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Il riconoscimento della genitorialità a favore del genitore non biologico nel parere della Corte europea dei diritti dell’uomo del 10 aprile 2019

Antonietta Di Blase, Università di Roma Tre

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte europea o Corte EDU) ha inaugurato la prassi di emanazione di pareri consultivi il 10 aprile 2019 (su richiesta n. P16-2018-001), su uno dei temi più problematici emersi negli ultimi anni in materia di rapporti di famiglia: quello dello status dei figli nati a seguito della gestazione per altri. Il parere è in grado di ravvivare l’ampio e acceso dibattito nell’opinione pubblica sul tema della maternità surrogata e presenta un rilievo particolare sotto il profilo del diritto internazionale privato, data l’assenza di un orientamento omogeneo delle legislazioni e delle giurisdizioni degli Stati parti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

La Corte si è espressa sulla base del Protocollo addizionale n. 16 del 10 luglio 2013 (sulle caratteristiche del parere e sul suo significato anche alla luce del ruolo e della funzione affidata alla Corte si veda il post di Anrò). Esso è entrato in vigore il 1° agosto 2018, dopo un mese dalla decima ratifica da parte della Francia (ratificato solo da Albania, Armenia, Estonia, Finlandia,  Georgia, Lituania, San Marino, Slovenia e Ucraina; v., per l’Italia, il disegno di legge sulla ratifica e l’esecuzione del Protocollo presentato alla Camera). Il parere è stato chiesto dalla Corte di Cassazione francese in sede di riesame per motivi di diritto della sentenza del marzo 2010 con la quale la Corte d’appello di Parigi aveva decretato la cancellazione dai registri di stato civile del certificato di nascita dei bambini nati negli Stati Uniti a seguito di maternità surrogata, cui aveva fatto ricorso una coppia di coniugi francesi: esisteva un legame genetico dei figli con il padre, mentre erano assenti rispetto alla madre ‘intenzionale’. Dal certificato ottenuto in California risultava che i bambini erano figli di entrambi. Le autorità francesi avevano rifiutato di registrare il certificato. Sul caso si era espressa la Corte EDU (Mennesson c. Francia), la quale aveva statuito che la Francia aveva violato il diritto al rispetto della vita privata sancito dall’art. 8 CEDU, negando ogni genitorialità, laddove era vincolata a riconoscere quella del padre. Successivamente alla sentenza, la paternità era stata registrata. Ciò nonostante i coniugi, a nome e per conto dei figli, hanno promosso un ricorso in sede di riesame del provvedimento della Corte d’appello di Parigi, chiedendo che venisse riconosciuto in Francia il rapporto di filiazione con la madre ‘intenzionale’ davanti alla Corte di Cassazione francese. Quest’ultima, a sua volta, il 12 ottobre 2018, ha sottoposto alla Corte EDU la richiesta di parere, sottolineando che, successivamente alla pronuncia sul caso Mennesson, la normativa nazionale era stata modificata, rendendo possibile in Francia la registrazione del certificato di nascita ottenuto all’estero per la parte relativa al rapporto con il padre biologico. Quanto alla madre, invece, rimaneva precluso il riconoscimento della genitorialità. L’ordinamento francese consentiva tuttavia la costituzione di una relazione genitoriale basata sull’adozione del figlio del coniuge. I quesiti sottoposti alla Corte europea sono i seguenti: se  il rifiuto di registrare lo status di filiazione acquisito all’estero nei riguardi della madre intenzionale in assenza di qualsiasi legame di tipo genetico costituisca una violazione dell’art. 8 CEDU; se la possibilità per la madre intenzionale di adottare il figlio del coniuge (ossia del padre biologico), creando in tal modo un rapporto di tipo genitoriale,  rappresenti una modalità alternativa alla registrazione compatibile con gli obblighi derivanti dall’art. 8 CEDU.

La Corte EDU fornisce una risposta affermativa riguardo all’obbligo per gli Stati di assicurare forme di riconoscimento del legame creato con la madre intenzionale alla luce dell’art. 8 CEDU sul diritto al rispetto della vita privata. Tale diritto riguarda non soltanto il rapporto con il genitore biologico, ma l’insieme degli elementi connessi alla posizione e al benessere del bambino nel contesto familiare e sociale. La Corte precisa che, nonostante le considerazioni etiche che possono indurre uno Stato a condannare le pratiche connesse alla maternità surrogata e a contrastare il rischio di abusi, il margine di apprezzamento per lo Stato è assai ridotto a fronte dell’interesse superiore del minore alla sua identità e a crescere in un ambiente che garantisca  stabilità e benessere.

Si ha qui una conferma circa la rilevanza dei rapporti familiari ‘di fatto’,  meritevoli di tutela alla luce del ‘diritto alla propria vita privata e familiare’ di cui all’art. 8 CEDU. In tal senso il parere dà pieno sviluppo alla impostazione già espressa nei casi Mennesson  e Labassée c. Francia (), e nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia (sentenza 27 gennaio 2015 e sentenza della Grande camera del 24 gennaio 2017, ricorso n. 25358/11) nel senso di valorizzare una nozione di famiglia che va al di là del carattere biologico del rapporto tra il minore e i genitori, anche ‘intenzionali’. Tuttavia, con questa presa di posizione la Corte non intende negare la particolare rilevanza del legame genetico, ma ribadisce che si tratta di un elemento in presenza del quale lo Stato non può sottrarsi all’obbligo del riconoscimento della filiazione, come già affermato nel caso Mennesson. Significativo è anche il passaggio del parere nel quale la Corte considera l’ipotesi che un legame biologico sussista tra madre intenzionale (donatrice dell’ovulo fecondato) e figlio nato da gestazione per altri, sottolineando come in tal caso il margine di apprezzamento dello Stato si riduca a favore del riconoscimento del rapporto con il figlio (par. 47: “la nécessité d’offrir une possibilité de reconnaissance du lien entre l’enfant et la mère d’intention vaut a fortiori dans un tel cas”).

La Corte dà rilievo agli orientamenti degli Stati membri: pur mancando un consensus circa la configurazione di un obbligo positivo di riconoscere il rapporto genitoriale sulla base del certificato rilasciato all’estero, è riscontrabile una tendenza favorevole al riconoscimento del rapporto di filiazione con i genitori intenzionali (cfr. le osservazioni al par. 43 del parere. Si può notare che, pochi mesi prima del parere, il Bundesgerichtshof tedesco, nella sentenza del 5 settembre 2018, ha statuito il diritto del minore nato a seguito di maternità surrogata a ottenere la registrazione del suo status di figlio anche nei confronti del genitore intenzionale).

Sulla base di queste argomentazioni la Corte perviene ad affermare che gli Stati sono tenuti a garantire una qualche forma di riconoscimento anche al genitore intenzionale, sia pure più circoscritta rispetto alla automatica trascrizione del certificato ottenuto all’estero (par. 46). Tale risultato potrebbe essere soddisfatto attraverso altri strumenti: la Corte individua l’adozione da parte del coniuge quale possibile rimedio per dare una veste legale al rapporto con il genitore committente. Al riguardo non si sofferma sulle caratteristiche che deve rivestire, in omaggio alla libertà degli Stati di scegliere i mezzi più idonei alla luce della normativa in vigore. Suggerisce tuttavia dei criteri di valutazione circa l’adeguatezza di quello strumento, riguardanti la rapidità -nell’ottica della necessità di evitare il prolungarsi di situazioni di incertezza riguardo allo status del figlio-, l’effettività della procedura di adozione e la presenza e validità del consenso prestato dalla madre gestazionale. Dal canto suo il Governo francese, direttamente coinvolto dalla procedura di parere consultivo, aveva indicato che quasi tutte le domande di adozione da parte del coniuge di bambini nati a seguito di gestazione per altri sono state soddisfatte dal luglio 2017 al maggio 2018.

L’impostazione seguita dalla Corte appare pienamente condivisibile, alla luce delle considerazioni presenti nella motivazione, già svolte in parte nelle precedenti pronunce aventi ad oggetto la delicata materia della gestazione per altri. Peraltro, la Corte EDU non ha mancato di precisare che nella valutazione dell’interesse del minore rientrano anche altri elementi da considerare, quali, in primo luogo, i possibili abusi connessi all’accordo di gestazione per altri, e l’esigenza di tutela di interessi anch’essi fondamentali a fronte di pratiche gravemente lesive di valori fondamentali. Si tratta di valutazioni che richiedono un esame caso per caso ‘alla luce delle circostanze’: emerge da questo passaggio la conferma del tipo di analisi che il giudice dovrà svolgere in concreto, e non in astratto, per stabilire la sussistenza di eventuali limiti di ordine pubblico internazionale al riconoscimento della filiazione.

E’ interessante considerare l’impatto del parere della Corte EDU sulle soluzioni possibili nell’ambito dell’ordinamento italiano sotto il profilo della registrazione della filiazione stabilita all’estero e della disciplina dell’adozione. Come è noto, nell’ordinamento italiano la maternità surrogata è vietata e penalmente perseguita ai sensi dell’art. 12, 6° comma, d.lgs. n. 40/2004. Tuttavia, qualora la nascita avvenga in uno Stato che la consente e il bambino acquisisca in base allo ius sanguinis o allo ius soli la nazionalità di quel Paese, la registrazione del certificato ottenuto all’estero che attribuisca la genitorialità anche a favore del coniuge privo di legami biologici con il bambino non dovrebbe incontrare ostacoli. In base all’art. 33 della L. 218/95 di riforma del diritto internazionale privato, lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale acquisita alla nascita o da quella di uno dei genitori, se più favorevole. Il provvedimento straniero ha efficacia in Italia grazie agli articoli 65 o 66 se proveniente dallo Stato della nazionalità e può, pertanto, essere registrato nel registro dello stato civile. È fatto salvo il limite dell’ordine pubblico internazionale. Se il giudice ritiene che non emergano elementi di questo tipo o in misura tale da prevalere sull’interesse superiore del minore, la filiazione deve essere trascritta nei registri di stato civile anche a favore del genitore intenzionale.

Qualche caso analogo a quello che costituisce oggetto del parere della Corte europea riguardante il riconoscimento della genitorialità di una coppia di persone coniugate di sesso diverso è stato sottoposto alla giurisdizione italiana nel 2009 (sentenza Corte d’Appello Bari 13 febbraio 2009) e nel caso  Paradiso e Campanelli (sopra citato). La prevalente giurisprudenza di merito italiana che ha affrontato recentemente il problema del riconoscimento della filiazione riguarda invece coppie di persone dello stesso sesso. Da tale giurisprudenza emerge un orientamento favorevole al riconoscimento mediante registrazione o trascrizione della sentenza o, rispettivamente, del certificato ottenuto all’estero. Come testimonia un passaggio della sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 15 giugno-4 luglio 2018, “ormai non pochi ufficiali di Stato civile stanno provvedendo direttamente a formare atti di nascita indicanti una genitorialità omosessuale e numerose corti di merito ne prendono atto” (v. p. 7). Questi provvedimenti si riferiscono sia a casi nei quali sussiste un legame biologico con entrambi i genitori ‘committenti’, sia a casi nei quali sono presenti legami biologici con uno soltanto dei genitori (cfr. anche Trib. Torino, decreti 21 maggio e 11 giugno 2018, con il commento di M. Gattuso).

Peraltro, tale orientamento è stato contraddetto dalla sentenza della Corte di Cassazione (s.u.) dell’8 maggio 2019 n. 12193, che si è pronunciata nel senso della non riconoscibilità del provvedimento straniero di accertamento del rapporto di filiazione in caso di ricorso alla maternità surrogata, e cassato l’ordinanza della Corte d’Appello di Trento del 23 febbraio 2017 che aveva disposto la trascrizione nei registri dello stato civile,  ravvisando nel divieto di surrogazione di maternità previsto nel nostro ordinamento un principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, dal quale discenderebbe il necessario affievolimento del diritto alla conservazione dello status filiationis acquisito all’estero. La Corte ha invece confermato l’indirizzo instaurato con la sentenza 30 settembre 2016 n. 19599  e con la sentenza 15 giugno 2017 n. 14878,  che ritiene prevalente l’esigenza di salvaguardare l’interesse del minore al riconoscimento della genitorialità nel caso di maternità condivisa da due donne, una delle quali donatrice dell’ovulo impiantato nell’altra, madre gestazionale.

Nella motivazione della sentenza n. 12193/2019 la Cassazione ha valorizzato la possibilità di ricorrere al rimedio dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, 1° comma, lett. d) della L. 184/1983. Si tratta, come è noto, di uno strumento applicabile in caso di “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. L’‘impossibilità’ è stata intesa come riferibile non soltanto alla mancanza delle condizioni ‘di fatto’, ma anche alla ‘impossibilità giuridica’ (ad esempio,  insussistenza del rapporto di coniugio; prevede infatti l’art. 44, 3° comma, che “nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1, l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato”). Pertanto, provvedimenti di adozione ex art. 44, 1° comma, lett. d), sono stati pronunciati a favore del convivente (tra le prime pronunce cfr. Corte d’Appello Firenze 4 ottobre 2012 n. 1274) o del partner dello stesso sesso del genitore di un minorenne (sentenza Trib. minorenni Roma 30 luglio 2014 n. 299; sentenza Corte d’Appello Roma 23 dicembre 2015 n. 7127; sentenza Cass. 22 giugno 2016 n. 12962; sentenza Corte d’Appello Milano 9 febbraio 2017; sentenza Cass. 16 aprile 2018, n. 9373; sentenza Trib. minorenni Milano, 10 ottobre 2018), valorizzando la presenza del legame affettivo tra il bambino e l’aspirante genitore (v. i riferimenti e le considerazioni ricostruttive sulla base della cospicua giurisprudenza in Ferrando, L’adozione in casi particolari alla luce della più recente giurisprudenza,  in Il diritto delle successioni e della famiglia, 2017, pp. 65-78; Rossolillo, Riconoscimento di status familiari e adozioni sconosciute all’ordinamento italiano, in Diritti umani e Diritto internazionale, 2016, spec. pp. 336-339).

Il ricorso allo strumento di cui all’art. 44, 1° comma, lett. d), nell’applicazione che ha ricevuto nella giurisprudenza, consente di ovviare alle difficoltà di utilizzazione dell’adozione a favore del coniuge allorché questa venga richiesta da coppie di persone dello stesso sesso, dati i limiti imposti dalla L. 76/2016  sulle unioni civili, che  non consente di estendere a queste ultime le disposizioni in materia di filiazione e di adozione (l’art. 20 della L. 76/2016 estende al partner dell’unione la qualifica di ‘coniuge’ precisando, tuttavia, che tale estensione “non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente dalla legge né alle disposizioni della L. 184/1983”). Né sarebbe possibile aggirare queste limitazioni celebrando il matrimonio all’estero, ove consentito, dal momento che gli articoli 32-bis e 32-quinquies della L. 218/95  di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato stabiliscono che il matrimonio celebrato all’estero da partners cittadini italiani o fra un cittadino italiano ed uno straniero produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana, e dunque sottostà alle stesse limitazioni stabilite dalla disciplina italiana sulle unioni civili.

L’apertura all’adozione in casi particolari a favore del convivente eterosessuale consente di evitare trattamenti discriminatori nei confronti delle coppie dello stesso sesso. Al riguardo si può citare la sentenza della Corte EDU nel caso X et al. c. Austria, deciso il 19 febbraio 2013 (ricorso n.19010/7), secondo la quale, ove uno Stato contraente contempli l’istituto dell’adozione del figlio del partner a favore delle coppie conviventi di sesso diverso, “il principio di non discriminazione fondata sull’orientamento sessuale impone la sua estensione alle coppie formate da persone dello stesso sesso” (ivi, par. 151). Si deve pertanto condividere la tendenza di apertura espressa da operatori e giurisdizioni italiane, e che appare ormai consolidata e recepita anche ai massimi livelli giurisdizionali. Va rilevato anche che la Corte di Cassazione, con sentenza 31 maggio 2018 n. 14007, ha dichiarato l’efficacia nel nostro Paese di provvedimenti stranieri di adozione a favore di coppie di persone dello stesso sesso, escludendone la contrarietà all’ordine pubblico (il caso riguardava un  provvedimento di adozione ‘piena’ a favore di due donne coniugate in Francia, ciascuna delle quali aveva adottato il figlio partorito dall’altra. La Cassazione ha basato la sua decisione sull’art. 24 della Convenzione dell’Aja del 1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, ratificata in Italia con L. n. 476 del 1998).

Riguardo al rimedio dell’adozione in casi particolari, che  non interrompe il rapporto con la famiglia d’origine, rimane comunque il dubbio se sia adeguato alle esigenze connesse alla filiazione. La registrazione dello status di figlio sulla base della certificazione acquisita all’estero appare meglio rispondente all’interesse superiore del minore, oltre che alla realizzazione del progetto di genitorialità mediante procreazione medicalmente assistita. Va inoltre rilevato che l’adozione ex art. 44, 1° comma, lett. d), L. 184/1983, costituisce un rimedio attivabile su iniziativa del genitore intenzionale e, dunque, non garantisce l’acquisizione dello status di figlio sulla base del progetto di genitorialità condiviso dalla coppia. Non sono poi da sottovalutare i problemi connessi al consenso della madre gestazionale (problema cui si accenna nel parere, al par. 57) nei casi di ricorso alla maternità surrogata. Si tratta, fra l’altro, di stabilire se la rinuncia – espressa e libera – ad avanzare pretese di esercizio della genitorialità formulata al momento della conclusione del contratto di gestazione equivalga ad un consenso valido ai fini dell’adozione.

Questa complessa problematica non risulta presente nei dati statistici utilizzati dalla Corte EDU, che ha circoscritto la sua analisi alle ipotesi di ricorso alla maternità surrogata da parte di coppie eterosessuali coniugate. Eppure, ai fini della ricostruzione degli elementi presi in esame dalla Corte EDU, appaiono significative anche le tendenze della giurisprudenza italiana, pur non sorrette da una legislazione adeguata e in alcuni ambienti considerate ‘eversive’. Il parere della Corte EDU rappresenta un indubbio stimolo a riconsiderare la normativa italiana sulla attribuzione della genitorialità ai membri di unioni registrate, nonché sulla accessibilità dell’istituto dell’adozione e la rapidità delle procedure. Può altresì contribuire ad orientare in materia le più alte giurisdizioni, le quali, data la mancata adesione italiana al Protocollo n. 16, non sono abilitate a sottoporre alla Corte europea alcuna richiesta di parere consultivo.

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