giorni prima delle quattro sentenze della Corte di Giustizia, dopo aver ricordato che, in caso di un contrasto fra legge interna e previsioni CEDU che non sia risolvibile in via ermeneutica, il giudice di merito deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, afferma pure che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma interna lascerebbe comunque fermo il giudicato eventualmente formatosi, in applicazione del principio per cui la dichiarazione di incostituzionalità, pur avendo effetto retroattivo, non dovrebbe incidere sui rapporti giuridici già esauriti, e che, peraltro, il codice di procedura civile non prevede(va, come vedremo subito appresso) la possibilità che le sentenze della CEDU incidano sul giudicato; non a caso la Corte costituzionale, con le sentenze 123 del 26 maggio 2017 (pronunciata in seguito a rinvio dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato) e 93 del 27 aprile 2018 (su questione sollevata invece dalla Corte d’appello di Venezia), aveva già ritenuto che gli artt. 394 e 395 c.p.c., pur non contemplando un mezzo di revocazione straordinaria nel caso di incompatibilità tra una sentenza interna passata in giudicato e una successiva sentenza della Corte EDU, non fossero in contrasto con l’art. 117 Cost.

Ad ogni modo, con il decreto legislativo del 28 settembre 2022, il Governo ha attuato la legge 26 novembre 2021, n. 206, “recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata” e ha introdotto una nuova ipotesi di revocazione delle sentenze il cui contenuto sia stato dichiarato dalla CEDU contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione ovvero a uno dei suoi Protocolli e non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalenti.

3. Il rapporto tra giudicato interno e diritto UE come questione di autonomia procedurale

Il rapporto fra diritto UE e giudicato interno, poi, rappresenta una delle espressioni di una dicotomia apparente che caratterizza il sistema normativo del primo: se, per un verso, infatti il funzionamento effettivo ed efficace del diritto UE e, in particolare, delle sue norme materiali, è condizionato dalla loro applicazione uniforme o comunque armonica – e questo obiettivo viene perseguito mediante la primazia del diritto UE produttivo di effetti diretti sul diritto nazionale incompatibile e il principio di interpretazione conforme al diritto UE non idoneo alla produzione di siffatti effetti – per altro verso il compito di garantire tale applicazione è attributo ai giudici nazionali (che sono i giudici “naturali” del diritto dell’Unione Europea) attraverso i processi interni, che, in linea di principio, sono regolati dal diritto nazionale.  

Come noto, al riguardo, si parla di principio di autonomia procedurale degli Stati membri, secondo il quale, in assenza di misure di armonizzazione concernenti le regole di rito, i diritti attribuiti dalle norme UE devono essere esercitati innanzi ai giudici nazionali secondo le modalità di rito, appunto, stabilite dalle norme interne.

Ovviamente questo principio, se applicato in maniera rigida, potrebbe mettere in pericolo l’obiettivo dell’applicazione uniforme del diritto UE che, ove non garantita, porterebbe ad una sua violazione e, quindi, alla responsabilità dello Stato, responsabilità che, peraltro, la CGUE ha dichiarato sussistere anche qualora l’inadempimento sia commesso mediante l’esercizio del potere giurisdizionale, pure in ultima istanza (Di Comite; Mengozzi).

Va poi ricordato che la Corte ha chiarito, però, che l’autonomia procedurale deve essere esercitata nel rispetto dei principi di effettività (le modalità procedurali previste a livello nazionale non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione) ed equivalenza (le modalità procedurali previste a livello nazionale per l’esercizio di posizioni giuridiche di origine UE non devono essere meno favorevoli di quelle utilizzabili per esercitare posizioni giuridiche interne di natura analoga; cfr. Iermano).

E ovviamente tra le “regole processuali” da applicare nel rispetto dei principi succitati c’è anche quella che riguarda l’autorità di cosa giudicata (Civitarese Matteucci, Gardini; Mengozzi).

E la Corte di giustizia, pur ritenendo il concetto di giudicato d’importanza fondamentale non solo per il diritto degli Stati membri ma anche per il diritto dell’Unione europea, in quanto volto ad assicurare la stabilità dei rapporti giuridici e la certezza del diritto, ha anche chiarito che la primazia del diritto UE può spingersi fino a comportare finanche l’obbligo di  disapplicazione del principio sancito, in Italia, dall’art. 2909 c.c. (“l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”). Tuttavia non può essere sottovalutato come le sentenze contenenti questa affermazione vertessero su un regime peculiare quale è quello relativo alle regole di concorrenza applicabili agli Stati, di competenza esclusiva dell’UE e il quale contempla una competenza parimenti esclusiva della Commissione a verificare la legittimità degli aiuti di Stato (sentenza del 18 luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini. Per considerazioni sulla peculiarità della decisione v. Villani, p. 457).

Questo principio è stato, infatti e non a caso, moderato dalla stessa Corte che, in altre decisioni, ha chiarito che il diritto UE, in applicazione del principio di autonomia procedurale ponderato mediante i principi di equivalenza ed effettività, non impone automaticamente “ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione” (sentenza del 3 settembre 2009, causa C-2/08, Ammi­nistrazione dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle entrate c. Fallimento Olimpiclub Srl; sentenza del 22 dicembre 2010, causa C-507/08, Com­missione c. Slovacchia; sentenza 10 luglio 2014, causa C-213/13, Pizzarotti; sentenza del 20 marzo 2018, cause C-596/16 e C-597/16, Di Puma e altri; sentenza 24 ottobre 2018, causa C-234/17, XC e altri).

In buona sostanza, pare, insomma gli aiuti di Stato costituiscano in qualche maniera una situazione particolare, appunto (Schepisi); e tale concetto è stato ribadito anche in altre sentenze successive, anche adottate dal Tribunale in primo grado (sentenza dell’11 luglio 2018, T-185/15, Buonotourist Srl c. Commissione, confermata in appello dalla CGUE con la sentenza 4 marzo 2020, causa C-586/18 P; sentenza T-186/15, CSTP – Azienda della Mobilità SpA c. Commissione, confermata in appello dalla sentenza 4 marzo 2020, causa C‑587/18 P).

4. Conclusioni: una lettura UE-oriented di autonomia procedurale e ordine pubblico processuale

È in questo contesto che le sentenze del maggio 2022, a nostro parere, vanno inserite.

Non si può tacere, infatti, come anch’esse facciano applicazione di un “regime” peculiare, come quello che riguarda (la tutela de)i consumatori, oggetto di un’attenzione particolarissima da parte del diritto UE (Rubino) e che, pur essendo oggetto di competenza concorrente (ex art. 4, par. 2, lett. f) TUE) assume una certa prevalenza in forza dell’art. 12 TFUE (“nella definizione e nell’attuazione di altre politiche o attività dell’Unione sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori”). Ne sia riprova anche l’attenzione che al riguardo il legislatore UE ha prestato in materia di diritto internazionale privato, sia con riguardo alla giurisdizione (al punto che, ad esempio, il foro del consumatore è ritenuto talmente rilevante che la sua violazione costituisce una causa ostativa al riconoscimento; cfr. ad es. il regolamento Bruxelles I bis, art. 45, par. 1, lett. e)i)) che al diritto applicabile, sia di ADR (si veda, al riguardo, il nostro G.M. Ruotolo, Gli ADR online dei consumatori UE: alcune questioni di diritto internazionale privato alla luce della prassi applicativa, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2022).

Insomma, non ci pare che le sentenze del maggio 2022 costituiscano un vero e proprio “stravolgimento”, né tanto meno integrino un’invasione del diritto dell’Unione europea delle competenze nazionali mediante lo scardinamento del concetto di giudicato, ma che, più limitatamente, la Corte chieda che tale concetto sia letto, interpretato e applicato in maniera orientata, anche alla materia di cui si occupa, nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività già elaborati.

Ciò, in buona sostanza comporta la necessità dell’interpretazione EU-oriented delle norme di rito, le quali, parimenti a tutte le altre, devono essere interpretate in vista dei loro obiettivi sistematici, che non possono non esser rispettosi anche di quelli previsti dall’art. 4, par. 3 TUE, cioè del principio di leale collaborazione tra Stati membri e UE (per una lettura funzionalista del principio di autonomia procedurale si veda già Galetta).

A noi pare che l’autonomia procedurale degli Stati membri rappresenti un’espressione dell’autonomia lasciata agli Stati membri di scegliersi i mezzi volti a garantire l’effettività del diritto UE materiale, scelta che, è sì lasciata alla loro discrezionalità, ma che comunque deve giungere all’obiettivo imposto.

E neppure ci pare che le sentenze del maggio 2022 possano esser viste come un tentativo di mettere in dubbio o addirittura “scardinare”, come pure è stato ipotizzato (De Stefano), l’ordine pubblico processuale (italiano) dal momento che anch’esso non può prescindere dal rispetto degli obblighi internazionali e di diritto UE, specie in settori e materie “sensibili” e nei quali vi è stata una grossa armonizzazione.

Infine, ci pare, in punto di politica giudiziaria, che le sentenze della Corte siano dettate (anche) da un atteggiamento  in qualche maniera analogo a quello che condusse al consolidarsi della giurisprudenza sulla produzione di effetti diretti delle direttive, in applicazione, quindi, di un atteggiamento sanzionatorio nei confronti degli Stati, i quali nel momento in cui si pongono nelle condizioni di violare il diritto dell’Unione Europea (allora con la mancata esecuzione tempestiva o corretta delle direttive, oggi considerando definitive, e quindi immodificabili, decisioni interne che contengono o conservano una violazione del diritto UE dei consumatori), in qualche maniera accettano il rischio di una “riqualificazione” del giudicato, concepito come inidoneo a coprire le situazioni giuridiche che impediscono il raggiungimento degli obiettivi previsti dal diritto dell’Unione Europea. Nessuna violazione dell’ordine pubblico processuale insomma: lo stesso, infatti, non può non esser concepito come comprensivo degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’UE (e degli obblighi internazionali, peraltro). Una lettura orientata in tal senso anche di quest’ultimo, quindi, ci pare poterne salvaguardarne la vigenza (seppur riparametrandone i confini) e, contemporaneamente, garantire il rispetto del diritto dell’Unione Europea e, in particolare, del suo primato e dell’effetto diretto, i quali, in quanto principi generali di diritto dell’Unione individuati dalla Corte di giustizia, assumono rango primario.

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Gianpaolo Maria Ruotolo

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