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La Cina allo scoppio dell’epidemia. Riflessioni sul rispetto degli obblighi internazionali di notifica e di due diligence in materia sanitaria

Giulia Baj, Università di Milano-Bicocca

Nell’epoca globalizzata e connessa in cui viviamo sembra molto difficile mantenere segreti; soprattutto, quando il segreto in questione riguarda il diffondersi di una malattia «simile alla SARS», con un tasso di diffusione rapidissimo, causata da un virus mai osservato al microscopio. Eppure, ci sono fondati motivi per ritenere che le autorità cinesi abbiano taciuto per alcune settimane l’emergere e il diffondersi del virus successivamente denominato SARS-CoV-2, settimane importanti per evitare il diffondersi di quest’ultimo, dentro e fuori i confini cinesi. Ci sono anche fondati motivi per ritenere che le autorità cinesi non abbiano fatto tutto quanto ragionevolmente possibile per arginare la diffusione del virus. Se ciò fosse confermato, superando la nuvola di fumo sollevata dalle autorità cinesi e riuscendo a distinguere le dicerie infondate da quelle che invece riportano il vero, si potrebbe profilare una ipotesi di responsabilità internazionale in capo alla Cina, a causa della violazione di obblighi informazione all’OMS e di due diligence stabiliti dal Regolamento Sanitario Internazionale del 2005 (RSI 2005), la cui adozione è prevista dall’art. 21 della Costituzione OMS. La prova di questi illeciti è tutt’altro che scontata, tuttavia analizzare tale possibilità risulta opportuno, anche alla luce degli ingenti danni causati dalla diffusione del virus su scala mondiale. Si ricorda, a tale proposito, che se in Europa il virus SARS-CoV-2 pare al momento sotto controllo, in Nord e Sud America la situazione è ben diversa; si registrano, infatti, ancora decine di migliaia di nuovi casi al giorno,  la curva relativa al numero di contagi giornaliero non pare ancora in calo. Inoltre, è recente la notizia di un nuovo focolaio di SARS-CoV-2 a Pechino; ciò porta gli Stati a temere per la possibilità di una seconda ondata epidemica. Il verificarsi di questa ipotesi non solo potrebbe causare un aumento del numero complessivo di morti, ma costituirebbe anche un ostacolo alla ripresa economica degli Stati, già provati dalla pandemia. Si menzionano, inoltre, le prospettate molteplici class action per ottenere il risarcimento dei danni da parte della Cina, civilmente responsabile (si vedano, a questo proposito, i contributi di Marrella e Bonfanti in questo blog).

Il menzionato RSI, strumento giuridicamente vincolante per i 196 Stati parte  dell’OMS (si segnala che la Cina non ha né apposto riserve né dichiarato la non accettazione al RSI 2005), ha come scopo il prevenire la diffusione internazionale di malattie attraverso un sistema di coordinamento internazionale accentrato nell’OMS e innescato dalla comunicazione di eventi che possano costituire un pericolo per la salute pubblica. In particolare, il RSI 2005 prevede l’obbligo di informazione alla OMS in una ristretta cornice temporale di quegli eventi che possano costituire un pericolo per la salute pubblica. L’art. 6 stabilisce che «ogni Stato parte debba notificare all’OMS (…) entro 24 ore dalla valutazione delle informazioni riguardanti la salute pubblica, tutti gli eventi che possano costituire all’interno del proprio territorio un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale», quest’ultima definita dall’art.1 come un evento straordinario che può «costituire un rischio per altri Stati a causa della diffusione internazionale della malattia e richiedere una risposta internazionale coordinata». L’art. 7 espande la procedura all’obbligo, per gli Stati parte, di condivisione di «prove che confermino un evento riguardante la salute pubblica insolito o inaspettato all’interno del proprio territorio, indipendentemente dalle origini o dalla fonte, che possa costituire un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale». In generale, gli articoli 5-14, inseriti nella Parte II del RSI 2005, intitolata «Informazioni e risposta sanitaria» impongono obblighi in capo agli Stati parte destinati a permettere la tempestiva diffusione di informazioni rilevanti a proposito di eventi che possano costituire una emergenza di salute pubblica di rilevanza internazionale, avendo l’OMS come snodo centrale. Del resto, la necessità di cooperazione e condivisione di informazioni è forse ancor più necessaria in caso di malattie infettive, dato che un loro efficace contrasto richiede l’adozione tempestiva di misure (Fidler, 2003), come confermato dal Policy statement on Data sharing by the world health organization in the context of public health emergencies dell’OMS del 2016. Tale documento non solo ha ribadito l’obbligo di notifica in capo agli Stati parte del RSI 2005, ma al punto 1 evidenzia che, nonostante i dati epidemiologici appartengano allo Stato dove sono stati generati, la conoscenza generata da questi è un bene pubblico globale, pertanto questi dati devono essere condivisi di default.

A causa delle caratteristiche finora emerse, il virus SARS-CoV-2 costituisce una «emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale» ex art. 1 RSI 2005, come dichiarato dall’OMS. Come visto, l’art. 6 impone l’obbligo di notifica di informazioni connesse a questi eventi all’OMS entro 24 ore dalla valutazione delle informazioni. Uno Stato che procedesse alla notifica oltre le 24 ore violerebbe l’obbligo stabilito dall’art. 6 RSI 2005. La Cina ha notificato all’OMS la presenza sul proprio territorio di casi di polmonite da eziologia sconosciuta, possibile emergenza di salute pubblica di rilevanza internazionale, il 31 dicembre 2019. Tuttavia, stando alle ricostruzioni basate sui dati trapelati dalla Cina, il virus circolava da molto prima. Secondo alcune ricostruzioni, le prime morti parrebbero infatti risalire addirittura a settimane prima; tra il 10 dicembre e il 4 gennaio vi erano già 425 casi di COVID-19 a Wuhan, e pare che i primi pazienti si siano avuti a metà novembre. Le informazioni a sostegno della conoscenza da parte delle autorità cinesi della diffusione del virus ben prima della notifica all’OMS provengono da fonti non ufficiali o sono frutto di operazioni deduttive. Tuttavia, se fossero confermate, la diffusione del virus e l’insorgenza di ricoveri a esso dovuti si sarebbero verificati settimane prima del 31 dicembre. Se si dimostrasse non solo ciò, ma anche che, alla luce dei primi casi, le autorità competenti avevano valutato il virus come una potenziale emergenza per la salute pubblica di rilevanza internazionale (e a questo fine l’essere il SARS-CoV-2 un virus sconosciuto potrebbe essere contemporaneamente un elemento a favore e a sfavore), il termine di 24 ore stabilito dall’art. 6 RSI 2005 non sarebbe quindi stato rispettato.

Inoltre, l’art. 6.2 RSI 2005 prevede che «[i]n seguito ad una notifica, uno Stato Parte deve continuare a comunicare prontamente all’OMS le informazioni sulla sanità pubblica disponibili e relative all’evento notificato in modo sufficientemente preciso e dettagliato, includendo, se possibile, le definizioni di caso, i risultati di laboratorio, la fonte e il tipo di rischio, il numero dei casi e dei decessi, le condizioni che incidono sulla diffusione della malattia e le misure sanitarie adottate». Stando ai dati finora emersi, in attesa di conferma – se mai sarà possibile ottenerla – le autorità cinesi non hanno sempre condiviso informazioni in maniera sufficientemente precisa e dettagliata. In particolare, suscita dubbi la comunicazione della scoperta della trasmissibilità tra umani del virus, elemento significativo nella valutazione delle «condizioni che incidono sulla diffusione della malattia». Mentre ipotesi circa la probabile trasmissibilità del virus tra umani erano già state sostenute a fine dicembre, le autorità cinesi hanno assicurato l’OMS del contrario, portando l’OMS stessa ad affermare pubblicamente la non trasmissibilità tra esseri umani il 14 gennaio. Se questi dati fossero confermati, la loro analisi in riferimento al Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti (da qui in poi, Progetto) della Commissione del Diritto Internazionale del 2001, prospetterebbe un illecito internazionale. Poiché, in base agli artt. 2 e 12 del Progetto, un illecito statale consiste in una condotta non conforme a quanto previsto dalla norma internazionale, attribuibile allo Stato stesso, se venissero provati il ritardo delle autorità cinesi nella notifica all’OMS dal momento di insorgenza dell’obbligo stabilito dall’art. 6 RSI 2005 e la mancata comunicazione di informazioni sufficientemente precise e dettagliate sulla salute pubblica, si configurerebbe un illecito internazionale.

Meritevole di analisi sulla base delle disposizioni RSI 2005 e del Progetto è anche il comportamento delle autorità cinesi nelle prime settimane del 2020, dopo la notifica all’OMS implicante il riconoscimento di un potenziale pericolo per la salute internazionale, nella forma di un virus epidemico. In base all’art. 2 RSI 2005, «[l]o scopo e l’ambito del presente Regolamento mirano a prevenire, proteggere, tenere sotto controllo e fornire una risposta sanitaria alla diffusione internazionale di malattie tramite modalità commisurate e limitate ai rischi per la salute pubblica». Affinché lo scopo del regolamento sia rispettato, gli Stati devono quindi prevenire, proteggere, tenere sotto controllo e fornire una risposta sanitaria al diffondersi di malattie. Mentre gli articoli successivi delineano obblighi più specifici nel quadro di condivisione di informazioni riguardanti potenziali minacce sanitarie, l’art. 2 RSI 2005 delinea un obbligo di due diligence mirato alla prevenzione della diffusione di malattie. In quanto obbligo di condotta, l’art. 2 RSI 2005 non individua specifici comportamenti che devono essere tenuti dagli Stati parte, ma al contrario, con flessibilità, richiede agli Stati di agire in maniera ragionevolmente cauta e diligente (Crawford, p. 378). A tale proposito, si deve evidenziare che le autorità cinesi hanno temporeggiato e tenuto una condotta orientata al ridimensionamento del virus, sottovalutandone gravità e rapidità di diffusione, fino alla fine del convegno del partito comunista tenutosi a Wuhan tra 11 e 17 gennaio. Solo dopo la conclusione del convegno, il 21 gennaio, il giornale ufficiale del partito, il Quotidiano del Popolo, ha dato notizia della diffusione del virus. Si deve ricordare, poi, che le festività del Capodanno cinese, periodo tradizionalmente caratterizzato da viaggi all’interno e all’esterno dei confini nazionali, si sono tenute quest’anno tra il 24 gennaio e l’8 febbraio. Le scarse conoscenze e molte incertezze in campo medico che allora più di oggi circondavano il virus SARS-CoV-2 avrebbero dovuto portare all’adozione di misure precauzionali, ottemperando così all’obbligo di due diligence per prevenire rischi in mancanza di solide conoscenze medico-scientifiche. Dato il già menzionato carattere flessibile di questo obbligo non è semplice individuare una violazione dello stesso; il contenuto di questo obbligo non può essere individuato in maniera generalizzata, ma varia in base a diversi fattori, come la natura dei diritti e degli interessi coinvolti. In particolare, nel suo secondo rapporto sulla materia l’International Law Association (ILA) ha segnalato come l’obbligo di due diligence comporti uno standard difficilmente definibile in termini assoluti, dato il suo contenuto variabile, evidenziando in particolare il livello di sviluppo economico di un particolare Stato, il suo effettivo controllo sul territorio e attori non statali e il livello di rischio (anche potenziale) coinvolto nell’attività come fattori in grado di modificare lo standard di due diligence. Conseguentemente, gli Stati hanno un ampio margine di discrezionalità nell’adottare le misure ragionevoli richieste. Al fine di ridurre questo margine, il report dell’ILA evidenzia la possibilità della norma primaria di identificare specifici obblighi o specifiche misure, tuttavia nel caso in analisi il citato art. 2 RSI 2005 non individua tali obblighi o norme specifici. La nozione di due diligence richiede quindi una valutazione in concreto, verificando se, alla luce di tutte le circostanze rilevanti del caso, la condotta dello Stato possa considerarsi diligente (caso sull’applicazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio Bosnia-Erzegovina c. Serbia e Montenegro, par. 430). La flessibilità corre quindi il rischio di tramutarsi in relatività, l’obbligo soccombente di fronte alla discrezionalità statale.

Se, nel caso concreto, si accertasse che la condotta tenuta dalla Cina sia stata ispirata alla minimizzazione del pericolo più che alla cautela, si profilerebbe una violazione dell’obbligo sancito nell’art. 2 RSI 2005, non avendo la Cina adottato tutte le misure in suo potere e ragionevolmente disponibili per evitare il diffondersi del virus. A conferma della tesi secondo la quale le autorità cinesi non hanno tenuto una condotta diligente nelle prime settimane successive alla notifica all’OMS, vale la pena ricordare che quest’ultima aveva offerto alla Cina la possibilità di inviare una squadra per indagare sul nuovo virus nella prima metà di gennaio, offerta rifiutata dalla Cina. In quanto offerta, questa era rifiutabile dalle autorità cinesi senza violare le disposizioni RSI 2005. La mancata accettazione di tale supporto può configurare, però, una condotta negligente, dato che tale rifiuto proverebbe come lo Stato cinese non abbia adottato tutte le misure ragionevolmente disponibili per evitare la diffusione di SARS-CoV-2. Tra queste misure ragionevolmente disponibili è appunto possibile includere la collaborazione con gli esperti OMS per una ricerca sul campo; rifiutandola, non si sono evidentemente adottate tutte le misure. La mancata adozione di misure atte alla prevenzione di eventi dannosi richieste dall’art. 2 RSI 2005 costituirebbe quindi una violazione dell’obbligo di due diligence previsto dall’art. 2 RSI 2005.

Dato che le presunte violazioni degli artt. 2 e 6 RSI 2005 sarebbero state temporalmente limitate al periodo tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 il comportamento illecito sarebbe ora concluso. Pertanto, la possibilità per gli Stati di ricorrere a contromisure sarebbe da scartarsi, poiché, in base all’art. 49 del Progetto, queste hanno lo scopo di indurre lo Stato autore dell’illecito a conformarsi agli obblighi internazionali e quindi interrompere la condotta illecita. A tale proposito, occorre segnalare che il Progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali, all’art. 22, prevede la possibilità di ricorrere a contromisure anche per le organizzazioni internazionali; in particolare, è possibile l’adozione di contromisure contro uno Stato parte per violazione di una regola dell’organizzazione, se le regole stesse prevedono contromisure. Stando all’art. 22 del Progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali, quindi, l’OMS potrebbe agire contro la Cina per violazione dell’art. 2 RSI 2005, inteso come «regola dell’organizzazione» ex art. 22. Tuttavia, è stata l’OMS stessa a evidenziare il particolare rapporto tra Stati membri e OMS, che vede i primi in una posizione privilegiata e la seconda dotata di deboli strumenti di pressione (si pensi alla recente notifica del ritiro degli USA dall’OMS, che segue il ritiro dei finanziamenti), nonché il possibile effetto avverso agli obiettivi dell’OMS del ricorso a contromisure. Pare, quindi, difficile ipotizzare l’adozione di queste ultime (Spagnolo). Del resto, nella gestione della pandemia l’OMS ha dato prova della sua debole leadership, caratterizzata dalla ripetuta adozione di atti non vincolanti (come linee guida e codici di condotta) e da una scarsa capacità di coordinamento a fronte dell’adozione di incisive misure a livello nazionale (Acconci). La possibilità di adozione di contromisure da parte dell’OMS nei confronti della Cina, sebbene prevista, si presenta quindi difficile. Oltre alle già citate problematiche logico-temporali dovute all’illecito concluso, la capacità dell’OMS di essere una guida a livello politico e normativo appare ancora debole.

Se il comportamento illecito da parte della Cina venisse provato, cosa non scontata in ragione delle particolari caratteristiche dell’obbligo di due diligence e della particolare situazione di incertezza dovuta alle scarse conoscenze scientifiche che circondava e in parte circonda ancor oggi il virus SARS-CoV-2 (come sapere della sua rapidità di contagio?), sorgerebbero però degli obblighi secondari in capo a questo Stato. A tale proposito, nel contesto della prevenzione di epidemie, è utile richiamare l’obbligo di offrire appropriate assicurazioni e garanzie di non ripetizione «se le circostanze lo richiedono» ex art. 30 del Progetto. Questo obbligo appare particolarmente appropriato, considerando sia la possibilità che eventi epidemici si ripetano in futuro, sia la tendenza delle autorità cinesi a divulgare informazioni incomplete, tardive o errate. È infatti stato osservato un vero e proprio atteggiamento del governo cinese, che nasce dalla visione della diffusione di informazioni in merito a epidemie all’interno del proprio territorio come una pubblica dichiarazione della propria, temporanea, debolezza, di cui gli altri Stati potrebbero approfittare (Yoon; Stevenson e Cooper). Pertanto, richiedere adeguate garanzie di rispetto delle disposizioni del RSI 2005 appare utile nel tentativo di scardinare una prassi di eccessiva e pericolosa segretezza in materia di condivisione di informazioni riguardanti eventi potenzialmente pericolosi per la salute pubblica a livello internazionale.

Peraltro, in base all’art. 48 del Progetto la prestazione di assicurazioni e garanzie può essere richiesta anche da Stati non lesi, in quanto gli obblighi violati – in questo caso, sarebbero di due diligence e notifica entro 24 ore – sono stabiliti per tutelare un interesse collettivo (sul punto, Crawford): la prevenzione di epidemie e la preservazione della salute. Si ricorda, a tale proposito, il Preambolo della Costituzione della OMS, che ne evidenzia il valore sovra-nazionale: «la salute di tutti i popoli è una condizione fondamentale della pace del mondo e della sicurezza» e «i risultati raggiunti da ogni Stato nel miglioramento e nella protezione della salute sono preziosi per tutti». Le disposizioni violate, quindi, stabiliscono obblighi nei confronti della comunità degli Stati, pertanto «alla luce degli importanti diritti coinvolti, tutti gli Stati possono essere ritenuti portatori di un interesse giuridico alla protezione di questi ultimi» (Barcelona Traction, par. 33).

La possibilità di far valere questo obbligo anche da parte di Stati non lesi è particolarmente rilevante anche in considerazione della difficoltà pratica nell’individuare gli Stati lesi dall’illecito, qualora quest’ultimo venisse accertato. In base all’art. 42 del Progetto, infatti, uno Stato può essere considerato Stato leso qualora sia colpito «specialmente» dalla violazione di un obbligo dovuto a un gruppo di Stati (ed è questo il caso per quanto riguarda le presunte violazioni delle disposizioni del RSI 2005 da parte delle autorità cinesi). Il commentario al Progetto porta, come esempio di Stato «specialmente colpito», l’ipotesi di inquinamento di acque internazionali che colpisce in particolare uno o più Stati costieri; lo stesso commentario chiarisce che, per poter dichiarare uno Stato come particolarmente colpito, è necessaria una valutazione caso per caso, considerando l’oggetto e lo scopo dell’obbligo primario violato e avendo riguardo delle particolari circostanze, dato che l’articolo in parola non definisce la natura o l’estensione dell’impatto speciale previsto. Uno Stato, quindi, può ritenersi particolarmente colpito dall’illecito se interessato dalla violazione in una maniera tale da distinguerlo dalla generalità degli altri Stati a cui l’obbligo è dovuto. Tuttavia, la portata della locuzione «colpito specialmente» non è ulteriormente chiarita. Nel caso COVID-19, individuare quale Stato sia colpito specialmente dalle violazioni del RSI 2005 non è semplice: dato che si tratta di una pandemia, che ha pertanto colpito tutti gli Stati provocando vittime ovunque, si deve ricorrere a un criterio quantitativo, anziché qualitativo ponendo quindi l’attenzione sull’entità del danno piuttosto che sul tipo di danno, considerando quindi, per esempio, il numero di morti? In totale o rapportato al numero complessivo di abitanti?  Oppure, si deve considerare il danno economico subito dallo Stato? In questo caso, come calcolare l’entità del danno dovuto esclusivamente all’illecito internazionale, non dovuto quindi alla condotta dello Stato leso? Quale elemento potrebbe quindi permettere di distinguere uno o più specifici Stati come «particolarmente colpiti»?

Qualora fossero individuati, gli Stati lesi potrebbero specificare la forma di riparazione richiesta. Esclusa la possibilità di restitutio ad integrum, rimangono soddisfazione e riparazione per equivalente, tenendo in considerazione come le misure di riparazione possano essere combinate tra loro (Crawford). La soddisfazione, tradizionalmente riparazione per danno morale, può senz’altro ritenersi opportuna; quanto alla riparazione per equivalente, deve essere ricordato che lo Stato autore dell’illecito è obbligato alla riparazione del solo pregiudizio causato dall’illecito internazionale, ex art. 31.1 del Progetto. Di conseguenza, eventuali pregiudizi sorti al di fuori dell’illecito non sono oggetto dell’obbligo di riparazione in capo allo Stato autore dell’illecito. Nell’applicare queste disposizioni alla pandemia di COVID-19 occorre quindi determinare quali pregiudizi siano stati direttamente causati dall’illecito tenuto dalle autorità cinesi e quali invece siano da ricondursi ad altra causa, per esempio alla condotta degli stessi Stati lesi. La commissione di un illecito, infatti, impone alla vittima un obbligo minimo di non aggravare il pregiudizio causato dall’illecito attraverso condotte troppo passive o troppo aggressive (Bollecker-Stern); il comportamento tenuto dalla vittima non deve quindi essere doloso o negligente, come esplicitamente previsto dall’art. 39 del Progetto. Applicando ciò al caso COVID-19, la condotta negligente delle autorità cinesi e la tarda notifica ex art. 6 RSI 2005, qualora verificate, costituirebbero delle violazioni di obblighi internazionali; l’impatto avuto dal COVID-19 al di fuori della Cina è però stato causato unicamente da queste violazioni? A tale proposito, si rimanda, per quanto riguarda l’esperienza italiana, all’indagine in corso presso la Procura di Bergamo relativa alla mancata chiusura del Pronto Soccorso dell’ospedale di Alzano e alla mancata istituzione di una zona rossa a Bergamo tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, nonché alle molteplici inchieste riguardanti la gestione delle RSA. Le ipotesi di reato avanzate, in particolare omicidio colposo ed epidemia colposa, sono basate su una presunta condotta negligente delle autorità italiane (con un rimpallo di responsabilità tra Regione e Governo): se fosse stata tempestivamente istituita una zona rossa con conseguente lockdown, se le RSA non avessero accolto pazienti contagiati dal virus SARS-CoV-2, si sarebbe potuto evitare un così rapido contagio. La negligente gestione italiana della pandemia non è irrilevante sotto il profilo della responsabilità internazionale degli Stati per fatto illecito. Il calcolo della riparazione dovuta dalla Cina dovrà comprendere, infatti, non solo una valutazione del comportamento tenuto dalle autorità cinesi e del pregiudizio sofferto dagli Stati lesi, ma anche una valutazione del comportamento tenuto da questi ultimi, in modo da individuare il pregiudizio dovuto in riparazione perché direttamente causato dall’atto illecito. Alla difficile verifica della liceità di una condotta in relazione a un obbligo internazionale di due diligence, complessa in ragione della flessibilità di questo tipo di obbligo, si aggiunge quindi l’altrettanto complicata verifica della diligenza della condotta tenuta dallo Stato leso.

Non è questa la sede per indagare se il virus SARS-CoV-2 avrebbe potuto essere contenuto efficacemente, se la Cina avesse agito diversamente. Non è questa la sede neppure per analizzare, sotto un profilo più spiccatamente politico, se la scarsa trasparenza da parte dello Stato cinese sia stata dettata dalla preoccupazione di essere isolato a causa di misure adottate da altri Governi, ispirate più alla tutela del proprio Stato che al principio di cooperazione globale in ambito sanitario, né per analizzare se, in Cina come negli altri Stati, la gestione della pandemia avrebbe potuto essere più accorta, limitando così il numero di morti. Questa è piuttosto la sede per rilevare, avendo riguardo alle norme del RSI 2005 e alle norme del Progetto, delle ipotesi di responsabilità statale per atto internazionalmente illecito, nonché evidenziare le difficoltà nella prova delle stesse e le loro possibili conseguenze.

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